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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Libri
data:  17 gennaio 2021

Trentino: il tramonto dell'accoglienza

Laura Galassi

Il Trentino rappresentava un'eccellenza nel sistema di richiedenti protezione internazionale. Quali sono state le conseguenze della scelta di smantellarlo, sia per i destinatari che per la società trentina? Cosa ha significato poi  l'impatto del Covid? Gli esiti di una recente ricerca Euricse.


Cosa è accaduto con l’entrata in vigore del Decreto sicurezza in Trentino? La ricerca "Il tramonto dell'accoglienza" commissionata ad Euricse dalla rete di organizzazioni locali Cooperativa sociale Arcobaleno, Centro Astalli, Atas, Cgil e Kaleidoscopio e pubblicata nella collana “Quaderni” da Fondazione Migrantes, ha provato a rispondere a questo interrogativo, indagando l’impatto del sistema di accoglienza trentino da un punto di vista sociale ed economico. L’indagine è basata sui dati messi a disposizione dal Cinformi - il braccio operativo della Provincia autonoma di Trento creato nel 2001 per occuparsi di immigrazione - e dal Servizio statistico della Provincia, su due focus group e 27 interviste con stakeholder della pubblica amministrazione ed enti del terzo settore.

La data spartiacque per questa analisi non è ottobre 2018, quando il Decreto “Sicurezza e immigrazione” (D.L. 113/2018) è entrato in vigore a livello nazionale, bensì marzo 2019, quando in Provincia di Trento sono stati cancellati ufficialmente i servizi di integrazione, che costituivano un modello ben funzionante ed unico in Italia in tema di accoglienza e che determinavano, come si vedrà, anche effetti economici di “moltiplicatore” di ogni euro speso per i migranti. A 20 mesi da questo cambio di rotta, a novembre 2020, Euricse e Fondazione Migrantes hanno presentato la ricerca sulle ricadute di questo nuovo corso politico, curata da Paolo Boccagni e Serena Piovesan (Università di Trento), Giulia Galera (Euricse) e Leila Giannetto (FIERI, Torino).

Questo lavoro ha innanzitutto il merito di richiamare l’attenzione su una tematica – quella delle persone che richiedono protezione internazionale – che nell’anno della pandemia è stata a dir poco accantonata, anche se il numero di guerre, conflitti e violenze è in aumento: come evidenzia Cristina Molfetta, non sono mai state così tante le persone in fuga, in quasi 80 milioni hanno dovuto lasciare le loro case nel 2020 e 46 milioni sono gli sfollati. A fronte di ciò, secondo i dati della Fondazione Migrantes, il numero di persone che sono riuscite a trovare protezione in Europa e Italia, al contrario, è sensibilmente diminuito, dal momento che uno degli effetti immediati del virus è stata la chiusura delle frontiere. In tale contesto, la ricerca sul Trentino ha evidenziato gli effetti della diminuzione di risorse dedicate all'accoglienza: ciò che è stato presentato come un risparmio ha contribuito a determinare una situazione sanitaria e sociale di difficoltà, in cui il Covid ha rappresentato "l’incidente di percorso" che ha enfatizzato le conseguenze negative di questa scelta; infatti, il privilegiare la meno costosa l’accoglienza centralizzata ha esposto i migranti al contagio contribuendo ad aggravare il l'emergenza. Si tratta di un caso esemplare di come la mancanza di uno sguardo di lungo periodo nelle politiche sociali faccia sì che apparenti risparmi immediati facciano ricadere sia sui destinatari che sulle comunità nel loro complesso conseguenze negative prevedibili ma ignorate dai decisori politici.

L’effetto negativo del Decreto sicurezza è stato ancora più chiaramente visibile in un territorio come quello trentino dove erano stati garantiti standard qualitativi equivalenti per beneficiari di accoglienza ordinaria (Sprar-Siproimi) e di accoglienza straordinaria e in cui erano presenti un ampio ventaglio di servizi per il percorso verso l’autonomia. Questo sistema di accoglienza avanzato ha comportato tra l'altro il consolidamento di importanti competenze degli operatori nell’accompagnare i beneficiari e i territori ospitanti. Il sistema, evidenzia Giulia Galera, aveva saputo puntare sull’accoglienza di prossimità grazie alla collaborazione con enti del terzo settore, centri per l’impiego, sindacati, università, imprese e associazioni di categoria. Si sono potuti sperimentare modelli di servizio inediti, replicati poi su tutto il territorio.

Questo sistema di accoglienza ha determinato anche significative ricadute economiche positive. L’aspetto più interessante è l’attivazione complessiva. Con riferimento al 2016 – ovvero al massimo delle presenze – la spesa pubblica per l’accoglienza dei migranti ha contribuito a generare lo 0,03% del valore della produzione dell'economia trentina, con un'attivazione di oltre 9 milioni di euro distribuiti in particolare tra commercio, alloggio e ristorazione, sanità e assistenza sociale, oltre a trasporto e prestazioni professionali. Guardando inoltre alle ulteriori ricadute sulle attività produttive in termini di beni e servizi intermedi e di consumi finali indotti, lo studio evidenzia che ogni euro speso per l’accoglienza ha generato complessivamente nel sistema economico trentino quasi due euro di valore della produzione (1,96), portando il totale da 9,4 a 18,5 milioni di euro nel 2016.

Questo sistema di accoglienza è stato smantellato rapidamente e in modo drastico in seguito all’entrata in vigore del decreto e al quasi contestuale cambio di legislatura in Provincia. La neoeletta giunta a trazione leghista aveva l’esigenza di marcare una discontinuità nella gestione dell'accoglienza, uno dei temi su cui tale forza politica aveva costruito una parte rilevante della propria proposta elettorale mirando, prima ancora che ai risparmi di bilancio, sulla identificazione tra gestione restrittiva dei fenomeni migratori e sicurezza dei cittadini. Il disinvestimento sulle misure di accoglienza ha impattato, come evidenza Paolo Boccagni soprattutto sui richiedenti asilo arrivati da meno tempo, con risorse più deboli in termini di contatti, di capacità di orientarsi.

La dismissione dei servizi di accoglienza ha indubbiamente degli effetti negativi sui richiedenti protezione, per i quali aumenta la sensazione di precarietà, ma non solo: dalla ricerca, evidenzia Leila Giannetto,  emerge una maggiore pressione sui servizi a bassa soglia come conseguenza dell'aumentata marginalità, una diffusione del lavoro nero e grigio, mentre le imprese trentine denunciano difficoltà nel reperimento di manodopera adeguatamente formata e accompagnata.

Questo quadro già critico si è aggravato con la pandemia, che ha amplificato le disuguaglianze e le aree di esclusione; secondo Serena Piovesan con la chiusura dei servizi di accoglienza, infatti, i richiedenti protezione hanno potuto fare conto solo sulla disponibilità delle reti di volontariato, ma anche questa è venuta meno con il lockdown, che ha determinato l'impossibilità di incontrare i volontari e il venir meglio delle azioni di sostegno, che al massimo sono continuate online, modalità comunque non fruibile da tutti. Si sono verificati inoltre problemi sul fronte strettamente sanitario, dal momento che il problema della sicurezza nelle strutture di accoglienza è arrivato in ritardo sull’agenda politica, nonostante l’iper-esposizione mediatica dei migranti. A fine 2020, quando la ricerca è stata presentata, l’accesso alle strutture di accoglienza da parte dei volontari era sospeso, come lo è stato da inizio febbraio a inizio estate: tra le tante urgenze che la pandemia ha posto non si è evidentemente lavorato per recuperare uno spazio di azione in sicurezza anche all’interno delle struttura di accoglienza, quanto mai necessaria per sostenere i richiedenti asilo nella comprensione della situazione che si trovano a vivere.

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Laura Galassi

Euricse

Giornalista professionista. Responsabile comunicazione di Euricse, l’istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale, ha lavorato a lungo come freelance per il quotidiano L’Adige e il settimanale Vita Trentina. Ha collaborato all’ufficio stampa della Fondazione Edmund Mach, ente di ricerca internazionale negli ambiti di agricoltura, alimentazione e ambiente.

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