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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  3 minuti
Argomento:  Policy
data:  11 febbraio 2021

Povertà, disuguaglianze, equità: la questione rimossa

Giuseppe Guerini

Tanto è frequente la citazione della povertà e della disuguaglianza come problemi prioritari delle nostre società in eventi convegnistici, tanto i nostri Paesi sono refrattari ad adottare misure effettive per limitarle, a partire da una fiscalità seriamente orientata a creare equità sociale.


La lotta alla povertà e la riduzione delle diseguaglianze sono state più volte citate in occasione del recente Forum Economico Mondiale di Davos. Come accaduto già nelle ultime versioni di questo importante appuntamento delle élite economiche e politiche mondiali, si sono ripetuti gli allarmi sulla crescita delle diseguaglianze. Da qualche anno in occasione del Forum, OXFAM pubblica il suo ottimo rapporto sulle diseguaglianze (qui il rapporto sulle disuguaglianze nel nostro Paese) da dove cogliamo che poco si è fatto per ridurle. Insomma grandi si trovano a Davos, pronunciano discorsi preoccupati sulla crescita delle diseguaglianze e poi corrono a Wall Street come nulla fosse, all’insegna del business as usual.

Povertà e disuguaglianze si intrecciano semplicemente perché sono le due facce della stessa medaglia. Ma la sfida va oltre: dobbiamo cambiare un modello economico che continua a diventare più perverso e distorto.

I due temi della lotta alla povertà e del ribaltamento del sempre crescente tasso di disuguaglianza, non possono più essere trattati come questioni separate, perché qualsiasi programma per combattere la povertà, non importa se regionale, nazionale o internazionale, non sarà in grado di colmare un vuoto così sproporzionato.

All'inizio della pandemia, sembrava che il virus colpisse i paesi ricchi con la stessa gravità - o anche peggio - dei paesi meno sviluppati. Alcuni inizialmente hanno discusso la pandemia come un "grande equalizzatore". Tuttavia, oggi sappiamo che non è così e persone diverse sono colpite in modo molto diverso da questa crisi. Il numero dei miliardari è cresciuto, le persone più ricche del pianeta sono diventate ancora più ricche. Questo ovviamente va a scapito anche della classe media ed è molto alto il prezzo che anche i proprietari di piccole imprese, i commercianti e gli artigiani hanno dovuto pagare durante questa pandemia.

Tuttavia, né la crisi economica del 2008 o quella dell’euro del 2011, né la pandemia sono la causa delle disuguaglianza, ma piuttosto il modello economico che continuiamo a considerare riuscito, basato su un'idea di liberalismo sfrenato, sulla concorrenza esasperata, sulla completa libertà di movimento dei capitali, e sulla celebrazione del profitto come fine e non come mezzo per raggiungere il progresso.

Il modello economico dell'Europa - e in molte altre regioni - si basa essenzialmente su una forte deregolamentazione e una forte concorrenza fiscale tra i paesi, soprattutto nei singoli mercati come è il caso in Europa. L'UE persegue l'ideale di un mercato unico e di un'Europa sociale, ma tollera che siano fioriti diversi paradisi fiscali interni.

Alcuni paesi offrono tasse più basse per le aziende e ci sono una serie di meccanismi che consentono di dichiarare i profitti nei luoghi con la tassazione più bassa e non dove si fanno affari. Ciò ha permesso alle multinazionali di scegliere il regime fiscale più redditizio per loro, sfruttando il mercato unico. Cioè, fanno affari in tutta Europa ma pagano le tasse dove è più conveniente.

Il prezzo di questi sconti fiscali viene quindi pagato dai lavoratori e dalle piccole imprese radicate nelle loro comunità. Se paghi la tua giusta quota come impresa, sei svantaggiato rispetto a coloro che non contribuiscono alla prosperità delle loro comunità.

Attribuire crescenti disuguaglianze a situazioni straordinarie come questa pandemia non è all'altezza di una lotta significativa contro le disuguaglianze!

Per questo serve tornare a richiedere con forza un livello adeguato di equità fiscale. Non solo nei confronti dei nostri governi nazionali, ma anche a livello europeo e internazionale.

Occorre smentire la narrativa errata, diffusa a partire dagli anni '80 che giustifica la continua riduzione delle tasse sulla ricchezza e l'aumento del reddito.  Alimentando la falsa convinzione che meno tasse sulla ricchezza avrebbero favorito una maggiore crescita, che poi si sarebbe tradotta in una diffusione del welfare.

Tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni '80, i paesi occidentali hanno visto il periodo più prolungato ed esteso di crescita economica e di uscita dalla povertà di ampi settori della popolazione, i due paesi citati come motori e come culle della democrazia, progresso e mercato libero - Stati Uniti e Regno Unito - applicavano un'aliquota fiscale rispettivamente dell'81% e dell'86% sulla grande ricchezza. Oggi, queste aliquote fiscali sono solo una frazione di quella, senza creare gli effetti promessi sulla crescita.

Questo dato da solo mostra che non sempre e non automaticamente la tassazione delle grandi ricchezze ostacola la crescita economica ma analizzando i dati sembrerebbe vero il contrario. Penso che sia davvero il momento di ribadire con forza che un'Europa sociale forte si può ottenere soltanto se costruiamo  anche  un sistema di tassazione equo in cui tutti paghino la loro giusta quota per consentire alle loro comunità di crescere.

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Giuseppe Guerini

Cecop

Cooperatore sociale, Presidente di Federsolidarietà Confcooperative dal 2010 al 2016, componente del CESE dal 2010 dove si occupa prevalentemente di Economia Sociale, mercato e innovazione. Dal giugno 2016 è stato eletto presidente di CECOP-CICOPA la confederazione europea delle cooperative industriali di servizi e delle cooperative sociali.

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data:  11 febbraio 2021
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