Sia con azioni di pressione, sia con la messa in atto di soluzioni innovative, le imprese sociali e altri Enti di terzo settore hanno un ruolo importante nell'orientare il nostro sistema economico, favorendo l'adozione di soluzioni sociali e ambientali nell'interesse della comunità.
Con la nascita della società industriale l’economia ha avuto un impatto sempre più massiccio sulle dinamiche sociali, ambientali e politiche globali. È inutile sottolineare come le ragioni dell’economia abbiano influenzato i più grandi eventi del XX° secolo, abbiano dato fondamento e struttura alla guerra fredda ed abbiano plasmato le gerarchie sociali del mondo moderno. Durante la seconda metà del Novecento, poi, ed in particolar modo in seguito alla dissoluzione dell’URSS ed alla conseguente transizione dell’Est europeo all’economia di mercato, il fenomeno è divenuto ancora più evidente. La vittoria del capitalismo e la nuova liberalizzazione dell’economia hanno fatto sì che il ruolo del mercato prevaricasse lentamente quello dello Stato. In poche parole, l’economia prende il sopravvento sulla politica, diventando il nuovo nucleo del potere (Salvatori, 2020).
Ora qual è, ad oggi, il bilancio di questa nuova gerarchia? Il progresso economico (e conseguentemente tecnologico) è stato senz’altro fondamentale per l’essere umano. Ci ha permesso di migliorare il nostro stile di vita, sconfiggere le malattie, ridurre la povertà e la fame, diffondere la cultura e raggiungere traguardi prima impensabili. Ma, come sempre, c’è anche l’altra faccia della medaglia che, in questo caso, è la più ingombrante. Il progresso economico, nel modo in cui si è realizzato, ha avuto numerosi risvolti negativi. Il primo è il gravissimo impatto ambientale che ci ha portato oggi a parlare di cambiamento climatico, crisi dell’ecosistema e delle risorse, crisi nello smaltimento dei rifiuti; il secondo è che le ricchezze prodotte sono state distribuite in modo diseguale, con la conseguente persistente povertà di ampie fasce della popolazione, con le problematiche sociali che ne sono derivate. Questa situazione ha spaccato il tessuto delle nostre società e contribuendo a diffondere il senso di rabbia e di ingiustizia presso le classi meno agiate, oltre ad averci fatto pagare un caro prezzo in termini di vite umane, diritti calpestati e benessere percepito. Fondamentalmente, spesso si è permesso che la collettività venisse sacrificata allo scopo di favorire la libertà ed il guadagno individuale.
Sono state cercate numerose soluzioni che hanno assunto per lo più i contorni di riforme mancate o poco efficaci, in quanto dirette a curare i sintomi piuttosto che l’origine del problema. Per agire alla radice, infatti, è necessaria una drastica riforma dell’economia. Il mondo dell’economia sociale può dare dei suggerimenti in questo senso, innanzitutto a livello teorico. L’economia sociale e, quindi, concretamente, gli enti del terzo settore, costituiscono il punto di contatto tra gli interessi economici e la politica, qui intesa non solo come attività di governo, ma come insieme delle istanze degli attori sociali e non solo. Le imprese, le organizzazioni e le cooperative che operano in questo settore si preoccupano di perseguire attività economiche che abbiano, però, l’obiettivo, per esempio, di migliorare l’inclusione e la giustizia sociale, salvaguardare l’ambiente, supportare i soggetti svantaggiati. In sintesi, gli ETS raccolgono le istanze di quegli attori e permettono che essi li indirizzino: agiscono, dunque, in modo socialmente responsabile. Secondo questo modello virtuoso, i bisogni collettivi influenzano l’economia e l’economia influenza, stavolta positivamente, la società.
Ma naturalmente non si tratta solo di teoria. Esaminiamo, per esempio, una tematica che ormai rientra nei bisogni coperti dalla responsabilità sociale d’impresa e che oggigiorno è molto discussa: la tutela dell’ambiente. Vi sono numerosi esempi di iniziative nate da movimenti della società civile o da enti del terzo settore che sono successivamente divenuti standard ambientali adottati dalle imprese for-profit; standard che, a volte, sono stati addirittura trasformati in legge da autorità statali o sovranazionali. È importante capire, infatti, che il potere detenuto dagli individui in un mondo a “trazione economica” prima che essere un potere democratico è un potere di consumatore. Senza consumatore manca una delle due parti fondamentali dello scambio economico ed il mercato collassa. Di conseguenza, una richiesta unitaria proveniente da un numero sufficiente di consumatori diviene una necessità per il produttore. Gli ETS possono raccogliere queste istanze ed amplificarle, dando l’esempio di un modello alternativo che, presto, sarà adottato anche dalle imprese tradizionali. Oppure possono dare essi stessi vita a nuove istanze.
Ma veniamo agli esempi concreti. Il primo può essere il famoso caso dell’olio di palma, scoppiato circa cinque anni fa. Sebbene le critiche che hanno avuto maggiore diffusione riguardassero l’impatto del prodotto sulla salute, in realtà uno dei problemi principali relativi all’utilizzo dell’olio di palma deriva dall’intensa deforestazione, spesso realizzata tramite incendi controllati (cosa che comporta l’immissione in atmosfera di grandi quantità di gas serra) di ampie porzioni di foreste pluviali. Si calcola che solo in Indonesia 31 milioni di ettari di foreste abbiano dato spazio a monocolture di palme da olio. L’allarme è stato dato da ONG e associazioni ambientaliste come Greenpeace che in pochi anni hanno raccolto un grosso consenso su tale tema. Ma non solo: iniziative multi-stakeholder come il Palm Oil Innovation Group (POIG) hanno raccolto, oltre a questi soggetti, produttori ed utilizzatori dell’olio di palma, allo scopo di certificarne il rispetto di standard di sostenibilità sociale ed ambientale. Il risultato è stato che, escludendo alcune “sacche di resistenza”, la maggior parte delle multinazionali agro-alimentari italiane e straniere hanno dovuto cedere alle pressioni esterne a seguito di una intensa attività di boicottaggio. Adesso è molto comune trovare sulle confezioni di biscotti, scritto in bella vista: “Senza olio di palma”.
Un altro esempio rilevante è costituito dall’agricoltura e, in generale, dalla produzione sostenibile. Agricoltura sostenibile significa, in un’accezione mutuata della definizione di “sviluppo sostenibile”, soddisfare i bisogni agro-alimentari delle attuali generazioni senza pregiudicare quelli delle generazioni future, praticando le attività agricole in modo tale da ridurre l’impronta ecologica e l’inquinamento, la deforestazione, il consumo di risorse e la perdita di fertilità dei campi. In Italia la lotta per diffondere questo tipo di pratica nacque, ancora una volta, grazie ad una associazione, in questo caso il WWF, nel 1988. Un’imponente opera di comunicazione, sensibilizzazione, educazione e formazione fu seguita da numerosi progetti sul campo, anticipando di circa dieci anni la riforma della PAC a livello europeo (wwf.it). Naturalmente, tale principio è stato colto anche da altre realtà del terzo settore: iniziative riconducibili al mondo dell’economia sociale e del volontariato, come quelle promosse da Legambiente (Ecolife) o dal Movimento Consumatori (Gac), hanno contribuito in tal senso, così come hanno fatto le numerose cooperative agricole sociali che negli anni si sono occupate di bio-agricoltura sociale. Ad oggi possiamo dire che i risultati ci sono stati perché lentamente il mondo delle for-profit si sta adeguando. Mulino Bianco, marchio appartenente al colosso italiano dell’industria agro-alimentare Barilla, marchio che dopo soli 11 anni era al primo posto per la realizzazione di prodotti da forno in Italia, ha recentemente emanato un nuovo disciplinare (“La Carta del Mulino”) e dalla mietitura del 2018 si serve di farina derivata da grano tenero di agricoltura sostenibile per decine dei suoi prodotti, con ambiziosi progetti di espansione (mulinobianco.it).
Ma un modello da seguire per le imprese sociali è l’azienda olandese Fairphone. Pur non trattandosi di un’impresa sociale a tutti gli effetti per quanto riguarda la normativa vigente in Italia (si tratterebbe tutt’al più, nel nostro ordinamento, di una benefit corporation), tale azienda realizza la propria attività economica, la vendita al dettaglio di smartphone, basando la propria strategia su principii di sostenibilità e di giustizia sociale. I numerosi materiali utilizzati per la costruzione del dispositivo, che sono gli stessi utilizzati nella tradizionale industria elettronica, come cobalto, stagno e litio, sono ricavati da impianti estrattivi che non sono controllati dai signori della guerra del Congo (come spesso accade) e che rispettano la salute ed i diritti dei lavoratori. Ma non solo. Il cellulare Fairphone è costruito in modo da essere molto resistente e facile da riparare. Quando una parte del telefono si rompe, come lo schermo, la batteria o la fotocamera, non è necessario sostituire l’intero smartphone: è sufficiente ordinare il modulo di ricambio dal sito ufficiale e sostituirlo autonomamente. Lo scopo è, naturalmente, quello di ridurre la quantità di rifiuti ed il ritmo di produzione. Vediamo come una realtà alternativa riconducibile non legalmente, ma come modus operandi, all’imprenditorialità sociale ha anticipato un nuovo standard e ha contribuito alla presa di coscienza collettiva. Fairphone è attiva dal 2011 ma, recentemente, ancora una volta, le grandi multinazionali si sono dovute adeguare alla pressione ricevuta dall’esterno ed alimentata da realtà come quella dell’azienda olandese e dalle numerose ONG ambientaliste. L’azienda statunitense Apple che è, inutile a dirsi, uno dei leader nel settore dell’elettronica e dell’informatica a livello globale presenta, nelle schede dei suoi prodotti, una sezione nella quale informa il consumatore delle misure adottate per ridurre l’impatto ambientale di quello smartphone o di quel laptop: assenza di pvc, arsenico o berillio, presenza e quantità di materiali riciclati, rispetto degli standard energetici.
Con il supporto di questi esempi possiamo dimostrare come anche il mondo del for-profit e finanche gli imperi delle multinazionali, che hanno sempre più influenza nel determinare le nostre vite e la nostra politica, debbano modificarsi per adattarsi alle richieste dei consumatori. Richieste che dimostrano una coscienza ambientale generata grazie alle lotte di Enti di Terzo settore e spesso supportata dagli esperimenti concreti di soggetti di imprenditorialità sociale, spesso nel nostro paese in forma cooperativa. Il Terzo settore, infatti, non si limita soltanto a sensibilizzare l’opinione pubblica ma, tramite le proprie attività commerciali, suggerisce alternative spesso anticipando o, addirittura, rendendo possibile l’adozione di nuovi standard sociali ed ambientali nel mondo dell’economia tradizionale. Magari supportando o col supporto del legislatore.
Si tratta di una strategia di azione forse lenta ma molto efficace, i cui benefici sono già oggi tangibili.
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