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ISSN 2282-1694
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Misurare la coesione sociale

Giulia Venturini, Paolo Roberto Graziano

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Maria Antonietta Sbordone

Numero 8 / 2016

Saggi brevi

Misurare la coesione sociale: una comparazione tra le regioni italiane

Giulia Venturini, Paolo Roberto Graziano

Abstract

Il concetto di coesione sociale è da tempo oggetto di studio di molte discipline, dalla sociologia all’economia, alle scienze politiche. In generale, per coesione sociale si intende l’insieme di fiducia, cultura e ricchezza economica e sociale che caratterizzano una comunità. Questo articolo[1] propone una mappatura della coesione sociale a livello nazionale, attraverso la costruzione di un indicatore composito. Nella prima parte si descriveranno alcuni indicatori generalmente utilizzati come proxy di coesione sociale, seguiti dalla proposta di un nuovo indicatore costruito utilizzando sette indicatori singoli rappresentativi degli elementi fondamentali caratterizzanti la definizione di coesione sociale: relazioni sociali, economia, parità di genere, cultura, inclusione sociale e non discriminazione, ambiente, fiducia. La seconda parte dell’articolo consiste in un’applicazione della misurazione alle regioni italiane, rivelando come l’adozione di un indicatore composito sia particolarmente adatta anche ad analisi di impatto delle politiche sociali sul benessere della popolazione.


The concept of social cohesion has been studied over time by multiple disciplines, from sociology to economy, to political sciences. Generally speaking, with social cohesion we refer to the whole system of trust, culture, economic and social well-being characterising a community. This essay proposes a mapping of social cohesion through the creation of a composite indicator. In the first part we will describe some indicators frequently used as proxys of social cohesion, followed by an original proposal of social cohesion based on a composite indicator. This indicator will be constructed by using seven unique indicators, each of them represents one of the fundamental elements characterizing the definition of social cohesion: social relations, economy, gender equality, culture, social inclusion and non discrimination, environment, trust. The second part of the article consists in the application of this measure in Italian regions, thus showing how the adoption of a composite indicator is particularly appropriate to analyse the impact of social policies on the population “well-being”.

Introduzione

Il concetto di coesione sociale è da tempo oggetto di studio di molte discipline, dalla sociologia all’economia, alle scienze politiche. In generale, per coesione sociale si intende l’insieme di fiducia, cultura e ricchezza economica e sociale che caratterizzano una comunità. Molti concetti, tra cui quello di capitale sociale e di reti sociali, possono essere ricondotti al concetto di coesione sociale, essendone elementi caratterizzanti (per il concetto di capitale sociale si veda Putnam, 1994). Solo negli ultimi anni si sono contraddistinti contributi scientifici più incentrati sull’analisi della coesione sociale nella sua totalità e non come studio di alcune sue parti (Easterly et al., 2006; Chan et al., 2006; Norton, de Haan, 2013). Il presente contributo si colloca in questo ambito di riflessione e si pone l’obiettivo di misurare il livello di coesione sociale nelle regioni italiane attraverso l’utilizzo di un indicatore composito.

Per poter meglio inquadrare il caso italiano, premettiamo alcune osservazioni in chiave comparata rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea, riferendoci ai risultati del report “Social Justice in the EU” della Fondazione Bertelsmann (Schraad-Tischler, 2015). Il rapporto si basa sull’utilizzo di un indice di giustizia sociale (social justice index) – progettato per misurare regolarmente i progressi in tema di giustizia sociale di ogni stato membro – composto, tra le altre cose, da un indicatore di coesione sociale. L’indicatore da noi proposto comprende sia le variabili prese in esame dal suddetto report che altre. Per questo i risultati proposti dalla Fondazione Bertelsmann sono particolarmente interessanti. In base ai dati del Report del 2015, l’Italia si colloca alla 21esima posizione (su 28 totali), con un valore ben al di sotto della media europea (Schraad-Tischler, 2015 – p. 43). Inoltre, se si va a guardare la variazione dell’indicatore rispetto al 2008, l’Italia non solo è tra i paesi meno virtuosi a livello comunitario in tema di coesione sociale, ma ha registrato un peggioramento in prospettiva diacronica. Per meglio comprendere il fenomeno risulta quindi importante uno studio approfondito sui livelli di coesione sociale all’interno delle varie regioni italiane.

Come per altri ambiti dell’analisi politologica e sociologica, uno dei punti cruciali per lo studio di un fenomeno (relativamente) recente è l’identificazione di una definizione condivisa. Nel paragrafo dedicato all’analisi della letteratura si ripercorreranno i contributi più significativi a partire dai quali si è sviluppata la definizione e l’operazionalizzazione che si propone in questa ricerca.

L’idea di “mappare” la coesione sociale origina dalle riflessioni scaturite nel 2015 durante la prima edizione dei Social Cohesion Days[2] e dalla necessità di avere uno strumento sintetico che possa tenere traccia dell’evoluzione della coesione sociale nel nostro Paese. Come si osserverà in seguito, in generale i risultati non sono distanti da quelli della più classica letteratura sulle diversità economiche e sociali rilevate in riferimento al caso italiano. Tuttavia, la scelta di utilizzare un indice composito che possa essere osservato su base continuativa consente di meglio comprendere le specificità territoriali e, in prospettiva, sviluppare raccomandazioni di politica pubblica, sia regionale che nazionale, più mirate. Il fenomeno è di particolare rilievo proprio perché, soprattutto nel corso degli ultimi anni, diverse amministrazioni pubbliche hanno avviato politiche che si prefiggono un obiettivo di coesione sociale; l’Unione Europea stessa, sin dalla riforma dei fondi strutturali del 1988, ha posto al centro della propria azione politica la riduzione delle disparità economiche e sociali, e alle politiche europee hanno fatto seguito numerose misure nazionali e regionali con il medesimo obiettivo.

L’articolo si struttura come segue. Una prima parte è dedicata all’analisi della letteratura e alla definizione di coesione sociale. Il paragrafo successivo è dedicato all’analisi empirica (definizione di un indicatore di coesione sociale, descrizione dei dati utilizzati, definizione del processo di costruzione dei sette indicatori specifici e dell’indicatore composito). A seguire si illustrano e discutono i risultati ottenuti. Il paragrafo conclusivo propone un confronto, a livello nazionale, con l’analisi della distribuzione di capitale sociale – che, come si argomenterà, è un concetto strettamente legato a quello di coesione sociale – e, a livello internazionale, con i risultati del progetto Regional Well-Being dell’OCSE[3].

Un definizione condivisa di coesione sociale

Sebbene il concetto di coesione sociale sia presente in sociologia fin dai tempi di Durkheim, è nel corso degli ultimi anni che ha assunto un ruolo sempre più rilevante nella ricerca economica, sociologica e politologica. Ciò che ha contraddistinto gli studi più recenti è il tentativo di affiancare alla definizione teorica un’operazionalizzazione che fosse esaustiva ancorché sintetica. Non è obiettivo di questo contributo esaminare in dettaglio le varie definizioni ed operazionalizzazioni di coesione sociale, quanto fornire un quadro aggiornato della discussione in letteratura.

Il dibattito sulla coesione sociale viene rilanciato a partire dalla prima metà degli anni ’90, in seguito alla diffusione del concetto di capitale sociale. Lo studio di Putnam sulle regioni italiane (Putnam, 1994) dà il via ad una serie di studi teorici ed empirici, anche a livello italiano (Cartocci, 2007; 2012; Cartocci e Vanelli, 2015) che conosceranno una certa diffusione anche al di fuori della comunità scientifica.

Nel 2000 il contributo “Social Cohesion as an Aspect of the Quality of Societies: Concept and Measurement” di Regina Berger-Schmitt (Berger-Schmitt, 2000) illustra criticamente le varie definizioni di coesione sociale. Muovendo dalla definizione di Durkheim – che enfatizzava la coesione sociale come “interdipendenza tra i membri della società”, “lealtà condivisa” e “solidarietà” – Berger-Schmitt si interroga sulle dimensioni analitiche maggiormente utilizzate nelle definizioni più recenti, ravvisando alcuni elementi comunemente associati alla coesione sociale: forza delle relazioni sociali, valori condivisi, sentimenti di appartenenza e di identità comuni ad una stessa società, fiducia, livelli di disuguaglianza all’interno della comunità (Berger-Schmitt, 2000). La stessa Berger-Schmitt evidenzia poi le dimensioni maggiormente enfatizzate da governi (ad esempio, francese e canadese) e organizzazioni internazionali (quali l’OCSE): appartenenza, inclusione, partecipazione, identificazione e legittimità. In un altro esercizio di mappatura concettuale, O’Connor ha identificato tre elementi costitutivi del concetto: “legami che uniscono, differenze e divisioni, collante sociale” (O’Connor, 1998). Berger-Schmitt propone quindi una definizione di coesione sociale che poggia su due elementi centrali: il primo, “la riduzione delle disparità, diseguaglianze, ed esclusione sociale”; il secondo, “il rafforzamento delle relazioni sociali, delle interazioni e dei legami” (Berger-Schmitt, 2000 – p. 3). Va notato come la seconda declinazione contenga al suo interno alcuni aspetti che sono tradizionalmente riconducibili al concetto di capitale sociale – come la stessa Berger-Schmitt fa notare – come ad esempio la nozione di fiducia.

Un terzo contributo di rilievo è quello di Jane Jenson (Jenson, 2010) in “Definining and Measuring Social Cohesion”. Similarmente a Berger-Schmitt, Jenson propone una rassegna ragionata del concetto, focalizzandosi soprattutto sulla relazione tra coesione sociale e politiche sociali, e la loro re-definizione dopo la recente crisi economica e finanziaria. Partendo dalla definizione di Berger-Schmitt, Jenson discute l’approccio utilizzato dall’OCSE e dall’Unione Europea che, a partire dagli anni ’80, considera la coesione sociale come un elemento fondamentale della propria azione politica. L’autrice osserva come la coesione sociale per lungo tempo non sia stata considerata come concetto in sé, ma come strumento per riformare le politiche economiche al fine di minimizzare le disuguaglianze (economiche prima ancora che sociali). Sotto questo profilo, la coesione sociale diviene sinonimo di stabilità sociale (Jensen, 2010).

E’ interessante poi notare come nei documenti dell’Unione Europea non vi siano richiami specifici alla definizione classica (che prevede una complessiva omogeneità valoriale) – per rispetto delle diverse specificità nazionali – e, allo stesso tempo, non venga proposta una vera e propria definizione di coesione sociale, evocandola solo come obiettivo generale (Jensen, 2010 – p. 5).

Un ultimo aspetto di rilievo è la relazione tra coesione sociale e capitale sociale. Il capitale sociale, unito alle relazioni sociali, può essere considerato come elemento costitutivo della coesione sociale, quando essa è vista nell’ottica del “poter fare qualcosa per la società” (Jensen, 2010). Per questo motivo sarà interessante confrontare la mappatura della coesione sociale con la mappatura del capitale sociale.

Per quanto riguarda l’analisi empirica – ossia la costruzione di un indicatore composito di coesione sociale – un primo approccio si può trovare, come anticipato, nel rapporto “Social Justice in the EU – Index Report 2015. Social Inclusion Monitor Europe” (Schraad-Tischler, 2015) della Bertelsmann Stiftung. Il concetto di giustizia sociale è un concetto più ampio di quello di coesione sociale, e uno degli elementi utilizzati nella costruzione dell’indicatore di giustizia sociale della Bertelsmann è un sotto-indicatore di coesione sociale. Le variabili considerate sono: politiche di inclusione sociale, coefficiente di Gini, politiche di non discriminazione, uguaglianza di genere (in Parlamento), politiche di integrazione, giovani NEET (“Not in education, employment or training”) (Schraad-Tischler, 2015). Una parte delle variabili che compongono l’indicatore composito proposto nel presente articolo è stata scelta ispirandosi all’indicatore qui descritto.

Nella valutazione delle variabili da considerare nella costruzione di un indicatore di coesione sociale efficace, un secondo riferimento è il concetto di BES (Benessere Equo e Sostenibile) proposto dall’Istat. Il progetto per misurare il BES– nato da un’iniziativa congiunta Cnel/Istat – fa parte del dibattito internazionale sul tema “Non solo PIL”. L’idea centrale è che i parametri economici da soli non siano sufficienti per valutare il progresso delle società e dovrebbero essere integrati da informazioni sociali e ambientali e da misure di uguaglianza e sostenibilità. Il rapporto sul BES (in questo paper si fa riferimento all’edizione 2015) si basa su dodici “dimensioni del benessere”, ognuna delle quali ricostruita secondo diverse variabili. Non tutte le categorie del BES sono adatte al fine di mappare la coesione sociale, ma quelle utili sono state inserite nella banca dati utilizzata per la costruzione dell’indicatore (Istat, 2015).

Analisi empirica: costruzione dell’indicatore composito

Basandosi sulla letteratura esistente, l’indicatore composito costruito nel presente articolo è composto da sette sotto-indicatori:

  1. relazioni sociali
  2. economia
  3. parità di genere
  4. cultura
  5. inclusione sociale e non discriminazione
  6. ambiente
  7. fiducia.

Per ogni indicatore sono state scelte dalle 3 alle 4 variabili, in modo tale che diano una rappresentazione il più dettagliata possibile del concetto da rappresentare. Come anticipato, la scelta degli indicatori è stata ispirata dal Social Justice Index (Schraad-Tischler, 2015) e dal BES (Istat, 2015).

Il dataset per la costruzione dell’indicatore composito contiene tutte le variabili utilizzate, divise per indicatore di appartenenza e su base regionale (la ricerca è svolta a livello regionale). Nella costruzione degli indicatori relativi alle relazioni sociali, all’economia, alla parità di genere e all’ambiente sono state utilizzate tre variabili, mentre nella costruzione degli indicatori relativi alla cultura, all’inclusione sociale e non discriminazione, e alla fiducia sono state utilizzate quattro variabili.

Le fonti principali di dati sono rielaborazioni degli autori su:

  • dati Istat sul BES (Istat, 2015);
  • dati Istat sulla coesione sociale (data warehouse CoesioneSociale.Stat[4]);
  • dati Istat su varie serie storiche (data warehouse su: indagine EU-SILC sul reddito e le condizioni di vita, rilevazione sulle forze lavoro, rilevazione sugli aspetti della vita quotidiana);
  • dati della Camera e del Senato da Ministero dell’Interno ed elaborazioni Istat;
  • dati dei singoli Consigli Regionali.

Il processo di costruzione di ogni singolo indicatore[5] prevede le seguenti fasi:

  • standardizzazione dei dati contenuti nel dataset di partenza (in modo da renderli omogenei ed idonei ad essere utilizzati nell’analisi empirica);
  • utilizzo della Principal Component Analysis (metodo statistico che permette la riduzione del numero dei dati, mantenendo all’interno delle nuove variabili il maggior numero di informazioni dei dati iniziali);
  • costruzione dell’indicatore singolo, obiettivo di questa parte di analisi empirica. A tal fine è stato utilizzato il programma I-Ranker, sviluppato dall’Istat per aiutare nella costruzione di indicatori “robusti”.

Per costruire l’indicatore composito di coesione sociale è stato creato un ulteriore database che comprende i valori dei sette indicatori singoli già costruiti, e inserito nuovamente in I-Ranker. È stato poi utilizzato un procedimento molto simile a quello illustrato in precedenza. Al dataset inserito sono stati applicati i cinque metodi per costruire un indicatore sintetico, in particolare per verificarne la robustezza al cambiamento di metodo di sintesi. Dopo averne verificato la robustezza, è stato applicato il metodo della media dei valori standardizzati.

Analisi dei risultati

Indicatori specifici

Analizzando i risultati (Tabella 1 e 2) per l’indicatore relazioni sociali[6], i valori più alti si registrano in Trentino Alto Adige e in Friuli-Venezia Giulia; sono positivi nel Nord Italia (pur con delle flessioni), per poi diminuire e diventare negativi passando dal Centro al Sud, dove troviamo le regioni più in difficoltà (Campania e Sicilia).

Per quanto riguarda l’indicatore economia[7], si osservano i valori più alti in Trentino Alto Adige e nel Veneto; nel resto del Nord e Centro Nord i valori sono sempre positivi, ma tendono a diminuire; decrescono diventando sempre più negativi dal Centro al Sud, dove troviamo le regioni più in difficoltà, che anche in questo caso sono Campania e Sicilia. È interessante notare che la Liguria, sebbene sia al Nord, abbia un rango basso (e quindi ha valori negativi).

In termini di parità di genere[8], i valori più alti si registrano in Emilia Romagna e Toscana, nel resto del Nord Italia sono positivi, ma tendono a diminuire, con lo stesso andamento di diminuzione da Nord a Sud individuato per gli indicatori precedenti. È interessante notare come la Valle d’Aosta, sebbene sia una regione del Nord, abbia valori negativi, che la portano a essere una delle regioni più in difficoltà in merito all’attenzione alla parità di genere.

L’indicatore cultura[9] restituisce una rappresentazione dell’Italia un po’ diversa dalle analisi precedenti. La regione con il valore più alto è il Lazio, seguita dall’Umbria. Il Nord ha valori bassi, anche se sempre positivi, mentre il Sud ha valori sempre più negativi, con la Sicilia e la Sardegna in coda.

Il quinto indicatore, relativo all’inclusione sociale e alla non discriminazione[10], presenta valori alti in Lombardia e Veneto; nelle rimanenti regioni del Nord i valori sono comunque positivi; stesso comportamento dei precedenti spostandosi al Centro-Sud. Una particolarità degna di nota è che Emilia Romagna e Toscana, che per gli indicatori precedenti hanno registrato valori positivi, presentano valori negativi.

Il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta sono poi le regioni più attente all’ambiente[11], mentre la Lombardia e la Basilicata le meno impegnate. Infine, per quanto riguarda la fiducia[12], buoni risultati per Campania, Toscana e Liguria. Le più negative risultano Veneto, Valle d’Aosta e Sardegna.

Indicatore composito

Come per gli indicatori singoli, per l’indicatore composito – essendo stato costruito in I-Ranker – si sono potuti applicare tutti i metodi di sintesi e si sono analizzati i ranghi ottenuti. Dall’analisi si può vedere che i ranghi sono sostanzialmente gli stessi, a parte alcune limitate variazioni. Nelle Tabelle 1 e 2 vengono utilizzati i valori e i ranghi ottenuti attraverso il metodo delle medie standardizzate.

La rappresentazione delle regioni italiane restituita dall’analisi è simile a quella ottenuto da altri studi che hanno utilizzato il “capitale sociale” come metrica di riferimento: le regioni del Nord e del Centro-Nord presentano valori di coesione sociale più alti. La coesione sociale diminuisce progressivamente spostandosi verso il Centro-Sud e il Sud Italia. Le regioni caratterizzate dalla più alta coesione sociale sono Emilia Romagna e Toscana; mentre le regioni meno “coese” sono Basilicata e Sardegna.

Tabella 1. Valori degli indicatori specifici e dell’indicatore composito (Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT e BES)

Tabella 2. Ranghi degli indicatori specifici e dell’indicatore composito (Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT e BES)

Una prima considerazione riguarda una perdurante divisione tra Italia settentrionale e meridionale, risultato tipico, tra l’altro, di studi riguardanti coesione sociale e capitale sociale nelle relazioni sociali, con una differenza: in base ai risultati della nostra analisi, la Valle d’Aosta, sebbene sia una regione del Nord, ha valori di coesione sociale più simili alle regioni del Sud.

In relazione all’analisi degli indicatori singoli, alcuni di essi si comportano in modo classico (es. relazioni sociali), altri “creano” una divisione in “diverse Italie”. L’indicatore relativo all’economia ha un andamento relativamente classico, ad eccezione della Liguria, simile alle regioni del Sud. Un altro indicatore con andamento relativamente classico è la parità di genere, rispetto al quale solo la Valle d’Aosta va ad essere unita alle regioni del Sud, in un’ideale divisione delle regioni (in linea con quanto ottenuto per l’indicatore composito). L’indicatore relativo all’inclusione sociale e non discriminazione è l’ultimo che può essere ricollegato a questa categoria, confermando un’immaginaria linea divisoria tra Nord e Sud Italia (anche se le regioni che spiccano in maniera negativa sono Emilia Romagna e Toscana). Tale risultato è particolarmente sorprendente, in quanto queste regioni sono solitamente considerate le più virtuose. Il confronto, nel prossimo capitolo, con il capitale sociale mostrerà questo fenomeno in maniera ancora più evidente. È interessante notare come gli outliers siano sempre regioni del Nord che hanno valori molto più negativi rispetto alla divisione tradizionale in due Italie, mentre diverse regioni del Sud presentano valori sorprendentemente positivi.

Grafico 1. La mappa della coesione sociale (Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT e BES)

L’indicatore relativo alla cultura mostra una suddivisione in Italie diverse da quelle osservate sin ora. Le regioni più virtuose possono essere “raggruppate” attorno al Lazio, con un secondo cluster positivo attorno alla Lombardia. Le restanti regioni hanno valori tendenzialmente limitati, soprattutto al Sud.

Anche l’indicatore relativo all’ambiente è caratterizzato da andamenti particolari, in quanto le regioni meno “coese” sono Lombardia e Veneto, le più coese Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige. Il resto delle regioni non sono distribuite secondo la frattura Nord-Sud. Si può dire che in questo caso la frattura sia all’interno dello stesso Nord. Questo, in realtà, può essere riconducibile alla natura dei dati: una delle variabili utilizzate è l’inquinamento nelle città, misurato nei capoluoghi di provincia; quindi le regioni con capoluoghi molto popolosi – come la Lombardia con Milano – ottengono risultati peggiori in termini di tutela dell’ambiente.

Infine, l’indicatore relativo alla fiducia restituisce valori particolari rispetto alla tipica frattura Nord/Sud. Come primo punto si osserva un livello di fiducia in generale molto basso in tutta Italia. È interessante notare che le due regioni che hanno i valori più positivi sono Toscana e Campania, che generalmente si collocano in posizioni opposte in altri tipi di classifiche. Inoltre, il valore maggiore è dato da una regione del Sud (Campania) e l’indicatore in analisi è l’unico in cui accade. Le altre regioni si distribuiscono senza una netta demarcazione.

Confronti nazionali ed internazionali

Per contestualizzare i risultati riteniamo interessanti due tipologie di confronto: a livello nazionale, in relazione agli esiti di alcuni studi sul capitale sociale, a livello internazionale, utilizzando la piattaforma Regional Well Being sviluppata dall’OCSE.

Come osservato, il concetto di capitale sociale è stato spesso associato a quello di coesione sociale, considerandolo più specificatamente uno dei suoi elementi costitutivi (Berger-Schmitt, 2000). La distribuzione del capitale sociale in Italia è stata studiata soprattutto da Cartocci (Cartocci, 2007; 2012), seguendo un approccio simile a quello utilizzato in questo articolo. Si compareranno di seguito i risultati della presente analisi con quelli pubblicati da Cartocci e Vanelli in “Una mappa del capitale sociale e della cultura civica in Italia” (Cartocci, Vanelli, 2015). Gli autori propongono un indicatore composito costituito da cinque sotto-indicatori: partecipazione civica, partecipazione elettorale, lettura di quotidiani, volontariato, donazioni di sangue. I risultati ottenuti dagli autori sono in linea con i risultati ottenuti nella nostra mappatura; i valori più elevati di capitale sociale si registrano nelle regioni del Nord e Centro Nord, con Trentino Alto Adige e Emilia Romagna in testa. Scendendo verso Sud si trovano progressivamente valori più bassi, con minimi in Campania e Basilicata. L’unica eccezione è rappresentata, anche in questo caso, dalla Valle d’Aosta, che sebbene sia una regione a Nord si caratterizza per un capitale sociale molto limitato.

A livello internazionale, il progetto Regional Well-Being[13] ricostruisce una mappatura di 395 regioni OCSE attraverso l’utilizzo di undici indicatori che restituiscono una distribuzione del benessere e della qualità della vita: accesso ai servizi, partecipazione civica, educazione, lavoro, comunità, ambiente, salute, sicurezza, reddito, abitare, soddisfazione di vita. Le molte analogie tra questi indicatori e quelli che costituiscono il nostro indicatore compito consentono di proporre una comparazione, soprattutto per quanto riguarda le due regioni italiane “più coese” - secondo i nostri risultati - (Emilia Romagna, Toscana), “meno coese” (Basilicata, Sardegna) e “mediamente coese” (Marche, Valle d’Aosta).

Secondo la mappatura OCSE, l’Emilia Romagna ottiene valori molto alti nella maggior parte degli indicatori, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione civica e l’accesso ai servizi. L’indicatore dove ottiene il valore più basso è l’ambiente (misurato come inquinamento dell’aria). Regioni simili a livello europeo risultano l’Alsazia in Francia e il Burgenland in Austria. La Toscana ottiene sostanzialmente gli stessi risultati, con i punteggi migliori in sicurezza. Regioni simili sono il Sud della Svezia e la Rioja in Spagna.

Le Marche ottengono risultati attorno ai valori mediani per l’Italia, risultato consistente con quello rilevato dalla nostra analisi. Regioni simili nei paesi OCSE sono la Loira in Francia e l’Hokkaido in Giappone. La Valle d’Aosta presenta sostanzialmente gli stessi risultati, ma con maggior variabilità: valori molto alti in alcuni indicatori e molto bassi in altri. Questo è consistente con i risultati ottenuti nella ricerca sulla coesione sociale. Regioni simili sono la Carinzia in Austria e l’Aragona in Spagna.

Per quanto riguarda le regioni “meno coese”, anche secondo la mappatura OCSE la Basilicata si posiziona nella parte bassa della classifica delle regioni italiane. L’unica eccezione è l’indicatore ambientale, dove ottiene valori molto alti. Regioni simili sono la Grecia centrale e il Nord del Portogallo. La Sardegna ha risultati consistenti a quelli ottenuti dalla Basilicata, e presenta similitudini con Lisbona in Portogallo e Murcia in Spagna.

Conclusioni

La presente analisi si è focalizzata sulla misurazione della coesione sociale nelle regioni italiane, attraverso la costruzione di un indicatore composito costituito da sette sotto-indicatori: relazioni sociali, economia, parità di genere, cultura, inclusione sociale e non discriminazione, ambiente e fiducia. La scelta degli indicatori è stata ispirata essenzialmente da due indicatori compositi già presenti in letteratura: il BES, Benessere Equo e Solidale, e il social justice index (Schraad-Tischler, 2015). I risultati ottenuti restituiscono una mappa dell’Italia che va oltre la tradizionale distinzione tra Nord e Sud del Paese; l’andamento generale rispetta sì l’ipotesi di un Italia settentrionale “più coesa” rispetto a quella meridionale, ma con variazioni interne che meritano una riflessione. Nella Tabella 3 si possono distinguere “cinque Italie” caratterizzate da diversi livelli di coesione sociale.

Tabella 3. Le cinque Italie della coesione sociale (Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT e BES)

Il concetto di coesione sociale è stato oggetto di studi recenti, come, ad esempio, il report “No Progress on Social Cohesion in Europe” (Dauderstädt, Keltek, 2016), dove si evidenzia un progressivo peggioramento del livello di coesione sociale in tutte le regioni europee, restituendo uno scenario critico del benessere sociale in Europa. A maggior ragione studi e ricerche sul tema sono di vitale importanza per sostenere le politiche, sia a livello paese che a livello comunitario.

La mappatura qui presentata rappresenta un primo tassello in un percorso di ricerca che vuole essere continuativo e sempre più orientato all’identificazione delle politiche che possono maggiormente rafforzare la coesione sociale nelle regioni italiane. L’obiettivo non è tanto il proporre una classifica di merito, quanto contribuire al dibattito su una definizione efficace di coesione sociale evidenziando le relazioni con altri concetti sociologici (capitale sociale, benessere, etc.), e porre al servizio della comunità scientifica e dei decisori politici uno strumento che possa costituire un punto di riferimento per monitorare i livelli di coesione sociale e identificare politiche efficaci per il suo rafforzamento.

Bibliografia

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Note

  1. ^ Una prima versione del presente contributo è stata pubblicata nella collana di Quaderni di Ricerca dell’Osservatorio Internazionale per la Coesione e Inclusione Sociale (OCIS). L’OCIS è un progetto nato nell’ambito dell’evento nazionale Social Cohesion Days, il primo festival sulla coesione sociale in Italia. L’Osservatorio nasce con l’intento di fornire utili strumenti di conoscenza circa la genesi, lo sviluppo e il consolidamento della coesione sociale nelle comunità politiche e sociali contemporanee.
  2. ^ I “Social Cohesion Days” (giunti nel 2016 alla seconda edizione) nascono con la costituzione di un network europeo di esperti, ricercatori, enti e istituzioni che ha portato alla definizione dei temi e delle istanze del festival, nell’ottica di aprire e nutrire il dibattito sulla coesione sociale e delineare nuove linee di intervento e nuovi modelli di politiche e azioni per il benessere sociale in Italia, in Europa e nel mondo.
  3. ^ Regional Well-Being
  4. ^ CoesioneSociale.Stat
  5. ^ Il processo di costruzione dei sette singoli indicatori è uguale per ogni indicatore; per cui si descriverà il processo in generale, segnalando eventuali specificità.
  6. ^ Indicatore relazioni sociali: sviluppando la PCA e utilizzando i metodi di verifica appropriati, si osserva come solo la prima componente costruita sia significativa, e quindi solamente questa è stata conservata per la costruzione dell’indicatore. Inserendo i valori in I-Ranker, applicando i metodi di sintesi e analizzando i ranghi ottenuti, si può osservare come i ranghi siano gli stessi a prescindere dal metodo ottenuto. I valori e i ranghi ottenuti (applicando il metodo della media dei valori standardizzati) sono presentati nella Tabella 1 e 2.
  7. ^ Indicatore economia: comportamento come per nota 6.
  8. ^ Indicatore parità di genere: comportamento come per nota 6.
  9. ^ Indicatore cultura: sviluppando la PCA e utilizzando i metodi di verifica appropriati, si osserva come le prime due componenti costruite siano significative, e quindi entrambe sono state considerate nella costruzione dell’indicatore. Inserendo poi i valori in I-Ranker, applicando tutti i metodi di sintesi e analizzando i metodi di sintesi e i ranghi ottenuti, possiamo vedere come i ranghi siano sostanzialmente identici, a parte alcuni valori in uno dei metodi.
  10. ^ Indicatore inclusione sociale e non discriminazione: come per nota 9.
  11. ^ Indicatore ambiente: comportamento come per nota 9.
  12. ^ Indicatore fiducia: comportamento come per nota 9.
  13. ^ Si veda nota 3.
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