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ISSN 2282-1694
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Editoriale

L’impatto della rivista Impresa Sociale

Marco Musella, Flaviano Zandonai

Saggi

Innovazione sociale e sviluppo territoriale

Frank Moulaert, Pieter Van der Broeck, Alessandra Manganelli

La competitività è maggiore per le imprese coesive

Giovanni Ferri, Marco Pini , Alessandro Rinaldi

Saggi brevi

Domanda e offerta di capitale per l’impatto sociale

Veronica Chiodo, Francesco Gerli

Le dimensioni dell’innovazione sociale

Fabrizio Montanari, Stefano Rodighiero, Fabio Sgaragli, Diego Teloni

Il contratto di rete come strategia di rigenerazione

Melania Verde

Casi studio

Stakeholder engagement e impatto nei servizi sociali

Ericka Costa, Laura Castegnaro

Recensioni

L’impresa come istituzione sociale

Enrico Sacco

Numero 10 / 2017

Policy

Gli strumenti finanziari e la finanza sociale alla luce della riforma del terzo settore

Guido Cisternino

Il tema della finanza per rispondere ai bisogni sociali è più che mai attuale e al centro del dibattito pubblico e delle politiche nazionali, in quanto può sostenere la capacità di investire in innovazione sociale. In un contesto caratterizzato dalla contrazione strutturale delle risorse pubbliche e da forti cambiamenti sociali in atto, le imprese sociali e le organizzazioni di terzo settore hanno bisogno di strumenti innovativi per rispondere alle sfide che hanno di fronte; e proprio da una più stretta collaborazione tra finanza e sociale possono derivare grandi potenzialità a supporto del processo di ammodernamento delle politiche sociali e dello sviluppo economico del nostro Paese. Se alla recente riforma del terzo settore va riconosciuta una portata storica, in quanto grazie a questo impianto normativo il terzo settore diventa, di fatto, un soggetto riconosciuto dalla legge, l’introduzione dei Titoli di Solidarietà (art. 77, d.lgs. 117/2017 - Codice del Terzo Settore) rappresenta un importante segnale in quanto, per la prima volta, la finanza sociale entra formalmente nel sistema giuridico italiano ovvero nel “codice genetico” del terzo settore. La riforma riconosce ed incentiva, quindi, quella finanza che può diventare “strumento del bene comune”, in grado di favorire gli investimenti in progetti capaci di produrre e sostenere impatto e azioni in favore dei più deboli o più in generale ricadute sociali positive. La presenza di una sezione apposita nell’ambito del Codice del Terzo Settore testimonia di fatto il superamento di una visione che definiva come “strumentale” la relazione tra la finanza e impresa sociale, tenendola per troppo tempo distinta.


The role of finance in addressing social needs is more current than ever and is at the core of public debate and national policies, as it can support the capacity to invest in social innovation. In a context characterized by the structural contraction of public resources and by significant social changes, social enterprises and third sector organizations need innovative tools to address the challenges ahead; and from a closer cooperation between finance and the social dimension, great potentialities may arise supporting the modernization process of social and economic development policies in our country. If it is true that the recent third sector reform had an historical impact, providing the social sector with the normative framework to become an actor recognized by the law, it is also true that the introduction of Solidarity Titles (art. 77, l.lgs. 117/2017 – Third Sector Code), for example, represented an important step as well because, for the first time, social finance made its formal entrance into the Italian juridical system, i.e. in the “genetic code” of third sector. Therefore, the reform recognizes and fosters a type of finance which may become a “common good tool”, providing investments in those projects aimed at producing impact and supporting actions benefitting the weakest groups of people or, more generally, producing a positive social impact. The presence of a specific section in the Third Sector Code certifies the overcoming of a vision which considered “instrumental” the relationship between finance and social enterprise, by keeping it outside for too long.

Nuovi strumenti finanziari collegati alla riforma del terzo settore

Il tema della finanza per rispondere a bisogni sociali è più che mai attuale e al centro del dibattito e delle politiche nazionali, in quanto può sostenere la capacità di investire in innovazione sociale. In un contesto caratterizzato dalla contrazione strutturale delle risorse pubbliche e da forti cambiamenti sociali, l’impresa sociale e le organizzazioni di terzo settore necessitano di strumenti innovativi per rispondere alle sfide che hanno di fronte (es. integrazione dei migranti) e all’emersione di bisogni sempre meno coperti dal welfare pubblico e riguardanti una fetta maggiore di popolazione (es. salute, abitare, aumento di anziani non autosufficienti, giovani non occupati, nuove povertà etc.).

Per il terzo settore può risultare quindi strategico poter contare non solo su maggiori capitali e risorse, quanto sulla presenza di un ecosistema composto da modelli “ibridi” di intervento, in grado di mixare diverse tipologie di strumenti finanziari (dal grant, al debito, fino all’equity), nonché sul coinvolgimento di soggetti quali venture capitalist, incubatori, fondi di investimento che accompagnino – accelerandoli – percorsi di innovazione sociale. E proprio da una più stretta collaborazione tra finanza e sociale possono derivare grandi potenzialità a supporto del processo di ammodernamento delle politiche sociali e dello sviluppo economico del Paese.

Se alla recente riforma del terzo settore (l. n. 106/16)[1] va riconosciuta una portata storica, in quanto grazie a questo impianto normativo il settore diventa, di fatto, un soggetto riconosciuto dalla legge, l’introduzione dei Titoli di Solidarietà all’interno del Codice del terzo settore (art. 77, d.lgs. 117/2017)[2] rappresenta un importante segnale poiché, per la prima volta, la finanza sociale entra formalmente nel sistema giuridico italiano e nel “codice genetico” del terzo settore[3]. Si tratta infatti di un riconoscimento intenzionale del fatto che non esiste solo una finanza “speculativa” o “capitalistica”, ma una finanza che può e deve servire per “[…] favorire il finanziamento ed il sostegno delle attività di cui all’articolo 5, svolte dagli enti del terzo settore non commerciali di cui all’articolo 79, comma 5, iscritti al Registro di cui all’articolo 45 […]” (art. 77, d.lgs. 117/2017) (si pensi, ad esempio, al ruolo strategico che la finanza potrà avere nella di riqualificazione dei beni immobili pubblici inutilizzati o sottratti alla criminalità organizzata).

La riforma riconosce ed incentiva, quindi, quella finanza che può diventare “strumento del bene comune”, in grado di favorire gli investimenti in progetti capaci di produrre e sostenere azioni in favore dei più deboli o più in generale ricadute sociali positive. La presenza di una sezione apposita nell’ambito del Codice del terzo settore testimonia di fatto il superamento di una visione che definiva come “strumentale” la relazione tra la finanza e impresa sociale, tenendola per troppo tempo distinta.

Un ulteriore strumento finanziario collegato alla riforma – operativo da novembre 2017 – è il Fondo Rotativo per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale, previsto dalla legge delega (art. 9, lettera g, l. n. 106/16). Si tratta della prima vera agevolazione finanziaria a livello di sistema Paese volta a promuovere e “sostenere la nascita e la crescita delle imprese operanti in tutto il territorio nazionale, per il perseguimento delle finalità di utilità sociale e degli interessi generali”.

Titoli di Solidarietà

L’articolo 77 del Codice del terzo settore prevede che gli istituti di credito autorizzati ad operare in Italia possano emettere specifici Titoli di Solidarietà per favorire il finanziamento ed il sostegno delle attività di cui all’art. 5 del Codice, svolte dagli Enti del Terzo Settore (ETS) non commerciali iscritti nel Registro Unico Nazionale.

Fino all’entrata in vigore del Registro, i beneficiari dei Titoli di Solidarietà potranno essere: organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale ed in generale gli enti con qualifica di Onlus; per poi estendersi a tutti gli ETS non commerciali a partire dall’entrata in vigore del Registro.

Sono considerati Titoli di Solidarietà le obbligazioni, i titoli di debito ed i certificati di deposito aventi le seguenti principali caratteristiche:

  • scadenza non inferiore a 36 mesi (12 mesi nel caso dei certificati di deposito);
  • interessi corrisposti con periodicità almeno annuale;
  • tassi di interesse corrisposti nella misura pari al maggiore tra: i) tasso di rendimento lordo annuo di obbligazioni/certificati di deposito dell’emittente di pari caratteristiche e durata, collocate nel trimestre precedente la data di emissione dei Titoli; ii) tasso lordo annuo dei Titoli di Stato con vita residua similare;

Su tali titoli gli emittenti non possono applicare commissioni di collocamento. Le obbligazioni ed i titoli di debito possono essere nominativi o al portatore, non subordinati, non convertibili e non scambiabili; non conferiscono inoltre il diritto di sottoscrivere o acquisire altri tipi di strumenti finanziari e non devono essere collegati ad uno strumento derivato. I certificati di deposito consistono in titoli individuali, non negoziati nel mercato monetario.

A fronte dei Titoli di Solidarietà collocati sono previsti, in capo alle banche emittenti, i seguenti obblighi o facoltà:

  • possibilità, in via discrezionale, di erogare liberalità di importo commisurato all’ammontare nominale dei Titoli collocati ad uno o più ETS non commerciali ritenuti meritevoli, per il sostegno di attività di cui all’art. 5 del Codice, sulla base di progetti predisposti dagli ETS stessi destinatari della liberalità;
  • obbligo di destinare una somma pari all’intera raccolta effettuata attraverso l’emissione dei Titoli – al netto di eventuali erogazioni liberali erogate – ad operazioni di finanziamento a favore di ETS non commerciali per iniziative di cui al suddetto art. 5;
  • obbligo di comunicare al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, entro il 31 marzo di ogni anno, l’ammontare delle emissioni effettuate nell’anno precedente, l’importo di eventuali liberalità e finanziamenti erogati, indicando gli ETS beneficiari e le iniziative sostenute;
  • obbligo di pubblicare sul proprio sito internet, con cadenza almeno annuale, i dati relativi ai finanziamenti erogati, con l’indicazione dell’ente beneficiario e delle iniziative sostenute (obbligo aggiunto in occasione del cosiddetto decreto correttivo del Codice del terzo settore varato il 3 agosto 2018 dal Consiglio dei Ministri – art. 1, comma 1, d.lgs. 105/2018)[4].

A detta dello scrivente, i citati obblighi informativi sulle iniziative sostenute attraverso i finanziamenti erogati appaiono un eccessivo aggravio per le banche, laddove può essere sufficiente comunicare i nominativi dei soggetti finanziati ed i principali dati relativi ai finanziamenti (es. importo, durata, tasso e forma tecnica). Altra cosa invece è dare evidenza delle iniziative sostenute con l’erogazione delle eventuali liberalit

Al fine di incentivare l’emissione di Titoli di Solidarietà da parte delle banche e, nel contempo, la loro sottoscrizione da parte dei risparmiatori/investitori, il Legislatore ha opportunamente utilizzato la leva fiscale, prevedendo i seguenti principali benefici.

Per i sottoscrittori:

  • assoggettamento degli interessi e dei proventi al regime fiscale dei Titoli di Stato (aliquota fiscale del 12,50% anziché ordinaria del 26%);
  • non rilevanza ai fini della determinazione dell’imposta di bollo dovuta per le comunicazioni relative ai depositi titoli;
  • non rilevanza alla formazione dell’attivo ereditario.

Per gli emittenti:

  • riconoscimento di un eventuale credito di imposta pari al 50% delle liberalità erogate qualora l’importo della liberalità sia almeno pari allo 0,60% dell’ammontare nominale dei Titoli collocati. Tale credito d’imposta, la cui operatività è subordinata all’autorizzazione da parte della Commissione Europea (ragionevolmente attesa non prima del 2019) è utilizzabile tramite compensazione e non è cumulabile con altre agevolazioni tributarie previste con riferimento alle erogazioni liberali;
  • i Titoli non rilevano ai fini della sterilizzazione ACE ed ai fini del computo delle contribuzioni dovute dai soggetti sottoposti alla vigilanza.

Relativamente al tasso d’interesse applicato dalle banche ai Titoli, va tuttavia evidenziato che la normativa prevede che gli emittenti possano adottare un tasso anche inferiore rispetto al maggiore tra i due tassi di rendimento sopra indicati, a condizione che la banca riduca corrispondentemente il tasso di interesse applicato alle operazioni di finanziamento correlate a favore di ETS non commerciali utilizzando appunto le somme raccolte con tali Titoli. Le modalità attuative ed operative di tale previsione sono state oggetto delle seguenti indicazioni integrative nell’ambito del correttivo del Codice del terzo settore: “A tal fine, gli emittenti devono essere in grado di fornire un’evidenza, oggetto di approvazione da parte del relativo organo amministrativo, dei tassi ordinariamente applicati alle operazioni di raccolta e sulle operazioni di impiego, equivalenti per durata, forma tecnica tipologia di tasso fisso o variabile e, se disponibile, rischio di controparte”.

Per quanto riguarda, invece, l’obbligo da parte degli emittenti di destinare la somma raccolta attraverso l’emissione dei Titoli (al netto di eventuali liberalità) al finanziamento di ETS non commerciali, andrebbe tuttavia chiarito il significato che il Legislatore ha voluto dare alle previsioni “tenuto conto delle richieste di finanziamento pervenute dagli ETS” e compatibilmente con “le esigenze di rispetto delle regole di sana e prudente gestione bancaria” (art.77, comma 6, Codice). In particolare, andrebbe precisato se l’obbligo per la banca emittente di destinare l’intera somma al finanziamento degli ETS non commerciali risulti in qualche modo sminuito nel caso in cui questa registrasse una ridotta richiesta di credito da parte degli ETS o nel caso in cui tale richiesta non fosse compatibile con le suddette esigenze di rispetto delle regole di sana e prudente gestione bancaria. In sostanza, il chiarimento sulla puntuale interpretazione delle citate previsioni risulterebbe fondamentale, secondo alcuni giuristi e fiscalisti, per stabilire la spettanza o meno delle agevolazioni fiscali scaturenti dalla detenzione dei Titoli di Solidarietà da parte degli investitori in presenza delle suddette casistiche.

Va tuttavia sottolineato, infine, che per l’operatività dei Titoli di Solidarietà occorrerà attendere l’emanazione di un apposito decreto attuativo di natura regolamentare da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, non essendo stata espunta tale previsione in sede di approvazione del decreto correttivo, nonostante la disposizione di cui all’art.77 apparisse, a detta dello scrivente, in massima parte “autosufficiente”.

Considerazioni

Come anticipato, l’introduzione dei Titoli di Solidarietà rappresenta un importante riconoscimento della funzione che la finanza sociale può svolgere per le attività degli Enti del Terzo Settore. In questo senso il Legislatore – basandosi anche su esperienze di successo già presenti sul mercato, come ad esempio i Social Bond collocati da alcuni istituti di credito (fra cui UBI Banca, precursore dello strumento) – ha ben colto il ruolo determinante che il risparmio privato, fra i punti di forza del nostro Paese, può giocare nello sviluppo ed affermazione degli strumenti di finanza sociale[5]. E questo attraverso l’introduzione di meccanismi fiscali di vantaggio sia per le banche emittenti che per i sottoscrittori (risparmiatori/investitori). Di fatto i Titoli di Solidarietà dilatano l’opportunità per i cittadini/investitori di allocare i propri risparmi/risorse in strumenti di finanza sociale, consentendo al contempo di orientare le risorse e le azioni delle istituti di credito a favore di progetti con finalità sociale.

Tuttavia, per consentire ai Titoli di Solidarietà di esprimere appieno le loro potenzialità, occorrerebbe, ad avviso dello scrivente, eliminare il vincolo relativo all’obbligo, da parte delle banche, di destinare l’intera raccolta effettuata tramite l’emissione dei Titoli a finanziamenti a favore dei soli ETS non commerciali. Questo vincolo – che ci si augurava che potesse essere superato espungendo la specifica della qualifica “non commerciale” in occasione del sopra citato decreto correttivo del Codice del terzo settore[6] – esclude, di fatto, la possibilità per le banche di utilizzare la raccolta per finanziare cooperative e imprese sociali, ovvero quei soggetti che, svolgendo “geneticamente” attività di natura imprenditoriale in ambito sociale, ricorrono maggiormente al credito per finanziare i loro investimenti e progetti ad impatto sociale[7]. Si tratterebbe, quindi, di estendere i destinatari dei finanziamenti erogabili a fronte dei Titoli collocati a tutte le tipologie di ETS (inclusi quelli commerciali), mantenendo i solo ETS non commerciali quali beneficiari delle eventuali liberalità erogate, intervento a questo punto realizzabile tramite apposito eventuale ed auspicabile atto legislativo.

L’iniziativa dei Titoli di Solidarietà rappresenta un primo importante passo, che andrebbe però progressivamente fatto evolvere, allargando ad esempio la gamma degli strumenti messi a disposizione da parte degli intermediari finanziari alla clientela investitrice. Ad esempio, si potrebbe valutare di estendere alcuni benefici fiscali a prodotti di investimento etici, ovvero strumenti di investimento (fondi comuni/sicav) rientranti nella categoria dei cosiddetti Investimenti a Responsabilità Sociale (SRI), il cui mercato sta registrando importanti tassi di crescita sia a livello italiano che internazionale, in virtù non solo dell’attuale contesto congiunturale dei tassi a livelli marginali (che orienta il risparmio verso forme più evolute di investimento, quali il risparmio gestito) ma anche della crescente propensione degli investitori ad indirizzare quote di investimento verso strumenti connotati da componenti etiche, in grado di coniugare il rendimento con finalità ambientali, sociali e di governance d’impresa (ESG)[8]. Anche in questo caso si potrebbe valutare di utilizzare la leva fiscale per incentivare gli intermediari a stanziare risorse a supporto delle attività degli ETS (ad esempio riconoscendo un credito fiscale a valere sulle eventuali liberalità erogate a fronte delle commissioni percepite su tali strumenti, come da alcune esperienze di banche e di SGR come UBI Banca ed UBI Pramerica) e gli investitori a sottoscrivere gli strumenti SRI (ad esempio prevedendo l’applicazione di aliquote fiscali sui proventi allineate a quella dei Titoli di Stato).

Per favorire i processi di upgrading and upscaling degli Enti del Terzo Settore è auspicabile stimolare sul lato della domanda l’emergere e la diffusione di ulteriori strumenti finanziari specifici, in un contesto in cui, sul lato dell’offerta di capitali, esiste una relativa abbondanza di liquidità e gli operatori, soprattutto quelli di natura istituzionale, sono alla ricerca di una diversificazione degli asset che possa valorizzare anche la componente “sociale” dei propri portafogli.

Per promuovere uno sviluppo equilibrato ed efficace della finanza sociale occorrerebbe agire non solo sul lato dell’offerta (ovvero degli intermediari finanziari e degli strumenti), ma sulla domanda (ossia le imprese sociali) promuovendo: i) l’accesso a mercati di capitali; ii) l’introduzione di misure che accrescano la cultura imprenditoriale e la propensione all’investimento (attraverso, ad esempio, azioni di capacity building); iii) la costituzione di fondi di dotazione a copertura dei costi legati all’accesso a strumenti di finanza sociale quali minibond, project finance e social impact bond.

Infine risulta indispensabile promuovere un ecosistema più favorevole a supportare ed accelerare percorsi di innovazione sociale, attraverso soggetti “facilitatori” (quali business angels, incubatori, fondi di investimento, investitori, etc.) ed iniziative di “sistema” volte a definire metriche che consentano la valutazione (e valorizzazione) dell’impatto sociale generato.

Il Fondo Rotativo per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale

Finalità e riferimenti normativi

Come anticipato, un ulteriore strumento di finanza sociale previsto dalla riforma (e operativo da novembre 2017) è il Fondo rotativo per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale, che trova origine dal Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI) gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti (CDP).

Si tratta di un nuovo regime d’aiuto, a favore dell’economia sociale, che si innesta nell’art. 1, comma 845 della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge Finanziaria 2007), attraverso cui il Ministero dello Sviluppo Economico può istituire con proprio decreto specifici regimi di aiuto volti a sostenere la nascita e la crescita delle imprese operanti in tutto il territorio nazionale, per il perseguimento degli interessi generali e di utilità sociale.

Le finalità del Fondo sono la promozione e il rafforzamento dell’economia sociale su tutto il territorio nazionale, attraverso la nascita e crescita di soggetti dell’economia sociale operanti in quei settori per cui i programmi di investimento evidenzino – tenuto conto del territorio di riferimento e dei soggetti destinatari – la sussistenza di potenziali ricadute positive, in termini socio-ambientali, con riferimento ad almeno uno dei seguenti quattro obiettivi di impatto:

  • incremento occupazionale di categorie svantaggiate;
  • inclusione sociale di soggetti vulnerabili;
  • raggiungimento di specifici obiettivi volti alla salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente, del territorio e dei beni storico-culturali;
  • conseguimento di ogni altro beneficio derivante da un’attività di rilevante interesse pubblico o di utilità sociale in grado di colmare uno specifico bisogno all’interno di una comunità o territorio attraverso un aumento della disponibilità o della qualità di beni o servizi.

L’agevolazione si rivolge ai seguenti beneficiari:

  • imprese sociali, di cui al d.lgs. 117/2017[9], costituite in forma di società;
  • cooperative sociali, di cui alla l. 381/91 e successive modifiche e integrazioni, e relativi consorzi;
  • società cooperative aventi qualifica di Onlus, di cui al d.lgs. 460/1997 e successive modifiche e integrazioni.

Alla data di presentazione delle domanda di accesso alle agevolazioni, i soggetti beneficiari devono: i) risultare regolarmente costituiti ed iscritti nel Registro Imprese, nonché inseriti negli elenchi, albi, anagrafe previsti dalla rispettiva normativa di riferimento; ii) trovarsi in regola con le diverse disposizioni vigenti in materia di normativa edilizia/urbanistica, lavoro/contributiva etc.; iii) essere in regime di contabilità ordinaria (art. 3, decreto istitutivo 3 luglio 2015)[10].

La dotazione finanziaria complessiva è pari a 223 milioni di euro, di cui 200 milioni a valere sul Fondo Rotativo per il Sostegno alle Imprese e agli Investimenti in Ricerca (FRI) e 23 milioni a valere sul Fondo per la Crescita Sostenibile[11].

Principali caratteristiche dello schema agevolativo

Lo schema agevolativo prevede un finanziamento a tasso agevolato (tasso fisso annuo pari allo 0,50%), a valere sul FRI, e un contributo alla spesa (pari a 5% dei costi dei programmi di investimento non superiori a 3 milioni di euro) a valere sul Fondo per la Crescita Sostenibile.

Al finanziamento agevolato deve essere affiancato necessariamente un finanziamento bancario ordinario a tasso di mercato concesso da una banca convenzionata con CDP.

Possono convenzionarsi con CDP le banche in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:

  1. adozione di metodologie di valutazione specifiche, ossia sistemi e criteri di valutazione specifici per l’ammissione al credito dei soggetti beneficiari, volti a valorizzare le caratteristiche economico-finanziarie e sociali degli stessi;
  2. consistenza di finanziamenti erogati ai soggetti beneficiari negli ultimi cinque esercizi finanziari chiusi precedentemente alla data della richiesta di convenzionamento, pari almeno al 50% del credito complessivamente erogato dalla banca, ovvero la media annuale del credito erogato nel medesimo quinquennio non sia inferiore a 100 milioni di euro.

Ad oggi risultano convenzionate con CDP le seguenti banche (in ordine cronologico di convenzionamento): UBI Banca, Mediocredito Italiano, Unicredit, Credito Cooperativo Romagnolo BCC di Cesena e Gatteo, Banca Popolare Etica, Credito Cooperativo Ravvenate Forlivese e Imolese, Banca Nazionale del Lavoro.

Il finanziamento bancario ed il finanziamento agevolato devono essere regolati, in modo unitario, da un unico contratto (stipulato dalla banca, oltre che per proprio conto, anche per conto e nell’interesse della CDP), per una percentuale di copertura delle spese ammissibili pari all’80%. Il contratto di finanziamento è stipulato dalla banca finanziatrice su mandato della CDP. Può avere una durata compresa tra minimo 4 e massimo 15 anni, incluso il periodo di preammortamento (non superiore a 4 anni decorrenti dalla data di sottoscrizione del contratto di finanziamento).

La quota di finanziamento bancario deve essere pari al 30% del finanziamento complessivo e il tasso applicabile è concordato liberamente tra la banca e il soggetto beneficiario. Il tasso fisso di interesse applicabile al finanziamento agevolato (per la quota CDP del 70%) è pari allo 0,50% annuo.

L’inizio del rimborso della quota capitale del finanziamento bancario non può avere luogo finché non sia stato rimborsato almeno il 50% del differenziale, in termini di capitale, tra il finanziamento agevolato ed il finanziamento bancario. Le modalità di rimborso del finanziamento devono assicurare che l’ammontare residuo del finanziamento bancario non sia, tempo per tempo, inferiore al 30% dell’ammontare totale residuo del finanziamento complessivo.

L’ammontare delle spese ammissibili relativo al programma di investimento proposto da ciascun soggetto beneficiario non può essere inferiore a 200 mila e superiore a 10 milioni di euro. Per la tipologia di spese ammissibili, limiti e condizioni di ammissibilità si rimanda ai relativi decreti ministeriali[12].

Le imprese e le cooperative sociali interessate ad accedere alla misura agevolata devono presentare al Ministero l’apposita domanda unitamente a:

  • delibera di finanziamento da parte della banca finanziatrice attestante la capacità economico-finanziaria dell’impresa;
  • allegato tecnico nel quale evidenziare l’impatto socio-ambientale del programma di investimento, così come specificato dalla stessa impresa nella domanda di agevolazione. In questo caso, la banca – sulla base delle dichiarazioni rese dall’impresa nella specifica sezione della domanda di agevolazione – deve sostanzialmente attestare, nel citato allegato tecnico, la sussistenza di almeno uno dei quattro obiettivi di impatto socio ambientale previsti dal decreto. Nell’attestare la validità del programma, la banca deve tenere conto dell’ambito sociale dell’intervento e dell’esistenza di altre imprese e organizzazioni già operanti per i medesimi interessi generali e finalità di utilità sociale nonché della strumentalità del piano progettuale nel suo complesso al raggiungimento di uno o più degli obiettivi di impatto socio-ambientale. La valutazione socio-ambientale relativa ai quattro obiettivi di impatto previsti dalla normativa si basa su 14 indicatori riferibili a quattro aree di impatto (comunità e territorio, innovazione, destinatari e governance).

Si riassume qui brevemente l’iter di presentazione e valutazione della domanda di agevolazione (Figura 1):

  • predisposizione della domanda da parte dell’impresa sociale;
  • delibera di finanziamento da parte della banca;
  • valutazione istruttoria da parte di Invitalia (per il Mise) (verifica della documentazione e coerenza progetto/obiettivi/impatto);
  • in caso di esito positivo, invio della scheda illustrativa ad un comitato tecnico[13] istituito dal Mise;
  • in caso di esito positivo di quest’ultimo, il Mise trasmette il papere del comitato a CDP ai fini dell’adozione della delibera di finanziamento;
  • delibera di concessione delle agevolazioni da parte del Mise ed invio del provvedimento all’impresa sociale, a CDP e alla banca finanziatrice;
  • stipula del contratto di finanziamento unitario da parte della banca.

Figura 1. Schema del processo di valutazione delle richieste di agevolazione e relative tempistiche.

Considerazioni

Il lancio del Fondo rappresenta la prima vera e propria misura agevolata, a livello di sistema Paese, a favore dell’economia sociale. Lo strumento sconta, tuttavia, alcune complessità procedurali e lunghe tempistiche di accesso ai fondi (che possono variare da circa 130 a 220 giorni) che lo rendono di fatto poco adatto alle piccole e medie cooperative sociali.

Da rilevare che l’intervento non nasce come strumento pensato ad hoc, ma si innesta sul pre-esistente Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti di ricerca (FRI). Inoltre, istituto all’epoca della crisi dei mercati finanziari, in cui il sistema bancario faticava a reperire sui mercati internazionali le risorse finanziarie per lo svolgimento delle proprie attività creditizie, lo strumento prevede il preponderante ruolo di Cassa Depositi e Prestiti nella messa a disposizione delle risorse finanziarie (70% a carico di CDP rispetto al 30% delle banche convenzionate); tuttavia, alla data di entrata in operatività, ci si trova in una situazione congiunturale molto diversa, in cui il sistema bancario ha ampie disponibilità finanziarie. Per promuovere l’accesso al credito anche da parte di piccole imprese sociale sarebbe stato più utile ed efficace prevedere quanto meno l’affiancamento di un fondo di garanzia dedicato.

Ciononostante, lo strumento agevolativo presenta aspetti innovativi e di interessante a livello di sistema. Risulta innovativo in quanto incorpora il tema dell’impatto sociale non solo quale proxy del valore generato dall’impresa sociale ma anche come elemento fondante per definire la sua meritorietà. In particolare, i finanziamenti agevolati potranno essere concessi “solo” a quelle imprese/cooperative sociali che saranno capaci di esplicitare i propri risultati sia in termini di performance e sostenibilità, che di sussistenza delle potenziali ricadute socio-ambientali dei propri programmi di investimento, con riferimento ad almeno uno dei quattro obiettivi di impatto previsti dalla norma. L’impatto sociale diventa quindi una variabile che ridefinisce e qualifica la valutazione del merito creditizio da parte delle banche, allargando l’ambito valutativo anche ad elementi diversi dalle poste tradizionali di bilancio. E le banche sono chiamate a valutare l’impatto sociale ancora prima che le linee guida per la sua misurazione redatte da un apposito gruppo di lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali siano state emanate.

Tra gli altri punti di forza dello strumento si segnala:

  • la possibilità per gli operatori dell’economia sociale di accedere all’agevolazione anche per progetti di investimento che prevedano opere di ristrutturazione o di adeguamento di cespiti di proprietà di terzi e concessi a vario titolo in uso all’impresa/cooperativa sociale (si pensi, ad esempio, ai frequenti casi di immobili disponibili sulla base di contratti di concessione in comodato d’uso o di usufrutto), qualora le opere immobiliari siano parte organica di un progetto più articolato;
  • l’inclusione delle spese generali tra i costi ammissibili per una quota del 20% delle spese complessive del progetto;
  • la possibilità di ricorrere al finanziamento per stati di avanzamento del progetto (fino a sei SAL) con singole erogazioni effettuate sulla base di titoli di spesa non necessariamente quietanzati, previa verifica dell’effettivo pagamento delle spese presentate nell’ambito dell’erogazione precedente.

Tra i punti di attenzione dell’intervento si segnala invece:

  • la necessità per ogni impresa sociale conoscere la propria situazione in termini di residuo disponibile dell’importo “de minimis”[14];
  • la non ammissibilità di progetti che prevedono esclusivamente l’acquisto o la ristrutturazione di un immobile;
  • la non retroattività delle spese (ovvero non sono ammissibili le spese sostenute prima della data di presentazione della domanda al Mise);
  • l’opportunità (se non necessità) di predisporre un business plan che evidenzi la sostenibilità del finanziamento in termini di capacità di far fronte al suo rimborso con adeguati flussi di cassa prodotti dall’investimento.

Note

  1. ^ Legge 6 giugno 2016, n. 106, Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. (16G00118) (GU Serie Generale n.141 del 18 giugno 2016).
  2. ^ Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106. (17G00128) (GU Serie Generale n. 179 del 02 agosto 2017 - Suppl. Ordinario n. 43).
  3. ^ La prima nozione di Titoli di Solidarietà risale al Decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 – Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale – normativa tuttavia mai entrata in vigore.
  4. ^ Decreto legislativo 3 agosto 2018, n. 105, Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante: «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106.». (18G00131) (GU Serie Generale n.210 del 10-09-2018).
  5. ^ Ad esempio, nel caso di UBI Banca sono stati complessivamente oltre 35mila i risparmiatori, prevalentemente retail, che hanno sottoscritto oltre 1 miliardo di euro di obbligazioni solidali collocate, dal 2012 ad oggi, rendendo possibile la devoluzione di oltre 4,7 milioni di euro a titolo di liberalità e lo stanziamento di plafond di finanziamento per oltre 20 milioni.
  6. ^ Di fatto la fattispecie di estendere i destinatari dei finanziamenti a tutte le tipologie di ETS era stata prospettata, unitamente ad altre proposte di modifica fra cui quella volta a rendere da subito operativi i Titoli di Solidarietà eliminando il richiamo alla emanazione di uno specifico decreto attuativo, in sede di schema di decreto approvato in via preliminare il 21 marzo 2018. Tali modifiche sono state poi tutte espunte dal decreto Correttivo varato il 3 agosto 2018, a seguito anche di alcuni rilievi del Consiglio di Stato del 19 luglio 2019.
  7. ^ Come risulta anche dall’edizione 2017 dell’Osservatorio UBI Banca su Finanza e Terzo Settore, realizzato in collaborazione con Aiccon, la richiesta di finanziamenti per investimenti è pari al 24% per le cooperative sociali, al 63% per i cosiddetti ibridi organizzativi (edizione 2016) e solo all’8% dei casi per le associazioni.
  8. ^ La costruzione di portafogli di investimento SRI e ESG prevede un processo di selezione dell’universo investibile che può basarsi sull’applicazione sia di criteri negativi di esclusione delle società che operano in settori non rispondenti a criteri di equità e responsabilità sociale (cosiddetti “criteri di esclusione” o “criteri negativi”) ,sia di criteri positivi basati sulla selezione attiva delle società che focalizzano la loro operatività su uno o più settori/temi (ad esempio: cambiamenti climatici, efficienza energetica, salute, tutela dei diritti umani) o che si distinguono per processi produttivi e di governance nonché per criteri di gestione del capitale umano e delle relazioni con le comunità orientati a principi di responsabilità sociale e tutela dell’impatto sociale (cosiddetti “criteri attivi” o “criteri positivi)”.
  9. ^ Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’articolo 2, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106. (17G00124) (GU Serie Generale n. 167 del 19 luglio 2017).
  10. ^ Decreto ministeriale 3 luglio 2015, Agevolazioni alle imprese per la diffusione e il rafforzamento dell'economia sociale. (15A07120) (GU Serie Generale n. 224 del 26 settembre 2015).
  11. ^ Art. 23 del d.lgs. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134.
  12. ^ Normativa di riferimento: (a) decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, 3 luglio 2015, istitutivo del regime di aiuto volto a sostenere la nascita e la crescita delle imprese operanti, in tutto il territorio nazionale, per il perseguimento di meritevoli interessi generali e finalità di utilità sociale; (b) decreto del Mise, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze ed il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, 14 febbraio 2017, recante le condizioni e le modalità per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in forma di finanziamento agevolato; (c) decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, 8 marzo 2017, recante i criteri e le modalità per la concessione e l’erogazione delle agevolazioni in forma di contributo non rimborsabile; (d) decreto del Direttore generale per gli incentivi alle imprese del Ministero dello Sviluppo Economico, 26 luglio 2017, recante i termini e le modalità di presentazione delle domande di agevolazione e fornite, fra l’altro, indicazioni utili per la migliore attuazione della misura.
  13. ^ Il comitato tecnico di valutazione congiunta è composto da tre rappresentanti del Ministero dello Sviluppo Economico, tre rappresentanti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, un rappresentante dell’Associazione Bancaria Italiana.
  14. ^ Il regolamento comunitario del “de minimis” prevede che gli aiuti concessi alla medesima impresa, sommati tra loro, non possono superare il limite massimo di 200 mila euro in tre anni.
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