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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  5 minuti
Argomento:  Ricerca empirica
tag:  Dati
data:  21 maggio 2023

Censimento e indagine campionaria Istat sulle istituzioni non profit (2020-2021): primi risultati

Renato Frisanco

Nei giorni scorsi sono stati presentati i primi risultati del Censimento Istat sulle Istituzioni Non Profit, una categoria che forse comprende fenomeni tra loro troppo diversi per risultare effettivamente pregnante. 


Il 10 maggio scorso l’Istat ha presentato i primi risultati della rilevazione multiscopo legata al Censimento permanente delle istituzioni non profit (INP). I dati strutturali di queste (numero, distribuzione per forme organizzative, posizione geografica, settori di attività) risalgono a fine 2020, mentre quelli sugli approfondimenti tematici (attività prevalente, destinatari, dimensioni economiche, reti di relazioni, comunicazione raccolta di fondi, innovazione sociale, digitalizzazione, responsabilità sociale e obiettivi di sviluppo sostenibile) si riferiscono all’anno 2021, così come i dati sui volontari.

L’Istat ha costruito il campione a partire dalla conoscenza dell’universo: 363.499 INP note ai diversi Registri amministrativi nel 2020, universo che è in grado di aggiornare ogni anno. La rilevazione campionaria ha coinvolto circa un terzo di questo universo, 110 mila unità, ma al questionario ha risposto il 61% del campione, vale a dire poco più di 67 mila unità, così che le 363 mila INP sono rappresentate da una quota non superiore al 18,5%. Non si potrebbe lavorare su un campione più esteso?

Veniamo brevemente ad alcune prime evidenze della rilevazione a cominciare dalle sue macro-indicazioni: l’andamento del fenomeno è in una fase di rallentamento per quanto riguarda la crescita delle INP (+0,2% rispetto allo 0,9% del 2019 e al 2,6% del 2018, mentre la crescita dei dipendenti è stazionaria e costante negli ultimi anni (+1%); vi è invece un regresso per quanto riguarda i volontari e la loro presenza nelle INP.

Rispetto al 2015 “mancano” 870 mila volontari (-15,7%) e sono presenti nel 72% delle INP rispetto all’80% della precedente indagine. La componente femminile dei volontari cala meno, ma è minoranza rispetto alla componente maschile (57,5%).

Il calo si verifica paradossalmente dopo che la Riforma del Terzo settore ha posto un’enfasi particolare sull’azione volontaria dei singoli nei diversi enti di terzo settore, senza mettere peraltro in luce le reali peculiarità delle OdV e ampliandone piuttosto le potenzialità produttive (fino ad un rapporto di 1 a 1 tra volontari e remunerati), dopo aver abrogato la legge 266.

Per altro sappiamo che la definizione di volontario mutuata dall’Istat è diversa da quella della “Carta dei Valori del volontariato” per la quale nel volontario coesistono tre requisiti necessari: spontaneità, solidarietà e gratuità. Spesso invece, soprattutto nelle INP che svolgono attività di generica “utilità sociale” o di “solidarietà corta” che soddisfano gli interessi comuni degli associati, troviamo “volontari dimezzati”, che operano, ad esempio, gratuitamente ma non solidaristicamente o viceversa.

Per settori di attività prevalente vi è una concentrazione nei tre comparti delle attività tipiche del tempo libero: sport, in primis, attività culturali e artistiche e attività ricreative e di socializzazione che insieme concentrano il 63,1% di tutto il fenomeno. Poi vi sono i settori di welfare: “assistenza sociale e protezione civile” (non sarebbe meglio separare i due settori?), in primis (9,9%) e sanità (3,5%), seguono “relazioni sindacali e rappresentanza di interessi” (6,8%) e “religione” (4,7%).

Tra il 2015 e il 2021 si nota qualche variazione circa il settore di attività prevalente per le unità dove sono presenti i volontari: crescono nella “sanità”, ma rivelano una relativa diminuzione in: “assistenza sociale e protezione civile”, “tutela dei diritti e attività politica” (non sarebbe meglio separare i due settori che oggi non vanno più tanto insieme?), “ambiente”, “istruzione e ricerca”, “cooperazione, solidarietà internazionale”, mentre fa un balzo in avanti “religione” (dal 3,1% al 6,5%). Calano un po' anche le unità con “volontari” (a indennizzo) che erogano sportive e ricreative.

Il dato più problematico è il calo di INP orientate al disagio tra il 2015 e il 2021: dal 21,7% al 13,5% (1 INP su 7), mentre crescono le unità orientate alla collettività in generale (dal 78,3% all’86,5%), per lo più non caratterizzate da un impegno solidaristico, trattandosi di attività ricreative, sportive, culturali e artistiche, se non proprio religiose, per non parlare degli enti come partiti e enti di rappresentanza.

Per quanto riguarda le categorie di disagio assunte, prevale l’area delle persone con una disabilità (per il 55,8% delle INP) seguita dalle persone in difficoltà economica e/o lavorativa (32,9%) e di chi ha un disagio psico-sociale (31,2%). Bassa, il 12,9%, appare la componente di INP che si occupa di immigrati e minoranze etniche rispetto ad un fenomeno incrementale da diversi anni.

Sembra che con la diminuzione dei volontari venga meno anche la tensione ad operare a favore delle fasce più disagiate della popolazione, normalmente l’ambito privilegiato per chi svolge attività di volontariato.

Rispetto alla distribuzione geografica delle INP, si conferma la sua concentrazione nel Nord del Paese (53,9%), anche se dal 2018 crescono di più al Sud che nelle altre aree; nel Nord-est vi è la maggiore densità di INP rispetto alla popolazione: 1.165 unità per 10 mila abitanti, rispetto alle 492 del Sud.

Cosa ci dice di nuovo questa rilevazione rispetto alle precedenti in termini di lettura dell’articolato fenomeno del non profit? Nulla di nuovo perché anche i risultati di questa indagine campionaria sono “contaminati” dal fatto di rappresentare un calderone eterogeneo di soggetti, molto diversi tra loro: vi sono quelli che hanno come requisiti solo la natura privata e il non scopo di lucro, vi sono quelli che aggiungono l’operare per l’interesse generale, o lo scopo esclusivo o prevalente di solidarietà. Anche questa volta non è ancora possibile poter leggere i dati per i diversi aggregati: il comparto del Terzo settore, il sotto-comparto delle “organizzazioni di volontariato”, così come delle associazioni di promozione sociale o delle Fondazioni, ecc., in modo da permettere un’analisi più articolata di un fenomeno prismatico e soddisfare così una domanda differenziata di conoscenza.

Non a caso il dirigente dell’ISTAT intervenuto a chiusura della presentazione dei dati ha preso atto che “la definizione del non profit è così variegata che rende difficile analizzare questo mondo, cioè nel non profit non ci sta solo la polisportiva del quartiere, o la Comunità di Sant'Egidio, ma ci sono anche i partiti, c'è Confindustria, quindi è un mondo in cui ci si rivolge ai propri associati che possono essere appunto degli industriali, oppure ad una categoria debole, ai malati di una malattia rara oppure all'intera collettività”.

Questo determina il rischio di fraintendimenti lessicali. Nella presentazione del 10 maggio lo si è potuto constatare negli interventi dei relatori che si sono succeduti ai ricercatori dell’Istat. Alessandro Lombardi, dirigente che tra le altre cose è responsabile del RUNTS, si è riferito al “Terzo settore” (15 citazioni) che, come si è visto, è un sottoinsieme delle istituzioni non profit, un altro relatore si è riferito alla generalità delle INP come “volontariato” (21 citazioni), mentre il dirigente della Comunità di Sant’Egidio menzionava il fenomeno dell’“associazionismo” in generale.

I dati ISTAT quindi ci permettono di leggere genericamente un fenomeno ibrido, perché ancora non veniamo a conoscere le proporzioni reali del Terzo settore – distinto dal restante non profit – con le sue specifiche dinamiche, così come il profilo delle sue diverse componenti e la relativa evoluzione nel tempo. In una pubblicazione di tre anni fa l’Istat aveva provato a dimensionare le unità del Terzo settore nel Lazio che, secondo la definizione mutuata dal Codice, rappresentavano nella regione non più del 22,7% del totale delle INP (dato 2015). Perché non continuare questa analisi almeno su scala nazionale?

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Renato Frisanco

Renato Frisanco, sociologo, svolge attività di ricerca nel campo delle politiche sociali, del volontariato e del Terzo settore. Ha diretto la prima banca dati sulle organizzazioni di volontariato per la Fondazione Italiana per il Volontariato (FIVOL) e ha fatto parte dell’Osservatorio Nazionale del Volontariato istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

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data:  21 maggio 2023
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