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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura: 
Argomento:  Interviste
tag:  Fundraising
data:  08 giugno 2022

La donazione nasce dalla relazione

Andrea Tittarelli

Andrea Tittarelli intervista Roger Bergonzoli, Direttore Generale della Fondazione Santa Rita da Cascia. Proveniente dal profit per sposare poi la causa del terzo settore, fundraiser, guarda oggi con attenzione al ruolo delle imprese sociali come soggetti capaci di portare innovazione.


Roger Bergonzoli è Direttore Generale della Fondazione Santa Rita da Cascia onlus, di cui ha seguito la costituzione nel 2012 e la successiva start up. Formatore e relatore su vari temi ed aspetti del fundraising con focus sulla relazione col donatore, vero fulcro di una crescita armonica e costante della raccolta fondi. Membro del comitato scientifico e docente del primo Master italiano in Fundraising, Comunicazione e Management per gli enti religiosi edell’Advisory Board della divisione italiana TechSoup, la prima piattaforma internazionale che supporta e accompagna le organizzazioni non profit nel processo di digitalizzazione. Nel 2017 vince l’ItalianFundraising Award come fundraiser dell’anno.

1) Roger, come hai incontrato il fundraising? E soprattutto, perché ha fatto breccia nel tuo interesse?

Il mio incontro col fundraising è passato attraverso una prima conoscenza di organizzazioni e persone che ragionavano in modo spiazzante rispetto a quello a cui ero abituato. Non conoscevo nonprofit come scelta professionale, ma come espressione di azione del volontariato. Da consulente di marketing e comunicazione ero abituato ad avere di fronte dinamiche e logiche profondamente diverse. Durante una consulenza ho affiancato un’emittente radiofonica dei Salesiani in cui ho respirato un’aria, e visto all’opera persone, che mi hanno affascinato. Non lo sapevo ancora, ma quell’esperienza era il mio punto di non ritorno. Ho iniziato a intravedere la possibilità di unire il mio know-how professionale con l’impatto sociale. Successivamente ho seguito da volontario il marketing e la comunicazione di un’organizzazione non governativa che si occupava di cooperazione allo sviluppo in America Latina. Quel volontariato si è poi trasformato in lavoro. All’inizio pensavo che il fundraising fosse marketing applicato al terzo settore, poi ho compreso che era un altro mestiere. Ho avuto la possibilità di imparare sul campo grazie alla preziosissima libertà di sperimentare e cercare vie nuove. 

2) Come sei arrivato a Cascia?

L’inizio del percorso con il Monastero di Santa Rita da Cascia, e successivamente con la Fondazione Santa Rita, nasce, come spesso accade, con un momento di forte crisi. Nel 2010 un decreto del Ministero dello Sviluppo Economico aveva eliminato gli incentivi all’editoria, innescando un aumento delle tariffe di spedizione postale del 500%. Molti comparti furono spiazzati, tra questi tutto il nonprofit, abituato a coltivare la relazione con i donatori attraverso l’invio di pubblicazioni o mailing di raccolta fondi. A Cascia i fondi che sostenevano numerose opere di Carità, tra cui l’Alveare di Santa Rita, una struttura con 80 anni di storia nell’accoglienza di minori provenienti da situazione di disagio socioeconomico, provenivano dalle donazioni effettuate dai pellegrini in loco e dai bollettini CCP allegati ad una rivista spedita 9 volte all’anno con una tiratura di oltre 400mila copie. Un percorso di sostenibilità decennale era diventato impraticabile. Ho incontrato delle donne, tra cui l’allora Abbadessa Madre Natalina, che avevano messo in secondo piano tutto pur di poter continuare a prendersi cura di chi è nel bisogno. Per un fundraiser questa chiarezza di visione e determinazione sono tutto.

3) Le monache di Santa Rita sembrano aver colto e implementato i valori, le teorie e gli strumenti della raccolta fondi, con una capacità di visione ai limiti dell’impossibile, qual è il loro segreto? C’è, a tuo avviso, una peculiarità antropologica/spirituale che ha reso l’Ordine particolarmente incline al pionierismo in questo settore?

Credo siano due gli ingredienti: l’ascolto e la fiducia. Le monache sono abituate ad ascoltare le persone con i loro carichi di fatiche, di gioie, di sofferenze e di speranza. Questa capacità, applicata ai donatori, è determinante per ideare delle iniziative di fundraising che sappiano mettere al centro le persone. Poi non hanno mai negato a me e al mio team la fiducia, spesso su argomenti nuovi se non addirittura sperimentali. Fiducia che ogni volta abbiamo cercato di consolidare con la condivisione dei risultati ottenuti e degli obiettivi raggiunti. Questa alternanza di fiducia e condivisione dei risultati è alla base di tutto.

4) Analizzando i modelli evolutivi del fundraising nel 2022 emergono Il consolidamento del digitale, la crescita del personal fundraising e l’adeguamento alla Riforma del Terzo Settore; come vi state muovendo su questi fronti?

Anche nel 2022 rimaniamo fedeli al nostro modello di fundraising basato sulla creazione di valore aggiunto alla relazione col donatore. Lo facciamo perché negli anni abbiamo capito che agendo così i donatori si avvicinano all’organizzazione nonprofit fino ad un punto in cui scattano dinamiche nuove e non prevedibili da nessun piano strategico. Il legame diventa così intimo che i donatori si ricordano del valore condiviso anche quando non siamo noi a ricordarglielo. La donazione è sempre frutto di una relazione, il nostro compito è coltivare la relazione e non semplicemente stimolare la donazione. Da fundraiser ci dobbiamo ricordare che ci prendiamo cura dei donatori e non dei beneficiari. Non è una provocazione, è la realtà. L’impatto positivo sui beneficiari, attraverso le donazioni, è uno splendido e voluto effetto collaterale del valore aggiunto che riusciamo a generare nella relazione coi donatori. Mettiamo al centro il donatore come individuo, avendo il coraggio di non entrare in contatto con lui solo per ricordargli di sostenere economicamente i nostri progetti. A nessuno piace sentirsi trattato come un bancomat, un POS o un libretto degli assegni. Questo approccio relazionale, nel 2022, è sempre più orientato all’integrazione delle attività on-line e off-line. I fundraiser digitali dialogano costantemente con i fundraiser che seguono le attività off-line come il direct mailing o gli eventi di piazza. Insieme definiscono dei percorsi di comunicazione e fundraising pervasivi, in grado di creare ed alimentare la relazione col donatore.

5) Classicamente, le fondazioni erogano risorse raccolte a favore dei portatori diretti del bisogno, talvolta attraverso enti con natura associativa; come guardate, invece, le organizzazioni nonprofit che scelgono la via dell’impresa sociale?

Il processo erogativo della nostra Fondazione è in evoluzione, proprio in questo periodo ci stiamo lavorando per comprendere come strutturarlo per conciliare identità e capacità d’impatto. Il desiderio è quello di essere al fianco delle realtà virtuose, indipendentemente dalla loro natura. Cerchiamo compagni di viaggio in grado di stimolarci grazie ad una visione innovativa che nasce dall’esperienza e dalla volontà di non accontentarsi. L’impresa sociale è espressione dell’innovazione mai fine a se stessa in grado di reinterpretare il ruolo del lavoro nella crescita dell’individuo e della comunità. Il nostro percorso affonda le radici nel fundraising dove abbiamo la sensazione di trovarci su una linea di confine che si muove insieme a noi. Poter collaborare con realtà sociali che si trovano sulla linea di confine della generazione d’impatto rappresenta un acceleratore della nostra crescita.

6)    Vi trovate in un territorio rientrante a pieno nella categoria delle aree interne a rischio marginalità. In questo tipo di “zone”, stanno nascendo, in giro per l’Italia, processi di rigenerazione guidati dal movimento cooperativo di comunità - un modello di innovazione sociale dove i cittadini sono produttori e fruitori di beni e servizi, in una sinergia e coesione comunitaria che mette a sistema le attività di singoli, imprese, associazioni e istituzioni, rispondendo così ad esigenze plurime di mutualità; pensi che l’ente da te diretto potrebbe valutare il finanziamento di percorsi costituenti in tal senso?

Il territorio è sempre stato centrale nella visione sociale del nostro ente fondatore, il Monastero di Santa Rita da Cascia. Siamo attenti a tutte le iniziative che nascono intorno a noi con il desiderio di contribuire a ridurre le marginalità di qualsiasi natura. La nostra capacità di comunicare, generare relazioni, coinvolgere i nostri stakeholder e innescare percorsi di fundraising sono gli elementi che sentiamo di poter mettere a disposizione dei processi rigenerativi.

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Andrea Tittarelli

Università di Perugia

Imprenditore sociale con l'incarico di Presidente presso la cooperativa "La Semente" e manager del nonprofit nel ruolo di Direttore Generale in seno alla Federazione di Angsa (Associazione Nazionale Genitori di Soggetti Autistici). Insegna "Impresa sociale e service design" presso il Dipartimento di Scienza Politiche dell'Università degli Studi di Perugia.

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