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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  6 minuti
Argomento:  Policy
data:  17 dicembre 2020

Città-porto, blue economy, contaminazione e impresa sociale

Antonio Scattaglia

Dalla città-porto, cluster socio-culturale per natura, possono trarsi modelli e best practices che combinano sviluppo locale, azioni di integrazione e blue economy, aprendo spazi di innovazione in cui le imprese sociali possono giocare un ruolo rilevante, come già sta avvenendo in alcune esperienze.


Sulla città-porto

La città-porto rappresenta -per definizione- l’esigenza di integrazione fra infrastruttura portuale e tessuto urbano. Per questo, la città è il “tavolo di confronto” per saggiare l’efficacia delle decisioni politiche, aspirando ad una sintesi delle istanze promosse dai suoi attori.

La maggiore difficoltà nella gestione di siffatto contesto sorge, senza dubbio, dalla prevenzione e composizione dei conflitti sociali.

In tal senso, la conditio sine qua non per il governo della città-porto consiste nella ricerca di una compenetrazione funzionale fra i protagonisti della complessità cittadina. Una compenetrazione foriera di valore pubblico: che sia innovazione, in termini di sviluppo sociale ed economico.

La doverosa premessa, per affrontare la tematica in oggetto, è il frutto degli attenti studi che hanno ricostruito lo stretto rapporto tra innovazione spaziale e innovazione sociale, giustificando «lo stringersi del nesso fra terra e mare, la compenetrazione fra i traffici per mare e le economie e le forme sociali degli entroterra, il generarsi di hinterland»[1].

Le predette istanze sono frutto delle ricerche di carattere storico, relative al ruolo della città-porto, in una dimensione non solo economica, ma anche politica, con un focus sull’esperienza dei governi urbani, nel bacino adriatico[2].

Il punto di interesse principale consiste nel ruolo di crocevia che rivestono gli spazi “ibridi”, quelli portuali, in seno ai quali coesistono differenti culture, costumi, diritti e giurisdizioni.

E, data la configurazione di questi spazi quali spazi “ideali”, si rende possibile adottare gli stessi quali casi di studio, per misurare il grado di integrazione fra spazi urbani e attività marittime.

È inevitabile che il governo della complessità, in uno spazio simile, non possa che condursi in una forma sperimentale, orientata verso modalità inedite di cittadinanza e di confronto fra culture, protese –per natura- verso la mobilità.

Ebbene, l’indice di crescita delle città-porto è da sempre riconducibile all’alto livello di compenetrazione fra istanze eterogenee, in un circolo virtuoso di comunicazione e rapidi trasferimenti di saperi. Da qui, la formazione di una cittadinanza in crescita, “in itinere[3].

Sicché, dall’effettiva integrazione fra città e porto, traggono origine specifiche strategie di trasferimento e produzione delle conoscenze, nuove dinamiche di gestione della comunicazione, nonché nuove esperienze di cittadinanza e di governo dello spazio urbano.

Queste forme di condivisione configurano positivamente delle catene di innovazione, che afferiscono indistintamente tanto ai saperi e alla qualità della vita di cittadinanza, quanto alla realizzazione di modelli politici da applicare in vista di progettualità urbane.

A tal proposito, dagli studi sul governo della città emerge chiaramente l’efficacia del modello delle “reti”, il quale conferisce caratteri di ampia flessibilità ai sistemi urbani, nell’ottica di una gestione elastica ed efficace[4].

Progetti e obiettivi

Alla luce di quanto premesso, non può che rendersi indispensabile lo sviluppo di una progettualità urbana che qualifichi l’infrastruttura portuale quale valore aggiunto per il contesto cittadino, focalizzando l’attenzione sulle occasioni di “contaminazione”.

Un progetto lungimirante, in questo senso, non può trascurare il ruolo della blue economy nella definizione degli obiettivi progettuali per una città-porto.

Invero, il tema dell’economia blue [5] prende vita dai documenti programmatici dell’Unione europea sulla Crescita Blu (“Blue Growth”), nell’ottica di una valorizzazione sostenibile dei mari, degli oceani e delle coste europee per la creazione di nuovi posti di lavoro.

Il mare, secondo tale politica, si rivela risorsa inesauribile per lo sviluppo di servizi, in un’ottica di sostenibilità ambientale.

Nello specifico, con l’espressione blue economy si definisce la strategia afferente alle risorse marittime per il raggiungimento degli obiettivi proposti dalla strategia Europa 2020, condotta con l’auspicio di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

A proposito dello sviluppo delle risorse marittime, le comunicazioni della commissione europea individuano –quali ambiti specifici su cui intervenire- l’energia rinnovabile, la pesca, il turismo costiero e marittimo sostenibile e la bio-economia blu.

Con ciò, può ben cogliersi l’occasione della città-porto: quella di sviluppare una mission urbana conforme agli obiettivi della blue economy. A questo punto, in via preliminare, diventa fondamentale un cambio di prospettiva, con un passaggio da un approccio sistematico e settoriale, ad un approccio multidisciplinare, rispettoso della complessità.

Una visione grandangolare che si avvalga congiuntamente degli strumenti istituzionali, economici, logistici, urbanistici e sociologici.

In questa evoluzione, il ruolo delle imprese sociali diventa fondamentale, così come già avvenuto in alcune città-porto.

Sugli interventi.

La parola chiave nel lavoro di pianificazione di una città-porto deve, senza dubbio, essere “contaminazione”. Una contaminazione di istanze e culture differenti. Tuttavia, perché il risultato sia ottimale, è d’obbligo procedere per gradi.

In primo luogo, si rende indispensabile un processo di educazione della cittadinanza. Un percorso da intraprendere nel tentativo di migliorare la percezione del porto, nobilitando lo stesso agli occhi della comunità, affinché sia perfezionata la relazione fra porto e città.

Infatti, per la creazione di un contesto cittadino consapevole della propria identità, è senz’altro necessario il sorgere di una cultura della portualità.

Un’identità che si sviluppi parallelamente al maturare di una sensibilità marittima, adottando politiche conformi ai principi della blue economy.

Tali azioni non possono prescindere da interventi di carattere culturale, ad esempio, dedicando luoghi del sapere cittadino alla tematica marina, ovvero, educando la collettività sui principi dello sviluppo sostenibile.

L’esempio dell’acquario di Genova –da decenni- meta privilegiata per migliaia di turisti, sembra più che pertinente per indicare l’impatto che queste attività possono creare.

Differentemente, nelle città con porti a forte vocazione peschereccia, sarà opportuno un lavoro di incentivazione di pesca-turismo ed itti-turismo: esperienze turistiche che consentano ai fruitori di vivere con profondità il legame con il mare e il mondo della pesca.

A supporto degli obiettivi già illustrati, gli interventi attuati in altre città-porto illustrano le potenzialità delle imprese sociali, suggerendo ai players locali quali possano essere le best practice da replicare.

Sul fronte dell’integrazione, ad esempio, vi sono le esperienze dei tanti centri “Stella Maris” presenti nei porti italiani, riuniti nella Federazione Nazionale Stella Maris.

Nello specifico, le Associazioni “Stella Maris” si occupano di socializzazione e assistenza della “Gente di Mare”, offrendo servizi di welfare marittimo, rivolti –in particolar modo- a marittimi, pescatori, stranieri, nonché al personale delle navi da cargo.

In tal senso, nelle aree portuali dovrebbero concepirsi spazi che rappresentino l’emblema della contaminazione sociale, accomunati dal tema principale della blue economy: dei blue hubs. Contenitori che siano luoghi di promozione culturale, di sviluppo: aperti ad attività produttive e turistiche. Solo un minimo comune denominatore per la concessione di questi spazi: l’economia del mare.

Nondimeno, si rivelerebbe efficace la fondazione di cittadelle della scienza, in cui convogliare l’interesse dei turisti e della cittadinanza sulle tematiche marine.

Allo stesso tempo, dislocare le attività amministrative degli enti locali in aree portuali supporterebbe il “ripopolamento” urbano delle aree.

Ma non solo! Le strutture portuali potrebbero offrire occasioni di turismo costiero dal carattere esperienziale, a partire dalla predisposizione di strutture dedicate alla ricettività turistica.

Non può trascurarsi che proprio il turismo costiero, fra i comparti chiave della blue economy, risulta essere il più redditizio.

Fra i criteri cardine, per la concessione degli spazi, dovrebbe esservi l’intento di garantire la massima eterogeneità dell’utenza, affinché gli ambienti possano essere fruiti in toto, notte e giorno, con finalità diverse. In tal senso, diventerà inevitabile il processo di contaminazione sociale, da cui discenderanno le forme più aperte di innovazione sociale[6].

In secondo luogo, si deve intraprendere un’azione di city branding: l’adozione di un simbolo evocativo della forte connotazione portuale della città, che trasmetta il carattere tecnologico, innovativo e sostenibile del territorio.

Invero, può evincersi da numerosi studi scientifici il contributo fornito dalla creazione di un brand urbano, allo sviluppo di un cluster cittadino consapevole della propria identità.

 Quindi, senza dubbio, lo sviluppo di una città-porto passa dall’appartenenza identitaria della comunità, a beneficio della massima coesione sociale.

Ulteriore intervento indispensabile, per la fruizione della città-porto, deve necessariamente afferire alla mobilità. In tal senso, sebbene una mobilità lenta per le aree limitrofe all’infrastruttura portuale possa aumentare qualitativamente la fruizione degli spazi, allo stesso tempo, non può tralasciarsi la necessità di un collegamento efficiente con le zone di interesse industriale.

In ultimo, è doveroso porre l’attenzione su quello che è il primo impatto fra città e porto: il waterfront.

Inutile negare che, spesso, le aree circostanti l’infrastruttura portuale siano oggetto di degrado e abbandono; allo stesso tempo, si tratta dei luoghi in cui si è attestata prepotentemente l’idea del limite, della dicotomia fra porto e città.

Per questo, sono -senz’altro- fondamentali azioni di riqualificazione delle predette aree, volte ad eliminare i limiti fisici, emblemi di una demarcazione spaziale e sociale.

Nella città-porto, il waterfront deve rappresentare il punto di contatto principale, nel binomio porto-città: l’elemento di rinnovamento, tutela e sviluppo delle politiche[7].

Un simbolico acmè nel panorama della riappropriazione degli spazi urbani, l’estrema sintesi fra cittadinanza e operatori marittimi, un luogo di respiro per famiglie, pescatori, turisti ed attività commerciali.

Non può prescindere dal restyling del waterfront una riqualificazione delle aree prospicenti il porto, prediligendo destinazioni urbanistiche commerciali o culturali.

Come si anticipava, non di rado, insistono strutture con volumetrie inutilizzate che, auspicando una fruizione della cittadinanza, potrebbero ritenersi idonei alle finalità già indicate.

Anche in questo frangente, le imprese sociali possono assumere un ruolo propositivo, con azioni tese a trasformare il porto nel luogo –per eccellenza- di rilancio della città, così com’è successo a Genova.

Nella città di Genova, infatti, è stata svolta un’opera di riqualificazione della vecchia struttura dei magazzini di cotone, sita nel porto antico di Genova; un intervento che, dopo la ristrutturazione per le manifestazioni colombiane del 1992, ha restituito spazi preziosi alla fruizione della città. In quel contesto, si sono avviate attività di forte attrazione, anche con il coinvolgimento delle imprese sociali del territorio.

In particolare, grazie ad una co-progettazione attuata tramite una società pubblica - costituita congiuntamente da Camera di Commercio, Comune e Regione- si è data la vita al Polo dell’infanzia, in cui hanno trovato spazio la Biblioteca Internazionale per ragazzi “De Amicis”, così come la Città dei Bambini e dei Ragazzi. Proprio quest’ultima è gestita da un’impresa sociale, essendo nata con la collaborazione della Citè des Enfant de La Villette di Parigi, e costituisce -tutt’ora- un polo museale di edutainment: un punto di riferimento primario per le scuole e le famiglie, avendo contribuito a riportare, in un’area precedentemente ai margini della città, oltre centomila visitatori annui.

Conclusioni

Concludendo, sembra possibile immaginare il porto quale fulcro delle attività cittadine, per la pianificazione di una città-porto, anche replicando le best practices offerte dalle imprese sociali. Tuttavia, solo in una città attenta, coesa e aperta, fondata su politiche di sviluppo chiare e costruttive, potrà darsi vita a fenomeni di innovazione sociale legate al mondo della blue economy.


 

[1] B. SALVEMINI, Innovazione spaziale, innovazione sociale: traffici, mercanti e poteri nel Tirreno del secondo Settecento, in Lo spazio tirrenico nella ‘Grande trasformazione’. Merci, uomini, istituzioni nel Settecento e nel primo Ottocento, a cura di B. SALVEMINI, Bari, 2009, pp. V, IX.

2 A. TRAMPUS, K. STAPELBROEK, Commercial reform against the tide: Reapproaching the eighteenth-century decline of the republic of     Venice and the United Provinces in History of European Ideas, 2010, pp. 192.

3 A TRAMPUS, Città-porto, reti commerciali e circolazione delle notizie nel bacino portuale veneziano tra Settecento e Novecento, Trieste, 2019, pp. 1-21.

4 G. DIOGUARDI, Per  una scienza nuova del governo della città, Roma, 2017, p.199.

5 Commissione europea, Crescita blu: opportunità per una crescita sostenibile dei settori marino e marittimo, (COM(2012) 494 final), 2012.

6 KAVARATZIS M., From city marketing to city branding: an interdisciplinary analysis with reference to Amsterdam, Budapest and Athens,  2008, cap. V.

7 MARSHALL R., Waterfront in Post-industrial Cities, in Spon Press, London, 2001. 

[1] B. SALVEMINI, Innovazione spaziale, innovazione sociale: traffici, mercanti e poteri nel Tirreno del secondo Settecento, in Lo spazio tirrenico nella ‘Grande trasformazione’. Merci, uomini, istituzioni nel Settecento e nel primo Ottocento, a cura di B. SALVEMINI, Bari, 2009, pp. V, IX.

[2] A. TRAMPUS, K. STAPELBROEK, Commercial reform against the tide: Reapproaching the eighteenth-century decline of the republic of            Venice and the United Provinces in History of European Ideas, 2010, pp. 192.

[3] A TRAMPUS, Città-porto, reti commerciali e circolazione delle notizie nel bacino portuale veneziano tra Settecento e Novecento, Trieste, 2019, pp. 1-21.

[4] G. DIOGUARDI, Per una scienza nuova del governo della città, Roma, 2017, p.199.

[5] Commissione europea, Crescita blu: opportunità per una crescita sostenibile dei settori marino e marittimo, (COM(2012) 494 final), 2012.

[6] KAVARATZIS M., From city marketing to city branding: an interdisciplinary analysis with reference to Amsterdam, Budapest and Athens, 2008, cap. V.

[7] MARSHALL R., Waterfront in Post-industrial Cities, in Spon Press, London, 2001. 

Rivista-impresa-sociale-Antonio Scattaglia Agenzia Strategica per lo Sviluppo Ecosostenibile del Terrritorio - ASSET Regione Puglia

Antonio Scattaglia

Agenzia Strategica per lo Sviluppo Ecosostenibile del Terrritorio - ASSET Regione Puglia

Dottore in Giurisprudenza, aspirante avvocato, appassionato di Blue Economy. Mi occupo dei profili giuridici di progetti su portualità e pesca.

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