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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Diritto
data:  25 giugno 2020

Gli Enti del Terzo Settore ed il principio degli adeguati assetti organizzativi ex art. 2086 codice civile: un rapido sguardo

Domenico Francesco Donato

Come si coordinano il principio dell'adeguato assetto organizzativo previsto dall'art. 2086 del CC e le previsioni del CTS? In particolare, tale questione si pone in caso di crisi di impresa, anche per i risvolti di responsabilità penale degli amministratori che possono generarsi in tale circostanza.


Il Codice del Terzo Settore (d’ora in poi anche solo CTS), talvolta, più che un “Codice” risulta essere, alla stregua di un Testo Unico, un “conglomerato” di norme prive di un effettivo rapporto organico fra esse.

Le conseguenze di questa disarmonia, con ogni probabilità, sono destinate a produrre conseguenze più incisive di quanto si possa immaginare e lasciano irrisolte questioni di fondamentale importanza per tutti gli “operatori” che, da tempo attivi nel mondo dell’“impresa sociale”, decidessero di registrarsi anche quali Enti del Terzo Settore (d’ora in poi, per brevità, ETS).

È il caso, ad esempio, del richiamo che il CTS fa riguardo numerose disposizioni del Codice Civile dettate in materia di responsabilità degli amministratori di S.p.A., oppure di conflitto di interessi degli amministratori di S.R.L., o, ancora, sebbene per implicito, del principio degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, di cui al novellato art. 2086, rubricato come  “Gestione dell’impresa” ma, che, in realtà, a seguito della “parziale” entrata in vigore del Codice della Crisi dell’impresa e dell’Insolvenza ex Dlgs. 14/2019, reca in sé ben altre funzioni ed obiettivi, almeno stando alla lettera del sopraggiunto secondo comma: ”L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Ed è proprio sul rapporto tra l’art. 2086 cod. civ. ed il Codice del Terzo Settore che verranno, in questo breve spunto, sollevati alcuni interrogativi che troveranno più ampio approfondimento in altro, successivo, studio dedicato al tema.

Prima di procedere, tra le “mille” definizioni, dobbiamo dare almeno un volto al concetto di “adeguati assetti” e, sia pure brevemente, accennare a quali obblighi e responsabilità essi comportino.

La scienza aziendalistica, volendo sintetizzare al massimo un argomento oggetto di antichi ed ampi dibattiti, definisce “l’assetto organizzativo come il complesso di direttive e procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed esercitato ad un appropriato livello di competenza”. Un assetto organizzativo si definisce “adeguato” quando presenta le seguenti caratteristiche: a) è basato sulla separazione e contrapposizione di responsabilità nei compiti e nelle funzioni; b) chiara definizione delle deleghe e dei poteri di ciascuna funzione; c) capacità di garantire lo svolgimento delle funzioni aziendali.

Ora, il fatto che questo concetto, a seguito del D.lgs. 14/2019, abbia trovato collocazione nell’art. 2086 cod. civ. comporta un’importante conseguenza sul piano giuridico, se non una vera e propria novità (da tempo l’art. 2381 cod. civ. lo prevedeva per le S.P.A.), per chi amministra le imprese condotte in forma societaria o, comunque, collettiva. Lungi dal rappresentare solo una delle possibili facce del generale obbligo di diligenza e corretta amministrazione, con il nuovo art. 2086, l’adozione di “assetti adeguati” diviene un obbligo specifico (al pari di quelli tipici degli organi amministrativi previsti per legge o per statuto) e, si badi, non solo al fine di rilevare uno stato di crisi, bensì quale elemento strutturale dell’impresa medesima che, in relazione alle proprie dimensioni, dovrà dotarsene. L’inosservanza di tale obbligo, in presenza di danni latu sensu intesi, sarà fonte di gravi responsabilità per l’organo amministrativo, sia a composizione monocratica che collegiale.

Non è la sede per soffermarsi sulle molteplici implicazioni che la “nuova” norma comporta per l’impresa “collettiva” (nutrito, e ben lontano da un approdo sicuro, è il confronto di opinioni, ad esempio, riguardo la sua armonizzazione con il principio della così detta “businness judgement rule” ed il principio della insindacabilità delle scelte gestionali dell’organo amministrativo dell’ente, oppure, sui nuovi rapporti che si dovranno instaurare tra quest’ultimo e gli organi di controllo in merito alla ripartizione dei carichi di responsabilità) e, limitandoci, al nostro tema, non possiamo trascurare il fatto che notevole sarà l’impatto di tale enunciato anche per gli Enti del Terzo Settore.  

Pur non richiamandolo espressamente il CTS fa un implicito rimando all’art. 2086 cod. civ., laddove, al Titolo IV, Capo III., art. 30, comma 6, dispone: “6. L'organo di controllo vigila sull'osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, anche con riferimento alle disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, qualora applicabili, nonché sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento”.

Orbene, è il caso di sgombrare immediatamente il campo dai primi dubbi che potrebbero sorgere dalla collocazione che tale “richiamo” trova. Se, da una parte, è vero che l’art. 30 viene “dedicato” agli ETS che operano costituendosi in forma di Fondazione o Associazione riconosciuta o non riconosciuta, è altrettanto vero che gli adeguati assetti organizzativi di cui all’art. 2086 cod. civ. non guardano alla forma prescelta dall’imprenditore perché si vogliono estesi all’attività di impresa svolta in forma collettiva.

Né è dato riscontrare nel CTS alcuna deroga rispetto all’art. 2086 cod. civ. che possa farlo considerare applicabile unicamente agli ETS di cui al Titolo IV, Capo, I, art. 20 del CTS.

Se è vero come è vero che gli “adeguati assetti” sono un obbligo per gli enti societari e/o collettivi che operano come “impresa” non vi è ragione di escludere l’applicabilità del precetto a tutti gli ETS attivi in tal guisa, a prescindere dalla “forma giuridica” che rivestano: conta l’oggetto e non il soggetto.

E per gli ETS che non operassero con lo “strumento” dell’impresa?

La questione si complica, ma rinviando ad una più ampia trattazione del tema allo studio cui si faceva cenno, per il momento sarà utile considerare tre punti che fanno militare per un obbligo di adozione di assetti organizzativi adeguati valevole erga omnes, o quanto meno, per tutti gli esercenti in forma collettiva:

  1. da molti anni, con il pieno avallo della giurisprudenza, che ha mutuato una nozione di matrice europea, il concetto di impresa è divenuto assai lato, molto di più di quanto tradizionalmente fosse descritto dall’art. 2082 cod. civ.: Secondo la normativa comunitaria si considera impresa: qualsiasi ente che esercita un’attività economica consistente nell’offerta di beni e servizi su un determinato mercato, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (cfr. in tal senso, Corte di giustizia CE, sentenza 26 marzo 2009, causa C-113/07 P, Selex Sistemi Integrati/ Commissione e Eurocontrol).
  2. Il criterio dell’adeguatezza degli assetti è considerato dalla più autorevole dottrina come una clausola generale, ovvero come una norma di rango primario dotata di autonoma precettività (cfr. BUONOCORE, Adeguatezza, precauzione, gestione responsabilità, chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto del codice civile, in comm., 2006, I, pag. 5 e ss.).
  3. Lo stesso art. 2086 cod. civ., lungi dal legare gli assetti organizzativi adeguati solamente alla fase patologica della crisi che prelude all’insolvenza dell’Ente, li prescrive anzitutto per la fase fisiologica dell’attività gestoria ed operativa. Recita, infatti, la norma che: “(…) ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa (…)”.

Con tutte le riserve del caso, e la ripromessa di ulteriormente indagare, si dovrebbero attenzionare gli adeguati assetti organizzativi non come una peculiarità solo di alcuni fra gli Enti del Terzo Settore ma, mutatis mutandi, come principio estendibile a tutti gli ETS, essendo un’attività “adeguatamente organizzata” caratteristica propria non solo dell’Impresa, ma anche di tutti quegli enti che, a prescindere dalla finalità del profitto, operano attraverso una struttura articolata e, talvolta, complessa, cui fanno capo soggetti molteplici e, talvolta, valori economici rilevanti, indispensabili per il raggiungimento dello “scopo sociale”.

Da qui l’opportunità di valutare in modo sistematico il legame tra le norme del CTS e quelle del Codice civile maggiormente inerenti e la ragionevolezza di individuare processi ed assetti che possano garantire trasparenza, efficienza, efficacia, e siano presidio per anticipare situazioni di default e/o deficit organizzativi forieri di rilevanti responsabilità personali.

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Domenico Francesco Donato

Alfa Legal

Avvocato cassazionista, partner del network Alfa Legal. Svolge la sua professione legale prevalentemente nei campi del diritto societario, sanitario e diritto ecclesiastico, assistendo anche istituti religiosi attivi nel Terzo settore.

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