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ISSN 2282-1694
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Editoriale

La riforma del Terzo settore tra unità e differenziazione

Luca Gori, Gianfranco Marocchi

Lavoro

Impresa sociale e lavoro

Redazione

Tirocinio e tutoraggio

Piera Lepore

Gestione delle risorse umane in agricoltura sociale

Francesca Vaccari, Silvia Sacchetti, Andrea Signoretti

Coprogrammazione

Coprogrammazione, banco di prova per l’amministrazione condivisa

Redazione

La co-programmazione ex articolo 55

Andrea Bongini, Pina Immacolata Di Rago, Salvatore Semeraro, Umberto Zandrini

La coprogrammazione a Caluso

Gianfranco Marocchi

Recensioni

Cooperative da riscoprire. Recensione

Simone Poledrini

Numero 2 / 2021

Coprogrammazione

La coprogrammazione a Caluso. Un’esperienza di amministrazione condivisa

Gianfranco Marocchi

L'articolo è frutto del lavoro svolto dall'autore in qualità di consulente nell'esperienza di coprogrammazione descritta, operando insieme a Luciano Gallo e allo staff di Cissac, in particolare con il direttore Graziella Benvenuto e con Emilia Gariglio, con i quali sono state condivise e sviluppate le riflessioni raccolte nell'articolo.


Premessa

Una veloce ricerca internet evidenzia come, in pochi anni, centinaia di comuni e di altri enti pubblici abbiano dato vita a forme di amministrazione condivisa, e, soprattutto nell’ultimo periodo, a procedimenti che si rifanno all’art. 55 del Codice del Terzo settore, la coprogrammazione e la coprogettazione. Ma, mentre le esperienze di coprogettazione – pur di qualità molto diversa – sono moltissime, si rifanno a modelli via via più solidi e sembrano ormai essere entrate nella consuetudine di molti enti, non altrettanto si può dire della coprogrammazione, che pure, a ben vedere, dovrebbe in generale precedere, nei tempi e nella logica, l’eventuale coprogettazione. In altre parole, mentre è frequente che enti pubblici e Terzo settore lavorino insieme su progetti specifici concreti, giungendo al termine di tali collaborazioni a definire in modo condiviso obiettivi, ruoli e risorse di ciascuno, capita in molti meno casi che abbiano ragionato insieme sulle scelte politiche di fondo che portano a scegliere di attivare o meno tali progetti: abbiano, appunto, coprogrammato.

Forse, a ben vedere, a segnare il passo sono le forme di programmazione in quanto tali, partecipate e non. Anche limitandosi all’ambito del welfare, dove esiste una cultura e una tradizione di programmazione (e di partecipazione alla programmazione) superiore rispetto ad altri settori e in cui sussistono riferimenti normativi consolidati alla programmazione partecipata (i “Piani di zona” della legge 328/2000), è frequente incontrare enti gestori che pure anni fa, sull’onda dell’entusiasmo seguito all’approvazione della 328/2000, avevano dedicato tempo ed energie ai Piani di zona, ma che da tempo non li redigono più o, al massimo, li compilano in modo meramente formale.

Le ragioni sono molteplici. Da un punto di vista economico, quando a metà degli anni Duemila i Piani di Zona iniziavano a diffondersi, la crisi economica e le scelte politiche assunte dai Governi tra il 2008 e il 2012 portarono ad una consistente riduzione dei trasferimenti statali nei confronti di Regioni e Comuni, introducendo così un fattore di notevole incertezza per la programmazione; ciò portò, per un certo numero di anni, ad una situazione di indeterminatezza che rese poco pregnante un’attività di programmazione, essendo le risorse incerte e calanti.

Ma questo spiega solo in parte il declino della programmazione, che è continuato anche quando le risorse sono state almeno parzialmente ripristinate. Di fatto, sino a periodi recenti e in parte ancora oggi, spesso è difficile per i servizi riuscire ad elevare lo sguardo dalla risposta quotidiana ai bisogni più impellenti e questo può senz’altro avere contribuito a mortificare la disposizione a programmare: i servizi si sentono spesso “schiacciati sul quotidiano”, in perenne emergenza, a rispondere a bisogni pressanti senza che si possa vedere spazio di pensiero per immaginare il futuro a lungo periodo. E, di conseguenza, vi è un diffuso disinvestimento, sia delle pubbliche amministrazioni che del Terzo settore, sulle funzioni di studio, analisi, ricerca, elaborazione del dato, tutto ciò, in altre parole, che rappresenta la base per una programmazione futura fondata su basi solide. Il “ciclo della fame”, giustamente indicato da Carola Carazzone come patologia che affligge il Terzo settore (ma, aggiungiamo noi, anche la pubblica amministrazione) porta a ritenere che ogni risorsa di cui si dispone non dedicata direttamente ai destinatari, ma a funzioni di qualità e di sviluppo (analizzare, programmare, studiare, tessere reti, progettare, organizzare) sia in qualche modo moralmente sospetta, distratta dalle finalità più utili e pressanti per dedicarsi a passatempi trascurabili; con la conseguenza che le organizzazioni deprimono nel medio periodo, oltre che la qualità dei propri interventi, anche quella di attirare risorse, ne hanno sempre meno e sono, in un circolo vizioso, sempre più portati a concentrarle sulle urgenze operative.

In ogni caso, un’analisi compiuta dei motivi che hanno portato, con talune encomiabili eccezioni, ad un ristagno della programmazione (e di conseguenza della coprogrammazione), esula dai motivi di questo contributo; basti, in questa sede, evidenziare la presenza del problema e dunque guardare con interesse ai percorsi che portano, al contrario, ad invertire questa tendenza.

Con questo intento viene di seguito sviluppato uno studio di un caso di coprogrammazione, realizzato da CISSAC, il consorzio che gestisce la funzione socioassistenziale nel territorio di Caluso e di altri 20 comuni circostanti, in un’area prevalentemente rurale circa 30 chilometri a nord est di Torino. Si tratta di un’esperienza di dimensioni limitate, ma che rappresenta uno dei primi casi nel nostro Paese di applicazione lineare di quanto previsto dall’art. 55 del Codice del Terzo settore considerando l’intero percorso che parte dalle scelte strategiche generali per dare quindi vita ad una coprogrammazione e quindi, raccogliendo una parte dell’esito di questa, ad una coprogettazione, nonché – quantomeno nei fatti – realizzando anche una sorta di “accreditamento” nell’accezione utilizzata dall’art. 55 del Codice del Terzo settore.

Figura 1. Area interessata dallo studio (Caluso e altri 20 comuni circostanti, in un’area prevalentemente rurale circa 30 chilometri a nord est di Torino).

Nel primo paragrafo sono offerti alcuni dati di contesto, richiamando brevemente le caratteristiche del territorio e presentando sinteticamente natura e ruolo dell’ente che gestisce i servizi socioassistenziali, il Cissac.

Nel secondo paragrafo sono ricostruite talune circostanze – la relazione con il Terzo settore locale, precedenti tentativi di coordinamento tra Cissac e enti di Terzo settore, iniziative formative – relative a periodi anteriori a quelli della coprogrammazione oggetto di approfondimento, ma utili a comprendere come si siano poi create le condizioni di tale evoluzione.

Si passerà quindi, nel terzo paragrafo, a descrivere i passaggi preliminari alla coprogrammazione e quindi, nel quarto, a offrire i lineamenti generali di tale procedimento. Il quinto paragrafo approfondisce il metodo utilizzato e il sesto gli esiti della coprogrammazione e ciò che ne è derivato. In questi paragrafi la descrizione di metodo e di merito si intrecceranno: ovviamente al lettore non coinvolto in tale vicenda locale interessano le indicazioni generali e di metodo desumibili dall’esperienza, ma questo richiede, almeno in modo sintetico, di descrivere di cosa effettivamente si è parlato nei lavori di coprogrammazione, le idee e le posizioni esposte, le decisioni assunte; e ci si augura che in tale narrazione il lettore riscontri elementi adattabili a luoghi, contesti e temi diversi.

Quindi si proverà, in sede di conclusioni, a trarre alcune indicazioni che possiamo derivare dallo studio di questo caso.

Il contesto

Il territorio

Il territorio del CISSAC comprende Caluso, il centro di maggiori dimensioni che conta circa 7.500 abitati e altri 20 comuni, per un totale di 38.880 abitanti. Oltre a Caluso vi è un altro centro urbano di dimensioni medio piccole (Strambino, quasi 7 mila abitanti), collocato più a nord, verso Ivrea, sulla strada statale che porta al capoluogo eporediese e altri comuni di dimensioni minori.

Tabella 1. Comuni coinvolti nello studio e numero di abitanti.

 

Comuni

N. abitanti

1

Barone

578

2

Borgomasino

796

3

Caluso

7.496

4

Candia C.se

1.214

5

Cuceglio

959

6

Maglione

411

7

Mazzè

4.215

8

Mercenasco

1.269

9

Montalenghe

989

10

Orio Canavese

767

11

Perosa Canavese

527

12

Romano Canavese

2.665

13

San Giorgio Canavese

2.565

14

San Giusto Canavese

3.312

15

San Martino Canavese

807

16

Scarmagno

826

17

Strambino

6.198

18

Vestigné

802

19

Vialfré

248

20

VIllareggia

1.010

21

Vische

1.226

 

TOT.

38.880

 

Si tratta di un’area quindi a grande prevalenza extra urbana, con un’economia agricola (è nota ad esempio la produzione del vino locale, l’Erbaluce), qualche attrazione turistico naturalistica (la riserva naturale del Lago di Candia, nei pressi di Caluso) e, come in tutta l’area, una diffusa sensazione di trovarsi in una terra orfana dell’Olivetti, che nei decenni passati aveva rappresentato il punto di riferimento per l’occupazione dell’area; in ogni caso ad oggi il reddito medio è in linea con i dati regionali.

Come è ragionevole attendersi, vi sono alcune aree che, per conformazione del territorio o per collocazione geografica isolata, hanno una densità abitativa inferiore.

Figura 2. Densità abitativa.

L’età media della popolazione è leggermente più elevata rispetto alla media piemontese e soprattutto nelle aree ad est della Dora Baltea, il fiume che scende da Aosta e Ivrea, per poi confluire nel Po, vi è una quota maggiore di anziani; la popolazione appare invece più dinamica soprattutto sulla direttrice autostradale che porta da Torino ad Aosta, situata ad ovest del territorio considerato.

Figura 3. Rappresentazione delle tendenze in termini di età della popolazione.

L’area in questione si trova, come si sarà compreso anche dalle precedenti descrizioni, sulla direttrice che porta da Torino ad Ivrea e quindi ad Aosta ed è percorso in direzione nord sud il territorio con un’autostrada, una strada statale, una ferrovia ed alcune linee bus; sono invece più precari i collegamenti sulla direttrice est ovest.

Figura 4. Collegamenti sul territorio.

Anticipando quanto sarà più avanti descritto, questi ed altri dati sono confluiti nei lavori di coprogrammazione, nel momento in cui ci si è interrogati su come dare forma alle idee che il tavolo di lavoro stava elaborando – in parte desunte da esperienze sviluppate in un contesto urbano – collocandole nello specifico contesto socioeconomico del territorio.

Il Cissac

Il Cissac è il consorzio pubblico di comuni che gestisce, per delega dei 21 comuni soci, i servizi socioassistenziali nel territorio. La soluzione consortile è molto diffusa in Piemonte, dove le normative regionali, al fine di assicurare un adeguato dimensionamento degli enti, da tempo prevedono la gestione associata dei servizi socioassistenziali, che nella maggior parte dei casi si attua appunto attraverso consorzi tra comuni. Nello specifico, su 49 enti gestori della funzione socioassistenziale in Piemonte, 34 sono consorzi tra comuni, 9 sono unioni di comuni o comuni nell’ambito di una convenzione con altri comuni, 3 sono comuni capoluogo di provincia con dimensioni abbastanza ampie da gestire le funzioni in proprio e in tre casi i comuni hanno delegato l’Azienda sanitaria del territorio a gestire la funzione socioassistenziale

Il consorzio ha un proprio Consiglio di Amministrazione, nominato dai comuni consorziati e quindi con una connotazione “politica”, e uno staff tecnico con un Direttore a sua volta indicato dal Consiglio di Amministrazione che gestisce di fatto, entro linee generali indicate dal Consiglio di Amministrazione, l’ordinarietà dei servizi.

I comuni consorziati specificano quali materie intendono delegare – generalmente l’intero settore socioassistenziale – e quali eventualmente no; servizi e interventi assicurati dal consorzio sono specificati in una carta dei servizi. Ovviamente vi possono essere materie “limitrofe” al welfare mantenute nell’autonomia dei comuni; ad esempio, il consorzio Cissac gestisce i servizi socioassistenziali, ma i comuni gestiscono il settore casa, con necessità quindi di coordinare interventi contigui tra enti diversi.

Nel corso degli anni sono state via via proposte ipotesi di riforma della gestione consortile in Piemonte, in generale tese a promuovere una maggiore dimensione degli enti o a razionalizzarne le delimitazioni territoriali, così da farli coincidere con gli ambiti socioassistenziali (l’ultima proposta avanzata), o per porre mano ad alcune incongruenze tra i confini delle Aziende sanitarie e quelli di tali enti gestori, e così via. Una ricostruzione di queste vicende esula dagli scopi di questo articolo, ma va comunque notato che, pur accogliendo via via talune indicazioni regionali, questi progetti hanno spesso incontrato la contrarietà degli enti interessati, anche per la circostanza che la gestione consortile e le aggregazioni di comuni che ne danno forma, hanno almeno in alcuni casi assunto un carattere abbastanza marcatamente identitario che, pur non senza tensioni, sembra in generale abbastanza resistente anche alle cangianti maggioranze politiche dei comuni stessi.

Al contempo, sarebbe errato leggere tali aggregazioni come tra loro isolate o statiche: a fronte di una regia istituzionale regionale piuttosto evanescente, si registrano casi di forme di collaborazione tra più consorzi, come nei casi più avanti descritti a proposito del programma regionale WeCare, dove il Cissac Caluso ha presentato un progetto unitario insieme ad altri sei enti gestori o delle iniziative formative su coprogrammazione e coprogettazione, auto organizzate dai consorzi stessi, cui hanno partecipato una pluralità di questi enti gestori. In altre parti della provincia di Torino sono in corso, nel periodo in cui questo articolo viene scritto, fusioni tra più enti. In sostanza, un sistema di aggregazione che, seppure da alcuni punti di vista non del tutto razionale, appare radicato e anche abbastanza dinamico.

Prima della coprogrammazione

Le relazioni con il Terzo settore del territorio

L’esperienza di coprogrammazione qui ricostruita non nasce dal nulla; Cissac, come del resto molti degli enti gestori del territorio piemontese, aveva da anni rapporti strutturati sia con cooperative sociali per la gestione di servizi istituzionali, sia con organizzazioni di volontariato, singoli cittadini volontari e soggetti informali per un insieme di azioni volte a rafforzare la coesione sociale e a rispondere ai bisogni di fasce deboli (solo per fare alcuni esempi, alcuni progetti di sostegno e affiancamento a famiglie indigenti, attività in favore di donne sole in difficoltà o vittime di violenza, progetti per l’inclusione di persone con disabilità).

Tra questi vari progetti ne va ricordato in particolare uno, realizzato nel 2018, che non aveva avuto come obiettivo uno specifico intervento a favore di fasce deboli, ma che era finalizzato a creare una sorta di coordinamento tra i diversi soggetti della società civile per definire delle linee di sviluppo del territorio; erano state contattati, in quella circostanza, circa 80 gruppi e associazioni e si era sviluppato un interessante lavoro, durato alcuni mesi, con il quale si erano elaborate alcune linee di azione condivise, provando anche a ricercare finanziamenti per realizzarle. Il gruppo aveva un alto grado di informalità, con una regia piuttosto debole da parte del consorzio e quando le richieste di finanziamento presentate non andarono a buon fine e la persona che aveva tenuto la regia di questa iniziativa – espressione di uno degli enti di Terzo settore – cessò il proprio incarico, questa esperienza si arenò.

La formazione del 2018

All’inizio del 2018, anche sull’onda dell’approvazione del Codice del Terzo settore avvenuta nell’agosto precedente, iniziavano nel nostro Paese a svilupparsi iniziative di coprogettazione; il livello di consapevolezza e di formalizzazione di tali iniziative era ancora piuttosto scarso e spesso un primo motore di interesse era dato anche dall’insofferenza per gli appesantimenti burocratici imposti dal Codice dei contratti pubblici, spesso sproporzionati. Vi era certa sensibilità nel cercare strade diverse dagli affidamenti per rapportarsi con il Terzo settore.

In tale contesto si colloca la scelta, da parte di Cissac, di attivare un percorso formativo sulla coprogettazione svoltosi nell’aprile 2018. Il consorzio, che come meglio si preciserà più avanti, collaborava con altri enti gestori sul programma regionale WeCare, decise di coinvolgere in tali iniziative formative, inizialmente pensate solo per i propri dipendenti, in prima istanza anche altri sei enti operanti in territori contigui e quindi anche enti in altri territori della regione, contattati prevalentemente sulla base di relazioni informali e del passaparola.

A tali iniziative parteciparono una cinquantina di persone in rappresentanza di circa la metà degli enti gestori piemontesi, con un livello di impegno e coinvolgimento non comuni. La circostanza appare particolarmente significativa se si considera che nacque come frutto della auto organizzazione degli enti stessi, al di fuori di fonti di finanziamento specifiche (e quindi autofinanziata); è inoltre doveroso notare come il motore di tali iniziative formative, capace di coinvolgere la gran parte degli enti gestori, sia stato proprio Cissac, pur essendo un ente di dimensioni medio piccole e territorialmente abbastanza periferico.

In altre parole, per una serie di circostanze, si era evidentemente intercettato un bisogno profondamente avvertito dagli enti gestori, molti del quali hanno effettivamente intrapreso, nei mesi successivi, esperienze di coprogettazione, così come lo ha fatto in modo significativo anche la Città di Torino, che non prese parte a questi incontri ma avviò significative iniziative di coprogettazione tra cui, nell’autunno 2018, il “Piano inclusione” della città.

Il programma WeCare

Altra circostanza rilevante è stata la Strategia WeCare, un programma regionale a finanziamento comunitario che prevedeva risorse aggiuntive sulla base di progetti presentati dagli enti gestori della funzione socioassistenziale (e, in due successivi bandi, dagli enti di Terzo settore e poi dalle imprese for profit); il tipo di azioni che potevano essere finanziate era abbastanza ampio da consentire agli enti gestori di individuare le proprie priorità territoriali, con il denominatore comune di conseguire, attraverso tale progetto, un rafforzamento della struttura dei servizi e non una mera offerta temporanea di prestazioni aggiuntive all’utenza.

Come già anticipato, Cissac e altri sei enti gestori in territori confinanti, decisero di partecipare insieme al bando; questa scelta certamente determinò alcune complessità organizzative, richiedendo di progettare su un’area territoriale molto ampia e non del tutto omogenea; ma rappresentò comunque un evento sorprendente (e unico nella Regione) che testimonia una volontà di integrazione non scontata.

Tale programma regionale faceva inoltre riferimento alla coprogettazione come metodo di lavoro richiesto per definire le alleanze territoriali che potevano comprendere, insieme all’ente gestore come capofila, sino a cinque partner di Terzo settore. Per completezza, va detto che l’ente incaricato dell’assistenza tecnica per alcuni mesi sostenne con forza un’interpretazione “minimalista” di tale previsione, affermando che la coprogettazione era da intendersi come una mera forma di confronto con gli enti di Terzo settore che poi avrebbero dovuto essere eventualmente coinvolti nelle fasi operative ad esito di gare di appalto; ma particolarmente significativo è il fatto che, a fronte di tale circostanza, il gruppo degli enti gestori il cui legame si era cementato con la comune partecipazione al bando e con le giornate di formazione, interloquì più volte con l’assistenza tecnica e con gli uffici regionali, sostenendo con forza le ragioni di una concezione più ampia della coprogettazione, infine accettata dopo mesi di discussioni anche animate. Se non stupiscono più di tanto, in una fase in cui l’amministrazione condivisa era ancora un tema abbastanza di nicchia, le incertezze della Regione e dell’assistenza tecnica, è invece singolare la determinazione con cui tali enti gestori, sulla base di un’aggregazione spontanea, abbiano operato questo genere di pressione sull’ente finanziato, a partire dalla convinzione maturata circa l’auspicabilità di un approccio collaborativo.

In ogni caso, il programma WeCare ha rappresentato un passaggio importante relativamente ai temi dell’amministrazione condivisa per diversi motivi. In primo luogo, ha comportato una prima esperienza di coprogettazione nella formazione stessa del partenariato pubblico – Terzo settore che ha partecipato al bando, creando tra l’altro una cultura comune su questo tema tra tutti e sette gli enti gestori coinvolti. In secondo luogo, WeCare ha prodotto, in fase di realizzazione del progetto stesso (dal 2019 al 2021), l’attivazione di procedimenti strutturati di coprogettazione nell’ambito del progetto stesso o in azioni da esso derivate in quattro dei sette enti coinvolti, oltre che in altri enti gestori della regione Piemonte. È bene tra l’altro ricordare che tali procedimenti hanno inizio dopo il parere del Consiglio di Stato dell’agosto 2018, che, come è noto, sollevava notevoli dubbi sulla praticabilità dell’amministrazione condivisa e prima della sentenza 131 della Corte costituzionale che ha dissolto ogni dubbio sulla loro legittimità: in sostanza questi enti hanno con determinazione scelto strumenti di tipo collaborativo anche in una fase in cui ciò poteva esporre a qualche rischio da un punto di vista amministrativo. Anche la coprogrammazione qui ricostruita è parte di tale percorso. Infine, non è superfluo ricordare che WeCare ha assicurato una base di risorse economiche utili a coprire i costi di innesco di tali iniziative di amministrazione condivisa.

Una prima esperienza di coprogettazione

All’inizio del 2019 il consorzio Cissac avviò una prima esperienza di coprogettazione per azioni relative all’area anziani; si trattava di un intervento che comportava l’impegno di risorse economiche limitate e che vide la partecipazione al tavolo di lavoro di 5 soggetti di Terzo settore, sia cooperativi che di volontariato. Rappresentò, per Cissac, un primo approccio a quanto pochi mesi prima era stato studiato in sede formativa, utile a mettere luce le potenzialità dello strumento, ma anche a innescare la riflessione che avrebbe portato alla successiva scelta di coprogrammare: si constatò, in altre parole, che, pur nella positività dell’esperienza fatta, l’avere posto il tavolo di lavoro di fronte ad uno schema precostituito da parte degli uffici, determinava un potenziale impoverimento dei margini di innovazione, da cui derivò appunto la consapevolezza dell’opportunità di intraprendere, nell’ambito del programma WeCare, un’iniziativa di coprogrammazione preliminare ad eventuali coprogettazioni. E di questo, appunto, si tratta nelle pagine che seguono.

L’avvicinamento alla coprogrammazione

Nell’autunno 2019 la direzione del Cissac era determinata ad avviare un percorso di coprogrammazione che, nell’ambito delle priorità molto generali di inclusione sociale previste da WeCare, portasse, a partire da un’analisi condivisa dei bisogni del territorio, a definire una strategia di inclusione di persone e fasce di popolazione fragili.

Da novembre 2019 a febbraio 2020, quando poi verrà pubblicato l’Avviso pubblico, ha luogo un lavoro preparatorio che coinvolge sia gli uffici del Cissac sia gli enti di Terzo settore del territorio; è, in sostanza, un percorso di avvicinamento dove, attraverso successive interlocuzioni, si giunge a precisare il tema che sarà oggetto dell’Avviso.

Si sceglie di procedere attraverso passaggi successivi. In prima istanza, gli uffici di Cissac organizzano, sulla base di un formulario comune, una raccolta di dati relativa a utenti seguiti e loro caratteristiche, utenti potenziali non in carico ai servizi, interventi in atto. Se questa ricognizione valorizza le conoscenze accumulate dagli uffici, vi è subito la consapevolezza che essa rappresenti solo passo iniziale, cui dovranno seguirne altri due. Il primo consiste nel completare tali dati con le informazioni e percezioni sia degli operatori Cissac, sia del Terzo settore; e a questo proposito, sono organizzati momenti di confronto in cui gruppi misti di operatori Cissac e del Terzo settore, a partire dalla iniziale condivisione dei dati dei servizi, confrontano, per ciascun settore di intervento (minori e famiglie, persone con disabilità, anziani), le letture dei bisogni componendo i punti di vista dei diversi soggetti, sia con attenzione agli aspetti quantitativi che qualitativi. Il secondo passaggio risponde ad una delle convinzioni che stava nel frattempo maturando nello staff Cissac, e cioè che fosse necessario affrontare il tema dell’esclusione sociale il più possibile in termini trasversali e quindi non con riferimento a ciascuna categoria di utenti; in sostanza che per giungere a definire l’oggetto di coprogrammazione fosse necessario smontare l’approccio per categoria e rimontarlo in termini concettualmente diversi e trasversali; anche questo fu oggetto di confronto in riunioni aperte ai partner di Terzo settore, che videro, tra fine 2019 e inizio 2020, una notevole partecipazione.

Entrambi questi passaggi, come si vedrà, hanno poi contribuito a definire l’oggetto della coprogrammazione.

Figura 5. Stralcio dal lavoro preparatorio alla coprogrammazione.

In questi incontri si mette progressivamente a punto una concezione condivisa della relazione tra enti pubblici e Terzo settore, ispirata ai contributi che in anni recenti Felice Scalvini ha portato nella sua esperienza come assessore ai servizi sociali del Comune di Brescia: il considerare cioè il welfare locale come un prodotto di molteplici attori tra i quali l’istituzione pubblica che assicura la funzione socio assistenziali (e gli altri enti pubblici: l’Azienda sanitaria, la scuola, i servizi per l’impiego, ecc.) con i suoi servizi; in questa visione però i servizi di Cissac rappresentano uno dei punti di presa in carico dei bisogni, insieme a quelli assicurati da cooperative sociali, associazioni, pro loco, parrocchie, dalle forme di aggregazione informale, dall’impegno dei cittadini attivi, delle famiglie e di altri caregivers, di imprese socialmente responsabili. Rispetto a questo panorama, il ruolo di Cissac, a parte la gestione (diretta o tramite affidamento) di taluni servizi, è quella di animare, sostenere, integrare la rete territoriale.

Si giunge quindi, nel gennaio 2020, alla formulazione condivisa dell’idea da porre al centro della futura coprogrammazione. In sintesi, dall’insieme di riflessioni sopra richiamate, Cissac giunge ad individuare una dimensione trasversale prioritaria per favorire l’inclusione sociale dei cittadini, consistente nel lavorare per rendere più dense e significative le relazioni e i legami di fiducia, sia tra persone che tra persone e istituzioni.

E questo è il primo passo di un “imbuto” che da una finalità molto generale, coerente con le previsioni del programma WeCare (la coesione sociale) porta alla scelta di una delle vie possibili (lavorare sulle relazioni e la fiducia): non certo l’unica e forse nemmeno la più probabile, in un panorama di interventi che poteva riguardare interventi economici, interventi sul fronte delle opportunità di lavoro, pratiche di riorganizzazione dei servizi e molto altro. Si tratta, come anticipato, di una dimensione trasversale, nel senso che relazione e fiducia sono temi che riguardano tutti i cittadini: famiglie, anziani, ragazzi, persone con disabilità, ecc.

All’interno dello staff di Cissac questo esito è fonte di discussione, si vuole valutare se non rischi di essere troppo vago, vi è il timore che poi la coprogrammazione “giri a vuoto” senza riuscire a trovare un approdo operativo, ma, dopo alcune discussioni interne, si giunge alla determinazione di accettare il rischio e di proseguire su questa strada.

Questo percorso preliminare, partito nel novembre 2019, si chiude così a fine gennaio 2020; gli uffici del Cissac si preparano quindi ad istruire gli atti amministrativi connessi al procedimento di coprogrammazione.

L’Avviso pubblico

L’Avviso di indizione del procedimento di coprogrammazione, redatto ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. 117/2017 (il Codice del Terzo settore) e quindi, da un punto di vista procedimentale, conformato alla legge 241/1990, è pubblicato il 20 febbraio 2020, con scadenza 13 marzo. Ma nel frattempo, come sappiamo, l’Italia è caduta nella fase più buia del lockdown, impensabile avviare una coprogrammazione in quel contesto, non solo per le limitazioni agli incontri e agli spostamenti, ma anche perché il clima non consente di concentrarsi su pensieri diversi dall’emergenza.

Il termine di scadenza dell’Avviso viene prorogato più volte, sino infine a cogliere quella limitata finestra, tra il rientro dopo la pausa estiva e la nuova impennata dei contagi di ottobre, in cui è stato possibile realizzare, con le necessarie misure di sicurezza, riunioni in presenza e in cui la mente delle persone era in grado di guardare al futuro e quindi vi erano le condizioni minime per avviare una coprogrammazione.

L’Avviso si caratterizzava per una bassa selettività in ingresso, motivata dal fatto che, trattandosi di coprogrammazione, non era ragionevole ricercare esperienze gestionali significative e che il tema, la creazione di relazioni e di fiducia, non presuppone esperienze settoriali o professionali specifiche. In seguito alla risposta al bando sono state ammesse alla coprogrammazione 28 organizzazioni; di queste, 21 sono enti di Terzo settore (6 cooperative sociali, 2 consorzi, 1 impresa sociale, 6 Organizzazioni di Volontariato, 6 Associazioni di Promozione Sociale), mentre gli altri soggetti, se pur estranei al Terzo settore, sono – facendo proprio il principio di allargamento ripreso tra gli altri dalla Legge 65/2020 della Regione Toscana – enti comunque in grado di contribuire validamente alle finalità dell’avviso.

Allegata al bando vi era la sintesi di lavori della fase preparatoria prima descritta e quindi elementi quantitativi e qualitativi sulle forme di fragilità presenti sul territorio.

L’Avviso specificava che la conclusione del procedimento non avrebbe previsto l’attivazione di rapporti economici con soggetti di Terzo settore, essendo tale esito semmai conseguente a successivi procedimenti di coprogettazione o di affidamento, ma che l’obiettivo sarebbe stato l’individuazione dei “bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle   modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili”, sarebbe stato in altre parole decidere le politiche del territorio in relazione al tema della costruzione dei relazioni e di fiducia per contrastare l’isolamento di persone fragili; ma d’altra parte Cissac ha ritenuto di inserire nell’Avviso una quantificazione delle risorse da dedicare agli interventi che sarebbero stati individuati, pari a 70 mila euro.

Si tratta di una scelta importante, per diversi motivi. Seppur si tratti di un importo limitato, evidenzia il fatto che l’amministrazione procedente è determinata ad assicurare un proprio investimento per il raggiungimento degli obiettivi individuati, segno che li ritiene effettivamente importanti e questo responsabilizza i convenuti rispetto al fatto che non si tratti di lavorare su scenari meramente ipotetici, ma su interventi che, una volta definiti, già godranno di una base concreta di risorse per la loro realizzazione. Si tratta inoltre di un’apertura di fiducia non scontata; fatto salvo che rimane in capo all’amministrazione e quindi al Cissac la valutazione finale degli esiti della coprogrammazione e quindi l’approvazione del documento che sarebbe stato prodotto dai tavoli di lavoro, il (potente) messaggio dato al Terzo settore locale è una coerente conseguenza dei principi dell’amministrazione condivisa: Cissac e gli altri 28 enti coprogrammanti esercitano congiuntamente una responsabilità pubblica che comprende la scelta di come destinare le risorse della pubblica amministrazione, oltre che le risorse le risorse ulteriori che nel corso del procedimento sarebbero state individuate grazie al partenariato.

Al tempo stesso è chiaro – e in effetti, come si vedrà più avanti, questo è stato l’esito dei lavori – che i 70 mila euro di Cissac avrebbero solo in parte coperto la necessità di risorse utili a sostenere gli interventi individuati e che quindi si sarebbero dovute mettere in atto anche strategie diverse.

Con questi presupposti, dopo le successive proroghe dovute al Covid, Cissac e gli altri 28 enti coinvolti nella coprogrammazione, si sono ritrovati per due giornate di lavoro nel settembre 2020.

Il metodo di lavoro

La coprogrammazione si è svolta su due giornate di lavoro e lo staff di Cissac è stato affiancato, per la gestione dei tavoli, da un consulente esterno, con il quale è stato concordato il metodo di lavoro, articolato su più fasi.

Preliminarmente, i partecipanti alla coprogrammazione hanno ricevuto i materiali descrittivi elaborati nella fase preparatoria e sono stati sollecitati dallo staff Cissac a prenderne visione e a sviluppare riflessioni a partire dai dati e dalle valutazioni provenienti dalla fase preparatoria.

In ogni caso, dopo avere richiamato brevemente gli obiettivi della coprogrammazione e il metodo di lavoro che si sarebbe utilizzato, i partecipanti sono stati invitati a dedicare alcuni minuti ad un lavoro singolo di lettura della documentazione preliminare e di formulazione delle proprie idee; con ciò si è inteso chiarire sin dall’inizio la natura dei lavori: non una “riunione” dove esprimere pensieri in libertà, ma la prima fase di un procedimento amministrativo di cui essere responsabilmente coprotagonisti, avendo ben presenti tanto gli obiettivi, quanto i passaggi sino a quel momento già compiuti e sintetizzati nella documentazione allegata all’Avviso.

Il secondo momento di lavoro ha previsto il confronto a coppie, in cui ciascuno è stato invitato a confrontare le proprie proposte con un compagno scelto a caso. Il motivo di questo passaggio è che l’atto stesso di verbalizzare un’idea aiuta la persona a metterla a fuoco, il doverla spiegare aiuta a razionalizzarla, a comprendere se ha debolezze manifeste, così come la reazione dell’interlocutore, in un contesto informale e protetto come quello della relazione a due, è di aiuto per chiarire le proprie posizioni e testarle.

La combinazione di questi due primi momenti aveva l’obiettivo di arrivare alla discussione di gruppo, terza fase del lavoro, con idee già in parte sbozzate, ipotizzando che ciò avrebbe reso più produttivo il confronto. Si sono quindi formati gruppi di 5-6 persone, aggregate dallo staff Cissac sulla base di un criterio di eterogeneità tra Terzo settore imprenditoriale e Terzo settore basato sull’azione volontaria. Ai gruppi è stato dato il vincolo di discutere le proposte di ciascuno dei membri, eventualmente integrarle e ricombinarle, con l’obbiettivo di individuare sino a quattro idee da proporre in plenaria.

Appunto con l’esposizione in plenaria si è chiusa la prima giornata di lavoro. Le idee non sono state valutate, ma si è avviata al termine di ogni presentazione una discussione volta a chiarire eventuali aspetti poco chiari.

Il materiale prodotto nella prima giornata di lavoro è stato molto ricco ed eterogeneo, corrispondente ai post-it gialli della figura sotto riportata, già frutto dell’aggregazione di idee tra loro simili.

Figura 6. Parte del materiale prodotto durante la prima giornata di coprogrammazione.

Nel tempo intercorso tra la prima e la seconda giornata si è reso necessario un lavoro di riaggregazione delle idee emerse, che ha portato a due risultati.

Il primo è stato quello di aggregare le idee emerse entro un certo numero di dimensioni:

  • la cura di luoghi capaci di ospitare e facilitare le relazioni;
  • la creazione di occasioni in cui “fare insieme”, svolgendo cioè insieme attività di tipo diverso (artistiche, ricreative, di relazione, ecc.)
  • interventi sul fronte della mobilità per evitare che persone restino isolate;
  • la creazione di occasioni di ascolto;
  • un diverso modo di agire dei servizi istituzionali, più prossimo alla vita delle persone;
  • la formulazione di strategie di intervento coerenti, per evitare le che azioni siano episodiche e disconnesse.

Ma, seppure così semplificato, il materiale risulta ancora troppo poco “maneggevole”, laddove l’obiettivo sia, come in questo caso, individuare, coerentemente con gli obiettivi di una coprogrammazione, concreti interventi da attivare, sulla base dei quali orientare le risorse disponibili.

La seconda ipotesi di lavoro operata da Cissac e poi proposta agli altri soggetti coinvolti nella coprogrammazione, fu quella di individuare, sulla base dei diversi interventi di presentazione ascoltati, UNA dimensione che fosse in grado di assorbire al meglio anche le altre e che potesse potenzialmente diventare la base per i successivi ragionamenti. A questo proposito si evidenziò come l’enfasi di tutti i gruppi di lavoro fosse principalmente sul tema dei luoghi, che poteva almeno essere in parte visto come “assorbente” altri temi: il “fare insieme” si può sviluppare nei luoghi, così come le azioni di ascolto e nei luoghi si possono immaginare pratiche di lavoro sociale diverse da quelle che si svolgono in contesti istituzionali, per richiamare alcuni dei temi che si ritrovano sui post-it.

Il tema dei luoghi è da alcuni anni al centro delle riflessioni. Richiamando le riflessioni di Carlo Andorlini (2019), i luoghi sono visti come connettori di persone e di risorse, come attivatori di energie, come fattori di innesco dell’innovazione, come elementi di contaminazione e ricombinazione istituzionale, come catalizzatori di relazioni. In sostanza, si evidenzia come taluni spazi fisici (talvolta con una forte connotazione simbolica, nel caso ad esempio siano stati sottratti alla criminalità organizzata o al degrado) si riempiano di identità e di significati, assumendo le valenze sopra richiamate. Indubbiamente nelle riflessioni sviluppate dal gruppo di lavoro impegnato nella coprogrammazione si avverte l’eco di questi stimoli culturali.

Queste considerazioni furono anticipate nel resoconto dei lavori inviato ai partecipanti unitamente al verbale della prima giornata e furono discusse in apertura della seconda giornata di coprogrammazione, svoltasi dopo due settimane. Si ebbe modo di constatare come la sintesi sopra richiamata fosse condivisa dal gruppo, così come lo era la scelta di fare dei “luoghi” la dimensione unificante della coprogrammazione.

Si proseguì con l’analisi delle mappe tematiche utilizzate anche in questo articolo per descrivere il territorio, così da aiutare la contestualizzazione del tema del luoghi al territorio; ad esempio molti interventi si sono concentrati sulle similitudini e le differenze nell’affrontare il tema dei luoghi in un contesto urbano – il riferimento quasi naturale, per contiguità territoriale, è in questo caso all’esperienza delle Case del Quartiere a Torino – o in un contesto come quello in cui opera il Cissac.

Si è quindi provato a ed esprimersi relativamente alle scelte che si impongono quando si deve passare dall’idea generale alla sua declinazione specifica.

Ad esempio, è meglio concentrare le risorse su un “luogo” centrale, rendendolo quindi fortemente attrattivo in termini di quantità e qualità delle iniziative svolte, ma scontando, vista la conformazione del territorio e dei mezzi di trasporto, il rischio che esso risulti poco raggiungibile da chi non risieda nei pressi, o meglio puntare su più luoghi decentrati, più poveri di iniziative ma prossimi al territorio? È meglio lavorare su luoghi esistenti (un bar, un’edicola, ecc.) che siano già punti di socialità naturali del territorio, ma che “appartengono a qualcuno” (con cui diventa necessario mediare i termini di fruizione), o luoghi nuovi che possono a pieno titolo essere considerati “di tutti”, ma che non hanno una storia di frequentazione e richiedono quindi un notevole investimento per essere riconosciuti dalla cittadinanza?

Figura 7. Esempio di scelte che si impongono quando si deve passare dall’idea generale alla sua declinazione specifica.

Ovviamente quesiti come questo vedono risposte diverse a seconda dei punti di vista: chi si occupa di giovani predilige centri fortemente attrattivi con un cartellone importante di iniziative, altri invece evidenziano come il modello “Casa del quartiere” torinese sia inevitabilmente metropolitano, mentre in un contesto di paese sia necessario valorizzare punti di aggregazione informale esistenti.

Il gruppo dei 28 enti impegnati nella coprogrammazione ha in altre parole approfondito il tema dei luoghi, facendo sì che un auspicio inizialmente grezzo prendesse forma e operando via via delle scelte, indicando delle priorità; il ruolo dello staff Cissac e del consulente è consistito principalmente nel rilanciare la discussione evidenziando le domande e le alternative e provando quindi a fare sintesi delle risposte.

Ad esito di questa sessione di lavoro, con la quale si è conclusa la seconda giornata di coprogrammazione, si è proposta ai partecipanti la sintesi emersa dalla discussione, sottoposta ad approvazione; da tale sintesi è poi stato redatto il documento finale, successivamente redatto in forma compiuta, inviato in visione ai partecipanti e poi da essi sottoscritto.

Gli esiti della coprogrammazione

Al documento finale è affidato il compito di chiudere la riflessione che rappresenta la risposta all’esigenza che Cissac di rafforzare le relazioni e i legami di fiducia per contrastare l’isolamento in particolare delle persone fragili. Tale risposta, in una coprogrammazione, non riguarda le specifiche azioni di competenza di uno specifico partner (semmai, quello può essere un esito di una successiva coprogrammazione), ma le strategie e le politiche: in altre parole, parafrasando l’art. 55 del Codice del Terzo settore, si tratta di individuare i bisogni da soddisfare, il tipo di interventi di conseguenza da attuare, il modo in cui realizzarli e le risorse da attribuire.

Questo è quanto il documento finale prova a fare.

Dopo un capitolo introduttivo in cui sono richiamate le finalità generali della coprogrammazione in questione, si ripercorre l’analisi del territorio illustrata anche in questo contributo (punto 2 del documento finale) e i principali temi della discussione svolta (punto 3). Il punto 4 riguarda – aspetto qui più rilevante – le decisioni assunte coerenti con gli obiettivi di rafforzare le relazioni e i legami di fiducia.

La prima decisione riguarda la creazione di una cabina regia per governare e supportare tali interventi (punto 4.1). È un mutamento nelle modalità di governance che rende la collaborazione sperimentata nella coprogrammazione stabile e istituzionale, rispondendo così all’esigenza di interconnessione tra territori e interventi che i tavoli di lavoro avevano ben evidenziato. La cabina di regia sovraintende e verifica l’attuazione delle azioni conseguenti alla coprogrammazione e si esprime su interventi che riguardino il tema delle relazioni e della fiducia; possono farvi parte gli enti ammessi alla coprogrammazione che ne facciano richiesta, aprendo periodicamente la partecipazione ad altri enti con gli stessi requisiti; sono invece esclusi dalla cabina di regia gli enti che manchino a due riunioni consecutive.

La seconda decisione riguarda la realizzazione di una mappatura dei potenziali luoghi di comunità presenti sul territorio (punto 4.2). In un contesto fatto da tanti piccoli centri, ogni paese ha un proprio luogo naturale di ritrovo; questi luoghi vanno mappati, chiedendosi in quali sussistano le condizioni – accessibilità, possibilità di concordare con i proprietari o gestori la possibilità di introdurre attività di tipo sociale – necessarie a farne dei “luoghi” di relazione nel senso inteso nella coprogrammazione. Tale attività, pur riconosciuta come rilevante, aveva destato in fase di coprogrammazione alcune perplessità: mappare un territorio ampio, distribuito su 21 comuni, rappresenta un’impresa dispendiosa e ci si è chiesti se, malgrado l’utilità dell’operazione, tutto ciò fosse ragionevole rispetto alle risorse disponibili. Tale timore è stato superato grazie alla disponibilità espressa dai partecipanti alla coprogrammazione – travasabile domani agli stessi soggetti in quanto membri della Cabina di regia – a farsi carico ciascuno per la propria parte di territorio della mappatura in questione senza richiedere indennizzi o compensi; Cissac inoltre ha successivamente individuato un proprio operatore che può essere distaccato per alcune ore per fungere da punto di riferimento e coordinamento di questa azione di mappatura. La disponibilità offerta dai partecipanti alla coprogrammazione rappresenta di fatto una importante forma di corresponsabilizzazione dei partner di Terzo settore. Anche tale azione non richiede atti specifici ed è stata avviata nelle settimane successive alla firma del documento finale.

Figura 8. Schema del documento finale prodotto dagli incontri di coprogrammazione.

Accanto a ciò, la coprogrammazione ha individuato taluni interventi specifici da realizzare, definendo le priorità nell’allocazione delle risorse e indicando, come modalità di realizzazione degli stessi, l’utilizzo di un metodo di amministrazione condivisa e quindi, in questo caso, di una coprogettazione.

Il primo e principale intervento di cui si evidenzia la necessità di attivazione è rappresentato dallo sviluppo dei luoghi di comunità (punto 4.3); rifacendosi alle alternative sopra richiamate, la scelta del gruppo è stata quella di dare priorità allo sviluppo di luoghi di relazione in modo decentrato e diffuso e a partire dai luoghi già oggi riconosciuti dalla cittadinanza, da meglio individuare tramite la mappatura. Al tempo stesso si è evidenziata la necessità di sviluppare una progettazione su luoghi non materiali (punto 4.4), dimensione che va senz’altro precisata, ma che comprende luoghi itineranti (ad esempio un bus con funzioni di biblioteca) e luoghi virtuali, quindi tutte le interazioni, radicate sul territorio, costruibili attraverso la rete e che possono essere particolarmente significative laddove si prolunghi la necessità limitare i contatti interpersonali fisici. A questi due obiettivi saranno dedicati i 70 mila euro messi a disposizione da Cissac oltre ad eventuali risorse in varie forme messe a disposizione dagli enti di Terzo settore.

L’altra ipotesi, quello di un luogo fortemente attrattivo, in cui convergano iniziative artistiche, di intrattenimento, di formazione, attività di associazioni del territorio, con spazi di incontro e di convivialità ecc. – in altre parole, il modello delle Case del quartiere realizzato con successo nella metropoli – è stata comunque ritenuta utile, ma non prioritaria rispetto a quella dei luoghi diffusi; si è inoltre constatato che essa richiede un dispendio di risorse economiche ed organizzative notevoli. La scelta pertanto è di includerla tra le azioni da realizzare (punto 4.5), affidando però agli attuatori la ricerca di risorse diverse e ulteriori dai 70 mila euro iniziali.

Queste tre azioni sono una eredità che la coprogrammazione lascia ad una futura coprogettazione, che è in fase di avvio nel momento in cui questo articolo viene pubblicato.

I passi successivi

Dopo gli incontri di settembre una serie di fattori contingenti e la recrudescenza del Covid determinarono uno slittamento dei tempi di formalizzazione e sottoscrizione del documento finale, avvenuta solo nel gennaio 2021. Accanto ai problemi pratici, la seconda ondata della pandemia, che aveva portato il Piemonte a ridiventare zona rossa nel novembre 2020, aveva portato con sé un clima poco incline a guardare al futuro e in specifico a trasformazioni di medio periodo. Ciò detto, con la sottoscrizione del documento finale, si è aperta tra febbraio e marzo 2021 la fase successiva: la costituzione della cabina di regia, un percorso formativo comune sulla progettazione, l’inizio della mappatura e soprattutto l’avvio della coprogettazione, previa un’azione formativa alla progettazione realizzata nell’ambito del già citato programma regionale WeCare.

Le prime iniziative

Anche se i successivi atti hanno chiesto alcune settimane per la formalizzazione, il clima creato nel corso della coprogrammazione ha favorito un cambio di passo nella collaborazione. Nell’ambito di una iniziativa formativa inclusa in WeCare e relativa alla progettazione, alcuni tra i partecipanti al tavolo hanno infatti individuato un’opportunità di finanziamento specifica per i progetti relativi ai “luoghi” con conseguenti scelte non scontate nell’ambito della costituenda cabina di regia: finalizzare in modo più specifico l’azione formativa sviluppata entro WeCare ad abilitare il gruppo per occasioni di finanziamento come quella in corso e iniziare a ragionare come “gruppo territoriale” che sviluppa in modo unitario e supporta un progetto di sviluppo locale; da ciò deriva la scelta di inquadrare il bando di cui sopra non come opportunità su cui le diverse organizzazioni avrebbero avviato una competizione, ma come una possibilità di reperire risorse da mettere a disposizione di un progetto comune che si va formando; cosa che, indipendentemente dall’esito – non noto nel momento in cui questo articolo è pubblicato – rappresenta un successo non marginale in un territorio in cui, come altrove, i soggetti di Terzo settore si vedevano sino a ieri come competitor. 

Cabina di regia

La prima indicazione emersa dalla coprogrammazione è stata quella della costituzione di una cabina di regia, utile a dare stabilità e continuità ad un luogo di analisi e programmazione comune tra enti pubblici e Terzo settore. Tale decisione non prevedeva, per essere attuata, passaggi diversi dall’assunzione degli atti amministrativi da parte del Cissac, cosa che è avvenuta nel marzo 2021. Si tratta di fatto di una sorta di “accreditamento” nel senso inteso dall’art. 55 del Codice e cioè dell’individuazione attraverso un procedimento di evidenza pubblica di soggetti che assumono un ruolo di partner dell’amministrazione in uno specifico ambito.

La mappatura

Il lavoro di mappatura si è svolto nell’aprile-maggio 2021 con il concorso di una pluralità di enti coinvolti nella coprogrammazione e con un investimento specifico ulteriore assicurato dal Cissac ed è stato funzionale all’obiettivo esplicitato nella coprogrammazione di valorizzare i luoghi già oggi densi di relazione. La relazione finale della mappatura, oltre a sviluppare un’analisi delle diverse aree del territorio, ha verificato per ciascuno dei comuni del consorzio i luoghi con caratteristiche che li rendono potenzialmente “luoghi di comunità” includibili nella coprogettazione. Da questa mappatura è emersa l’esistenza di 48 di questi luoghi: sedi di associazioni, circoli, pro loco, farmacie, gruppi sportivi, locali, oratori e molto altro; di questi solo 12 erano noti ai servizi e in qualche modo già inseriti in azioni del Cissac, 10 erano noti ma non utilizzati e ben 26 non erano noti. Tutto questo rappresenta un patrimonio lasciato in eredità alla fase di coprogettazione in partenza nel giugno 2021.

L’avviso di coprogettazione

Nei giorni in cui questo articolo viene redatto, il Cissac sta pubblicando l’avviso di coprogettazione conseguente all’esito della coprogrammazione, mettendo a disposizione 70 mila euro per le azioni definite in quella sede e quindi per lo sviluppo di luoghi di comunità; è chiaro che questa cifra va intesa come moltiplicatore di energie territoriali che sono state mobilitate nell’ambito di questa esperienza e il futuro potrà dirci se tale auspicio riscontro. Si tratta di un provvedimento che rappresenta l’esito natura del percorso intrapreso e conferma la scelta dell’ente di rifarsi ai principi dell’amministrazione condivisa. 

Il “co” dà forma alla programmazione pluriennale

Anche se da un punto di vista cronologico il Piano Programma è antecedente agli esiti della coprogrammazione, può essere utile chiudere questa panoramica con un atto che evidenzia come l’idea dell’amministrazione condivisa abbia trovato uno spazio di rilievo che va al di là della singola esperienza qui raccontata.

Lo Statuto del Cissac prevede infatti l’approvazione di uno strumento (il “Piano Programma”) che costituisce il “documento di programmazione dell'ente che determina gli indirizzi dell’attività del Consorzio” (art. 32bis). Tale documento sviluppa una programmazione su base triennale in cui sono delineati sia gli aspetti economici, sia quelli relativi allo sviluppo dei servizi; si tratta di un documento che in sostanza definisce le linee di indirizzo che l’Assemblea dei comuni consorziati affida all’azione del Consiglio di Amministrazione dell’Ente e del Direttore.

Già il precedente Piano Programma conteneva degli orientamenti alla collaborazione con il Terzo settore, ma il Piano Programma approvato nel dicembre 2020 (quindi nelle settimane in cui l’esperienza di coprogrammazione qui approfondita veniva indetta) e relativo agli anni 2021-2023 contiene alcuni passaggi che evidenziano come la scelta collaborativa sia diventata in qualche modo “strutturale” per il Cissac. Si legge infatti, a proposito dei temi trattati, che le azioni andranno sviluppate ricorrendo alla coprogrammazione (dopo avere richiamato la normativa, viene specificato che si tratta del “momento in cui tutti gli attori sociali possono partecipare a pieno titolo alla formazione delle politiche pubbliche, portando la propria capacità di lettura”) e alla coprogettazione; si specifica inoltre che “la co-programmazione e la co-progettazione non sono solo strumenti ammnistrativi, ma sono un metodo di lavoro che favorisce percorsi di innovazione sociale: intercettando effettive vulnerabilità, creando reti, avviando iniziative condivise tra enti pubblici e privati volte ad affrontare problemi emergenti ed utilizzando in modo più efficiente le risorse economiche, in continuità e nel rispetto di tutto ciò che la comunità del territorio del CISSA-AC ha già costruito nel tempo in attuazione del c.d. principio di sussidiarietà circolare”.

Questa impostazione trova riscontro in numerosi altri passaggi del Piano Programma; per fare solo un esempio, laddove ad esempio si definisce la mission dell’Ente affermando che il Cissac deve “costruire sul territorio un'alleanza strategica tra le parti, che ridefinisca i ruoli e individui priorità, impegni e responsabilità di ciascun attore… Cissac deve essere cabina di regia e facilitatore di reti, il Terzo settore può essere propulsore di nuove iniziative anche sotto forma di co-progettazione e co-produzione/co-gestione…”.

Questi pur sintetici cenni indicano che le esperienze di coprogrammazione e coprogettazione qui ricostruite non rappresentino una incursione occasionale nell’amministrazione condivisa, ma entrino a far parte delle strategie che caratterizzano l’ente nella sua programmazione di medio periodo.

Conclusioni

Giunti alla fine di questa ricostruzione, è utile chiedersi cosa questa esperienza di coprogrammazione, i cui principali passaggi sopra descritti sono ricostruiti nella Figura 9, possa dire anche a chi opera in territori e settori diversi.

Figura 9. Fasi dell’esperienza di coprogrammazione del Cissac.

In primo luogo, il lavoro del Cissac e dei suoi partner territoriali ripropone la rilevanza del momento della programmazione e, nello specifico, della coprogrammazione. È per molti versi singolare che il diffuso interesse per l’amministrazione condivisa si sia sino ad ora concentrato prevalentemente sulla coprogettazione, lasciando in secondo piano la coprogrammazione che pure parrebbe, a rigor di logica, rappresentarne un antecedente. Quello che sta avvenendo in molti territori (e di fatto anche in questo caso è avvenuto così) è in realtà il processo contrario: si inizia a coprogettare, si inizia quindi dall’attività percepita come più concreta e legata all’operatività; è però proprio l’apprezzamento delle esperienze di coprogettazione che porta ad interrogarsi sull’opportunità che gli oggetti della progettazione condivisa siano essi stessi collocati entro scelte politiche frutto anch’esse di percorsi collaborativi. Questo porta a riconoscere la coprogrammazione come il primo e da un certo punto di vista più rilevante frutto di una concezione autenticamente sussidiaria, in cui quindi non solo singoli progetti, ma politiche e strategie sono frutto di corresponsabilizzazione e condivisione.

Una volta che la coprogrammazione si è innescata, sarebbe però limitativo e un po’ meccanicistico concepirla meramente come “antecedente” alla progettazione e alla realizzazione degli interventi; la scelta del partenariato di attivare una cabina di regia – similmente a scelte analoghe di altri enti, che accanto alle attività di coprogettazione hanno dato vita a strutture che valutano e reindirizzano gli interventi – ci dice che la riflessione sulle strategie non è mai conclusa una volta per tutte e che anche quando si arriva ad un punto fermo, tale da originare la progettazione di specifici interventi, rimane aperto un cantiere che ha caratteristiche ricorsive: la cabina di regia orienta e poi valuta gli interventi, ma gli interventi, nel loro concretizzarsi offrono elementi utili a successive riprogrammazioni.

La costituzione della cabina di regia ci dice anche un’altra cosa: che i partenariati tendono a consolidarsi in soluzioni istituzionali, a sfuggire dall’episodicità di una singola circostanza, diventando un modo di operare ordinario per i soggetti coinvolti. Anche se la cabina di regia non costituisce un vero e proprio sistema di accreditamento ai sensi dell’art. 55 del codice del Terzo settore, ne richiama la logica: un elenco aperto, costituito con criteri definiti, che accoglie soggetti che instaurano in modo stabile un rapporto collaborativo con la pubblica amministrazione.

Un altro elemento che si può trarre da questa storia è che il momento della assunzione della decisione è solo il punto finale di un percorso di formazione della decisione molto più lungo e complesso, talvolta non lineare. In tale percorso vanno contemperati piani diversi: il rigore del procedimento amministrativo e la consuetudine di relazione informale tra i soggetti che ne sono protagonisti, il momento dell’espressività e dell’emersione delle idee con la capacità di sintetizzare gli esiti del lavoro, l’esigenza di confrontarsi e quella di giungere ad un risultato. Non vi è una formula certa e valida per ogni occasione, quanto piuttosto la continua ricerca di un equilibrio tra istanze talvolta diverse, all’interno di un sistema di vincoli e opportunità – il tempo, le risorse, le competenze, gli obiettivi e, in questo frangente, la pandemia – in cui una esperienza di amministrazione condivisa si realizza.

DOI: 10.7425/IS.2021.02.07

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