Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
impresa-sociale-3-2014-public-service-mutuals-la-creazione-di-mutue-di-servizi-pubblici-per-coniugare-esternalizzazioni-e-partecipazione-dei-lavoratori

Numero 3 / 2014

Saggi

Public Service Mutuals. La creazione di mutue di servizi pubblici per coniugare esternalizzazioni e partecipazione dei lavoratori

Matteo Orlandini

Abstract

Il paper presenta un tentativo di mutualizzazione dei servizi pubblici nel Regno Unito. Grazie a diversi programmi (Right to Request, Right to Provide, Social Work Practice Programme, Mutuals Support Programme) i governi inglesi più recenti hanno cercato di esternalizzare non più i singoli servizi ma interi staff di lavoratori, favorendo la costituzione di “public service mutuals”. In questa accezione, le mutue sono organizzazioni che hanno lasciato l’amministrazione pubblica, tramite un processo di spin out, continuando a gestire ed erogare servizi sociali con finalità di pubblica utilità attraverso una modalità di gestione partecipativa, in quanto la proprietà dell’impresa è in mano ai lavoratori. Dopo aver ricostruito l’origine di questa politica, il paper illustra la struttura complessa del progetto: in esso si intrecciano società di consulenza, associazioni, organizzazioni ombrello, fondi dedicati, personale pubblico e commissioner. L’ultima parte del contributo riepiloga i punti di forza ed i limiti del modello con particolare attenzione all’ecosistema di competenze che rende il progetto esportabile anche in altri contesti.


This paper aims at presenting an attempt to mutualise public services in UK. With the “Right to Request” programme, “Right to Provide” programme, “Social Work Practice Programme”, “Mutuals Support Programme”, the last British Goverments have tried to find a way for outsourcing not only individual services but entire staffs of workers, encouraging the creation of public service mutuals. In this sense, these public service mutuals are organizations that are no longer part of the public sector (spin out process) but they carry on delivering public utility social services, thanks to an active management organization where the enterprise is actually owned by the workers. After showing the origin of this idea, the paper explains that consulting firms, associations, umbrella organizations, dedicated funds, public and commissioner staff finally intertwine, thus giving birth to a complex project. The last part presents the model strengths and limitations and the “ecosystem of expertise” mechanism that makes this project also exportable to other contexts.

 

Introduzione

In Inghilterra il processo di pluralizzazione degli attori nel campo dei servizi sociali e sanitari, avviato dai Tory negli anni ‘80, rinvigorito dall’azione dei governi laburisti, è continuato anche con il Coalition Government. Nella prima fase thatcheriana questo processo ha portato ad esternalizzare servizi verso il mercato. Nel periodo blariano anche il terzo settore è stato incluso nel sistema di creazione ed implementazione dei servizi pubblici. Oggi sembra avviarsi una nuova fase morfogenetica attivata secondo una logica delle opportunità (Archer, 1997; Prandini, 2010): l’ecosistema inglese si arricchisce costantemente di nuovi attori che cercano di sfruttare il momento di effervescenza e di libertà d’azione. Ciò è avvenuto prima con la creazione di nuove forme di impresa low profit e comunitarie, poi con la spinta verso l’esternalizzazione non tanto di servizi quanto di strutture della pubblica amministrazione. Il tema di questo saggio sarà il processo di spin out di apparati pubblici per la creazione di organizzazioni mutuali. L’idea di base è che le forme proprietarie e di controllo dei lavoratori sulle proprie imprese possano aiutare il ridisegno dei servizi (Julian, 2013); un ridisegno che enfatizza il coinvolgimento degli utenti e delle comunità, l’innovazione e l’imprenditorialità sociale. Il paper è pensato in tre parti: nel prossimo paragrafo verrà presentata l’origine dell’idea di mutualizzare una parte dei servizi socio-sanitari e successivamente la definizione, il percorso e la struttura di supporto delle mutue. Nelle conclusioni si presenteranno i punti di forza e di debolezza del sistema e i suoi meccanismi principali di funzionamento.

 

Quando e come nasce l’idea delle mutue di servizi pubblici

Come ogni ipotesi di riforma delle politiche sociali inglesi, anche quella delle Public Service Mutuals non nasce senza una storia di tentativi ed errori1. Gli apripista sono stati due schemi lanciati dai governi laburisti: il Right to Request del Department of Health del 2008 e il programma Social Work Practice del Department for Education del 2009.

Il Right to Request era parte di un ambizioso piano di riforma del sistema sanitario inglese (il programma Transforming Community Services) che prevedeva la creazione di servizi di qualità tramite la garanzia di maggiore libertà agli staff medici (DH, 2006; DH, 2008; DH, 2009; Social Enterprise Coalition, 2008). Il Right to Request era lo strumento che doveva facilitare la separazione tra le funzioni di fornitura (provider) e di controllo (commissioner) dei Primary Care Trust (PCT)2 e aiutare la formazione di nuove organizzazioni che fornissero servizi sanitari alla comunità. Oltre che perseguire gli scopi di qualità, di liberazione delle potenzialità di intrapresa degli staff clinici e di separazione delle funzioni, il Right to Request era anche il primo passo verso la creazione di un mercato dei servizi alla salute guidato dalla libertà di scelta dell’utente. Il programma rendeva possibile a tutti gli staff dei PCT lo sviluppo di una propria impresa sociale, esternalizzando i servizi che prima svolgevano all’interno del servizio sanitario pubblico; gli aspiranti imprenditori identificavano nell’impresa sociale un possibile veicolo per soddisfare le loro aspirazioni e i bisogni della comunità. Dopo una discussione con il resto dello staff, sottomettevano al board del PCT una proposta di interesse che mettesse in luce la visione, i valori e gli scopi del progetto. Il board era obbligato a prendere in considerazione l’iniziativa e, se approvata, a sostenere lo sviluppo dell’impresa sociale assegnandole un contratto di fornitura di servizi per un periodo iniziale di tre anni. Lo schema per l’applicazione del Right to Request è stato chiuso il 30 settembre 2010, dopo tre tornate di richieste con 61 espressioni di interesse approvate, 43 nuove imprese sociali attive, 25.000 addetti passati a nuove forme di imprenditoria (circa il 10% dei lavoratori dei PCT) e servizi erogati per 0,9 miliardi di sterline a metà del 2012. Il programma è stato oggetto di una valutazione nazionale (NAO, 2011) ed è stato successivamente rivisto ed ampliato con il Right to Provide.

Il secondo schema, il Social Work Practice Programme (SWP), è stato istituito nel 2009 con lo scopo di scoprire se piccole organizzazioni guidate da operatori sociali - indipendenti dalle Local Authority - potessero migliorare la qualità del lavoro e creare sistemi decisionali più vicini alla pratica. Questi cambiamenti sono stati pensati per offrire una maggiore consistenza e stabilità di cura per bambini abusati o con problemi mentali (“looked after children”) e per persone che escono da trattamenti di cura (“leaving care”). Uno degli obiettivi del programma è la liberazione degli operatori sociali dalle restrizioni imposte dalle autorità pubbliche nelle procedure, dall’alto numero di pratiche e dalla burocrazia, per potersi maggiormente concentrare sulle persone aiutate (Le Grand, 2007). Tra il dicembre 2009 e il maggio 2010 sono partiti 5 progetti pilota, a cui alcuni enti locali hanno affidato la fornitura di servizi per le due suddette tipologie di utenti. Le forme organizzative assunte sono state diverse: un’azienda privata, due organizzazioni di volontariato, un’impresa sociale, un’unità autonoma all’interno dell’ente locale. Nel 2011 il Department for Education ha annunciato altre 2 tranche del programma per l’infanzia e il Department of Health ha finanziato 6 SWP per adulti. Anche in questo caso una valutazione nazionale ha fatto il punto della situazione (Stanley et al., 2012a; Stanley et al., 2012b) e oggi il programma è in fase di riorganizzazione.

Dalle sperimentazioni laburiste di fine mandato i Tory hanno preso spunto per proseguire con un processo di esternalizzazione di servizi. Nel maggio 2010 David Cameron e Nick Clegg, rispettivamente Primo Ministro e Vice Primo Ministro inglesi, hanno indicato le priorità del programma di Governo. Uno dei punti qualificanti l’azione conservatrice-liberaldemocratica è stata un piano radicale di riforma dei servizi pubblici, coinvolgendo più attivamente organizzazioni come le mutue, le cooperative, le charities e le imprese sociali. L’obiettivo era duplice: da una parte la creazione di nuovi gruppi e l’espansione di quelli già esistenti; dall’altra garantire ai lavoratori del settore pubblico un nuovo diritto, ossia poter proporre un’offerta per subentrare nei servizi in cui lavorano. Sono stati tre i passaggi fondamentali di questa strategia: il discorso del 17 novembre 2010 del Ministro del Cabinet Office, Francis Maude, sul supporto alla formazione di mutue, il White Paper - Open Public Services - sulla riforma dei servizi e la creazione della Mutuals Taskforce nel febbraio 2011.

Nel seguito verrà illustrato il funzionamento dettagliato del progetto, a cui riteniamo necessario premettere una riflessione sulla torsione ideale che è in corso in Inghilterra. I riferimenti culturali che spingono verso l’esternalizzazione delle strutture sono essenzialmente due: la pluralizzazione degli attori che erogano servizi pubblici e la scommessa sull’imprenditorialità dei professionisti del sociale.

Nel White Paper - Open Public Services - il riferimento alla mutualizzazione è inserito nel quadro della diversificazione dei fornitori di servizi: il Governo si pone lo scopo di estendere, all’interno della macchina amministrativa pubblica, le forme organizzative con statuti autonomi (trust, public corporation, fund, arm’s-lenght organisation, Academy) e, partendo da queste, andare verso forme totalmente libere di impresa sociale. Questa impostazione coincide con l’analisi complessiva sulla difficoltà dei servizi pubblici inglesi: “la causa di bassi standard nel settore pubblico non va identificata né con una mancanza di risorse o mancanza di passione nei lavoratori del settore pubblico, neppure in una deficitaria ambizione da parte dei vari governi. Piuttosto si è di fronte ad un approccio obsoleto nell’organizzazione dei servizi pubblici che non è al passo con il modo in cui viviamo” (Cabinet Office, 2011, 9). Ad un problema di tipo organizzativo il sistema inglese risponde revisionando l’intero disegno di policy.

Nel paper Our Mutual Friends, la Mutual Taskforce3 introduce alcune evidenze teoriche ed empiriche sui benefici che le mutual apportano al processo di riforma dei servizi sociali (Le Grand & Mutual Taskforce, 2011; Le Grand & Mutual Taskforce, 2012). La cornice generale è la liberazione del lavoro sociale dai vincoli burocratici: “Esperti e professionisti lavorano meglio quando hanno ampia libertà d’azione, quando possono effettuare le loro valutazioni su come fornire un buon servizio, quando possono esercitare il proprio potere discrezionale nel prendere decisioni, quando possono agire imprenditorialmente e possono innovare in modo indipendente. Al contrario, una forte direzione, una supervisione e un monitoraggio burocratico pesante possono danneggiare l’innovazione e, soprattutto, limitare la capacità di fornire il miglior servizio possibile” (Le Grand & Mutual Taskforce, 2011). Le giustificazioni inerenti la svolta mutualistica sono di due tipi. Una è intrinseca ai lavoratori stessi: un maggiore coinvolgimento degli operatori è positivo per l’impatto che ha sugli stessi specialisti. L’altra è strumentale all’erogazione dei servizi: l’impegno diretto dei lavoratori è uno strumento per garantire servizi migliori, con maggiore soddisfazione degli utenti, meno costi e un’aumentata produttività.

La spiegazione intrinseca si basa sui lavori teorici degli psicologi Richard Ryan e Edward Deci (Deci, Ryan, 2000): le azioni ed i comportamenti autonomi generano un maggior grado di soddisfazione. Quando le persone fanno qualcosa perché la trovano interessante, piacevole o importante non è solo il livello motivazionale a salire, ma anche la qualità della performance e dell’esperienza. Alcune ricerche mostrano come l’attaccamento all’organizzazione, l’esperienza emotiva e il benessere (Kuler et al., 2008), i risultati dello staff (Matrix Evidence, 2011), il morale (Burns, 2006) e la soddisfazione lavorativa (Lampel, Bhalla, Jha, 2010) siano positivamente correlati con la proprietà dell’impresa da parte dei lavoratori.

Le giustificazioni strumentali sono legate a quelle intrinseche: il maggior coinvolgimento e una più alta motivazione portano qualità ed efficienza più elevate. L’assenteismo è minore nelle mutual rispetto a organizzazioni non-employee-owned (Reeves, 2007; ACEVO, 2010), così come lo è il turnover dello staff (Reeves 2007; Macleod, Clarke, 2008), inoltre queste organizzazioni generano una maggiore soddisfazione dei clienti (www.verdictretail.com), hanno costi di produzione minori e una produttività maggiore (Freeman, Kruse, Blasi, 2004), sono profittevoli e resilienti (Employee Ownership Association, 2011).

 

Cos’è e come si diventa una mutual

Cos’è una mutual? Che definizione ne viene dall’esperienza inglese? Le Public Service Mutuals sono organizzazioni che hanno lasciato l’amministrazione pubblica, tramite un processo di spin out, hanno continuato a gestire ed erogare servizi sociali con finalità di pubblica utilità e hanno fatto tutto questo con una modalità di gestione partecipativa, in cui la proprietà dell’impresa è in mano ai lavoratori (Le Grand & Mutual Taskforce, 2011). Sono tre quindi le componenti centrali delle mutual:

  • la fuoriuscita dal perimetro pubblico con l’attivazione di un processo di esternalizzazione della struttura organizzativa e del personale e non del solo servizio erogato;
  • la continuità nella gestione e produzione di beni e servizi precedentemente oggetto della propria mission;
  • la forma gestionale in cui i lavoratori sono proprietari della propria impresa.

Queste organizzazioni possono variare per forma legale, modello di business e governance. Le mutual possono registrarsi come “Community Interest Company”, “Companies Limited by Shares” o “by Guarantee” e “Industrial and Provident Societies”. Infatti, possono agire per profitto, non per profitto o come imprese sociali che limitato i propri utili. Per la sperimentazione inglese non è dirimente la forma giuridica o la finalità economica del soggetto mutuale, conta - se non esclusivamente, almeno fondamentalmente - l’impatto sociale che riesce a generare.

In queste imprese i lavoratori giocano un ruolo significativo sia nella proprietà che nella governance (Spear, Cornforth, Aiken, 2009). Le forme di partecipazione dei lavoratori possono essere diverse: si va dalla distribuzione di azioni nominali, alla parziale o totale proprietà del patrimonio, alla rappresentanza nei consigli di amministrazione. L’enfasi sul controllo da parte dei dipendenti non preclude la compartecipazione o la comproprietà di altri attori, come i membri della comunità, gli utenti dei servizi, così come la formazione di joint venture con le Local Authority.

Come si diventa una mutua dei servizi pubblici? Qual è il contesto, l’obiettivo, le opportunità connesse al processo mutualistico? Nel discorso di Francis Maude del novembre 2010 viene tracciato il disegno complessivo del progetto (si veda la figura 1):

  • il contesto ideologico è il passaggio dal Big Government laburista alla Big Society conservatrice,
  • l’obiettivo è la creazione di employee-led mutual, ossia di mutue gestite dai dipendenti,
  • garantiti da un nuovo diritto per far si che le nascenti mutue possano sottoporre l’interesse a subentrare nei servizi sociali pubblici che già erogavano le loro strutture (il Right to Provide) (paragrafo Il viaggio per diventare una mutua),
  • in un quadro articolato di supporto professionale e consulenziale (un sistema informativo - il Mutual Information Service, che funge da triage per il sistema - e un challenge group di esperti - la Mutual Taskforce, che è il gruppo d’ideazione indipendente che pungola il governo centrale) (paragrafo Il programma di supporto),
  • in un costante dialogo con le autorità locali (paragrafo Il programma di supporto),
  • con processi aperti e sperimentali, delimitati nel tempo, valutati e costantemente rivisti, per staff interessati a esternalizzare la propria struttura (nella fase iniziale il programma Mutual Pathfinder) (paragrafo Il processo degli esploratori),
  • con finanziamenti sia agli staff sia alle agenzie di consulenza che seguono passo passo le nuove mutue (tramite fondi pubblici appositi, il Social Enterprise Investment Fund e il fondo del Mutual Support Programme) (paragrafo I fondi dedicati),
  • con la garanzia per i lavoratori-neo-proprietari di mantenere i diritti acquisiti (il cosiddetto TUPE) (paragrafo I diritti dei lavoratori).

figura1Figura 1: Il disegno complessivo del Mutuals Support Programme

Il viaggio per diventare una mutua

Il Right to Provide è l’evoluzione del già citato Right to Request: è il diritto a presentare al proprio board una proposta per la creazione di un’impresa guidata dai lavoratori e a sviluppare un business case per testare la proposta. Se il Right to Request si focalizzava principalmente sullo sviluppo d’imprese sociali fuoriuscite dal NHS, il Right to Provide estende i modelli imprenditoriali anche a joint venture tra partner privati o di terzo settore e a partnership tra imprese sociali; accresce inoltre gli ambiti di applicazione a tutti i settori dell’assistenza sociale e sanitaria. L’obiettivo del Governo inglese è che ogni Dipartimento crei un Right to Provide nella propria area, con percorsi differenziati per ogni settore di attività. Ad oggi, la prima struttura a dotarsi di un tale strumento è stato il Department of Health, nel marzo 2011. Per gli staff attivi in questo segmento c’è una formalizzazione del “viaggio” per diventare mutua che include alcuni importanti strumenti (template e fondi appositi). Per le altre organizzazioni interessate il percorso è meno strutturato e copia (senza garanzie formali) quello del Deparmtent of Health. Alcune guide pratiche all’azione sono state pubblicate dalle organizzazioni ombrello e dal Cabinet Office (DH, 2011; Social Enterprise Coalition, 2011; Social Purpose Business Partners, 2012).

 

Qual è, dunque, il viaggio che una struttura pubblica compie per diventare una mutual? Quali i passaggi essenziali? (figura 2):

(1) Il primo passo riguarda la valutazione delle opzioni in campo (options appraisal). La domanda centrale è: questa è l’opzione giusta per me? Al cuore della risposta sta la questione di chi può comprare, in futuro, il servizio. Se non c’è possibilità di ottenere entrate, commesse o mercato, la strada delle mutue è impraticabile. Se invece si intravede un possibile business per il servizio o il bene che si produce, ecco che occorre identificare opzioni, criteri di valutazione e le migliori possibilità di sviluppo. È importante distinguere tra la possibile destinazione del viaggio e i passi da fare per arrivare a destinazione. Quattro le possibilità di destinazione: il settore pubblico, il settore privato convenzionato, le mutue, l’ibridazione (ad esempio una joint venture tra la struttura pubblica e un’impresa sociale o privata). Il come arrivare a destinazione è una scelta più complessa e prevede tre strategie: avviare una competizione aperta per i finanziamenti, trasformarsi in uno spin out, intraprendere una via intermedia integrandosi con un provider privato pur rimanendo un’organizzazione pubblica indipendente. Queste tre opzioni sono il nucleo della scelta per la mutualizzazione: occorre distinguere tra un’opzione totalmente a mercato (la prima) e una ibrida di quasi-pubblico (l’ultima).

(2) Il secondo passaggio è la formalizzazione della options appraisal da presentare - come Expression of Interest - all’autorità a cui fa riferimento la struttura pubblica che vuole diventare una mutua. L’Expression of Interest non è ancora un business plan o una scelta definitiva, ma una proposta scritta che dimostra l’interessamento ad intraprendere un percorso: è un documento in cui il team o la singola persona descrive la propria proposta, espone gli obiettivi della nuova impresa, presenta un piano di sviluppo dell’attività innovativo e ne dimostra la convenienza. Il board è obbligato a prendere in considerazione la proposta e a valutarla: se il risultato è positivo, allora si può ricorrere ad appositi fondi (Social Enterprise Investment Fund e Mutual Support Programme Fund) e ottenere con tali fondi una consulenza (es. sulle forme legali, organizzative o finanziarie delle mutue).

(3) La struttura “in cammino” inizia a coinvolgere tutti gli stakeholder: lo staff, la comunità, gli utenti, il commissioner, l’ente locale, i dirigenti, i regolatori regionali e nazionali, i sindacati, i media, le categorie professionali e gli altri erogatori di servizi. L’obiettivo è condividere il percorso intrapreso e ottenere il supporto di questi attori, attraverso modalità di coinvolgimento attive e consultive, anche formalizzando un project group con rappresentanze degli stakeholder (Social Purpose Business Partners, 2012). La futura mutua inizia, internamente ed esternamente, ad applicare ed allargare il principio cooperativo: chi può darmi una mano? Come? Come posso coinvolgerlo?

(4) Lo snodo fondamentale del viaggio si sta avvicinando e risponde alla domanda: la mia struttura ha bisogno di competere per un contratto? Le risposte, anche nel quadro europeo della concorrenza, possono essere di cinque tipi (Cabinet Office, 2011b)4:

  • No market: in alcuni settori, come quello clinico, in cui non esiste un mercato già attivo, la nascente mutua può ottenere un affidamento diretto; le amministrazioni aggiudicatrici devono essere in grado di definire il mercato, dimostrare che vi è la necessità di questo mercato e documentare che non ci sono altri operatori che sarebbero interessati e in grado di fare offerte per fornire il servizio.
  • Joint Venture: la nuova mutua partecipa ad una competizione per entrare in una joint venture con imprese che reciprocamente si assegnano contratti.
  • In house incubation: l’idea è quella di formare una mutua pur rimanendo nel settore pubblico, come organizzazione ombra, aggiudicandosi così i contratti, al termine dei quali l’ente pubblico potrebbe decidere di donare le sue quote dell’impresa al personale su base individuale.
  • Presentare un’offerta competitiva: in una competizione aperta la nuova mutua deve dimostrare di poter erogare i servizi al miglior prezzo.
  • Concessione di servizio: in alcuni casi è possibile ottenere la concessione di un servizio, ad esempio quando una parte fondamentale delle entrate proviene direttamente dalla vendita del servizio.

Alcuni spin out, inoltre, decidono di non partecipare a gare per contratti pubblici, ma prediligono soluzioni direttamente sul mercato.

(5) Uno degli ultimi passi coincide con la predisposizione del business plan. Il chi fa cosa, quanto tempo assorbe l’attività, i curricula dei professionisti coinvolti, i costi e i servizi/prodotti offerti. Tutte le questioni più pratiche (tasse, TUPE, schemi pensionistici, forme legali dell’organizzazione etc.) sono comprese nel piano, che va sottoposto all’approvazione del garante.

Finito il viaggio, la mutua è pronta per essere operativa. Dalla sottomissione dell’Expression of Interest passano mediamente 6-12 mesi per rendere attiva una mutua.

figura2Figura 2: La mappa del viaggio per diventare una mutua (Social Enterprise Coalition, 2011, 28-29)

definizione 

Il programma di supporto

Diventare una mutua richiede competenze, attitudine alla leadership, abilità comunicative, gestione della burocrazia, capacità di lobby politica. Per una singola organizzazione è difficile avere o apprendere tutte queste abilità da sola. Il Cabinet Office ha creato per questo il Mutuals Support Programme, un programma che garantisce supporto professionale alle mutue in formazione per superare le barriere di accesso e di crescita dell’impresa, le accompagna nella fasi di ideazione, progettazione e sviluppo, e gestisce un fondo di 10 milioni di sterline per la consulenza, tramite fornitori privati, alle mutue (Cabinet Office, 2012a). Il programma si basa su tre elementi:

  • un punto informativo online che fornisce le indicazioni iniziali, alcuni spunti su questioni cruciali (ad esempio il procurement), divulga i migliori studi di caso, le opportunità per il supporto tra pari e la condivisione di conoscenze;
  • un numero verde che opera come punto di accesso al programma, accompagnando le mutue con informazioni personalizzate. Ha la funzione di case management che indirizza e gestisce le priorità di intervento;
  • un supporto professionale che gestisce i servizi consulenziali relativamente alla tassazione, alle forme legali, alla direzione del personale, alla gestione del business, sia per gli staff delle mutue in costruzione sia per gli enti locali che stanno operando uno spin out. Anche le società di consulenza possono concorrere come fornitori per questo segmento del programma.

Gli staff che intraprendono un percorso di mutualizzazione contattano il numero verde che fornisce loro l’accesso al programma, possono richiedere informazioni dettagliate e vengono indirizzati verso un tipo di consulenza (legale, organizzativa, contrattuale, finanziaria, di marketing, etc.). Ogni mese il Mutuals Support Programme apre una call per organizzazioni di consulenza per accompagnare le mutue in formazione; le mutue beneficiarie possono chiedere la presenza di alcune specifiche nel contratto, poi standardizzate in un draft; i possibili fornitori della consulenza possono esprimere il loro interesse e chiedere alcune chiarificazioni che, se necessario, portano ad una ridefinizione degli standard; il Cabinet Office e i beneficiari valutano le offerte ricevute e danno un feed-back sia al vincitore del contratto sia ai partecipanti perdenti. Il processo di approvvigionamento del servizio di consulenza è pensato come un sistema aperto alle esigenze dei vari attori e trasparente negli obiettivi, esiti, costi (tutto è tracciato sul sito http://mutuals.cabinetoffice.gov.uk).

Il Mutuals Support Programme è costruito come un sistema di apprendimento dall’esperienza: la creazione di una mutua e il suo funzionamento si apprende sul campo, con continui feed-back tra consulenti, membri della taskforce, Local Authority e staff delle mutue (si veda figura 3):

  • Il Cabinet Office lavora a stretto contatto con i benificiari per sviluppare una descrizione dettagliata del percorso che la mutua vuol compiere e allo stesso tempo assicura che i bisogni emersi in questo percorso siano riflessi nel processo di contrattazione. Nell’invito a presentare un’offerta vengono specificati: il background della richiesta, la forma organizzativa e legale individuata, i bisogni di consulenza.
  • I fornitori devono “allenare” i beneficiari, assicurandosi che l’apprendimento venga incorporato nella potenziale organizzazione. Quando il contratto volge al termine, ai beneficiari devono essere lasciati documentazioni e strumenti che possano essere compresi e utilizzati, nonché una sicurezza professionale e senso di fiducia per poter affrontare problemi simili in futuro.
  • Uno dei prodotti finali più importanti è la condivisione dell’apprendimento e degli strumenti che emergono dal lavoro con il beneficiario. Non solo una singola mutua, ma anche altre devono poter essere in grado di avvantaggiarsi da questo lavoro. Obiettivo finale è il trasferimento di conoscenza e la sua messa in comune.

figura3Figura 3: Il sistema di apprendimento del Mutuals Support Programme (Cabinet Office, 2012a, 4)

Il Mutuals Support Programme è un programma basato sullo scambio tra pari: è composto da esperti che parlano lo stesso linguaggio, apprezzano le motivazioni reciproche, conoscono il contesto di riferimento. Sia per la parte consulenziale che per quella degli enti locali il Cabinet Office ha ragionato tramite forme di revisioni tra pari. Ad esempio, la collaborazione e la costruzione di un network tra amministratori locali è una delle azioni che può aiutare a mantenere uno sguardo critico e riflessivo sull’evoluzione delle mutue nei servizi pubblici. Il Cabinet Office ha istituito il Local Authority Mutuals Commissioners’ Group per fornire indicazioni e soluzioni pratiche sullo spin out, così che anche altri decisori possano imparare dall’esperienza di chi ha già intrapreso questo passaggio. Il gruppo si compone di commissari pubblici che stanno lavorando con un progetto di spin out. Il loro ruolo è quello di (Cabinet Office, 2012b):

  • sottoporre al Cabinet Office le sfide che la formazione delle mutue pone alle autorità locali e le esigenze di supporto conseguenti;
  • collaborare con i pari e la taskforce per affrontare le barriere allo spinnig out;
  • sostenere l’agenda per la mutualizzazone nel governo centrale e locale.

Il gruppo si può avvalere di sottogruppi specializzati per argomenti o aree e può utilizzare un forum online aperto a tutte le autorità locali per orientare il dibattito, per sostenere la più ampia rete di commissari e incoraggiare le migliori pratiche.

 

Il “processo” degli esploratori

All’inizio del programma, nell’agosto 2010, il Governo, per meglio comprendere come orientare l’azione di sostegno, decise di lanciare il Mutual Pathfinder (Cabinet Office, 2011c). Questo progetto è stato “il primo passo nella creazione di un genuino movimento ground-up dove gli staff, che sono i reali sistemi esperti, possono unirsi per far nascere servizi migliori” (Maude, 2010). Era un progetto dal basso, o meglio una ricostruzione dalle fondamenta (ground-up), che aveva come obiettivo la comprensione dell’esperienza delle mutue in formazione giorno per giorno, con successi, sfide e fallimenti, monitorati costantemente dal Governo. Furono selezionate 21 organizzazioni, di queste 18 diventarono mutue di servizi pubblici (con attività in sanità, assistenza sociale, politiche giovanili, servizi scolastici ed educativi) e 3 finirono il loro viaggio anticipatamente5 (nelle Schede 1 e 2 si possono leggere alcuni esempi). Il Mutual Pathfinder ha permesso al Cabinet Office non solo di avviare le prime organizzazioni6, ma soprattutto di focalizzare i temi salienti della mutualizzazione, tra cui innovazione ed efficienza, coinvolgimento degli utenti e degli staff, risposte ad un forte cambiamento di policy, leadership (Cabinet Office 2011b), e di tracciare le aperture verso una consulenza professionale esterna al Cabinet Office. Nella parte finale il Mutual Pathfinder Progress Report ha indicato tre aree di intervento: accesso ad un sistema esperto professionale (es. nel campo legale e del business); comunicazione, condivisione e rete con altre mutue; consulenza su temi tecnici come il procurement, la tassazione e la protezione dei lavoratori. Oggi l’“esplorazione” si è conclusa e il Mutuals Support Programme è entrato a regime: l’iniziale chiave sperimentale continua però a esserne un tratto distintivo.

scheda1Scheda 1: Anglian Community Enterprise (ACE)

scheda2Scheda 2: NAViGO

I fondi dedicati

Creare una mutua ha un costo: anche la stessa progettazione dello spin out (in termini di ore sottratte al lavoro, presenza sul campo, risorse umane impiegate) può ingenerare un blocco nell’avanzamento del progetto. In particolare la creazione di una nuova organizzazione può richiedere un bagaglio di competenze e di risorse economiche che anche gli specialisti più esperti possono non avere. Per rispondere al problema finanziario, sin dal 2007 il Governo inglese si è dotato di un fondo di investimento; il Social Enterprise Investment Fund, creato dal Department of Health e gestito da The Social Investment Business, ha lo scopo di investire nelle imprese sociali del settore sanitario e sociale per aiutarle a diventare sostenibili nel lungo periodo. Il fondo ha compiuto investimenti in più di 650 progetti, con impieghi tra le 4 mila e i 6,7 milioni di sterline, per un totale di circa 110 milioni di investimenti. Il SEIF è stato utilizzato anche dalle nascenti organizzazioni mutuali del Mutuals Support Programme, sotto l’egida del Right to Request e del Right to Provide. Con questo fondo il governo laburista ha cercato di sfidare quello che era ritenuto un fallimento del mercato: ritenere le imprese sociali non bancabili e quindi non sufficientemente interessanti per gli investimenti finanziari. Proprio per questo lo strumento principale sarebbe dovuto essere il prestito con un tasso variabile in base all’andamento del mercato (DH, 2010, 14). Così non è stato (almeno nelle prime tornate di finanziamenti): il fondo infatti ha usato le donazioni come suo principale strumento (Alcock et al., 2012). Eppure allo stesso tempo è riuscito ad attirare l’attenzione su questo nuovo segmento dell’impresa sociale, precorrendo i tempi del social investment. Un altro fondo a disposizione delle mutuals è legato al Mutuals Programme: se il SEIF ha come scopo il finanziamento delle attività dirette dell’impresa sociale, quest’ultimo ha invece come filone di spesa il sostegno alla consulenza, come già descritto.

 

I diritti dei lavoratori

Nel processo di esternalizzazione di una struttura di servizi pubblici sono coinvolti in modo diretto i diritti dei lavoratori: pensioni, retribuzioni, rimborsi, titoli di studio, funzioni, ore di lavoro, indennità di malattia, indennità di maternità/paternità, preavviso, procedure disciplinari, etc. In Inghilterra il TUPE, ossia il Transfer of Undertakings (Protection of Employment) Regulations del 2006, regola i trasferimenti rilevanti (relevant transfer) in caso di trasbordo di un servizio dalla pubblica amministrazione ad un ente privato. Ogni profilo organizzativo costituisce un’articolazione particolare del TUPE, contrattabile con i sindacati e applicabile in modo diverso a seconda delle posizioni lavorative (BIS, 2009), nell’ottica di garantire uguali diritti nel settore statale e privato.

 

Spinning out non è sinonimo di social value, ma…

Il progetto Public Service Mutuals non è stato ancora sottoposto ad una valutazione nazionale, come solitamente avviene per i programmi inglesi; non sono stati neppure posti degli obiettivi rendicontabili, né numerici (numero di mutue, clienti/utenti, dipendenti proprietari, fatturato, etc.) né sugli outcomes attesi (contratti vinti, social returns, erogazione di servizi di qualità, cambiamento nella percezione delle mutue, soddisfazione dei lavoratori, etc.). Possiamo quindi tentare di delineare i punti di forza e i limiti di questo modello a partire da analisi e ricerche “parallele”7.

I punti di forza:

  • Le mutue che riescono a realizzare al meglio un processo di esternalizzazione e l’avvio della gestione di un servizio sono quelle che godono di una certa vicinanza con la propria Local Authority: la forza dei rapporti di partenariato rende il processo più fluido e viabile. Nella stessa valutazione del Social Work Practice era emerso che, almeno nella fase di avvio della nuova organizzazione, le facilitazioni (di struttura, staff, legali, etc.) che può garantire l’amministrazione pubblica sono una garanzia per la buona riuscita dello spin out (Stanley et al., 2012a; Stanley et al., 2012b).
  • Le ricerche hanno messo in luce come gli spin out siano oggi guidati da processi decisionali più rapidi rispetto alle vecchie strutture interamente pubbliche (Alcock et al., 2012) e producano innovazioni dal basso (Social Enterprise Coalition, 2011).
  • La partecipazione degli utenti alle scelte dell’impresa e la creazione di un contesto user-friendly sono tra i maggiori benefici della creazione di mutue (Alcock et al., 2012). Inoltre anche l’impatto sui carer naturali è migliorato dopo la fuoriuscita dalla struttura amministrativa pubblica, soprattutto grazie al fatto che i professionisti possono dedicare più tempo agli utenti che a questioni burocratiche e i carichi di lavoro sono alleggeriti dopo lo spin out (Stanley et al., 2012b).

I limiti di questo modello:

  • Il processo di spin out richiede tempo ed energie: ancor più impegnativo è lo sforzo di assicurarsi i contratti (Hall, Alcock, Millar, 2012; Miller, Millar, 2011). Da una parte l’accesso al credito e alle erogazioni a fondo perduto non è semplice, anche se l’Inghilterra ha il mercato degli investimenti sociali più ampio d’Europa; dall’altra parte molte mutue o imprese sociali che hanno effettuato uno spin out dipendono da uno o da pochi contratti pubblici, così che i potenziali investitori sono riluttanti a capitalizzare queste organizzazioni (Hazenberg, Hall, 2013). Inoltre il mercato del credito e dei contratti si relaziona con più facilità con grandi organizzazioni, premiando e riproducendo così un modello “sovradimensionato” di impresa sociale.
  • La componente legale dell’esternalizzazione è molto complessa, in particolare per quanto riguarda gli asset e le responsabilità organizzative: i sindacati sono fermi su posizioni di difesa dei diritti acquisiti e le amministrazioni locali hanno molta cautela nel trasferire ambiti specifici, come le pensioni (Birchall, 2012).
  • Esistono difficoltà in relazione alle competenze degli staff dei servizi pubblici per poter sviluppare un’organizzazione sostenibile al di fuori del perimetro tradizionale: gli staff devono cambiare modo di ragionare e lavorare per diventare imprenditori sociali. Questa è una delle ragioni più citate dai manager delle Local Authority come causa del rallentamento o rifiuto di progetti di mutualizzazione (Hazenberg, Hall, 2013).

In quest’ultima parte sarà descritto il meccanismo generativo (Pawson, Tilley, 1997; Pawson, Tilley, 2007) che fa funzionare il programma di mutualizzazione, almeno per quanto concerne la creazione di nuovi attori per l’erogazione di servizi di utilità pubblica. Il nodo centrale della questione è, in una parola, l’ecosistema delle competenze che nasce e si sviluppa attorno al programma Public Service Mutuals. Questo ecosistema sembra garantire l’esito sperato (l’esternalizzazione di strutture) e la replicabilità del programma in altri contesti (ad esempio in Italia). In diverse regioni italiane si sta procedendo ad una riorganizzazione dei comparti sanitari e sociali: una regione virtuosa come l’Emilia Romagna, a partire dal 2010, sta ripensando i suoi servizi tramite le “Case della Salute”, strutture sanitarie e socio-sanitarie che in uno stesso spazio fisico erogano “prestazioni socio-sanitarie, favorendo, attraverso la contiguità spaziale dei servizi e degli operatori, l’unitarietà e l’integrazione dei livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie e rappresentano la struttura di riferimento per l’erogazione dell’insieme delle cure primarie” (Regione Emilia Romagna, 2011, 8). All’interno di questa politica non sono previste forme di esternalizzazione, anche perché in esse sono coinvolti primariamente i medici di medicina generale, eppure sono queste le occasioni in cui anche in Italia si potrebbe sperimentare la creazione di mutue di servizi pubblici. Il meccanismo è semplice: costruire una governance riflessiva tramite un pool di nuove competenze che sostengono, danno continuità e creano l’ambiente perché queste nuove imprese sociali possano sopravvivere. Di questo ecosistema si vogliono sottolineare tre cose:

  • È un ambiente multi-competenze: sono presenti le conoscenze scientifiche (es. Le Grand - Richard Titmuss Professor of Social Policy alla London School of Economics - è il capo della Mutual Taskforce), ci si avvale dell’apporto dell’esperienza dei manager delle mutue profit già presenti in Inghilterra (es. su tutti, nel board della Taskforce è presente il CEO di John Lewis Partnership), sono nate nuove branche di società di consulenza legale (es. solo per citarne uno, Anthony Collins Solicitors), organizzativa (es. Stepping Out, fatta da altri imprenditori sociali), di mercato (es. una su tutti, Make It Happen Consultancy). Rispetto a progetti attivi in altri campi, si sta costruendo un distretto della conoscenza che è l’ambiente ideale perché il sistema della mutualizzazione possa strutturarsi.
  • È una comunicazione sistema-ambiente tra pari: le persone e le organizzazioni attive nell’ambiente consulenziale hanno già vissuto l’esperienza di chi oggi prova a uscire dal settore pubblico. Per questo ne possono comprendere motivi ideali, utilitaristici, economici. Anche il gruppo di manager delle Local Authority ha costruito degli strumenti di revisione tra pari. Il problema è che queste due parti (mutue e consulenti) “lottano” contro la burocrazia, piuttosto che essere loro a costruirla in modi nuovi, più efficaci e orizzontali (Sabel, 2013).
  • È un complesso sistema-ambiente che apprende dall’esperienza: è solo dal provare e riprovare che i consulenti aiutano gli staff delle mutue e solo dal feed-back di questi ultimi che i primi costruiscono nuove conoscenze e competenze.
 

Note

1. Il modello di riferimento per ogni forma di co-ownership è la “John Lewis Partnership”: un’azienda partecipata dai lavoratori (appunto, partners) che è diventata dalla fine dell’Ottocento un caso di successo economico e sociale in Inghilterra. Tramite i suoi 84.700 lavoratori-proprietari detiene le catene di supermercati Waitrose, i negozi John Lewis e diverse imprese di produzione. La partnership ha un business che si aggira tra i 7 e i 9,5 miliardi di sterline negli ultimi cinque anni e la metà dei profitti viene divisa tra i lavoratori. Nella Mutual Taskforce è presente Patrick Lewis, un membro del board della “John Lewis Partnership”.

2. I PCT erano organismi amministrativi del servizio sanitario nazionale inglese che avevano la responsabilità di fornire assistenza sanitaria e azioni per la salute alle comunità locali. Essi commissionavano o fornivano direttamente una gamma di servizi di assistenza sanitaria. I PCT hanno gestito l’80% del bilancio totale del NHS, sino alla data della loro abolizione, il 31 marzo 2013.

3. La Mutuals Taskforce è stata creata nel 2011 con l’obiettivo di coinvolgere, stimolare e promuovere il lavoro del Governo per sostenere la creazione e lo sviluppo delle mutue di servizio pubblico. Per fare questo, la Taskforce comprende leader con esperienza e competenza nel campo accademico, mutualistico, di consulenza.

4. Un’altra forma emergente di commissioning che si sta affermando in Inghilterra è basata su meccanismi cooperativi (Shafique, 2013), dando priorità al valore sociale, piuttosto che ai costi, ponendo i cittadini e la co-produzione al centro del commissioning, investendo negli outcomes.

5. Alcuni buoni esempi sono riportati nelle Schede 1 e 2, altri si possono trovare in Burnell (Burnell, 2013) e Elliot (Elliot, 2013). Materiale interessante con interviste e approfondimenti su casi di mutualizzazione si trova nel sito del Transition Institute (http://www.transitioninstitute.org.uk).

6. Su 210 spin out attivi in Inghilterra e Scozia alla fine del 2012 - comprensivi anche dei leisure trusts (una politica di esternalizzazione degli anni ‘80) - una recente ricerca ha mostrato che il 45,3% non ha seguito nessun programma pubblico, il 28,3% il Right to Request, l’11,3 il Mutual Pathfinder, il 5,7% il Right to Provide (Hazenberg, 2013).

7. La ricerca con i dati più aggiornati sul fenomeno è di Hazenberg (Hazenberg ,2013): ha però come oggetto tutti gli spin out attivi in Inghilterra e Scozia, compresi i trust degli anni ‘80 e ‘90, allargando così a dismisura l’universo di riferimento, soprattutto per l’accesso al credito, le forme legali e il modello di business.

 

Bibliografia

ACEVO (2010), The Time is Now. A Manifesto from Community Alliance, Social Enterprise Coalition and ACEVO, ACEVO, London.

Alcock P., Millar R., Hall K., Lyon F., Nicholls A., Gabriel M. (2012), “Start-up and Growth: National Evaluation of the Social Enterprise Investment Fund (SEIF)”, report submitted to Department of Health Policy Research Programme, joint paper between the Third Sector Research Centre and the Health Services Management Centre at the University of Birmingham.

Archer M. (1997), La morfogenesi della società. Una teoria sociale realista, Franco Angeli, Milano.

Birchall J. (2012), “The Big Society and the ‘Mutualisation’ of Public Services: A Critical Commentary”, The Political Quarterly, 82, S1, pp. 145-157.

BIS - Department for Business Innovation & Skills (2009), Employment Rights on the Transfer of an Undertaking, Department for Business Innovation & Skills, London.

Burnell A. (2013), “City Health Care Partnership CIC: Health Care Mutuals - a View from the Frontline”, in C. Julian (a cura di), Making it Mutual: The Ownership Revolution that Britain Needs, ResPublica, London, pp. 157-161.

Burns P. (2006), Good Business: the Employee Ownership Experience, Job Ownership Limited, London.

Cabinet Office (2011a), Open Public Services, Cabinet Office, London.

Cabinet Office (2011b), Procuring Services from Public Service Mutuals, Cabinet Office, London.

Cabinet Office (2011c), Mutual Pathfinder Progress Report, Cabinet Office, London.

Cabinet Office (2012a), Mutuals Support Programme. Bespoke Professional Services for Fledgling Public Service Mutuals, Cabinet Office, London.

Cabinet Office (2012b), Local Authority Mutuals Development Group. Terms of Reference, Cabinet Office, London.

Craig J., Horne M., Mongon D. (2009), The Engagement Ethic: the Potential of Co-Operative and Mutual Governance for Public Services, The Innovation Unit, London.

Deci E., Ryan R. (2000), “The ‘What’ and ‘Why’ of Goal Pursuits: Human Needs and the Self-Determination of Behavior”, Psychological Enquiry, 11, pp. 227-268. http://dx.doi.org/10.1207/S15327965PLI1104_01

DH - Department of Health (2006), Our Health, Our Care, Our Say: a New Direction for Community Services, Stationery Office, London.

DH - Department of Health (2008), High Quality Care For All. NHS Next Stage Review Final Report, Stationery Office, London.

DH - Department of Health (2009), Transforming Community Services: Enabling New Patterns of Provision, Stationery Office, London.

DH - Department of Health (2010), Social Enterprise Investment Fund: Investment Policy and Plan 2010-2011, Stationery Office, London.

DH - Department of Health (2011), Making Quality Your Business: A Guide to Right to Provide, Stationery Office, London.

Elliot M. (2013), “Sunderland Home Care Association: the Case for Expanding Mutuality in Social Care”, in C. Julian (a cura di), Making it Mutual: The Ownership Revolution that Britain Needs, ResPublica, London, pp. 162-165.

Employee Ownership Association (2011), The Employee Ownership Index. http://bit.ly/1kiSecM

Freeman R.B., Kruse D., Blasi J. (2004), Monitoring Colleagues at Work: Profit Sharing, Employee Ownership, Broad-Based Stock Options and Workplace Performance in the United States, London School of Economics, Centre for Economic Performance, DP No. 647.

Hall K., Alcock P., Millar R. (2012), “Start Up and Sustainability. Marketisation and the Social Enterprise Investment Fund in England”, Journal of Social Policy, 41(4), pp. 733-749. http://dx.doi.org/10.1017/S0047279412000347

Hazenberg R. (2013), Public Service Spin-Outs. The State of the Sector, Transition Institute, London.

Hazenberg R., Hall K. (2013), The Barriers and Solutions to Public Sector Spin-Outs, Capital Ambition, London.

Julian C. (a cura di) (2013), Making it Mutual: The Ownership Revolution that Britain Needs, ResPublica, London.

Kruse D., Freeman B., Blasi J. (a cura di) (2010), Shared Capitalism at Work: Employee Ownership, Profit and Gain Sharing, and Broad-Based Stock Options, University of Chicago Press, Chicago. http://dx.doi.org/10.7208/chicago/9780226056968.001.0001

Kuler S., Gatenby M., Rees C., Soane E., Truss K. (2008), “Employee Engagement: A Literature Review”, Kingston Business School Working Paper Series, 19, Kingston University.

Lampel J., Bhalla A., Jha P. (2010), Model Growth: do Employee-Owned Businesses Deliver Sustainable Performance?, Cass Business School, London.

Le Grand J. (2007), Consistent Care Matters: Exploring the Potential of Social Work Practices, Department for Education and Skills, London.

Le Grand J. (2013), “The Public Service Mutual: A Revolution in the Making?” in C. Julian (a cura di), Making it Mutual: The Ownership Revolution that Britain Needs, ResPublica, London, pp. 132-135.

Le Grand J. & Mutuals Taskforce (2011), Our Mutual Friends: Making the Case for Public Service Mutuals, Cabinet Office, London.

Le Grand J. & Mutuals Taskforce (2012), Public Service Mutuals: the Next Steps, Cabinet Office, London.

Le Xuan S., Tricarico L. (2013), “Le Community Enterprises in Gran Bretagna: imprese sociali come modello di rigenerazione”, Impresa Sociale, 2, pp. 24-33.

Macleod D., Clarke N. (2008), Engaging For Success: Enhancing Performance Through Employee Engagement, Department for Business, Innovation and Skills, London.

Matrix Evidence (2010), The Employee Ownership Effect: a Review of the Evidence, Employee Ownership Association, London.

Maude F. (2010), New Support for Public Service ‘Spin-Outs’. http://bit.ly/1hPvCOh

Miller R., Millar R. (2011), “Social Enterprise Spin-Outs from the English Health Service: A Right to Request but was Anyone Listening?”, Third Sector Research Centre, Working Paper, 52, Birmingham.

NAO - National Audit Office (2011), Establishing Social Enterprises Under the Right to Request Programme, Stationery Office, London.

Pawson R., Tilley N. (1997), Realistic Evaluation, Sage, London. http://dx.doi.org/10.4135/9781412950596.n474

Pawson R., Tilley N. (2007), “Un’introduzione alla valutazione scientifica realistica”, in Stame N. (a cura di), Classici della valutazione, Franco Angeli, Milano.

Prandini R. (2010), “La morfogenesi culturale del terzo settore: le ‘generazioni del terzo settore’ e le loro emergenze culturali”, Impresa Sociale, 79(1), pp. 85-115.

Reeves R. (2007 ), CoCo Companies: Work, Happiness and Employee Ownership, Employee Ownership Association, London.

Regione Emilia-Romagna (2011), La programmazione delle “Case della Salute” nella Regione Emilia-Romagna, Bologna.

Sabel C. (2013), Esperimenti di nuova democrazia. Tra globalizzazione e localizzazione, Armando Editore, Roma.

Shafique A. (2013), New Approaches to Commissioning and Public Service Mutuals: Lessons from Co-operative Councils, Capital Ambition, London.

Social Enterprise Coalition (2008), Making a Difference. A Guide to the ‘Right to Request’, Social Enterprise Coalition, London.

Social Enterprise Coalition (2011), The Right to Run, Social Enterprise Coalition, London.

Social Purpose Business Partners (2012), Planning Stakeholder Engagement Activity. A guide for Public Service Spin Outs. http://bit.ly/POdOwd

Spear R., Cornforth C., Aiken M. (2009), “The Governance Challenges of Social Enterprises: Evidence from a UK Empirical Study”, Annals of Public and Cooperative Economics, 80(2), pp. 247-273. http://dx.doi.org/10.1111/j.1467-8292.2009.00386.x

Stanley N., Austerberry H., Bilson A., Farrelly N., Hargreaves K., Hollingworth K., Hussein S., Ingold A., Larkins C., Manthorpe J., Ridley J., Strange V. (2012a), “Establishing Social Work Practices in England: The Early Evidence”, British Journal of Social, July, pp. 1-17. Work. http://dx.doi.org/10.1093/bjsw/bcs101

Stanley N., Austerberry H., Bilson A., Farrelly N., Hargreaves K., Hollingworth K., Hussein S., Ingold A., Larkins C., Manthorpe J., Ridley J., Strange V. (2012b), Social Work Practices: Report of the National Evaluation, Project Report, Department for Education, London.

 

 
Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.