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ISSN 2282-1694
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Argomento:  Attualità
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data:  15 marzo 2025

Il pacifismo tra Mazzini, Ghandi e Capitini

Sergio Filippi

Prosegue il dibattito innescato dall'articolo di Andrea Bernardoni. Un contributo sul pacifismo attraverso il pensiero di Mazzini, Ghandi e Captini che considera il pacifismo come processo storico che si esprime con accenti differenti a seconda delle fasi e dei contesti in cui si esprime.


Pacifista è il pensiero e verso la Pace va la storia. Risposta a chi sostiene che la Cooperazione Sociale è pacifista, o non lo è.


Mazzini, Gandhi e Capitini. Il primo, cospiratore e riformatore religioso, il secondo un asceta e militante ed il terzo, religioso laico.
La storiografia da tempo ha rilevato quanto Gandhi si sia ispirato al pensiero mazziniano e come le radici liberaldemocratiche di Capitini, condivise con i fratelli Rosselli, affondino anch’esse nel pathos mazziniano. Tratti comuni di tutti e tre sono la caparbia testimonianza della propria fede nella emancipazione e nel progresso sociale e la repulsione per ogni religione fattasi istituzione e quindi potere. Ma divisi sul ruolo della violenza. Ghandi la provoca e fa della violenza subìta un’arma di lotta politica; è contro il nazifascismo, ma si rifiuta per sola motivazione politica di collaborare militarmente con gli inglesi. Mazzini è il teorico ed ispiratore dell’insurrezione armata e, per alcuni, del tirannicidio. Capitini collabora attivamente all’antifascismo clandestino ma poi non aderisce al Partito d’Azione per “marciare” verso la Pace. Tutti e tre, austeri e frugali, con un comune pensiero economico a-classista e associazionistico, sono in netto disaccordo con quello marxista ed il postulato statalista.

Ed allora, che c’azzecca questo richiamo a Mazzini, Gandhi e Capitini con il dibattito che si è riaperto sul tema del pacifismo che alcuni connettono con la natura dell’esperienza ultrasecolare dell’impresa cooperativa?

Mi piace (e spero anche a voi) di pensarli tutti e tre questi Maestri in dialogo, a distanza nel tempo e nello spazio, divisi sui temi dell’insurrezione e della non violenza, accomunati però dalla opzione dell’associazionismo economico. E così facendo, aiutarci a comprendere meglio la posta in gioco di questo Terzo Millennio.

In verità, ci sono tre premesse su cui sarebbe opportuno concordare e da cui non possiamo prescindere per cercare una qualche convergenza fra bellicisti e pacifisti moderni e così evitare una ennesima polarizzazione di “anime belle”.

1) Il contesto storico. Mazzini vive in una Europa illiberale e militarizzata dominata dall’Assolutismo e con il Papa-Re che ancora mozza le teste ai sudditi; l’etica cristiana della fratellanza e quindi della pace fra i popoli deve attendere Porta Pia perché, con qualche colpo di cannone molto laico, torni a fatica ad ispirare lo sviluppo umano. Gandhi vive la fase terminale e più cruenta del colonialismo sempre più incompatibile con la natura dello sviluppo delle società liberaldemocratiche minacciate ma vincenti contro nuove forme imperiali e dittatoriali. Capitini vive la speranza democratica postbellica, il sogno della pace europea ed il terrore per lo scontro ideologico e nucleare; paradossalmente, opera in un contesto pacifico e per lo più liberale che gli consente di testimoniare e meglio sviluppare il pensiero non violento.

2) Il pacifismo strumentale. Le grandi manifestazioni per la Pace del secondo dopoguerra raccolgono in Occidente, ma non nel Blocco Sovietico, il sentimento crescente fra varie componenti sociali ed intellettuali che sorreggono una nuova cultura  democratica e dei diritti che modifica gradualmente anche l’approccio strumentale dei filosovietici fino a giungere al berlingueriano apprezzamento dell’ombrello della NATO. La Costituzione Italiana, buona parte ispiratasi a quella della Repubblica Romana del 1849, ripudia la guerra per regolare i conflitti con altre Nazioni ma non ripudia la difesa armata.

3) La neutralità dell’istituto cooperativo. Anche per il principale teorico del “capitale e lavoro nelle stesse mani” l’associazionismo economico non è di per sé strumento di orientamento politico progressista e di supporto alla dialettica politica ma occasione di emancipazione dei lavoratori e di mobilitazione di risorse; e solo nel caso di attacco si può trasformare in casa comune (da difendere armati) della democrazia politica. Per altri teorici è alternativo alla cogestione ma un po’ simile all’autogestione perché vuole trasformare i lavoratori in imprenditore collettivo. Per altri è una formula utile anche al controllo sociale o al contenimento dei conflitti sociali o buona sola in un contesto di pauperismo economico da superare poi con lo sviluppo dell’impresa capitalistica. Si è peraltro sviluppato sotto tutte le latitudini ideologiche, religiose e statali; anche nell’Italia fascista o nella statalista Unione sovietica o nel capitalismo americano. Soprattutto è interessante osservare come, nella sinistra marxleninista italiana, la prassi cooperativa abbia modificato la convinzione che fosse solo uno strumento temporaneo di lotta, senza alcuna efficacia economica, in attesa della rivoluzione e dello Stato Imprenditore.

Il Pacifismo, inteso come movimento sociale e di opinione e come fine per un assetto mondiale delle Nazioni che possano regolare i propri rapporti senza le guerre, è quindi un processo storico. Il Pacifismo è una condizione storica e non un luogo dello spirito a-temporale. Ci sono fasi che si sviluppa anche in contesti con forti apparati militari come lo è stato quando il diritto a manifestarlo e a diffonderlo non è venuto meno, anzi si è rafforzato, ma solo in Nazioni appartenenti al Blocco Occidentale.

Oggi non so bene in quale fase storica siamo e quale sarà il nostro futuro e quello degli Autocrati, ma è un bene avere e rafforzare un’Europa anche armata in cui le opinioni continuano ad essere libere di esprimersi; un’Europa in cui il capitalismo abbia ancora bisogno della Democrazia e lo sviluppo tecnologico non possa mai assumere il Potere Unico in nome dell’Efficienza. Anche la Cooperazione, intesa sia come movimento sociale che come sistema di imprese, è un processo storico, contraddittorio come altri, ma aperto a sviluppi, regressioni e trasformazioni genetiche. E che ciò avvenga, però, nel rispetto della sua genesi storica, cioè della sua Anima.

La Democrazia economica è infatti figlia del pensiero politico democratico (in tutte le sue varianti e apporti) e la Democrazia è dialettica e liberale, altrimenti non è. Ed è il bene comune che tutti abbiamo il dovere di proteggere. Quindi bene fanno alcuni cooperatori ad eccepire con buone argomentazioni sulle modalità e sugli effetti del riarmo europeo per le sue ricadute sul welfare, cui tanto contribuisce l’esperienza molto peculiare della Cooperazione sociale, ma non si trasformi questa in forza politica militante tanto più in un contesto di disorientamento che vede maggioranze e opposizioni che si sfaldano più per modestia di leadership che per profondi e non strumentali ancoraggi valoriali.

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Sergio Filippi

ARIS

Amministratore Delegato di ARIS Formazione e Ricerca. Ex dirigente di cooperative di produzione e lavoro

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