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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura: 
Argomento:  Diritto
data:  12 settembre 2020

DL semplificazioni: Codice contratti e Codice Terzo settore hanno pari dignità

Gianfranco Marocchi

La conversione in legge del DL Semplificazioni (DL 76/2020) ha incluso una modifica del Codice dei contratti che riconosce pari dignità e legittimità ad appalti e agli strumenti collaborativi come la coprogrammazione e la coprogettazione e le altre forme previste dal Codice del Terzo settore.


Si tratta di poche parole e potrebbe a prima vista sembrare che un semplice richiamo a normative già esistenti (“Fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”) possa rappresentare una mera operazione di “estetica giuridica”, ma in questo caso non è così. In sede di conversione in legge del “DL semplificazioni” (il DL 76/2000) sono stati inseriti nel Codice dei contratti (d.lgs. 50/2016) alcuni riferimenti ad istituti del Codice del Terzo settore, destinati a chiarire ulteriormente gli spazi di reciproca pertinenza degli strumenti competitivi governati dal Codice dei contratti e degli strumenti collaborativi introdotti dal Codice del Terzo settore; strumenti che ora si collocano, oltre ogni residuo dubbio, in una situazione simmetrica, di pari dignità.

Le modifiche al Codice dei contratti sono tre e riguardano l’articolo 30 (Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni), l’articolo 59 (Scelta delle procedure e oggetto del contratto) e l’articolo 140 (Norme applicabili ai servizi sociali e ad altri servizi specifici dei settori speciali). Di seguito, in grassetto, le modifiche introdotte.


Art. 30 - Principi per l'aggiudicazione e l'esecuzione di appalti e concessioni
[…] 8. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del Codice civile.

Art. 59 - Scelta delle procedure e oggetto del contratto
1. Fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, Nell'aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara. […]

Art. 140 - Norme applicabili ai servizi sociali e ad altri servizi specifici dei settori speciali
 1. Gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici di cui all'allegato IX sono aggiudicati in applicazione degli articoli 142, 143, 144, salvo quanto disposto nel presente articolo e fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117. […]


L’intento del legislatore è chiaro: vi è un’area di pertinenza del Codice degli appalti, vi è un’area di pertinenza degli strumenti collaborativi quali coprogrammazione e coprogettazione che, pur condividendo i principi generali dell’azione amministrativa – quali la trasparenza e la parità di trattamento – seguono norme proprie; in particolare, gli strumenti collaborativi si rifanno, come hardware normativo sottostante, alla legge 241/1990 cui bisogna riferirsi per tutti gli aspetti procedurali che l’art. 55 non affronta. Gli strumenti collaborativi non sono subordinati a quelli competitivi, che non costituiscono quindi una sorta di “normalità” per distaccarsi legittimamente dalla quale diventa necessario sobbarcarsi l’onere della prova di trovarsi in condizioni peculiari.

È, in sostanza l’atto che rende evidente oltre ogni dubbio la presenza di un “coordinamento tra Codice degli appalti e codice del Terzo settore” dalla cui supposta assenza Anac e Consiglio di Stato avevano nel 2018 dato vita all’iniziativa sfociata nel ben noto Parere che aveva provato a contrastare la diffusione degli strumenti collaborativi.

Si tratta – quantomeno da un punto di vista logico, al di là dell’effettiva genesi dei provvedimenti – di una conseguenza coerente con quanto affermato dalla Sentenza 131/2020 della Corte costituzionale, che nel legittimare pienamente gli strumenti dell’art. 55 del Codice del Terzo settore implicava di conseguenza una loro collocazione non subordinata rispetto al Codice degli appalti: “Il modello configurato dall'art. 55 CTS, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull'aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.”

Dunque, quando un’amministrazione dovrà indirizzarsi verso l’acquisto di servizi attraverso appalto, quando verso strumenti collaborativi come la coprogettazione? La risposta va rinvenuta nell’effettivo oggetto della relazione con il Terzo settore o, per meglio dire, nella strategia di risposta ad un bisogno pubblico che viene individuata.

Fare riferimento alla “strategia di risposta” rimanda a considerazioni per nulla scontate. Uno stesso bisogno può avere strategie di risposta diverse. Di fronte al bisogno di “aggregazione giovanile” si può scegliere di rispondere con un ben definito servizio, ad esempio un centro di aggregazione che si intende tenere aperto in determinati orari; questo non esclude che il coinvolgimento del Terzo settore possa essere non solo meramente operativo, ma comprendere elementi progettuali quali ad esempio le attività da svolgersi, da considerarsi in sede di aggiudicazione nell’ambito di un appalto; ma la struttura della relazione è quella di un soggetto acquirente (la pubblica amministrazione) che valuta una pluralità di proposte gestionali e sceglie il fornitore migliore sulla base di un confronto prezzo qualità. Diverso sarebbe il caso in cui la strategia di risposta consistesse nel promuovere un’ampia sinergia tra attori diversi, alcuni professionali (es. cooperative che operano in ambito educativo) altri volontari (es. associazioni che si occupano di doposcuola, polisportive, oratorio, gruppi musicali, ecc.) per definire insieme un complesso di interventi (non un intervento predefinito dall’amministrazione) tra loro integrati e sinergici da sostenere destinando, sempre sulla base di un processo condiviso, risorse dell’amministrazione e risorse che tale gruppo individua sia internamente che esternamente; in questo caso diventa necessario rivolgersi a strumenti e procedimenti diversi da quelli che governano l’acquisto di servizi, come la coprogettazione, sino ad oggi guardati con un certo sospetto dagli apparati amministrativi e ora pienamente legittimanti dalla successione dei due provvedimenti della Corte costituzionale e ora del Parlamento.

Da un punto di vista prettamente giuridico, non vi è preferenza per l’una o l’altra strategia di risposta e ragionevolmente entrambe faranno parte nei prossimi anni dello strumentario di un’amministrazione locale; ma – passando ad un piano politico – è evidente che strategie del secondo tipo sono preferibili – quando autentiche - per due ordini di motivi. Il primo è la coerenza con il dettato dell’art. 118 della Costituzione e quindi con un’impostazione sussidiaria che porta attraverso processi collaborativi a valorizzare la capacità della società civile a proporre risposte autonome ai propri bisogni. Il secondo è l’aderenza a convinzioni consolidate e difficilmente incrinabili su come assicurare servizi di interesse generale; un esempio per tutti, la legge 328/2000 che promuove la creazione di un “sistema integrato di interventi e servizi”, ma l’obiettivo di “fare rete”, “fare sistema” è ampiamente condiviso in vari ambiti di interesse generale e non può che orientare verso soluzioni collaborative ogni qual volta sia possibile e ragionevole farlo.

Per cui, ora che sul fronte normativo dovrebbero essere progressivamente dissolti i dubbi che relegavano i procedimenti collaborativi in posizione residuale rispetto a quelli competitivi, la partita diventa a tutti gli effetti politica. Sarà più facile convincere i segretari comunali della praticabilità delle coprogrammazione e coprogettazioni, ma si apre un fronte, in parte interno al Terzo settore, in parte relativo al confronto con il livello politico delle amministrazioni pubbliche, che prende le mosse non tanto dalla preferenza per uno strumento, ma per l’inquadramento delle risposte ai bisogni entro strategia sussidiarie e collaborative. E su questo si apre una sfida culturale e organizzativa inedita per le imprese sociali, a cui da almeno 25 anni il mercato ha chiesto di strutturarsi per rispondere a contesti competitivi e che ora sono chiamate a rinvigorire una vocazione originaria, mai sradicata ma in alcuni casi necessariamente relegata in secondo piano.

Oggi è lo stesso Codice degli appalti a dare atto di come tale visione sia superata. La scelta di strumenti basati sulla competizione o di strumenti basati sulla collaborazione è pertanto conseguente al tipo di bisogno che un’amministrazione rileva: per approvvigionarsi di servizi alle migliori condizioni di prezzo-qualità utilizzerà strumenti competitivi; per promuovere sinergie allargate e integrazione tra più soggetti per una finalità comune utilizzerà strumenti collaborativi. Non vi è a monte una strategia o un intento “ordinario”, ma la responsabilità (politica, prima ancora che amministrativa) dell’ente di individuare le strategie più adeguate ad affrontare un bisogno in una concreta situazione. A fronte di uno stesso problema – esemplificando, la presenza di anziani soli sul territorio – si può legittimamente rispondere con strategie diverse: acquistando alle migliori condizioni possibili prezzo qualità delle prestazioni di assistenza domiciliare (e allora gli interlocutori vengono individuati con strumenti a carattere competitivo come gli appalti) o sostenendo e integrando una pluralità di risorse professionali e volontarie, formali e informali, presenti sul territorio; e in questa seconda situazione diventa normale adottare strumenti di matrice collaborativa come la coprogettazione.

Il diritto diventa oggi del tutto neutro rispetto alla scelta e si limita a evidenziare la presenza di due sottosistemi giuridici di pari legittimità, con punti di contatto ma anche con un corpus normativo di riferimento indipendente, per gestire l’una e l’altra situazione. Semmai – ma si tratta di questione inerente alle politiche sociali, e non al diritto – la sempre maggiore attenzione verso gli strumenti collaborativi diventa un esito di un orientamento consolidato delle strategie di intervento sociale che – per utilizzare il linguaggio della 328/2000 – mirano a costruire “sistemi integrati di interventi e servizi” e dunque a costruire sinergie e collaborazioni, più che meccanismi tipici della competizione di mercato; senza però per questo escludere che in molte situazioni questi ultimi risultino funzionali alla realizzazione di buoni servizi per i cittadini.

E, laddove si tratti di gestire processi collaborativi, con gli emendamenti approvati il Codice degli appalti dichiara il limite della propria influenza: essi vanno gestiti, come richiamato anche dalla Sentenza 131 della Corte costituzionale, in coerenza con le previsioni della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo; questo è importante non tanto perché esse rappresentino un regime più o meno alleggerito rispetto al Codice degli appalti (e non lo è: semplicemente è diverso!), ma perché competizione e collaborazione necessitano – al di là di comuni esigenze di trasparenza, parità di trattamento, ecc. – di essere ciascuna governata da norme che consentano procedimenti coerenti con gli intenti perseguiti. Laddove si tratti di processi collaborativi, il primo riferimento è quindi il Codice del Terzo settore e quindi, circa gli aspetti procedurali, la legge 241/1990; il Codice degli appalti assume invece un valore residuale.

Insomma, dopo la Sentenza 131, dopo la L.R. 65/2020 della Regione Toscana che può aprire la strada ad una nuova generazione di normative regionali, questa modifica al Codice degli appalti risulta un passaggio coerente e ulteriore di grande rilievo nel senso della piena legittimazione degli strumenti collaborativi.

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Gianfranco Marocchi

Impresa Sociale

Nel gruppo di direzione di Impresa sociale, è anche vicedirettore di Welforum.it. Cooperatore sociale e ricercatore, si occupa di welfare, impresa sociale, collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore.

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