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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura: 
Argomento:  Diritto
tag:  Cooperative
data:  12 agosto 2025

La sentenza che Carlo Borzaga avrebbe amato

Gianfranco Marocchi

La Sentenza 116/2025 della Corte costituzionale interviene rimarcando con forza il valore costituzionale della cooperazione ed evidenzia come le politiche, introducendo vincoli sanzionatori eccessivi e limitando o diluendo gli aspetti promozionali, paradossalmente scoraggino la cooperazione.


“… All’esame nel merito delle questioni è opportuno premettere un inquadramento sistematico...”, si afferma ad un certo punto della Decisione 116/2025 della Corte costituzionale. E quando questa è la premessa, si capisce che i giudici costituzionali intendono collocare una specifica circostanza oggetto di giudizio in uno schema di ragionamento ben più ampio, come già era avvenuto con la storica sentenza 131/2020 che, nata da un contenzioso su una legge regionale umbra, ha posto una pietra miliare nell’attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà.

L’oggetto della sentenza

Il tema, nel caso della sentenza 116/2025, è una questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Consiglio di Stato, rispetto a quanto previsto all’art. 12 del d.lgs. 220/2002, “Norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi…” ove si afferma che “… gli enti cooperativi che si sottraggono all'attività di vigilanza o non rispettano finalità mutualistiche sono cancellati…”. La questione riguarda una cooperativa cancellata d’autorità per l’essersi sottratta all’attività di vigilanza, a quanto si può capire per trascuratezza del proprio commercialista; ma ciò è irrilevante. La questione si gioca sulla proporzionalità della sanzione comminata, la cancellazione della cooperativa, nelle due fattispecie per cui l’articolo la prevede: il sottrarsi alla vigilanza e il contravvenire alla finalità mutualistiche; essendo chiaramente la seconda una violazione che fa venir meno la natura stessa della cooperativa e che quindi ne giustifica lo scioglimento, la prima può apparire invece la prima meno grave, dal momento che potrebbe essere compiuta anche da un ente che i requisiti mutualistici li rispetta; e quindi, conclude la Corte, da sanzionare con una misura meno drastica come la nomina di un commissario ad acta.

La cooperazione, secondo la Corte

Ma, appunto, non è il merito della vicenda a sollevare la nostra attenzione, ma “l’inquadramento sistematico” premesso alla decisione poi assunta. Che propone una potente raffigurazione della cooperazione e delle politiche che la riguardano.

La Corte esordisce richiamando l’art. 45, primo comma, della Costituzione («la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità») e nota come, nell’ambito della visione pluralistica del sistema economico che caratterizza la Carta, “mentre rispetto all’iniziativa economica privata l’«utilità sociale» si pone come principio limitante, alla cooperazione la Costituzione riconosce una «funzione sociale», individuandola quindi come connaturale a questo modello organizzativo, in quanto generativo di democrazia economica e mutualità.”  Questa – sono ancora parole della Corte costituzionale – “disposizione non comune” trova le sue origini nella convinzione, che emerge dai lavori preparatori dell’art. 45, che “la cooperazione, con le sue organizzazioni basate sui principi della mutualità e ispirate ad alte finalità di libertà umana, costituisce un efficace mezzo di difesa dei produttori e dei consumatori dalla speculazione privata e di elevazione morale e materiale delle classi lavoratrici”. Questo alto riconoscimento alla cooperazione era frutto della capacità del movimento cooperativo di affrontare un ampio insieme di bisogni fondamentali (“… dalle cooperative di consumo, per proseguire con quelle di produzione e lavoro, quindi con le banche popolari, le casse rurali, le mutue assicuratrici, i consorzi agrari e le cooperative agricole…”) aggregando filoni culturali diversi (“erano fiorite cooperative social-comuniste, cattoliche e repubblicane… “), contraddistinguendosi, come già ricordava la sentenza 408/1989 della stessa Corte, per la “congiunta realizzazione del decentramento democratico del potere di organizzazione e gestione della produzione e della maggiore diffusione e più equa distribuzione del risultato utile della produzione stessa”.

In questi termini, conclude ancora la Corte costituzionale, “il valore della cooperazione, che ne giustifica la promozione, sta nella capacità di unire strutturalmente all’aspetto economico quella funzione sociale che i costituenti consideravano necessaria per la promozione del lavoro e la realizzazione del bene comune”.

Ancora, la Corte Costituzionale evidenzia l’alterità della forma cooperativa – contraddistinta da elementi peculiari quali “la mutualità, che ne costituisce la missione fondante, ricollegandosi ai principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, e la democraticità, che ne informa il modello di governance” - rispetto ad altri soggetti, come le società benefit, pur caratterizzati, dal perseguimento, “nell’esercizio dell’attività d’impresa, oltre allo scopo di lucro, anche una o più finalità di beneficio comune, funzionale a determinare un impatto responsabile, sostenibile e trasparente sulle persone, sull’ambiente e sulla società.” Tale alterità è riconosciuta anche nella detassazione degli utili destinati a riserva indivisibile, prevista per le sole società cooperative in quanto solo esse “accantonando nel patrimonio sociale risorse necessariamente sottratte al godimento dei soci, si configurano come enti di creazione di ricchezza intergenerazionale, devoluta tramite i fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.»

Le politiche, secondo la Corte

Se è già di grande rilievo questo richiamo ai fondamenti delle peculiarità cooperative, di ancor maggiore interesse è quanto segue. La Corte costituzionale evidenzia infatti come – anche per intenti apprezzabili, come la lotta alle false cooperative – siano stati assunti provvedimenti sospettosi e punitivi, come quello oggetto di giudizio. E questo è tra i fattori che ragionevolmente concorrono a determinare la crisi del mondo cooperativo e i suoi tassi di crescita negativi: “… a fronte della perdita di peso dei vantaggi fiscali, sono state introdotte normative non particolarmente incentivanti per questa tipologia di impresa e [normative] che hanno favorito la nascita di modelli di impresa quasi concorrenti...”

La legislazione, scrive ancora la Corte, stenta a favorire realmente l’«incremento» della cooperazione «con i mezzi più idonei» secondo il mandato dell’art. 45 Cost. e rischia al contrario di generare un chilling effect, un disincentivo ad esercitare un diritto o comunque un comportamento positivo per timore delle sanzioni; ed è appunto questo il motivo che porta la Corte a ritenere incostituzionale la norma in questione che “rischierebbe di determinare un effetto di deterrenza rispetto all’esercizio di un’attività che non solo integra un diritto costituzionalmente garantito dei consociati (l’organizzazione dell’impresa), ma che assume anche una peculiare rilevanza sociale, come espresso dall’art. 45 della Costituzione e dalle ulteriori previsioni che […] trovano realizzazione nella dimensione collettiva cooperativista”.

Perché questa sentenza è fondamentale

La Corte avrebbe senz’altro potuto dire meno: avrebbe potuto censurare l’articolo in questione che punisce con la medesima e draconiana sanzione due comportamenti in effetti di ben diversa gravità, tanto bastava per l’effetto sullo specifico quesito. Ma ha sentito il bisogno di dire di più: non solo, per un irragionevole principio di sospetto, è sempre presupposta la massima gravità dell’agito, ma questo è fatto a danno di una forma costituzionalmente riconosciuta per la sua funzione sociale come la cooperazione.

Questo non significa di certo impunità o indulgenza di fronte alla responsabilità sulla base di un favor aprioristicamente attribuito; ma evidenzia come la funzione costituzionale della cooperazione consiglierebbe di pensare ad un impianto sanzionatorio non scoraggiante e richiederebbe (per quanto il tema sia trattato solo in modo indiretto nella Sentenza) di ripensare in termini promozionali l’impianto incentivante. Insomma, in sostanza, si consegna al legislatore un chiaro indirizzo a ricordare la funzione sociale che la Costituzione attribuisce alla cooperazione e ad agire di conseguenza per incoraggiare i cittadini a contribuire in tale forma alla realizzazione degli interessi pubblici.

È una sentenza decisa e spiazzante rispetto agli indirizzi che da più di due decenni ispirano la maggior parte delle politiche e che si fondano sul principio di neutralità istituzionale e di competizione: in altre parole, laddove sia necessario mobilitare risorse ed energie per un interesse pubblico (ne è un esempio il PNRR o altri casi di pianificazione) il legislatore si concentra sulla definizione di obiettivi e finalità non occupandosi di quali soggetti non pubblici potranno essere coinvolti: chi vorrà cimentarsi con tale sfida – sembra dire il legislatore - lo farà, si sceglierà il migliore e questo è tutto.

Un’eccezione che conferma la regola è il dibattito sviluppatosi intorno all’art. 55, il cui fondamento è nel ruolo di interesse generale degli Enti di Terzo settore: “un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato” scriveva la Corte nella sentenza 131/2020, dove agli ETS “è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell'interesse generale”, realizzando così “per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell'azione sussidiaria” di cui all’art. 118 della Costituzione. Ebbene, di fronte al potente richiamo in tal senso da parte della Corte, non sfidabile in termini frontali, si assiste ancor oggi ad una resistenza amministrativa – un chilling effect all’ennesima potenza – di cui si è trattato alcuni giorni fa. Tanto è difficile pensare che uno specifico soggetto, in forza delle sue caratteristiche istituzionali, possa partecipare in modo accanto alle istituzioni alla realizzazione dell’interesse generale.

La Corte evoca quindi un visione della Costituzione come Carta viva, auspicando che il legislatore sia in grado di coglierne le istanze trasformative; e così la promozione della cooperazione - come del Terzo settore e dell'amministrazione condivisa - fanno parte di un progetto di costruzione di una società democratica, partecipata e sussidiaria che le istituzioni debbono sentirsi impegnate ad edificare.

Carlo avrebbe apprezzato

L’idea che le caratteristiche istituzionali di un soggetto – le sue finalità statutarie, la sua governance, il regime di distribuzione degli utili, ecc. – lo rendano più o meno adatto ad una certa funzione risulta ostico per l’economista mainstreaming. Tanto l’approccio istituzionalista è intrigante in sede convegnistica, tanto è ignorato in sede di definizione delle politiche, anche contro ogni evidenza, anche contro ogni buon senso. Carlo Borzaga, economista istituzionalista, fu tra i pochi contemporanei nel suo ambito disciplinare ad argomentare come il meccanismo della competizione non fosse il regolatore ottimale nella regolazione dei sistemi di welfare (L’art. 55: come liberare il Terzo settore e i servizi sociali dalla schiavitù della concorrenza), connotati di ampi spazi di asimmetria informativa. Sul fronte dell’integrazione lavorativa scrivemmo insieme l’editoriale L’inserimento lavorativo, malgrado le politiche, evidenziando come le cooperative sociali di inserimento lavorativo fossero state misconosciute in tutte le grandi azioni di politica del lavoro intraprese da governi di colore politico diverso, sempre per il medesimo vizio: di ritenere le forme d’impresa indifferenti, da cui l’estrema timidezza nell’individuare la cooperazione come partner nelle politiche pubbliche.

Soprattutto nell’ultima parte della sua vicenda umana e intellettuale, rimise la cooperazione al centro della sua riflessione, proprio a partire dalle specificità istituzionali che oggi la Corte richiama nella sentenza 116/2025. Non penso che nell’ultimo ventennio di ubriacatura mercatista gli sia capitato di leggere un’espressione alta e autorevole che riafferma con chiarezza la pregnanza dei meccanismi istituzionali e la necessità che le politiche li considerino. Ma penso avrebbe assai apprezzato.

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Gianfranco Marocchi

Impresa Sociale

Nel gruppo di direzione di Impresa sociale, è anche vicedirettore di Welforum.it. Cooperatore sociale e ricercatore, si occupa di welfare, impresa sociale, collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore.

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