Le imprese sociali sono state fondate dalla generazione dei baby boomers. Oggi una nuova generazione, con caratteristiche culturali e identitarie diverse, quella dei Millenials, si affaccia alle posizioni apicali delle imprese sociali; quali cambiamenti possiamo attenderci?
Vorrei iniziare questa riflessione partendo da un passaggio contenuto nell’editoriale di Marco Musella e Flaviano Zandonai del numero 10.2017 di Impresa Sociale. Si tratta di un pezzo molto ricco di informazioni e di stimoli di riflessione, la cui lettura mi sento di suggerire a tutti i lettori di Impresa Sociale e in particolare alla nuova direzione della rivista.
In quel testo dal titolo evocativo “L’impatto della rivista nell’ecosistema dell’impresa sociale” gli autori illustravano e commentavano una corposa mole di dati relativi alla fruizione online dei primi cinque anni (dieci numeri) della edizione digitalizzata della rivista. Ad un certo punto del loro ragionamento essi facevano riferimento ad un passaggio generazionale nella direzione (governance) delle imprese sociali (e delle cooperative sociali in particolare) nel nostro paese:
(…) in una fase in cui l’impresa sociale è nel pieno di un ricambio dalla generazione dei baby boomers che si è inventata questo modello di impresa a quella dei millennials attratti da un veicolo organizzativo che consenta loro di 'fare la differenza' (...)
Questione che poi lasciavano inevasa nello svolgimento successivo dell’editoriale, per concentrarsi su altri punti.
Mi pare invece che il tema del “ricambio generazionale”, del “passaggio di testimone”, ai vertici degli attori del Terzo settore, in generale, e della sua componente a vocazione imprenditoriale prevalente, in particolare, sia argomento da analizzare approfonditamente per la multidimensionalità di implicazioni che esso comporta.
La suddivisione della popolazione per gruppi generazionali e la conseguente analisi delle loro caratteristiche distintive si deve a due studiosi nord-americani, Neil Howe and William Strauss, che nel 1991 pubblicarono un corposo volume dall’ambizioso titolo: Generations: The History of America's Future, 1584 to 2069.
Secondo gli autori la storia degli Stati Uniti, e per analogia quella dell’Occidente industrializzato, avrebbe potuto essere ricostruita attraverso l’analisi del susseguirsi di alcune coorti generazionali, ovvero di gruppi di persone che nate in un certo arco temporale avrebbero acquisito una certa “identità culturale-valoriale”. Ciò in considerazione del fatto di aver attraversato, nel corso del proprio processo di socializzazione, il medesimo insieme di eventi storico-sociali-economico-culturali, che ne avrebbero forgiato pertanto una identità generazionale omogenea. Si veda la tabella sottostante per le coorti generazionali dal secondo dopo-guerra in avanti.
GENERAZIONE |
Orientamento |
ANNI |
Valori/Cultura |
Generazione Baby Boomers |
Idealisti |
1943–1960 (19) |
Idea di progresso: ottimismo |
Generazione X |
Reattivi |
1961–1981 (21) |
Presa di coscienza dei limiti dello sviluppo |
Generazione Millennial (Generazione Y) - (Echo boomers) |
Civici |
1982–2003 (22) |
Cultura post-moderna |
Generazione Z |
Adattivi |
2004 – ad oggi (16 anni) |
Crisi economica e ambientale mondiale: pessimismo |
Tabella 1 – Le coorti generazionali dal dopo guerra ad oggi negli USA (fonte: Howe and Strauss 1991, p.36)
Il volume riscosse subito una certa notorietà insieme anche a numerose critiche, riguardanti principalmente la temporizzazione (ovvero la data d’inizio e la data di fine) delle coorti generazionali. Tant’è che esso ha dato luogo ad una vasta letteratura e ad un’ampia proposta di riarticolazione delle singole coorti.
Tali critiche però non ne hanno intaccato l’intuizione di fondo consistente nel riconoscere che vi sono eventi storici che rappresentano dei salti temporali, che marcano indissolubilmente una determinata epoca, che costituiscono degli spartiacque nell’evoluzione storica dell’umanità. Le popolazioni che nascono entro due eventi (fasi) crescono entro un medesimo “spirito del tempo” finendo per condividere una medesima visione del mondo, “Weltanschauung”, che le distingue dalle coorti precedenti e da quelle successive.
Per quanto riguarda l’Italia, mi pare di poter affermare che occorra spostare in avanti di qualche anno le date di inizio e fine delle coorti generazionali riportate in tabella, ad esempio i baby boomers nel nostro paese vanno dal dopo-guerra (1946) alla metà degli anni ’60[1].
Nondimeno la chiave di lettura generazionale appare di grande interesse e ricca di stimoli e sfide intellettuali.
I Millennials sono la generazione (denominata anche “Generazione Y”) che include i cittadini nati negli ultimi due decenni del secolo scorso e che attualmente si trovano nella fascia d’età 20-40 anni. Vengono prima della “Generazione Z”, quella dei nati dopo l’anno 2000, la quale presenta caratteristiche assai diverse, e dopo la “Generazione X”, quella dei nati negli anni ’60 e ‘70.
La caratteristica più evidente dei Millennials è che sono la prima generazione della storia che nella propria età adulta presenta dimestichezza con la tecnologia digitale e conosce spontaneamente i codici della comunicazione digitale.
In Italia ammontano a 13 milioni di persone (il 22% della popolazione[2]), i tre quarti delle quali sono connesse ad internet. I quattro punti cardine di questa generazione sono:
I Millennials sono molto tolleranti rispetto alle differenze: religiose, razziali, di genere, di orientamento sessuale. Sono molto sensibili rispetto al tema della giustizia sociale e non sono disposti a sostenere istituzioni che essi percepiscono essere in conflitto con l’equità economica e sociale. Parlano con emoticons e immagini. Video e Gif animate comunicano più di mille parole. Vogliono essere intrattenuti e coinvolti in un contesto orizzontale, da pari a pari. Si informano sui social, tengono in considerazione i forum e le opinioni degli altri utenti come loro e usano in modo sinergico e contemporaneo diversi schermi e diversi device.
Il loro peso, sia in termini di quote di consumo che sulla sfera pubblica, non è trascurabile ed è in forte ascesa, essi costituiscono l’ossatura produttiva dei paesi a capitalismo maturo.
Sono la generazione che ha ricevuto la maggiore attenzione da parte del marketing. In quanto generazione con la maggiore diversità etnica, i Millennials tendono ad essere tolleranti rispetto alle differenze.
Essi sono spesso considerati leggermente più ottimisti sul futuro rispetto alle altre generazioni, nonostante siano la prima generazione dai tempi della cosiddetta “Generazione Silenziosa” (nati negli anni ‘20 e ’30), che si prevede possa raggiungere condizioni economiche inferiori rispetto ai genitori (baby boomers).
Le loro aspettative potrebbero derivare dall’atteggiamento molto incoraggiante, coinvolto e quasi sempre presente dei genitori, che spesso mostrano un approccio troppo protettivo o di eccessiva presenza nella vita dei loro figli.
L'ottimismo dei Millennials può spingerli ad entrare nell’età adulta con aspettative irrealistiche, che a volte portano alla disillusione. Molti Millennials con livelli di istruzione post-secondaria lavorano in settori non collegati alla loro formazione, sono sottoccupati o svolgono lavori saltuari, in misura più frequente rispetto alle generazioni precedenti[3].
Quale impatto avrà l’ingresso di questa generazione ai vertici degli enti del Terzo settore e delle imprese sociali in particolare, sugli assetti organizzativi, sugli stili di governance e sulle strategie imprenditoriali, è difficile prevederlo; in questa sede è possibile avanzare alcune considerazioni preliminari.
Non v’è dubbio infatti che le caratteristiche socio-anagrafiche dei dirigenti di un determinato comparto produttivo incidano fortemente sulla gestione complessiva delle organizzazioni che in esso operano e ciò vale in misura maggiore per i soggetti del Terzo settore, dato l’orientamento etico-valoriale prevalente che caratterizza la loro mission (Bassi, 2008; Bassi e Colozzi, 2009).
In secondo luogo, la gestione del processo di successione, ovvero il cambiamento ai vertici organizzativi, costituisce uno dei momenti più critici (e in molti casi destabilizzanti) nella vita di una organizzazione. Tale processo risulta essere ancor più “sensibile” nel caso degli enti di Terzo settore (Bassi 2013; Bassi et al., 2015), in quanto spesso il gruppo dirigente (sovente a valenza monocratica) gode di una vasta e diffusa reputazione, quando non di una vera e propria “aurea carismatica"[4].
Come giustamente osservavano Musella e Zandonai (2017) nel loro editoriale, il mondo dell’imprenditorialità sociale nel nostro Paese (costituito prevalentemente dalla cooperazione sociale) sta attraversando questa fase di “passaggio di testimone” ai vertici non solo delle singole unità operative di base (imprese) ma anche (e più significativamente) delle reti organizzative di secondo e terzo livello (associazioni nazionali, federazioni, organismi di rappresentanza, ecc.).
Mi sia consentito, in sede conclusiva, enucleare alcuni elementi che a mio avviso caratterizzano (differenziano) la generazione dei Millennials rispetto a quelle che le hanno precedute e in particolare a quella dei loro genitori (Baby boomers) a cui si deve la nascita dell’imprenditorialità sociale nel nostro paese.
Il combinato disposto dei primi due tratti distintivi summenzionati induce a ritenere che i nuovi quadri (manageriali o eletti) delle imprese sociali vedano questa scelta come temporanea e reversibile, lasciando aperta la strada per una pluralità di esperienze lavorative nel corso della propria carriera professionale (con la costruzione di un vero e proprio mercato del management civico e solidaristico).
La terza e la quarta connotazione portano a ipotizzare che nei prossimi anni la forma cooperativa – che tanta parte ha avuto nello sviluppo dell’imprenditorialità sociale nel nostro Paese – probabilmente non costituirà più la modalità gestionale prevalente, ma sarà affiancata da una pluralità di forme giuridiche (in passato ritenute di esclusiva pertinenza del settore a fini di lucro) quali srl, spa, sas, ed altre forme miste che al momento non è dato vedere. Tant’è che alcuni ricercatori parlano di imprese ibride e di ibridazione organizzativa.
La quinta, sesta e settima caratteristica suggeriscono un ampliamento rilevante nel prossimo futuro (che parte sta già avvenendo) degli ambiti operativi e dei settori di intervento delle imprese “a vocazione sociale”, rispetto agli attuali comparti legati in prevalenza alla dimensione della cura: socio-assistenziale, sanitario ed educativo.
Infine, nuove forme di reclutamento (sempre più legate al merito/competenze e meno alla affinità identitaria) e nuove forme di raccolta fondi (crowdfunding) e reperimento delle risorse finanziarie (si veda a tale proposito la recente sebbene ancor timida diffusione di strumenti di finanza d’impatto) fanno ritenere una diminuzione nei prossimi anni dell’incidenza degli orientamenti ideologico-religiosi nell’indirizzare i gruppi dirigenti dell’imprenditorialità sociale, come è avvenuto invece per lungo tempo, sin dagli anni della sua nascita[5].
Tratti caratterizzanti dei Millenials |
Conseguenze per le imprese sociali |
> titoli di studio e competenze più elevati |
> partecipazione all’impresa sociale come scelta temporanea |
> minor interesse per la forma giuridica |
> diffusione di forme di imprenditorialità sociale con forma diversa dalla cooperativa |
> interesse per i temi della sostenibilità ambientale, dell’agricoltura sociale, del turismo sociale e culturale |
> ampliamento dei settori di intervento delle imprese sociali in ambiti diversi dal welfare |
> uso diffuso di strumenti digitali nel reclutamento e per la finanza |
> sviluppo del crowdfunding, reclutamento della dirigenza con criteri legati alla competenza più che all’identità |
Bassi A. (2008), "La leadership delle Associazioni di promozione sociale nazionali: tra statalismo e movimentismo", in Colozzi I., Prandini R. (a cura di), I leader del terzo settore. Percorsi biografici, culture e stili di leadership, Franco Angeli, Milano, pp. 63-97.
Bassi A., Colozzi I. (2009), "Leaders of Nonprofit (Third Sector) Organizations in Italy: Cultures of Three Types of Organizations", International Leadership Journal, Vol. 1, Issue 3/4, Spring/Summer 2009, pp. 71-83.
Bassi A. (2013), "Succession in Italian Nonprofits: A Survey", International Leadership Journal, Vol. 5, Issue 1, Fall 2013, pp. 51-71.
Bassi A., Santora J., Sarros James; Esposito Mark; Bozer Gil (2015), "Nonprofit Succession Planning and Organizational Sustainability: A Preliminary Comparative Study in Australia, Brazil, Israel, Italy, Russia and the U.S.", The Journal of Applied Management and Entrepreneurship, Vol. 20, N. 4, October 2015, pp. 66-83.
Bassi A., Fabbri A. (forthcoming), "Associazionismo sportivo e leadership. Identità e valori della dirigenza di un’associazione sportivo-dilettantistica in Emilia-Romagna", Sociologia Italiana, in corso di stampa, pp. 1-24;
Howe N., Strauss W. (1991), Generations: The History of America's Future, 1584 to 2069, Harper, New York.
Musella M., Zandonai F. (2017), "L’impatto della rivista nell’ecosistema dell’impresa sociale", Impresa Sociale, n. 10, 2017.
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