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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Un nuovo dossier!
data:  29 marzo 2020

Dossier Innovazione sociale - Introduzione

Redazione

Tra i concetti più frequentemente evocati da studiosi, policy makers e leader di settore, ma anche tra quelli più vaghi. Da una sua solida ricostruzione derivano indicazioni utili alla comprensione dei fenomeni innovativi e alle politiche.


L’innovazione sociale è sicuramente tra i concetti più frequentemente evocati da studiosi, policy makers e leader di settore nel decennio che segue l’inizio della crisi economica; ma il termine poggia su definizioni vaghe e basate su presupposti spesso non adeguatamente esplicitati. Gli autori dei saggi inseriti in questo dossier hanno provato, a partire dalle molte definizioni proposte, a far emergere elementi comuni e trasversali utili a ricostruire da una parte a far dialogare tra loro gli sforzi teorici dei diversi autori, dall’altra ad estrarre un nucleo comune di pensiero sul quale basare futuri sviluppi. L’esigenza è in altre parole quella di ricostruire e di ricomporre un quadro coerente, dopo anni in cui di innovazione sociale si è parlato molto, ma spesso in modo poco profondo e disordinato; e, come fatto negli ultimi articoli, di provare a mettere in relazione queste elaborazioni teoriche con alcune questioni di policy.

Il filo rosso su cui è costruito questo dossier parte da alcuni contributi che propongono percorsi trasversali, utili al lettore per orientarsi tra le diverse teorie, individuandone punti di contatto e differenze, aspetti caratterizzanti ed elementi di indeterminatezza, oltre ad avanzare, ad esito di tali operazioni di rilettura, le proposte di ciascun autore circa gli elementi ritenuti più rilevanti.

Tali contributi, inoltre – in particolar modo quello di Busacca – consentono di dare profondità al dibattito sull’innovazione sociale, collocandolo in una prospettiva storica; questo ci aiuta a vedere in una prospettiva diversa anche le formulazioni più recenti, a relativizzare, dal momento che, al di là dell’enfasi odierna, possiamo ben dire che almeno negli ultimi duecento anni, ogni epoca ha avuto la propria dottrina sull’innovazione sociale, in risposta ai quesiti e alle urgenza che ciascuna fase storica ha posto.

Montanari, Rodighiero, Sgaragli e Teloni hanno proceduto in questo modo: confrontando tra loro diverse definizioni di innovazione per estrarre un numero limitato di dimensioni, poi raggruppate a loro volta in categorie. Il quadro che ne risulta si basa su sei categorie – obiettivi, caratteristiche chiave, condizioni sistemiche, approccio, processo e governance – ciascuna delle quali comprende alcune dimensioni (ad esempio gli obiettivi riguardano la finalità sociale o il risultato socialmente apprezzabile; le condizioni possono riguardare l’ecosistema in cui l’esperienza di innovazione è inserita o il capitale umano, ecc.), formando così un quadro complessivo degli sforzi teorici con cui si è tentato di inquadrare il fenomeno, dal quale gli autori provano a dedurre alcune possibili indicazioni di policy.

Trasversali ai diversi approcci teorici all’innovazione sociale - approccio sistemico, approccio pragmatico, approccio manageriale, approccio critico - vi sono secondo Lampugnani e Cappelletti tre elementi, che le diverse teorie trattano pur con diversi gradi di profondità: cosa sia “innovativo”, i bisogni cui si risponde, i processi e le relazioni sociali attivate. Soprattutto questo ultimo elemento appare qualificante e i diversi approcci sembrano condividere il fatto che l’innovazione sociale si caratterizzi per una trasformazione che migliori la condizione delle fasce svantaggiate della popolazione rendendole maggiormente protagoniste: in altre parole, non un miglioramento derivante da un mero processo distributivo, ma da un’azione di empowerment. Pur con terminologie e riferimenti culturali diversi tutte le teorie sull’innovazione sociale esaminate fanno riferimento a forme – per usare le parole di Sen e Nussbaum – di capacitazione e quindi, concludono Lampugnani e Cappelletti, di generatività, nel senso che individui “capacitati” sono a loro volta risorse per la società.

L’innovazione sociale è un concetto di grande forza evocativa, ma poco chiaro e non privo di ambiguità e retorica; per questo Busacca lavora alla ricostruzione di questo concetto, a partire dalla sua collocazione in una prospettiva storica evolutiva che ne trova le radici ben prima dei lavori che nel Regno Unito a metà degli anni Novanta hanno dato il via a questo dibattito. Le proposte degli innovatori sociali hanno accompagnato i processi di trasformazione a partire dall’Ottocento sino al secondo dopoguerra, assumendo a seconda dei periodi sguardi e accenti diversi, sino agli approdi recenti in cui da una parte alla ricerca di nuovi spazi concettuali da parte di una sinistra orfana del socialismo, dall’altra dalla crisi economica iniziata nel 2008 rimettono questo tema al centro del dibattito, sino a farlo diventare “un ombrello onnicomprensivo che intercetta contemporaneamente le soluzioni di welfare, l’empowerment dei cittadini e l’uso sociale delle innovazioni tecnologiche”. Questo processo, continua Busacca, porta però ad una considerazione a-critica dell’innovazione, a non vederne gli effetti problematici, a valutare positivamente il “nuovo” rispetto al “vecchio” senza un’analisi delle implicazioni delle diverse soluzioni, a sopravvalutare le componenti tecnologiche. Si sente quindi il bisogno di una innovazione che recuperi, grazie ad una prospettiva storica la originaria vocazione “sovversiva”, e si ponga obiettivi trasformativi: che abbia la capacità quindi di immaginare assetti sociali diversi.

Montanari e Mizzau affrontano il tema del “luoghi di innovazione”: incubatori, co-working, ma anche spazi collaborativi informali che si presentano come spazi di supporto, comunicazione e sperimentazione dell’innovazione, punto rilevante di un ecosistema territoriale di risorse (infrastrutture, tecnologia, relazioni, ecc.) che possono favorire la realizzazione e diffusione di un’innovazione; la loro valenza riguarda innanzitutto lo scambio di idee, che può avvenire sia in modalità strutturate che nell’incontro casuale facilitato dalla condivisione di spazi. Fab-lab, co-working, incubatori, living lab, spazi sociali sono descritti nelle loro caratteristiche distintive; sono spesso sostenuti da policy pubbliche a fronte delle ricadute positive loro attribuite, anche se una riflessione compiuta sugli elementi e le caratteristiche – rispetto a governance, attività da svolgere, layout fisico e modelli di coinvolgimento - che possono generare effettivi benefici pubblici sono in parte da esplorare. Montanari e Mizzau indicano comunque alcuni aspetti nodali: un luogo deve equilibrare chiarezza dell’obiettivo e varietà delle competenze, orientamento alla sostenibilità e al valore sociale e deve essere ben radicato nell’ecosistema di riferimento.

Accanto ad incubatori, co-working e altri “luoghi di innovazione”, tra i temi più frequentemente oggetto di confronto in questo dibattito vi è il ruolo delle startup e delle relative politiche di sostegno: è diffusa la convinzione che sostenere startup innovative sia tra le politiche più efficaci per promuovere l’innovazione, anche sociale. Un articolo di Gianluca Salvatori prova ad affrontare questo tema in modo critico, mettendo in luce alcuni aspetti controversi sia sull’effettivo impatto di queste politiche nel contesto italiano, dove l’esito imprenditoriale e occupazionale appare limitato, sia in contesti, come quello inglese, dove i casi di successo appaiono più elevati.

Alla fine di questo percorso, è utile mettere un punto fermo su alcuni concetti, spesso tra loro confusi. Non necessariamente le imprese sociali sono innovative, perché possono anche, laddove ciò risponda ad un bisogno sociale, riproporre soluzioni già realizzate da altri; e non necessariamente l’innovazione sociale è messa in atto da imprese sociali, ma anche da soggetti diversi: dunque si tratta di due termini che presentano sicuramente aree di sovrapposizione, ma che sarebbe scorretto considerare come coincidenti, o ritenere che l’uno includa l’altro. Così esordisce Carlo Borzaga in un articolo che fa ordine sulla relazione tra impresa sociale e innovazione sociale, concetti talvolta confusi anche nei documenti dell’Unione Europea. Ma è vero, d’altra parte, che, al di là delle attività svolte, l’impresa sociale è di per sé innovazione sociale, nel suo farsi carico in modo imprenditoriale di bisogni sociali sino ad alcuni decenni fa affrontati solo da pubbliche amministrazioni o, in ambito della società civile, dal volontariato caritativo; e in questo modo l’impresa sociale ha aperto ad un modo nuovo di concepire l’impresa, attenta al contesto sociale in cui opera e non solo alla ricerca di profitto. Insomma, l’innovazione sociale non riguarda solo i prodotti e nemmeno solo i processi, ma anche le forme istituzionali e, di conseguenza, i tipi di relazioni che le istituzioni instaurano tra loro.

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