Spazi collaborativi per l'innovazione sociale, imprese sociali che reinventano i principi della cooperazione attraverso strategie di piattaforma e forme di azionariato diffuso e molto altro: questo è il Mezzogiorno. Dalla rete tra queste iniziative e le amministrazioni locali può passare una strategia di rilancio del Mezzogiorno.
Il nuovo mandato ministeriale per il Sud e la Coesione Territoriale è un importante occasione per rompere finalmente con il passato e le cose che non hanno funzionato nella lunga e controversa discussione sulle politiche per il Sud. Non è un caso che le politiche per il sostegno del mezzogiorno sperimentate finora siano servite a poco. Non perché non fossero abbastanza incisive o motivate, ma perché hanno tralasciato la componente umana e sociale dello sviluppo. È generalmente riconosciuto come dopo una stagione di contrazione del welfare state (in Italia collegato al ridimensionamento del Fondo nazionale per le Politiche Sociali (De Leonardis et al., 2017: 198-199), e del welfare locale in molte regioni e città europee (Meridione compreso) abbiamo assistito alla ripresa di un attivismo civico “dal basso” che, se per alcuni versi richiama esempi di solidarietà e mutualismo del Novecento, per altri si declina e viene facilitato dalla diffusione capillare delle nuove tecnologie. Questo attivismo, di segno certo differente dalle forme più tradizionali di produzione privata di beni pubblici (es. terzo settore), si struttura in modalità diverse tra loro, tra le quali nuove forme di impresa o di approcci imprenditoriali alle politiche pubbliche. Ci si riferisce a questi fenomeni politici, sociali e organizzativi sempre più spesso con il termine innovazione sociale, ossia “ricombinazione creativa dei fattori di produzione, lavoro e responsabilità di governance tra istituzioni, imprese e organizzazioni di natura diversa.” L’utilizzo di approcci imprenditoriali in risposta a complessi problemi sociali è diventato in queste esperienze uno strumento per la ricerca di soluzioni non solo più efficaci, efficienti, sostenibili o “giuste” di quelle esistenti, ma altresì indirizzate a produrre valore e cambiamento per la società nel suo complesso, piuttosto che per i singoli individui che l’hanno sviluppata (rif: Open Book of Social Innovation). Parliamo di progetti ancora lontani dallo spostare percentuali di PIL, ma che contribuiscono vigorosamente alla ridiscussione dei modelli di sviluppo in senso alternativo e coesivo. I protagonisti di queste esperienze sono soggetti ibridi, spesso a cavallo tra profit e non-profit, nati nel cuore della crisi per rispondere a bisogni sociali emergenti ma anche per creare opportunità̀ di autoimpiego. Hanno una forte vocazione imprenditoriale ma sono portatori di istanze trasformative quasi militanti ovvero che “attivano soluzioni di piccola scala e adattabili ai bisogni della loro comunità, affrontando le sfide sociali” (rif. Agenda Urbana Europea 2016 https://ec.europa.eu/futurium/en/urban-agenda ).
Appartengono a queste categorie gli spazi collaborativi per l’innovazione sociale, i community hub, i laboratori di fabbricazione digitale nati dal basso per iniziativa di comunità di city makers, ma anche le imprese sociali che provano a reinventare i principi della cooperazione attraverso strategie di piattaforma e forme di azionariato diffuso. Non hanno una precisa connotazione generazionale, anche se i giovani sono al contempo i principali protagonisti e i principali fruitori. Di certo rappresentano degli spazi di approdo naturale per le giovani progettualità in cerca di spazi, di alleanze e di sostegno. Alcune recenti ricerche hanno evidenziano il legame tra il proliferare di queste realtà e la sovrabbondanza di capitale umano altamente istruito e sottoutilizzato (a questo proposito guardare alla ricerca di Manzo e Ramella I nuovi artigiani digitali, Il Mulino del 2016).
Il Sud Italia è ricco di iniziative di questo genere che, al di sotto dei radar della politica nazionale, propongono quotidianamente una nuova visione di coesione e sviluppo economico costruita al di fuori dalle luogotenenze ministeriali, dai patti per il sud e dei contratti d’area così come radicalmente distante dalle politiche interventiste. Riportiamo qui alcuni esempi applicati ai diversi settori delle politiche di coesione:
La proposta operativa è questa: facciamo in modo di chiamare all’azione queste esperienze. Proviamo a metterle in rete con le amministrazioni locali che vogliono mettersi in gioco per potenziare il contributo che queste iniziative possono avere nei territori di riferimento.
Sarebbe interessante esplorare la possibilità di lanciare un fondo di innovazione dedicato al sud, capace di generare un fertile scambio tra società e istituzioni, di mutuo apprendimento e scambio di buone pratiche, lavorando sia con le città metropolitane e i capoluoghi di provincia di medie dimensioni, ma anche con le aree interne. Lanciamo un fondo in cui le PA dovranno collaborare con coalizioni di attori emergenti interessati a sviluppare progetti capaci di produrre un impatto sociale sia in termini di outcomes sulla qualità della vita nelle comunità di riferimento che output in termini di ricadute economiche e sociali misurabili come opportunità professionali e nuove imprese.
Sarebbe utile costruire un fondo lanciato tramite una call pubblica e trasparente, perché l’innovazione sociale si costruisce tramite processi aperti di allocazione delle risorse pubbliche, ingaggiando la più ampia platea possibile e costruendo comunità di pratiche ed ecosistemi di innovazione aperta, capaci di crescere nel tempo anche a indipendentemente dai trasferimenti pubblici.
I precedenti oggi esistono, si potrebbe ad esempio mutuare l’impalcatura tecnica già sperimentata dal Fondo per l’Innovazione sociale del Dipartimento della Funzione Pubblica combinate in questo caso con le risorse legate alle nuove risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; in particolare, con riferimento alla linea strategica di: Digitalizzazione, all’innovazione e alla competitività del sistema produttivo (46,3 MLD) oppure al pillar relativo a Inclusione e Coesione (27,6 MLD) a seconda della coerenza con gli obiettivi politici di coesione territoriale e di un rilancio del sud basato sull’innovazione sociale. Occorrerebbe guardare inoltre alla nuova programmazione 2021-2027 si potrebbe far riferimento alle line strategiche del Fondo Sociale Europeo (FSE+) con particolare riferimento alla linea di investimento su Employment and Social Innovation (EaSI), Uno strumento finanziario europeo (da 676 ML) che punta a promuovere un elevato livello di occupazione sostenibile e di qualità, garantire una protezione sociale adeguata e dignitosa, combattere l'emarginazione e la povertà e migliorare le condizioni di lavoro.
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