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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  5 minuti
Argomento:  Ricerca empirica
data:  22 giugno 2020

Imprese di comunità: evoluzione e prospettive future

Jacopo Sforzi, Cristina Burini

Grazie alle imprese di comunità, evidenzia una ricerca recentemente presentata da Euricse, si assiste ad un cambio di paradigma nel quale attori pubblici, economici e sociali interagiscono e collaborano tra loro per produrre nuovi beni e servizi nell’interesse delle comunità del proprio territorio.


Le cooperative di comunità

Negli ultimi anni ne sono nate diverse ed Euricse ha subito colto l’importanza del fenomeno. Stiamo parlando delle imprese di comunità. Da una decina d’anni, infatti, l’istituto di ricerca di Trento se ne occupa, le individua, le studia e ne fa conoscere le peculiarità.

Cosa sono e come mai oggi è ancora più importante parlarne?

Le imprese di comunità sono imprese che nascono dalla volontà di gruppi di persone di prendersi cura del proprio luogo di vita attraverso la produzione di beni e/o servizi in maniera stabile e continuativa. Tra questi rientrano, ad esempio in molti casi, anche i beni di interesse pubblico. Queste realtà hanno un carattere cooperativo e si caratterizzano per il forte radicamento all’interno della propria comunità con l’obiettivo, attraverso le attività realizzate, di rispondere ai bisogni dei soggetti che la compongono e migliorarne la qualità di vita. Ad oggi sono 109 quelle che Euricse ha al momento individuato in Italia e inserito in un database costruito ad hoc e in costantemente aggiornamento.
Negli ultimi anni sono nate una serie di iniziative di sperimentazione socio-economica diffuse su tutto il territorio nazionale fondate su modelli organizzativi innovativi a matrice comunitaria che hanno contribuito, sia in quartieri urbani che in piccoli borghi, a far riemergere il concetto di prossimità e a rinnovare lo spirito di auto-organizzazione delle comunità.  

Nuovi modelli di produzione e consumo più sostenibili che, facendo leva sulle proprie identità e specificità locali e sulla condivisione e valorizzazione delle risorse materiali e immateriali presenti nel proprio territorio, hanno avviato processi di rigenerazione sociale ed economica di luoghi abbandonati.

Le imprese di comunità sono, in questo senso, una perfetta manifestazione di interessanti forme di solidarietà e di sostegno reciproco e sono l’espressione della capacità degli abitanti di un dato luogo di auto-organizzarsi per ripensare insieme il proprio futuro sociale ed economico.

Proprio da alcune di queste esperienze nasce l’ultimo Rapporto di ricerca condotto da Euricse su Imprese di comunità e beni comuni (2020).

Oggi, il peculiare momento storico che stiamo vivendo dovuto all’emergenza sanitaria diffusa a livello internazionale sta mettendo in discussione alcuni elementi che caratterizzano la nostra vita quotidiana e, di fronte a queste nuove sfide, le imprese di comunità possono rappresentare un modello da cui ripartire, specie in certi territori del nostro Paese.

Il rapporto

La ricerca, condotta nel corso del 2019, ha l’obiettivo di approfondire la rilevanza delle imprese di comunità come soggetti in grado di rilanciare, da un punto di vista sociale ed economico, numerosi territori italiani. Per questo il primo passaggio si è concentrato sul ricostruirne la distribuzione geografica, sull’analizzarne i principali settori di attività in cui operano, i diversi modelli organizzativi da esse adottati e le motivazioni alla base della loro costituzione (per un approfondimento sul tema si rimanda ad altri lavori realizzati da Euricse su questo tema: Euricse, Libro Bianco sulla cooperazione di comunità. 2016; P.A. Mori e J. Sforzi, Imprese di comunità., Il Mulino, 2018).

In dettaglio vediamo che, le imprese sono distribuite in modo omogeneo in tutto il Paese (Nord 27%, il Centro 36% e il Sud 37%). Tuttavia, per alcuni approfondimenti realizzati attraverso alcuni studi di caso sono state scelte tre regioni, Toscana, Campania e Abruzzo, per la peculiarità del processo generativo di queste imprese, che è stato sostenuto e accompagnato da enti pubblici o privati.

Il report, infatti, riporta una interessante narrazione di quelle che sono le principali motivazioni che portano alla nascita delle imprese di comunità. Nella maggior parte dei casi è la necessità di ricostruire e rafforzare il tessuto sociale di un dato territorio il fattore scatenante che porta alla costituzione di questa forma di impresa. Seguono poi altre motivazioni che caratterizzano in particolare le aree interne e marginale del Paese, come lo spopolamento, la necessità di rispondere a bisogni specifici della popolazione e di offrire servizi mancanti alla comunità. Fondamentale però per il processo generativo, è sempre la presenza di un gruppo promotore di individui che, condividono ideali e obiettivi comuni, si fanno carico del progetto imprenditoriale. Il 74% delle realtà comunitarie nasce grazie a questo.

Accanto al gruppo promotore, emerge poi il ruolo degli enti locali, coinvolti in circa la metà dei progetti imprenditoriali analizzati nel contribuire attivamente nelle fasi di presentazione e promozione iniziale. Più in generale, il 58% delle organizzazioni intercettate ha risposto che l’amministrazione locale ha sostenuto positivamente la nascita dell’impresa di comunità durante tutto il suo processo di costituzione.

Nello specifico, per sostegno si intendono quei casi in cui gli enti pubblici hanno promosso la nascita dell’impresa di comunità mediante azioni concrete, come la promozione di bandi e l’organizzazione di assemblee pubbliche per coinvolgere la comunità.

Il rapporto analizza poi i principali settori di intervento di queste imprese, confermando il loro carattere multisettoriale e la loro capacità di operare, integrandoli, su molteplici attività differenti. Un aspetto questo che le contraddistingue rispetto a forme di imprenditorialità cooperativa che tendono, invece, a specializzarsi su un unico ambito e a soddisfare prevalentemente i bisogni di una sola categoria specifica di persone. I campi di attività maggiormente interessati sono: turismo (41%), agricoltura (21%), servizi alla persona (14%), cultura (10%), ricreazione (8%) ed energia (5%). Concentrandosi le esperienze analizzate prevalentemente in aree interne e marginali, il turismo è il settore all’interno del quale si concentrano la maggior parte delle attività delle imprese di comunità, confermando quanto emerso delle motivazioni di cui sopra. Infatti, per rispondere in maniera concreta all’impoverimento del territorio e alla carenza di opportunità occupazionali, l’impresa si pone come modello produttivo che a partire dal settore turistico avvia progetti che valorizzano in modo innovativo il patrimonio naturale, artistico e culturale locale.

Infine, un altro indicatore interessante per comprendere per comprendere quali siano le forme giuridiche più adatte a sostenere queste realtà e la loro evoluzione riguarda la diversità dei modelli di governance adottati fino ad oggi dalle imprese di comunità. Su 109 imprese, la cooperativa di produzione e lavoro è la forma giuridica più diffusa con 57 imprese, seguita dalla forma "altra cooperativa" (18 imprese) e dalla cooperativa sociale (14 imprese). Di queste ultime, 8 hanno optato per la cooperativa sociale mista; 4 sono cooperative sociali di tipo B (orientate quindi all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati) e 2 cooperative sociali di tipo A. Le principali motivazioni che possono spiegare questa diversità nella scelta del modello di governance adottato possono riguardare la cultura dei fondatori, il contesto socioeconomico nel quale sono nate le rispettive imprese di comunità e, soprattutto, le funzioni che esse svolgono e i differenti obiettivi che si prefiggono di perseguire.

Oltre agli elementi riportati brevemente nei paragrafi precedenti ed emersi durante lo studio, il Rapporto si conclude proponendo alcune indicazioni a cui, soprattutto in questo periodo, si dovrà dare maggiore attenzione, pensando soprattutto alla evoluzione del ruolo che le imprese di comunità potranno ricoprire nel prossimo futuro.

Questi soggetti imprenditoriali, infatti, grazie alle loro potenzialità ancora in parte inespresse, possono diventare uno strumento strategico adatto a superare situazioni di emergenza come quella che l’Italia sta attraversando e dare nuove risposte alla conseguente necessità di ridefinire le attuali dinamiche sociali ed economiche.

Sicuramente, lo studio approfondito di questo fenomeno, ed in senso più allargato delle comunità locali, porta anche a riflettere su altre questioni, facendo riemergere diversi aspetti critici che già da tempo impegnano i ricercatori: la diversità territoriale, le disuguaglianze socioeconomiche e, l’ormai solito, divario tra città e campagna.

Possono le imprese di comunità, almeno in parte, diventare una concreta risposta?

Certamente costituiscono un’innovazione rispetto ai modelli oggi ancora prevalenti, basati sulla massimizzazione del valore economico che un bene o un servizio genera, così come possono essere attori importanti nel ridisegnare le strategie politico-finanziarie basate ancora principalmente su processi di accentramento delle attività economiche, sociali e di welfare in particolare aree come quelle metropolitane (al cui interno non sono mancati altrettanti processi di concentrazione come quelli, ad esempio, legati al commercio di generi alimentare che hanno visto chiudere numerosi piccoli negozi di quartiere in favore dei grandi supermercati).

All’interno del più ampio dibattito su un ritorno ai territori rurali e montani, le imprese di comunità dimostrano che le aree interne sono già luoghi di sperimentazione e di innovazione sociale, dove, grazie ad attori locali “agenti del cambiamento” (F. Barbera, e T. Parisi, Innovatori sociali. La sindrome di Prometeo nell’Italia che cambia, il Mulino, 2019), nascono nuove imprese, si specializzano e si diversificano. Queste aree non hanno bisogno delle indicazioni e dei suggerimenti di chi le vede solo come alternativa a quelle metropolitane e se opportunamente riconosciute e valorizzate possono “indicare nuove strade da percorrere” e rappresentare un valido esempio per ripensare lo sviluppo del nostro Paese (G. Carrosio, I margini al centro, Donzelli, 2019).

In sintesi, le imprese di comunità contribuiscono già a ripensare la catena di produzione del valore economico e sociale, e di conseguenza l’organizzazione della vita socio-lavorativa, in funzione dei luoghi di vita e dei reali bisogni che esprimono le comunità locali. Grazie a queste imprese si assiste ad un cambio di paradigma nel quale attori pubblici, economici e sociali interagiscono e collaborano tra loro per produrre nuovi beni e servizi nell’interesse generale delle rispettive comunità (es. sanità, energia, acqua, ambiente, mobilità, telecomunicazioni, rifiuti, attività agricole, industriali e commerciali). È da questa loro specifica e originale capacità che si deve ripartire. Se la ripresa dall’attuale situazione sarà lunga e impegnativa, essa potrà, al tempo stesso, rappresentare un’occasione per (ri)prendere in mano le sfide sociali ed economiche del nostro tempo e per cambiare il modo di governare i processi di sviluppo ripartendo proprio dalle comunità e dal loro coinvolgimento attivo nella trasformazione consapevole della società.

Rivista-impresa-sociale-Jacopo Sforzi Euricse

Jacopo Sforzi

Euricse

Ricercatore presso Euricse. I suoi interessi di ricerca si concentrano principalmente sullo sviluppo locale, sulle politiche di sviluppo e sulle istituzioni locali, con particolare riguardo a quelle di tipo cooperativo, alle istituzioni politiche e ai partenariati pubblico-privato.

Rivista-impresa-sociale-Cristina Burini Università degli Studi di Perugia

Cristina Burini

Università degli Studi di Perugia

Dottoranda in Legalità, Culture Politiche e Democrazia presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Perugia e collabora con Euricse nell'area ricerca.

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