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ISSN 2282-1694

Ha senso per una cooperativa di inserimento lavorativo investire in cultura? L’esperienza della Cooperativa Arcobaleno di Torino

Cooperativa Arcobaleno

Una cooperativa grande e solida che inserisce lavoratori svantaggiati. Per quale motivo ha sentito il bisogno di investire tante risorse in ambito culturale oltre che nelle attività produttive?


Arcobaleno, un’impresa di inserimento lavorativo

Arcobaleno (https://www.cooparcobaleno.net)  è una cooperativa sociale di tipo B fondata nel 1992, fa parte del Consorzio Sociale Abele Lavoro cui aderiscono altre 3 cooperative sociali, con oltre 600 occupati e un giro di affari di oltre 24 milioni di euro. Alla sua fondazione contava 5 lavoratori, divenuti oggi circa 250, di cui oltre il 30% persone svantaggiate; operano inoltre presso la cooperativa una ventina di volontari. Fattura ogni anno circa 12 milioni di Euro, prevalentemente in servizi ambientali (raccolta differenziata, raccolta ingombranti, rimozione amianto, raccolta e recupero di RAEE. Arcobaleno è certificata ISO 9001:2015, 14001:2015 e 45.001:2015 ed è protagonista, attraverso alcune società controllate, di investimenti significativi in ambiti innovativi, anche grazie ad una collaborazione con il Politecnico di Torino: Abel Nutraceuticals, specializzata nella produzione di integratori alimentari basati su estratti vegetali, il laboratorio gastronomico Cucina-TO, e Transistor, che si occupa del recupero di elettronica dismessa.

Dunque, un’impresa forte e dinamica, che ha messo la propria capacità imprenditoriale al servizio della mission di creare opportunità di lavoro per le persone socialmente ai margini o in gravi difficoltà, aiutandole a rimettersi in gioco nella vita e nella società attraverso il lavoro.

Ma anche un’impresa che ha sempre ritenuto strategico investire nella produzione e nella diffusione di cultura, tema a cui è dedicato questo contributo. La domanda a cui vorremmo contribuire a rispondere è: per quale motivo un soggetto che ha come scopo l’inserimento lavorativo, che ha per questo motivo sviluppato un’attività di impresa importante, che investe in innovazione tecnologica e in organizzazione, ha sentito il bisogno di investire risorse non indifferenti in ambito culturale, risorse che a prima vista potrebbero apparire “distratte” dalla principale vocazione di Arcobaleno?

Cosa facciamo in ambito culturale

Ma, prima dei ragionamenti, è opportuno richiamare brevemente cosa noi facciamo da un punto di vista culturale.

Il lavoro con le scuole

In primo luogo, siamo partiti dalle scuole del territorio, seguendo l’idea di un progetto “Adotta una scuola”. Abbiamo iniziato da un istituto tecnico del quartiere, con il quale abbiamo avviato collaborazioni su educazione ambientale, con tecnici in classe per spiegare cosa sia e cosa significhi la raccolta differenziata per l’ambiente, l’occasione ci ha permesso di raccontare cos’è una cooperativa sociale, abbiamo utilizzato strumenti ad hoc (slide, film, incontri con tecnici e lavoratori…). Abbiamo progettato la partecipazione ad eventi esterni (es. la partecipazione a Cinemambiente con abiti di carta progettati dalla sezione di moda presente nella scuola), a sfilate in occasioni di una festa in strada organizzati da una associazione sportiva locale, fino a mettere a punto un progetto scuola-lavoro con uno sforzo significativo sulle riflessioni e ragionamenti che lo accompagnassero.

Abbiamo messo a punto progetti con la scuola Holden, centro di formazione per aspiranti scrittori, una classe di allievi ha incontrato i nostri colleghi che lavorano nella raccolta, hanno ascoltato le loro storie e ci hanno restituito racconti, che poi sono diventati un libro e sono stati rappresentati in una performance teatrale.

Gli allievi dello IAAD, università di design, hanno progettato abiti ispirati alle storie di vita dei lavoratori, alcuni allievi hanno progettato il “Premio Ambiente e Società” che una giuria di nostri lavoratori assegna ogni anno ad un film centrato sui temi che ci sono più cari nell’ambito del Festival Cinemambiente. Per quell’occasione i lavoratori si sottopongono ad un corso di alfabetizzazione sui linguaggi del cinema e poi alla visione forzata dei film che la direzione del festival seleziona e ci sottopone.

Stimoli culturali

Abbiamo partecipato al Salone del libro coinvolti assieme alla Fondazione Pistoletto nella realizzazione dell’istallazione “Terzo Paradiso” fatta da libri raccolti da noi e firmata dal maestro.

Abbiamo partecipato all’organizzazione di eventi istituzionali anche a carattere internazionale, sempre cercando di far affiorare il valore della nostra esperienza, il momento di massima attenzione mediatica lo abbiamo raggiunto con il workshop inserito nel programma ufficiale del Terzo Forum Mondiale dello Sviluppo Economico Locale (Social Innovation: the case of cartoneros).

Il nostro programma di viaggi in cui coinvolgiamo gruppi di nostri soci usati per conoscere noi ed il mondo in cui viviamo è giunto al nono anno di età ed ha coinvolto ormai un centinaio di lavoratori con ricadute sul clima interno tutt’altro che trascurabili.

Al momento stiamo sperimentando a Chivasso un premio da assegnare ai commercianti più virtuosi sulla base di una rilevazione affidata al giudizio dei raccoglitori e di una rilevazione con questionari autocompilati.

La produzione cinematografica

Infine, e certo non ultima, la produzione di due film. Il film è uno strumento maneggiato da una élite e rivolto al grande pubblico, noi abbiamo invitato questa élite a sedersi alla nostra tavola e a raccontare il nostro mondo, le nostre storie e nostri volti. “40% le Mani Libere del Destino” (2010) è una commedia brillante interpretata dagli stessi lavoratori, mentre “Al massimo ribasso” (2017) denuncia la prassi ancora in uso delle gare che uccidono le buone pratiche della buona cooperazione. Due film di Riccardo Iacopino con la partecipazione di Luciana Littizzetto e una grande rete di soci sostenitori, perlopiù del mondo della cooperazione. Cosa rappresentino non serve certo spiegarlo.  

Ognuno su questo vasto universo del possibile sul quale agire e progettare avrà di che sbizzarrirsi. L’apertura e l’incontro con l’esterno, soprattutto con le scuole, e con il mondo della cultura produce un impatto positivo anche sui lavoratori, seppure in qualche caso si trovano ad occupare ruoli da comprimari e non da protagonisti. Quest’ultimo è un aspetto da valutare con attenzione, possibilmente prima di avviare l’azione.

Verso il futuro

Se quanto sopra richiamato rappresenta l’esito della nostra storia, anche guardando al futuro accanto ai progetti di sviluppo di impresa e di investimento tecnologico richiamati in apertura si affiancano ad un impegno sul fronte culturale.

Ormai scaduti i primi 25 anni della legge 381/91 e della nostra cooperativa, al momento dei bilanci e della rendicontazione anche dei successi dei molti progetti individuali di inserimento lavorativo, ci siamo resi conto che molti dei nostri colleghi si trovano in condizioni di gravi deficit sul piano delle competenze educative e/o relazionali; le loro nuove famiglie sono spesso chiamate a pagare uno scotto pesante per questa nuova fragilità; per questo motivo si sta cercando di avviare un ragionamento su come aiutarli a sostenere le loro competenze aprendosi ad azioni che coinvolgano le famiglie ed in particolare i figli su questioni che vanno dall’educazione alimentare, alla gestione dell’aggressività, alla parità di genere, alla costruzione di un progetto per la vita futura ecc… È una questione delicata che certamente non può essere gestita direttamente ma che prelude alla costruzione o al rafforzamento di reti allargate sulla base dell’assunzione consapevole da parte della cooperativa che un successo individuale di un socio resta incompleto se non si accompagna con quello dei figli e di una serena vita familiare. La responsabilità non può essere certo assunta dalla cooperativa ma un accompagnamento sostenibile può essere programmato.  

A cosa serve un Progetto Culturale ad una cooperativa sociale di inserimento lavorativo

Ciò detto, riprendiamo l’interrogativo iniziale: a cosa serve un progetto culturale ad una cooperativa sociale di inserimento lavorativo? Rappresenta una distrazione organizzativa e un drenaggio di risorse rispetto all’attività di impresa, un’attività quasi hobbistica per seguire le passioni del gruppo dirigente? O, al contrario, si tratta di un qualcosa di profondamente connaturato al nostro essere impresa, qualcosa di caratterizzante e forse di irrinunciabile, per essere quello che siamo?

Il punto di partenza

Abbiamo creduto nel tempo che il perché del nostro lavoro si spiegasse da solo, il recupero e il reinserimento di persone in difficoltà, le nostre fatiche per recuperare terreno in materia di giustizia sociale, la riduzione del gap tra ricchi, molto ricchi e sempre più ricchi, e poveri, molti e infilati dentro ad un tunnel dal quale non si intravede alcuna luce. Ci era parso di aderire ad un progetto nobile e chiaro, un progetto per costruire una società più giusta.

Forse non sapremmo neppure dire se era diverso il contesto e ci sentissimo più capiti, diciamo un quarto di secolo fa, oppure se eravamo ingenui, ma accade oggi che ci troviamo ad interrogarci com’è che ci sentiamo sempre più spinti con le nostre imprese e gli stessi nostri sistemi di rappresentanza verso quella marginalità che avremmo voluto combattere.

C’è stata nel tempo una deriva liberista che ci ha sopraffatto, c’è stata una delega alla “politica” che forse avremmo dovuto presidiare più da vicino, abbiamo creduto di aver vinto ed eccoci qui oggi a cercare di frenare una deriva che troppo spesso ci fa sentire isolati anche dal sentimento che ci lega alla gente comune, alle nostre stesse comunità di riferimento, a volte anche ai nostri stessi soci.

Gli obiettivi

Ecco, proprio in risposta a queste domande da tre soldi incontriamo il senso del perché di un progetto culturale all’interno delle nostre cooperative. Alle non poche responsabilità che abbiamo dobbiamo aggiungere anche quella di tornare a spiegare chi siamo, i perché delle nostre scelte, le finalità ed i sogni verso i quali navighiamo e presso i quali vorremmo approdare insieme alla nostra gente, e dentro ad una società più giusta, inclusiva, egualitaria.

Obiettivo dunque superare l’indifferenza della gente rispetto al lavoro che facciamo, raccontarsi, informare, sensibilizzare le nostre comunità di riferimento alle buone pratiche inclusive, riabilitative e rigeneratrici.

Siamo amministratori di realtà già abbastanza complicate di per sé. Gli scopi di missione per cooperative sociali di inserimento lavorativo sono una sfida imprenditoriale difficile anche senza aggiungercene altre.

Il punto di partenza è stato proprio l’essersi concentrati sulla missione di imprese come le nostre coniugandola con la ricerca di una sostenibilità economica e finanziaria durevole. Ci era parso fosse già questo abbastanza.

Il punto di novità è rappresentato dal fatto di considerare un progetto culturale non come un lavoro che si somma ma come uno strumento funzionale al raggiungimento degli obiettivi identitari.

Guardare fuori dal nostro recinto

Il lavoro a testa bassa non basta più, occorre imparare a disegnare strategie anche al di fuori della nostra missione specifica, cercare le parole per convincere la gente che vive fuori dalle nostre mura che il nostro progetto è anche per una loro vita migliore.

Ed ecco dunque che ci troviamo di fronte una delle sfide più difficili, soprattutto nei tempi attuali, quella di dover tornare a raccontare il lavoro che facciamo a chi non lo conosce o lo conosce solo per sentito dire, o solo attraverso la rappresentazione delle esperienze deviate negative che purtroppo non mancano.

Ci muoviamo in uno spazio complesso e complesso deve essere il nostro apparato difensivo, efficace, sostenibile, evoluto. Con i nostri progetti culturali dobbiamo imparare a dialogare con i nostri soci che faticano a posizionarsi dentro le nostre cooperative e che spesso assumono atteggiamenti oppositivi piuttosto che collaborativi, faticano a capire che lottiamo la stessa battaglia dalla stessa parte, che non è la loro cooperativa la controparte da combattere ma un sistema che tende a dimenticarsi di noi, a marginalizzarci, a confondere l’impresa sociale con lo spicchio residuo di responsabilità sociale che anche le imprese profit devono pur avere, soprattutto in un mondo in piena emergenza ambientale e sociale.

Ritrovare le parole

È nostra responsabilità spiegare e raccontare che noi siamo diversi, orgogliosamente diversi, e determinati.

E ci va l’opinione pubblica, che magari apprezza la nostra singola realtà perché ci conosce ma in fondo pensa che le cooperative sono quella cosa là che assomiglia ad un buco nero che assorbe ogni nefandezza e copre ogni nequizia.

Così ci troviamo invischiati in una battaglia non solo per ogni nostra impresa ma anche per un progetto complessivo, quello cooperativo, quello solidale.

Il progetto culturale che si accampa dentro una cooperativa la aiuta a trovare le parole per ridisegnare il terreno del confronto con le comunità e con le istituzioni. Le nostre iniziative, quando sono ispirate a consapevolezza e volte a raccontare la nostra identità, servono a contrastare il luogo comune, il pregiudizio.

Dobbiamo crescere in consapevolezza, uscire dai nostri steccati, farlo singolarmente e farlo insieme e tutti gli strumenti andranno bene, soprattutto quelli che siamo meno avvezzi a maneggiare.

Elaborare una strategia

È una strategia che ci serve, una strategia volta a trovare alleati in quel mondo di fuori che pure esiste e che ci è vicino. È solo colpa nostra se ce ne siamo dimenticati, ma la cultura è dalla nostra parte, ed è per questo che dobbiamo non solo raccontarci ma anche farci raccontare da chi cerca approdi solidi e sani su cui far crescere anche il proprio lavoro, pure diverso dal nostro ma ispirato agli stessi valori. Noi rappresentiamo un fermento positivo e ben affondato nella concretezza della vita reale che molti soggetti sono contenti di conoscere, esplorare, scoprire e poi raccontare insieme a noi e per noi. Sono incroci sui quali ci si incontra pur con finalità specifiche diverse ma con un paradigma comune. E su questi incroci può capitare che un museo ti accolga, che una scuola ti ospiti perché tu racconti di te e del tuo lavoro, che istituti di formazione si interessino a te, che collaborino, che un festival del cinema voglia la tua storia, che un’università ti inviti a raccontarti agli studenti; ed è su questa strada che si guadagna terreno anche di fronte alle istituzioni, perché a loro altri parlano di noi, e a volte capita che si accorgano che esistiamo.

È vero ci va una certa attrezzatura che spesso non abbiamo, ci va freschezza, parole, coraggio, strumenti e tecnologie, ci vanno i social, e ci vanno buoni compagni di viaggio; ma soprattutto ci va la consapevolezza di chi sa dove e come vuole posizionarsi in questo orizzonte che la globalizzazione contribuisce ad allargare e confondere e dentro al quale ci sentiamo sempre più minuscoli.

Una fatica in più

Si tratta di un lavoro in più, questo è vero, un lavoro che non avevamo messo in conto di dover fare, che nell’immediato non porta crescite di fatturato, ma contribuisce a far crescere un bene prezioso che non si compra da nessuna altra parte, la buona reputazione.

La cultura è terreno di dialogo e noi abbiamo la responsabilità di esportare la nostra, di mostrare i risultati delle nostre fatiche, che si misurano in anni continuativi di lavoro stabile per persone che non avevano più nemmeno la speranza, i numeri ci danno ragione, il nostro mondo è davvero un baluardo di fronte all’abbrutimento del lavoro senza diritti e senza prospettive, siamo un presidio di stabilità economica e sociale, e questo dobbiamo raccontare senza smettere di far crescere il nostro modello di una imprenditoria dal volto umano e dai valori saldi.

Le risorse

E ci vanno un po' di risorse, che in questa stagione di ristrettezze rappresentano un problema serio, ma noi possediamo risorse che altri non hanno e sono la ricchezza delle nostre esperienze, la nostra identità che solo noi possiamo esibire e raccontare.  

Ed è così che si arriva a pensare ad un progetto culturale che non deve passare sopra la testa del corpo sociale, bensì coinvolgerlo e renderlo protagonista, in quanto i lavoratori sono ad un tempo i migliori testimonials ed i beneficiari delle azioni del nostro raccontarci.

Il primo passo è riconoscersi come soggetti che hanno maturato competenze e sensibilità sulla base di esperienze rare e ricche di significato. Le nostre cooperative non sono l’espressione aggregata di soggetti “svantaggiati” da aiutare, magari a spese della comunità, sono invece soggetto d’impresa sociale produttori di benessere collettivo attraverso un lavoro prezioso legato al recupero e riqualificazione di persone così come dell’ambiente in cui viviamo.

La tattica

Sulla base di questo presupposto dobbiamo cercare di stabilire relazioni con soggetti che ci riconoscano come risorsa e non come problema, e con questi cercare di condividere progetti che producano ricadute positive sia per noi che per loro.

La ricchezza che deriva dal lavorare insieme può assumere molteplici forme, ma in molti casi già il fatto che si riesca ad affiorare al difuori dei “nostri soliti” luoghi, insieme a soggetti diversamente qualificati da noi, ed in ambiti eccentrici rispetto alla nostra sfera abituale, è già di per sé un buon risultato.

Anche se apparentemente potrebbe apparire paradossale i nostri migliori compagni di viaggio solitamente li si trovano nei luoghi che esprimono la maggior qualità culturale. Quello che può apparire all’opposto della nostra esperienza di lavoro quotidiano è quello che meglio di ogni altro può capirci. Noi appariamo sospetti solo alla mediocrità, al pensiero legato al luogo comune ed agli stereotipi, ma nel momento in cui ci presentiamo in ambienti dove c’è sensibilità e capacità di analisi noi veniamo scoperti e riconosciuti come risorsa preziosa, senza riserve né difficoltà.

Il problema è solo quello di elaborare insieme progetti di interesse reciproco, azioni che siano incentrate su obiettivi comuni, e qui diventa centrale l’appartenenza e la vicinanza ad un territorio, la conoscenza del genius loci, in quanto ogni luogo possiede una propria identità legata alle proprie esperienze, storia e cultura. I loro sedimenti fanno di ogni luogo una realtà unica della quale noi facciamo parte con il nostro lavoro ed i nostri soci.

Qui ognuno avrà la possibilità di sbizzarrirsi, la sola regola cui vincolarsi tenacemente rimane quella dell’interesse comune. Non si va domandare altra “assistenza”, né attenzioni gratuite, ogni interlocutore che ci riconosce “interessanti” ha i propri obiettivi, sulla base di quelli comuni si possono elaborare progetti significativi.

I target di un progetto culturale

Primo, i cittadini. I cittadini poco sanno di quello che c’è dietro alle nostre esperienze, il sentito dire non basta mai, soprattutto perché ci si ferma alla superficialità ed agli stereotipi.

Secondo, le Istituzioni locali. Anche gli amministratori vanno accompagnati, hanno bisogno che li si informi, che si spieghi loro i benefici e le ricadute che derivano dalla nostra presenza nelle comunità che amministrano. Se noi sappiamo “presentarci bene” alle comunità, e loro capiscono meglio, ci guadagneranno anche gli amministratori, se il clima diventa migliore attorno a noi, sarà più facile per tutti. Consensi dunque, ma non sganciati dalle esperienze e dal lavoro.

È proprio per questi ultimi due aspetti che diventa centrale il socio lavoratore, che rappresenta il nostro terzo, ma certo non ultimo, obiettivo del progetto culturale.

Le ricadute

Lavorare ad un progetto culturale vuol dire avvicinarci ai nostri soci, farli sentire dentro ad un progetto che non è solo quello di uno stipendio a fine mese, vuol dire far crescere la consapevolezza di quello che stiamo facendo e insieme si è realizzato, vuol dire riportare la riflessione all’interno del nostro corpo sociale e rafforzare il senso di appartenenza.

Presentarsi davanti al pubblico là fuori esibendo la nostra capacità di lavorare ma anche e soprattutto l’orgoglio di avercela fatta nonostante i mille gravami significa far contrastare l’indifferenza e la diffidenza, vuol dire accrescere simpatia e credibilità e infine vuol dire far sentire alle istituzioni locali che la gente sa di noi e ci accompagna lungo la nostra strada e che sarà meglio anche per loro che non ci lascino mai più soli.

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Cooperativa Arcobaleno

Cooperativa sociale di inserimento lavorativo torinese.

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