Il 30/6 molti ETS pubblicheranno i dati sui rapporti finanziari con la PA. Spesso gli "obblighi di trasparenza" diventano liturgie inutili, puntive e confusive: una "opacità per confusione", dalla quale la Corte costituzionale, su altri piani, ha già messo in guardia.
Nonostante l’epidemia, entro il 30 giugno, una platea assai vasta di soggetti senza fine di lucro dovrà rendere noto alcuni dati concernenti i rapporti finanziari con la pubblica amministrazione. Lo stabilisce l’art.1, comma 125 della legge n. 124 del 2017.
A costo di essere noiosi, conviene ricordare chi è obbligato e l’oggetto dell’obbligo.
Sono obbligati alla pubblicazione le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque Regioni individuate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale; le associazioni e le fondazioni (indipendentemente dall’iscrizione ad uno dei registri attualmente istituiti); tutti i soggetti che hanno assunto la qualifica di ONLUS (incluse le cooperative sociali); le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Già da questa rassegna, si comprende l’estrema caoticità dell’elencazione contenuta nella legge.
Ma che cosa pubblicare? Si è tenuti a pubblicare nei siti internet o analoghi portali digitali (incluso facebook), le informazioni relative a sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, agli stessi effettivamente erogati nell'esercizio finanziario precedente dalle pubbliche amministrazioni, qualora complessivamente siano superiori a diecimila euro. Per ciascuna somma, devono essere indicate una serie di informazioni minime (denominazione e codice fiscale del soggetto che ha ricevuto il vantaggio; denominazione del soggetto che lo ha erogato; somma incassata (per ogni singolo rapporto giuridico sottostante); data di incasso; causale).
Se, in alcuni casi, ciò può apparire abbastanza pacifico, in altri casi non lo è affatto. E non lo è per il soggetto ricevente, così come per quello pubblico erogante. Appare, pertanto, scontato che sarà applicato il principio “nel dubbio, pubblicare”. Anche perché, a partire dal 1 gennaio 2020, l'inosservanza degli obblighi comporta una sanzione pari all'1 per cento degli importi ricevuti con un importo minimo di 2.000 euro, nonché la sanzione accessoria dell'adempimento agli obblighi di pubblicazione. Decorsi novanta giorni dalla contestazione senza che il trasgressore abbia ottemperato agli obblighi di pubblicazione e al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria, si applica la sanzione della restituzione integrale del beneficio ai soggetti eroganti (proprio così!).
Se poi si esercita una attività di impresa, si è tenuti a pubblicare nelle note integrative del bilancio di esercizio e dell'eventuale bilancio consolidato gli importi e le informazioni relativi a sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, agli stessi effettivamente erogati dalle pubbliche amministrazioni.
Con il decreto-sicurezza (decreto-legge n. 113/2018), infine, il carnet si completa con una serie di obblighi specifici per le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Si tratta di una disposizione molto problematica sotto il profilo interpretativo, che riguarda le sole cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri. Esse sono tenute a pubblicare trimestralmente nei propri siti internet o portali digitali l'elenco dei soggetti a cui sono versate somme per lo svolgimento di servizi finalizzati ad attività di integrazione, assistenza e protezione sociale. La disposizione non precisa però né quando decorra l’obbligo trimestrale (ogni trimestre a decorrere da quando?), né quali siano i dati oggetto di pubblicazione (mero elenco nominativo o indicazione delle somme?), né cosa si intenda per “servizi finalizzati”. È evidente che si tratti di una disposizione che solo apparentemente persegue una finalità di trasparenza, ma che – in verità – mira a “punire” un settore di attività, rendendo più difficile intraprendere iniziative.
Sono obblighi che si aggiungono rispetto a quelli del Codice del Terzo settore, del d.lgs. n. 33/2013 in tema di trasparenza ed alle altre discipline di settore. Essi si riducono a mere liturgie annuali, stancamente celebrate e altrettanto pigramente seguite. Infatti, si tratta di adempimenti che non accrescono né la capacità rendicontativa degli enti, né la base informativa a disposizione della P.A. (che potrebbe agevolmente ricavare i medesimi dati dalla sezione trasparenza dei propri siti internet), né, infine, offrono elementi utili per i terzi portatori di interesse, per gli utenti, per gli stakeholder. Si potrebbe dire che è una “pubblicità” senza trasparenza: una ostentazione di dati che non informano.
Addirittura, anziché rafforzare la reputazione degli enti attraverso la trasparenza, finiscono per comprometterla: infatti, talvolta, la pubblicazione così rozza di una sequela di dati, senza un adeguato apparato esplicativo sugli output o outcome realizzati, le condizioni di contesto, i rapporti esistenti con la P.A. finisce per offrire delle rappresentazioni distorte. Una impresa sociale, operante nel settore sanitario, mi riferiva che dopo la pubblicazione dei dati riferiti al 2018, avvenuta nel 2019, aveva subito una raffica di richieste di precisazioni da parte della stampa per l’abnorme afflusso di risorse pubbliche in quell’anno. Peccato che si trattasse di pagamenti della P.A. (registrati secondo il criterio di cassa), a fronte della stipula di un regolare contratto pubblico alle tariffe previste dalla Regione, ma riferiti agli anni 2016-2017, effettuati in vistoso ritardo. A quell’impresa sociale, quindi, si sarebbe dovuto rivolgere un plauso, per aver resistito così.
Insomma, appare ineludibile un riordino degli adempimenti legati alla trasparenza.
Un riordino pensato nella prospettiva dell’obiettivo che si intende raggiungere e dei destinatari che si vuole informare. Non è più tollerabile che vengano invocati ed affastellati obblighi (e sanzioni pesanti!), senza un criterio. A volte la stratificazione è avvenuta per caso, nel disinteresse generale; altre volte, invece, è frutto di un disegno preordinato a “colpire” determinati settori o soggetti. L’esito è, in ogni caso, molto confuso e contraddittorio.
La Corte costituzionale, sebbene riferendosi agli obblighi pubblicitari nella P.A., ha affermato di recente che si corre seriamente «il rischio è quello di generare “opacità per confusione”, proprio per l’irragionevole mancata selezione, a monte, delle informazioni più idonee al perseguimento dei legittimi obiettivi perseguiti». È un monito da tenere seriamente in considerazione per evitare che, anche attraverso una trasparenza senza criterio, si delegittimi il Terzo settore.
Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.
Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.