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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Impresa sociale
tag:  Beni comuni
data:  08 giugno 2020

Il contributo dell'impresa sociale per la tutela dell'ambiente

Mattia Galante

Per affrontare la questione ambientale è necessario essere in grado di immaginare un diverso modo di concepire l'economia, quello espresso dalle imprese sociali che non a caso già oggi sono tra i soggetti più attivi in campo ambientale. Ma molto altro si può fare, a partire dall'immaginare città diverse.


La questione ambientale è un tema che, negli ultimi anni, sta prepotentemente conquistando i riflettori della politica e dell’economia a livello globale, grazie soprattutto ai movimenti di protesta giovanili. Non è un caso che, secondo la ricerca Nielsen, il degrado ambientale sia la seconda più grave preoccupazione per gli italiani, anche più grave di quella per le difficoltà economiche; per l’88% degli intervistati, poi, la difesa dell’ambiente è uno dei valori più importanti della società attuale.

Tuttavia queste convinzioni, seppure quasi universalmente condivise, non hanno impedito di perseguire ostinatamente uno stile di vita fatale al nostro pianeta, né sono state sufficienti a formare una volontà politica ed imprenditoriale che tenga adeguatamente in considerazione le esigenze dell’ambiente. La disattenzione nei confronti dell’ecosistema e la politica industriale continuano a generare conseguenze negative sull’equilibrio dell’ecosistema e sulla salute delle persone. Per inciso, vi sono anche studi in corso circa la correlazione tra “inquinamento da particolato atmosferico e il coronavirus”, sull’ipotesi cioè che gli effetti delle emissioni dei motori, degli impianti domestici e industriali derivanti dall’utilizzo di combustibili fossili, oltre a generare conseguenze sul clima e su altri aspetti di salute, possano farsi vettore dei virus.

Di fronte a questa situazione, è possibile ipotizzare che possa esservi un contributo specifico alla tutela e valorizzazione dell’ambiente, nella prospettiva di uno sviluppo endogeno, concertato, integrato, sostenibile del territorio da parte imprese sociali e, in generale, dagli enti del terzo settore.

In termini generali, sembrano esservi delle significative affinità tra i principi costitutivi delle imprese sociali e un modello economico rispettoso dell’ambiente. Sin dalla loro nascita, infatti, anche prima del loro riconoscimento giuridico, le imprese sociali hanno cercato di innescare un cambiamento nel sistema economico dall’interno, per svincolare l’economia dal paradigma che la vede basarsi sui principî dell’utilitarismo, della strumentalità e dell’auto-soddisfazione (la cosiddetta “pig philosophy”, secondo lo storico inglese Thomas Carlyle). Il fine è quello, dunque, di rendere l’attività economica utile alla società considerata sotto tutti i suoi aspetti, non solo ai detentori dei fattori di produzione. In sintesi, l’impresa sociale può sostituirsi in modo credibile al binomio stato-mercato per produrre ricchezza (non esclusivamente in termini retributivi) sovvertendo i classici modelli di sviluppo. E quale può essere un interesse generale più ampio o rilevante della tutela dell’ecosistema? Ad avvicinare “costitutivamente” l’impresa sociale ai beni ambientali è la peculiare combinazione di imprenditorialità e responsabilità, efficienza organizzativa e dimensione etica (Bulsei, 2007).

Ma, al di là di tali principi, cosa già fanno e cos’altro potrebbero concretamente fare le imprese sociali?

Guardando alle effettive attività oggi svolte, vi sono numerosi esempi di imprese sociali che si occupano di attività che recano direttamente beneficio all’ecosistema ovvero attività quali la riqualificazione urbana, i servizi ecologici, la gestione comunitaria di parchi ed aree verdi, la pulizia e la decontaminazione di spazi comuni come spiagge, boschi e periferie in degrado, il riciclo di materiali plastici ed agenti inquinanti. Spesso le imprese sociali svolgono queste attività di tutela ambientale dando opportunità di lavoro a persone svantaggiate e creando così un ulteriore valore aggiunto sociale.

Vi sono inoltre imprese sociali impegnate ad esplorare nuovi modelli, metodi, tecnologie e filosofie di produzione e consumo, diventando un esempio per lo sviluppo e per l’imprenditorialità del futuro mentre allo stesso tempo generano ricchezza. Imprese che si occupano di agricoltura sociale e sostenibile su base locale oppure di servizi all’interno di un’ecocomunità o, ancora, di trasporto basato su reti locali ed energie rinnovabili. Generalmente, le imprese sociali impegnate in queste attività associano all’attività imprenditoriale un’intensa opera di promozione culturale circa l’adozione di stili di vita rispettosi dell’ambiente, sia con iniziative di sensibilizzazione della popolazione, sia con attività rivolte a soggetti specifici, in particolare alle nuove generazioni, come ad esempio le imprese sociali che gestiscono attività di agricoltura sociale e che organizzano momenti aperti alle scuole.

Negli intenti delle imprese sociali più attente alla questione ambientale vi è l’obiettivo di promuovere e sviluppare un’economia circolare fondata, cioè, su un ciclo chiuso di estrazione delle risorse, produzione, consumo e reintegrazione nella biosfera per i materiali biologici o rivalorizzazione per i materiali tecnici. Una tale forma di sistema economico non può che essere il cuore dell’economia del futuro ed anche del presente.

Tra gli aspetti che caratterizzano le migliori esperienze in questi ambiti vi è la collaborazione virtuosa tra imprese sociali e amministrazioni locali, che spesso definiscono modalità di relazione che superano il mero rapporto commerciale, configurando forme di partenariato che impegnano tutti i soggetti coinvolti per il raggiungimento di finalità comuni.

Se queste sperimentazioni sono concrete e presenti e documentano quanto le imprese sociali possono fare in questo ambito, molto resta ancora da fare e ci sono non pochi ostacoli da superare affinché le imprese sociali possano essere maggiormente incisive.

Si riscontra una certa tendenza alla “collusione distributiva”, cioè a focalizzarsi sulla allocazione di risorse pubbliche e sul controllo dei canali per fruire, anziché sugli aspetti progettuali, cosa che indebolisce l’efficacia sociale degli interventi; una scarsa valorizzazione delle imprese del terzo settore da parte delle amministrazioni, che non le coinvolgono a sufficienza nei processi di policy making e di decisione strategica; l’inadeguatezza organizzativa delle stesse imprese sociali (Bulsei, 2007). Inoltre, queste ultime si devono confrontare con una logica di mercato ormai ben strutturata anche nella mentalità dei consumatori e che costituisce la base della strategia imprenditoriale moderna, motivo per cui queste iniziative rischiano di rimanere confinate in nicchie poco capaci di agire sulla trasformazione del sistema.

Al di là di questi limiti, bisogna essere consapevoli che la sola azione delle imprese sociali non sarebbe sufficiente per convertire la nostra società ad un’economia circolare e sostenibile. È necessario ripensare e riprogettare la nostra antroposfera e le attività che vi si svolgono. E, forse, non c’è momento migliore di adesso, del post-pandemia, per iniziare a lavorare in questo senso, dato che ci accingiamo a ripartire e a ripensare il nostro futuro; e, facendo questo, potrebbero emergere ulteriori spazi, ancora in buona parte inesplorati, anche per le imprese sociali.

Abbiamo visto tutti le foto dei canali di Venezia o del golfo di Napoli durante il lockdown che dimostrano quanto impattino i fattori antropici sull’ecosistema e come la natura si “riprenda i suoi spazi” quando ci assentiamo. Questo può essere per noi di stimolo per ripensare le città, convertendo le vecchie e riprogettando i nuovi nuclei e le nuove espansioni, con lo scopo di creare una città sostenibile (attualmente i centri urbani sono responsabili del 70% delle emissioni di CO₂). Sono già presenti numerosi progetti, alcuni dei quali già realizzati, come quelli dell’architetto Stefano Boeri (il progettista del Bosco Verticale di Milano); progetti che molto spesso includono un grande parco-piazza centrale, larghi viali alberati anti-congestione, vegetazione sulle facciate per metabolizzare il biossido di carbonio e numerosi piccoli centri autosufficienti e ben collegati che circondano il cuore della città, che è, appunto, il parco. Naturalmente, bisogna lavorare anche sul settore dei trasporti: prima di tutto aumentare la qualità e quantità di quelli pubblici, spronando i cittadini a diminuire l’uso dei veicoli privati, e poi basare tutti i sistemi di locomozione su nuove fonti di energia rinnovabili. Numerose sono le ricerche ingegneristiche sul motore elettrico, sulla locomozione magnetica, sull’idrogeno come carburante e così via. Anche i recenti sviluppi sull’intelligenza artificiale potranno contribuire a regolamentare e razionalizzare i trasporti. Si tratta di frontiere rispetto alle quali le imprese sociali più sensibili potrebbero individuare nuovi spazi di azione, così contribuendo a questi cambiamenti.

Questi obiettivi, ovviamente, saranno più difficilmente raggiungibili se non coadiuvati da una legislazione, sia a livello nazionale che internazionale, che sia davvero incisiva (e quindi vincolante) e che vada oltre l’accordo di Parigi. Ma serve anche lo sviluppo di una cultura e di una coscienza “verde”, e quindi un intervento efficace a livello di istruzione (di tutti i gradi) e di sensibilizzazione.

Sicuramente, quindi, le prospettive per le imprese sociali che decideranno di investire nel settore ambientale sono piuttosto interessanti.

In conclusione, con la giusta volontà politica, gli imprenditori sociali potrebbero aggiungersi agli attivisti ed ai sempre più numerosi economisti impegnati sul fronte ambientale per guidare la transizione ecologica. Loro dovranno piantarne i semi. Naturalmente, poi, sta a tutti noi farne crescere i frutti.

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Mattia Galante

Attivitsta per la tutela dell'ambiente

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