Quando "Mafia Capitale" getta discredito sul mondo cooperativo la prima risposta, centrata sull'isolare le responsabilità dei soggetti coinvolti, non ha successo. Si sceglie quindi una strategia diversa, ridiscutendo il modo in cui i valori cooperativi erano stati interpretati negli anni precedenti.
Mafia Capitale è stato tra gli eventi più traumatici per la cooperazione sociale, ritrovatasi in pochi giorni stigmatizzata come luogo di clientelismo e illegalità. Di fronte a questa situazione, una prima strategie difensiva del mondo cooperativo è consistita nel tentare di separare l'immagine delle cooperative coinvolte da quella della restante parte del mondo cooperativo, rivendicando la propria diversità; ma questo non ha avuto successo tra gli stakeholder, tra i quali persisteva al diffidenza. Si è quindi scelta una strada diversa che ha portato ad una profonda ridiscussione dell'equilibrio tra istanza di sostenibilità economica e obiettivo sociale che - anche prescindendo dai fenomeni specifici di illegalità, si era squilibrata a favore della prima polarità. Nuovi equilibri nel mondo cooperativo, una rinnovata attenzione alle sensibilità dei "custodi" - i soggetti maggiormente ancorati ai valori cooperativi - hanno portato ad una ridiscussione profonda da cui il movimento cooperativo è uscito rafforzato.
Impresa Sociale ne parla con Riccardo Maiolini e Francesco Rullani, due degli autori del saggio "La sfida del discredito: la risposta strategica del movimento cooperativo sociale a Mafia capitale" pubblicato sul numero 2/2025 di Impresa Sociale.
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