Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
impresa-sociale-3-2014-social-impact-bond-un-lupo-travestito-da-agnello

Numero 3 / 2014

Saggi brevi

Social impact bond: un lupo travestito da agnello?

Neil McHugh, Stephen Sinclair, Michael Roy, Leslie Huckfield, Cam Donaldson

Abstract

Questo paper presenta una critica ad ampio raggio dei social impact bond (SIB): un modello di investimento finanziario recente e innovativo, sviluppatosi nel Regno Unito e in via di diffusione su scala internazionale, che potrebbe trasformare radicalmente la fornitura dei servizi sociali. Nonostante i SIB abbiano il potenziale per influenzare l’offerta di servizi sociali da parte di tutti i fornitori, questo articolo si focalizza su tre dei loro possibili effetti: esiti potenziali, governance e possibili conseguenze inaspettate per il terzo settore inglese. Inoltre il contributo guarda ai SIB come alla più recente manifestazione del cambiamento ideologico che il terzo settore inglese sta attraversando.


This article provides a rounded critique of social impact bonds (SIBs): a newly developed and innovative financial investment model, developed in the UK and starting to spread internationally that could transform the provision of social services. Although SIBs have the potential to influence delivery by all providers, this article raises three concerns about their possible effects – in relation to their potential outcomes, unintended consequences for the UK third sector, and governance – and then reflects on SIBs as the latest manifestation of the ideological shift which the UK third sector is undergoing.

 

Traduzione italiana dell’articolo “Social impact bonds: a wolf in sheep’s clothing?”, pubblicato su Journal of Poverty and Social Justice, vol. 21 n. 3, pp. 247-57.
© Policy Press 2013,  #JPSJ, Print ISSN 1759-8273, Online ISSN 1759-8281. 

 

Introduzione

Nel Regno Unito la crisi finanziaria del 2008 ha causato una riduzione della spesa pubblica, associata ad una diminuzione del deficit e del debito (Taylor-Gooby, Stoker, 2011). A questo si è aggiunta la richiesta di un uso più “efficiente” di risorse pubbliche sempre più scarse ed un’accelerazione nell’attuare politiche per il finanziamento dell’outsourcing e l’effettiva fornitura di servizi sociali. Le organizzazioni del terzo settore, insieme alle imprese private, sono state identificate come potenziali strumenti di esternalizzazione, partendo dal presupposto che possano essere più innovative e flessibili dello loro controparti nel settore pubblico (Allen, 2009; Millar, 2012). Se la fornitura di servizi sociali subirà queste trasformazioni sarà però necessario introdurre forme e fonti di finanziamento alternative. In questo paper verrà approfondito uno di questi nuovi modelli di investimento finanziario: i Social Impact Bond (SIB).

Per le organizzazioni del terzo settore e per i fornitori di servizi pubblici, i SIB si differenziano dai tradizionali strumenti finanziari; si tratta di una forma di “pagamento per risultati” (Payment by Results - PbR), anche se estendono questa modalità di finanziamento utilizzando investimenti sociali che si finanziano sul mercato dei capitali, e vanno così a coprire le richieste derivanti dai tagli ai budget pubblici (Social Investment Task Force, 2010).

In questo contesto, per “investimento sociale” si intende un investimento finanziario in un’iniziativa di politica sociale che garantisca un ritorno finanziario all’investitore e allo stesso tempo produca servizi di welfare pubblico (Kingston, Bolton, 2004; Mulgan, Reeder, Aylott, Bo’sher, 2011). Si stima che nel 2010 il mercato degli investimenti sociali nel Regno Unito fosse pari a 190 milioni di sterline (Cabinet Office, 2013) e che stia attualmente acquisendo slancio e sostegno politico, come dimostrato dalla creazione di una banca di investimento sociale, la Big Society Capital (BSC)1. BSC è un’organizzazione finanziaria indipendente, con un capitale d’investimento di 50 milioni di sterline apportato dalle quattro banche Merlin - Barclays, HSBC, Lloyds Banking Group e Royal Bank of Scotland - e dai depositi dormienti (Dormant Accounts Scheme)2. La BSC si pone l’obiettivo di impiegare i finanziamenti provenienti dai mercati di capitali per fini sociali e al contempo generare un impatto sociale positivo (Cohen, 2012); non investe direttamente in organizzazioni di terzo settore, ma si rivolge a intermediari dell’investimento sociale, come Social Finance (che ha creato i SIB).

I sostenitori ritengono che i SIB siano una soluzione vantaggiosa per tutti i soggetti coinvolti. Il Ministro inglese per la Società Civile, Nick Hurd, li ha descritti come “un’opportunità che mette a disposizione risorse considerevoli per affrontare i problemi sociali con modalità innovative” e ritiene che siano in grado di generare nuovi investimenti nelle politiche sociali a costo zero e con un rischio minimo per le finanze pubbliche (Wintour, 2012). Tuttavia l’entusiasmo con cui i SIB sono stati accolti non è sempre stato mitigato dalla critica. Nonostante i SIB abbiano il potenziale per influenzare l’offerta di servizi sociali da parte di tutti i fornitori, questo articolo si focalizzerà su tre possibili effetti: i loro esiti potenziali, le conseguenze inattese per il terzo settore inglese e la loro governance; inoltre si guarderà ai SIB come alla più recente manifestazione del cambiamento ideologico che il terzo settore inglese sta attraversando. Per prima cosa considereremo le ragioni dell’entusiasmo che ha accompagnato la loro diffusione.

 

I social impact bond

I PbR sono stati adottati dai vari governi inglesi per finanziare servizi di sanità pubblica e welfare. Essi permettono al Governo di pagare i fornitori di servizi pubblici esternalizzati in base al conseguimento di risultati calcolati, trasferendo così il rischio finanziario al fornitore (Audit Commission, 2012). Il primo SIB al mondo venne annunciato dall’allora Segretario di Giustizia Jack Straw - del Partito Laburista - nel marzo 2010; fu creato da Social Finance per ridurre i livelli di recidiva tra i prigionieri con pena breve (condannati a reclusione per meno di un anno) della Her Majesty’s Prison (HMP) di Peterborough (Walker, 2010).

I SIB differiscono in molti modi dai precedenti modelli di PbR. Il termine “bond” è in sé alquanto fuorviante. Mentre un tradizionale bond finanziario viene descritto in qualsiasi manuale di finanza (Brealey, Myers, Marcus, 2001) come un titolo di debito sul quale il detentore del bond riceve un interesse fisso (cedola) che matura entro un certo lasso di tempo, i SIB hanno un rendimento finanziario solo quando vengono raggiunti specifici risultati sociali, avvicinandosi di fatto più ad un prodotto “equity” (Bolton, Saville, 2010; Greenhalgh, 2011). Inoltre essi implicano un accordo tra i vari stakeholder - il Governo, il fornitore del servizio e l’investitore - agevolato da un’organizzazione di intermediazione. L’intermediario negozia un accordo secondo cui l’investitore può recuperare il suo investimento di capitale sul fornitore di servizi, insieme ad un ritorno finanziario aggiuntivo (pagato dal Governo o da un’organizzazione per conto della quale il servizio viene erogato), a condizione che il fornitore di servizi ottenga certi risultati su una popolazione target (Bolton, Saville, 2010). La quota di rendimento finanziario può variare a seconda dei risultati sociali raggiunti, con un livello base concordato al di sotto del quale gli investitori abbandonano l’investimento e non ricevono rendimenti aggiuntivi. Ad esempio, un investitore riceverà un rendimento finanziario del 2,5% a fronte di una riduzione del 7,5% nella recidiva (misurata rispetto ad un gruppo di controllo); una riduzione maggiore nella recidiva darà luogo a rendimenti finanziari più alti, fino a un massimo del 13,3%; livelli di riduzione inferiori al 7,5% causeranno una perdita di capitale da parte degli investitori (Cohen, 2012).

La ricapitalizzazione dell’investitore e i rendimenti aggiuntivi vengono pagati con i risparmi che si accumulano a seguito del miglioramento nel conseguimento dei risultati. L’obiettivo del Governo è controllare che i servizi sociali continuino ad essere forniti quando il rischio del finanziamento è sostenuto dagli investitori anziché dai fornitori di servizi, come avviene invece in altri accordi di PbR. I fornitori non devono “fare affidamento” sul capitale per il conferimento del servizio (Disley, Rubin, Scraggs, Burrowes, Culley, 2011), come si potrebbe pensare per il fatto che sono “finanziati prima” dagli investitori (Scott, 2012), e gli investitori hanno la possibilità di guadagnare un rendimento finanziario da un investimento che ha una missione sociale (Bolton, Saville, 2010).

Esiste una notevole pressione internazionale per utilizzare questo strumento finanziario - ancora embrionale - per vari servizi pubblici e di welfare, sia nel Regno Unito3 che negli Stati Uniti e in Australia, attraverso lo sviluppo di nuovi SIB (Robinson, 2012). I sostenitori sperano che questo modello di finanza stimoli partnership “creative” per finanziare nuovi servizi sociali, in un periodo in cui il budget pubblico risulta essere ridotto ed incerto (Bolton, Saville, 2010; Social Investment Task Force, 2010).

 

Risultati

Il successo di un SIB sta nella misurazione del suo impatto sociale. In linea di principio, è da accogliere positivamente il passaggio da uno strumento orientato agli output per un certo gruppo target, ad uno indirizzato al raggiungimento di risultati di più ampia portata. Tuttavia l’impatto sociale è notoriamente difficile da misurare. Non è compito facile valutare come e fino a che punto un intervento abbia un impatto, ad esempio, sul benessere di un beneficiario: questo tipo di risultati tendono infatti a essere continuativi piuttosto che definitivi. Per molti degli obiettivi sociali dei SIB non esistono misure “standard”, quindi si dovranno utilizzare nuovi indicatori o approssimazioni. Tuttavia se una misura generale dell’effetto di un certo servizio può essere adeguata per alcune valutazioni, essa può non essere sufficiente per negoziare gli accordi di PbR e SIB, poiché i pagamenti dei rendimenti finanziari dipendono dai risultati e sarà necessario un certo livello di precisione per evitare controversie.

La complessità che sta dietro la formulazione del contratto di un SIB basato sull’impatto è ancor più evidente se si considera il problema di come validare il meccanismo che genera l’impatto. Questo riflette anche le difficoltà nell’attribuire cambiamenti sugli outcomes a specifiche azioni di policy, come espresso da Pawson (Pawson, Greenhalgh, Harvey, Walshe, 2004) e dalla letteratura sul Social Return of Investment (SROI) (Arvidson, Lyon, McKay, Moro, 2013). Il rischio implicito nei SIB fa propendere per un semplicistico modello “meccanico” di causa-effetto, basato sull’idea che un intervento è sempre qualcosa di singolare che dà luogo ad effetti chiaramente riconoscibili. Tale visione non riesce però a cogliere la complessità delle condizioni e dei contesti dei problemi sociali a cui i SIB si rivolgono. Ad esempio, mentre la recidiva sembra essere un risultato più idoneo di altri per investire in un SIB, la riduzione del livello di recidiva richiede di mediare con (e forse di apportare cambiamenti nelle pratiche di) varie agenzie coinvolte a supporto del gruppo target, ad esempio quelle che si occupano della fornitura dell’alloggio, dei benefits di sicurezza sociale, della formazione professionale; gli effetti sono inoltre condizionati dalla natura del mercato del lavoro locale. E’ possibile - e anche frequente - che un progetto sociale promettente fallisca proprio nella fornitura del sistema di supporto di cui il gruppo target ha bisogno per avere prospettive concrete di migliorare la sua situazione (Pawson, 2002). A questo punto una domanda sorge spontanea: come è possibile attribuire un certo risultato all’intervento in sé e per sé, quando il suo successo può essere determinato da altri servizi o da condizioni favorevoli? La premesse da cui partono i SIB non riescono a cogliere il fatto che le politiche di inclusione sociale non sono leve meccaniche ma processi molto più complessi, che comportano la riconfigurazione di interazioni sociali articolate con conseguenze spesso non prevedibili (Sanderson, 2000).

 

Conseguenze inattese per il terzo settore inglese

L’introduzione dei SIB nel terzo settore inglese ha portato ad alcune conseguenze “inattese”, come il “meccanismo perverso” che spinge le organizzazioni a trascurare le attività principali per concentrarsi su quelle più facilmente misurabili. Come risultato dalla contrattazione outcome-based del programma Pathways to Work, il PbR può portare le organizzazioni a modellare la fornitura dei servizi sulla base dei termini del contratto anziché sulla soddisfazione dei clienti (Hudson, Phillips, Ray, Vegeris, Davidson, 2010). Di conseguenza, i soggetti più vulnerabili e in maggiore difficoltà sono spesso “parcheggiati” e dimenticati poiché occuparsi di loro in modo soddisfacente richiede sforzi, tempi e costi elevati, mentre si preferisce focalizzare le attività sulla clientela migliore e priva di particolari esigenze, meno dipendente dai sussidi statali, raggiungendo così i risultati “da contratto” o incentivati.

La “distorsione delle attività” provocata dai PbR può manifestarsi anche in altri modi. Ad esempio nell’appropriazione della qualifica di “impresa sociale”. Le imprese sociali sono state ampiamente sostenute come legittime candidate, tra le organizzazioni di terzo settore, per colmare le lacune nella fornitura di servizi pubblici da parte dello Stato (Brady, 2011). Anche se nel Regno Unito non esiste una definizione a norma di legge di impresa sociale, la definizione del Department of Trade and Industry (DTI) continua ad essere citata: “un’impresa avente principalmente obiettivi sociali, le cui eccedenze sono reinvestite nell’impresa stessa o nella comunità per migliorarne i risultati, anziché essere utilizzate per massimizzare il profitto degli azionisti e dei proprietari” (DTI, 2002, 13). Ciononostante la mancanza di una definizione normativa lascia il dibattito aperto a varie interpretazioni sulla natura dell’impresa sociale. Molti attori del settore pubblico e privato hanno da tempo approfittato di questa lacuna per adattare la definizione ai loro obiettivi specifici (Jones, 2012; Roy, Donaldson, Baker, Kay, 2013), così come lo stesso Governo nell’ambito del dibattito sul coinvolgimento dell’impresa sociale nella riforma del Sistema Sanitario Nazionale (NHS) (Hampson, 2010). Questa ambiguità apre la strada un’interpretazione “creativa”, nel caso in cui le imprese private for-profit forniscano servizi sotto le sembianze di “imprese sociali” come copertura per le privatizzazioni. Questo tipo di “estensione del concetto di impresa sociale” rappresenta sicuramente un allontanamento dalla tradizione europea (alla quale fa riferimento la definizione del DTI) verso modelli di impresa sociale più tipicamente americani, che possono comprendere anche aziende indiscriminatamente orientate al profitto, con obiettivi sociali minimi (Defourny, Nyssens, 2010).

Il rischio di deviazioni dall’obiettivo originario è amplificato da una chiara mancanza di “preparazione all’investimento sociale”; questo problema non è confinato alla sola impresa sociale ma si estende all’intero terzo settore (Gregory, Hill, Joy, Keen, 2012). Verosimilmente, l’attuale mancanza di preparazione all’investimento è in gran parte dovuta al fatto che molte imprese sociali sono semplicemente troppo piccole per sfruttare l’impatto che i SIB avrebbero su di loro. La maggioranza dei contratti di servizio pubblico sono conferiti a grandi multinazionali che lavorano in outsourcing (come Atos, A4E e Serco) e che possiedono il capitale necessario per affrontare significative variazioni di flusso di cassa fino a quando i contratti di PbR non innescano il pagamento (Social Enterprise UK, 2012). Social Enterprise UK ha descritto questo emergente settore privato come una forma di oligopolio, dove un numero ridotto di aziende detengono un’ampia quota del mercato dei servizi pubblici, come uno “Stato Ombra” (Social Enterprise UK, 2012).

Per competere con queste imprese e diventare più adatte al finanziamento con i SIB, le imprese sociali potrebbero cedere alla tentazione di crescere in modo sostanziale o fondersi tra loro. Le imprese sociali, però, nascono spesso per affrontare specifici problemi locali e la pressione all’ottimizzazione delle risorse potrebbe portarle a trascurare i propri obiettivi e le comunità. Ogni deviazione dagli obiettivi originari avrà conseguenze negative per i soggetti più vulnerabili, che necessitano di un supporto locale e personalizzato.

 

Governance

Nei precedenti accordi di PbR, il Governo generalmente manteneva il controllo sulla selezione dei fornitori dei servizi. Tuttavia la responsabilità del Governo è stata messa in secondo piano da un processo di delega necessario all’implementazione dei SIB, in quanto è un intermediario - come Social Finance - a promuovere il SIB e ad ingaggiare il fornitore del servizio (Disley, Rubin, Scraggs, Burrowes, Culley, 2011). I SIB pertanto prevedono non solo l’“appalto” dei servizi necessari alla soluzione di problemi sociali, ma anche della possibilità di individuare un fornitore, andando così ad intaccare la possibilità di stabilire una responsabilità pubblica e democratica. L’assenza di una relazione diretta tra il fornitore dei servizi e il Governo favorirà un’asimmetria informativa a favore del fornitore e ridurrà la supervisione e la capacità del Governo di influenzare la fornitura o di intervenire in caso di illeciti. Alla luce delle indagini sulle possibili frodi alla A4E - un’importante stazione appaltante del Work Programme - il Public Accounts Committee (2012) ha raccomandato al Department for Work and Pensions (DWP) di assicurare un controllo appropriato quando aziende private vengono selezionate per la fornitura di servizi pubblici. I SIB compromettono però la capacità del Governo di implementare queste raccomandazioni, poiché comportano una delega esternalizzata per i servizi.

La struttura necessaria per creare un mercato di azionariato sociale4 comprende gli intermediari dei SIB e un ente regolatore (Cohen, 2012) che dovrebbe prevenire ogni possibile contrasto tra intermediari e fornitori dei servizi. Gli asset sono centrali in questo tipo di mercato e i SIB sono stati promossi come una nuova “asset-class” in grado di introdurre la disciplina di mercato nell’economia sociale (Bolton, Saville, 2010). Sebbene le “intenzioni dichiarate” di favorire il terzo settore e di continuare a fornire servizi sociali essenziali possono anche essere genuine, sono espresse nel linguaggio dei mercati e delle aziende del settore privato. Un programma di austerità e taglio delle spese legittima il dibattito a favore di maggiore innovazione, e in simili circostanze si è spesso caldeggiato il sostegno ai mercati e alle aziende (Seelos, Mair, 2012). Vi è però il pericolo che l’adozione acritica di questi principi e linguaggi “annacqui” i fondamenti e le caratteristiche distintive del terzo settore - le relazioni con la comunità, i valori, l’impegno per la giustizia sociale e per un cambiamento radicale nella società - che, sebbene contestati (Macmillan, 2013), possono facilmente andare persi (McCabe, 2012).

Questo approccio market-oriented si collega alla questione etica sul ruolo del mercato in relazione ai problemi sociali. Le aziende private sono già presenti in molti settori sociali (come ad esempio nell’assistenza sanitaria e nel sistema penale, dove esistono prigioni gestite privatamente - una è l’HMP di Peterborough). C’è tuttavia il rischio che un ulteriore sconfinamento del settore privato nel finanziamento e nella valutazione delle performance dei fornitori dei servizi del terzo settore - promosso da accordi di finanziamento simili ai SIB - riduca l’autonomia di quest’ultimo. Per questo i SIB possono intaccare ulteriormente i confini tra privato, pubblico e terzo settore ed esporre maggiormente l’implementazione delle politiche pubbliche agli imprevisti del mercato.

Nella discussione vanno ricordati anche il potenziale e l’interesse per ulteriori sviluppi nell’economia sociale; ad esempio il mercato secondario degli investimenti sociali attraverso il quale gli investitori possono rivendere l’investimento iniziale (Disley, Rubin, Scraggs, Burrowes, Culley, 2011). Questo scenario si può concretizzare nel momento in cui gli investitori approfittano dei punti deboli degli altri attori per accrescere il proprio guadagno (Scott, 2012), ma i sostenitori dei SIB hanno rapidamente respinto l’idea che siano in prima battuta una “trovata per fare soldi” (Travis, 2010). Tuttavia il precedente causato dal mercato dei derivati nella crisi finanziaria (Acharya, Philippon, Richardson, Roubini, 2009) crea preoccupazioni reali in merito alla riproposizione di azioni che promuovano la separazione tra la titolarità e le responsabilità, con un conseguente deterioramento della rendicontazione, della determinazione del prezzo e della governance.

 

Social impact bond, il terzo settore inglese e uno spostamento ideologico

Nel Regno Unito i SIB sono stati introdotti in un periodo in cui le organizzazioni del terzo settore stavano affrontando tagli senza precedenti e ristrutturazioni finanziarie epocali. Si è stimato che le organizzazioni di volontariato e le imprese di comunità del Regno Unito perderanno circa 911 milioni di sterline all’anno in termini di finanziamento pubblico entro il 2015-2016, e che le riduzioni totali di risorse ammonteranno a 2,8 miliardi di sterline nel periodo compreso tra il 2011 e il 2016 (Davison, 2013). Inoltre alcune autorità locali dovranno affrontare una diminuzione di circa un terzo delle entrate entro il 2017-2018. Infine una percentuale crescente del supporto pubblico diretto alle organizzazioni di terzo settore non verrà più erogata tramite donazioni e sussidi, bensì attraverso prestiti e pagamenti di servizi (Davison, Heap, 2013).

L’austerità economica è solo uno degli aspetti dello scenario nel quale i SIB si sono sviluppati; l’altro è un clima politico e ideologico peculiare, per cui i SIB sono stati motivati dall’accelerazione di una tendenza politica promossa dai vari governi inglesi per oltre un decennio. I riferimenti alla difficile contingenza economica contenuti nel White Paper del Cabinet Office (2013, 17) - Growing the Social Investment Market - sono scarsi; il documento si focalizza piuttosto sulla promozione di un “nuovo pilastro della finanza” per fornire servizi pubblici. Questo riflette l’obiettivo della Social Investment Task Force già illustrato nel suo primo report dell’ottobre 2000 - Enterprising Communities: Wealth Beyond Welfare - ossia quello di promuovere i finanziamenti privati a favore del terzo settore. Il report suggeriva di individuare degli intermediari dell’investimento sociale perché assumessero un ruolo di maggiore rilievo nel finanziamento alle attività del terzo settore (Social Investment Task Force, 2000).

I SIB rappresentano quindi la continuazione di una tendenza seguita da vari governi per ridurre l’investimento pubblico nei servizi sociali, incoraggiare maggiori investimenti da parte di privati e altri intermediari finanziari e rendere “market” il terzo settore. Ad esempio, il Direttore della BSC, sir Ronald Cohen5,ha affermato che la sua missione è “fare crescere il mercato dell’investimento sociale inserendosi nel vasto mercato dei capitali.” (SENSCOT, 2012). Il “nuovo paradigma” promosso dalla BSC è trasformare il terzo settore britannico una “asset-class” in grado di attrarre i migliori investimenti e garantire il pagamento dei dividendi agli investitori. Per raggiungere questo risultato, le organizzazioni del terzo settore dovranno però adottare norme e pratiche tipiche del settore privato. Questa tendenza è stata riscontrata non solo nel Regno Unito, ma anche a livello internazionale, dove il ruolo delle sovvenzioni viene contestato e si è posta maggiore enfasi sulla sua natura di “investimento di impatto, e sulla sua allettante promessa di fare del bene e allo stesso tempo fare i soldi” (Hattendorf, 2012).

I SIB rappresentano quindi l’ultima fase di uno slittamento ideologico che favorisce l’allontanamento dei servizi sociali e di welfare dai convenzionali fornitori pubblici o del terzo settore, e costituiscono inoltre una notevole sfida alla cultura e all’operatività del terzo settore volontaristico e comunitario. L’accoglienza relativamente favorevole accordata ai SIB da alcune componenti del terzo settore ha indotto alcuni critici ad affermare che nel terzo settore britannico vi siano elementi che potrebbero appoggiare ulteriori misure di privatizzazione nella riforma del welfare (Mair, 2012). Posizione che non sorprende poi tanto, alla luce della crescente importanza che attori provenienti dall’impresa sociale o dal settore privato stanno acquisendo all’interno terzo settore inglese - più ben disposti verso fonti di finanziamento e modelli di tipo commerciale (Davison, 2013). Mentre in Inghilterra all’entusiasmo del Governo per i SIB hanno fatto eco varie componenti del terzo settore, in Scozia - dove per ora è stato approvato un solo SIB - l’accoglienza è stata decisamente più tiepida. Sebbene il Scottish Council for Voluntary Organisations abbia sostenuto lo sviluppo dei SIB (SCVO, 2011), il Governo Scozzese e molte altre parti del terzo settore si sono opposti. Ad esempio, SENSCOT (The Social Entrepreneurs Network for Scotland) ha affermato che il finanziamento e il modello operativo proposto dalla BSC e rappresentato dai SIB è “di fatto difettoso e potrebbe potenzialmente danneggiare il terzo settore” e ha aggiunto che vi è una “radicale incompatibilità” tra i valori del settore privato e quelli del terzo settore (SENSCOT, 2012). In linea con la tendenza ad una sempre maggiore divergenza politica tra Londra ed Edimburgo, il governo Scozzese si è opposto alle misure di impatto e all’introduzione del PbR nei servizi pubblici; ai SIB ha preferito finanziamenti e meccanismi di fornitura di servizi alternativi, come le Public Social Partnerships (PSP) (Scottish Government, 2011a) e iniziative note come “Change Funds”, tra cui una di queste basata sulla riduzione della recidiva (Scottish Government, 2011b). Tuttavia, queste alternative non rappresentano soluzioni permanenti, ma meccanismi di supporto transitori, e possono risultare insostenibili in vista dei prossimi pesanti tagli ai finanziamenti pubblici.

 

Conclusioni

La crisi finanziaria ha creato un terreno fertile per nuovi meccanismi di finanziamento e accordi di fornitura dei servizi sociali. La volontà di accogliere l’innovazione è più evidente nel campo del cosiddetto “investimento sociale”. I SIB sono emersi come uno strumento in grado di combinare il PbR e l’investimento sociale e hanno guadagnato un certo favore, specialmente tra ex banchieri finanziari, che cercano di utilizzare la loro esperienza per spostare i finanziamenti dal mercato di capitali al terzo settore (Social Finance, 2012).

Tuttavia il sostegno a questo strumento emergente dovrebbe essere mediato da un senso critico e da una base empirica che supporti gli sviluppi delle policies. Sebbene in questo paper si sia cercato di proporre una visione critica, è necessaria una ricerca più approfondita che esponga implicazioni e risultati - sia negativi che positivi - derivanti da questo nuovo e promettente approccio ai finanziamenti. E’ indispensabile effettuare uno studio comparato relativo agli sviluppi dei SIB in altri Paesi, come ad esempio l’erogazione di servizi terapeutici ai detenuti di Rikers Island, negli Stati Uniti (Olson, Phillips, 2012); le obbligazioni di benefit sociali nel New South Wales, in Australia (Center for Social Impact, 2012); e in Scozia, dove l’unico SIB attivo ha permesso di applicare un “modello di comunità più localizzato” (SENSCOT, 2013) che incentiva le relazioni tra le parti e coinvolge gli investitori nelle esigenze locali del progetto. Ulteriori analisi del SIB per il carcere di Peterborough, che fino ad ora hanno dato segnali positivi (Pudelek, 2013), faranno chiarezza su futuri sviluppi.

Probabilmente i SIB genereranno nuove risorse per finanziare i servizi sociali e di welfare, e potranno essere adottati da autorità locali in difficoltà economiche e in lotta con decisioni politicamente controverse sui tagli ai servizi. Tuttavia è interessante notare come forme alternative di investimento sociale meno influenzate dal mercato di capitali privati - banche di comunità, le community shares, Change Funds, PSP - non abbiano ricevuto lo stesso livello di promozione e sostegno finanziario dei SIB (Community Shares, 2012; Ainsworth, 2012). Il ritiro dell’obbligazione “Allia’s Future for Children” a causa di un insufficiente interesse mette in evidenza la necessità di uno “sviluppo di prodotti di investimento sociale più semplici” (Rotheroe, Lomax, Joy, 2013). I dibattiti in merito alle fonti di finanziamento più innovative dovrebbero far riflettere sui diritti dei cittadini sostenuti dai servizi sociali, e non soltanto sul fatto che essi generino risorse aggiuntive in tempi difficili. I SIB rappresentano qualcosa di più di una semplice riforma tecnica sulle modalità di finanziamento dei servizi sociali. Il loro impatto andrà oltre i servizi finanziati; ciò che essi significano per il controllo e la responsabilità dei servizi - e per il ruolo giocato nel terzo settore - merita un attento monitoraggio.

 

Note

1. In origine la BSC avrebbe dovuto chiamarsi Big Society Bank (BSB) (Cabinet Office, 2010).

2. Il Dormant Accounts Scheme, introdotto a seguito della fondazione della Dormant Bank e del Building Society Accounts Act nel 2008, fa sì che somme di denaro giacenti nei conti da più di 15 anni vengano reinvestite a beneficio della comunità. E’ stato siglato un accordo per trasferire una parte di questi conti giacenti alla BSC (Big Society Capital, 2012a). Nel 2012 il capitale ricevuto dalla BSC da parte del Reclaim Fund era di 119,4 milioni di sterline (Big Society Capital, 2013).

3. Il primo SIB in Scozia è stato creato dalla Perth YMCA in collaborazione con il Department for Work and Pensions (Scott, 2012) per un progetto a sostegno dei giovani.

4. La BSC intende giocare un ruolo importante in questo sviluppo investendo negli intermediari finanziari dell’investimento sociale (SIFIs) (Big Society Capital, 2012b).

5. E’ stato annunciato che sir Ronald Cohen si dimetterà dal suo ruolo di direttore della BSC, ma resterà nel consiglio di amministrazione (Ashton, 2013).

 

Bibliografia

Acharya V., Philippon T., Richardson M., Roubini N. (2009), “The Financial Crisis of 2007-2009: Causes and Remedies”, Financial Markets, Institutions & Instruments, 18(2), pp. 89-137.

Ainsworth D. (2012), “Charity Bank and Senscot join forces to create a Scottish Community Bank”. Third Sector: http://www.thirdsector.co.uk/go/social_enterprise/article/1148030/charity-bank-senscot-join-forces-create-scottish-community-bank/

Allen P. (2009), “Restructuring the NHS Again: Supply Side Reform in Recent English Health Care Policy”, Financial Accountability & Management, 25(4), pp.373-389. http://dx.doi.org/10.1111/j.1468-0408.2009.00483.x

Arvidson M., Lyon F., McKay S., Moro D. (2013), “Valuing the Social? The Nature and Controversies of Measuring Social Return on Investment (SROI)”, Voluntary Sector Review, 4(1), pp. 3-18. http://dx.doi.org/10.1332/204080513X661554

Ashton J. (2013), “Sir Ronald Cohen stepping down as head of Big Society Capital”. Independent: www.independent.co.uk/news/business/news/sir-ronaldcohen-stepping-down-as-head-of-big-society-capital-8544945.html 

Audit Commission (2012), “Local payment by results”, Briefing: Payment by results for local services, Audit Commission, London.

Big Society Capital (2012a), Big Society Capital: vision, mission and activities, Big Society Capital, London.

Big Society Capital (2012b), What we fund. www.bigsocietycapital.com/what-we-fund 

Big Society Capital (2013), “Big Society Capital first Annual Report”, Big Society Capital Annual Report, pp. 1-67, Big Society Capital, London.

Bolton E., Saville L. (2010), Towards a new social economy: blended value creation through Social Impact Bonds, Social Finance, London.

Brady A. (2011), “Differences that are more than word deep”. Social Enterprise Live: http://www.socialenterpriselive.com/section/comment/policy/20110119/differences-are-more-word-deep

Brealey R.A., Myers S.C., Marcus A. J. (2001), Fundamentals of Corporate Finance, (3rd ed.), McGraw-Hill/Irwin, New York.

Cabinet Office (2010), “Prime Minister launches the Big Society Bank”, press release.
https://www.gov.uk/government/news/prime-minister-launches-the-big-society-bank

Cabinet Office (2013), Growing the social investment market: a vision and strategy, Cabinet Office, London.

Centre for Social Impact (2012), An Australian snapshot: Social Impact Bonds, Perspectives from the Social Finance Forum 2012, Centre for Social Impact, Sydney.

Cohen R. (2012), “Big Society Capital Marks a Paradigm Shift”, Stanford Social Innovation Review, Summer 2012. www.ssireview.org/articles/entry/big_society_capital_marks_a_paradigm_shift 

Community Shares (2012), www.communityshares.org.uk 

Davison R. (2013), “Does Social Finance Understand Social Need?”, Social Enterprise. www.cancook.co.uk/wp-content/uploads/2013/01/Does-Social-Enterprise-Understand-Social-Need.pdf 

Davison R., Heap H. (2013), “Can Social Finance Meet Social Need?”, Tomorrow’s People/Can Cook, June 2013. http://www.tomorrows-people.org.uk/files/blog/can-social-finance-meet-social-need-heap-and-davison-june-20131.pdf

Defourny J., Nyssens M. (2010), “Conceptions of Social Enterprise and Social Entrepreneurship in Europe and the United States: Convergences and Divergences”, Journal of Social Entrepreneurship, 1, pp. 32-53. http://dx.doi.org/10.1080/19420670903442053

Department of Trade and Industry (2002), Social enterprise: a strategy for success, DTI, London.

Disley E., Rubin J., Scraggs E., Burrowes N., Culley D. (2011), Lessons learned from the planning and early implementation of the Social Impact Bond at HMP Peterborough, RAND Europe, Research Series 5/11, Ministry of Justice, London.

Greenhalgh R. (2011), “New Models of Social Finance”, Centre for Local Economic Strategies Bulletin, 86.

Gregory D., Hill K., Joy I., Keen S. (2012), Investment readiness in the UK, Big Lottery Fund, London.

Hampson G. (2010), Health secretary challenges ‘narrow’ definition of social enterprise. Social Enterprise Live: http://www.socialenterpriselive.com/section/news/policy/20100714/health-secretary-challenges-%E2%80%98narrow%E2%80%99-definition-social-enterprise

Hattendorf L. (2012), “The Trouble with Impact Investing: P1”, Stanford Social Innovation Review, January 24.
http://www.ssireview.org/blog/entry/the_trouble_with_impact_investing_part_1

Hudson M., Phillips J., Ray K., Vegeris S., Davidson R. (2010), The Influence of outcome-based contracting on Provider-led Pathways to Work, Research Report No. 638, Department for Work and Pensions, London.

Jones D. (2012), “The trouble with not defining social enterprise”. The Guardian Social Enterprise Network:
http://www.theguardian.com/social-enterprise-network/2012/jan/06/trouble-not-defining-social-enterprise

Kingston J., Bolton M. (2004), “New Approaches to Funding Not-for-profit Organizations”, International Journal of Nonprofit and Voluntary Sector Marketing, 9(2), pp. 112-121.

Macmillan R. (2013), “Distinction’ in the Third Sector”, Voluntary Sector Review, 4(1), pp. 39-54.

Mair V. (2012), “NCIA says umbrella bodies have signed up sector to privatisation”. http://bit.ly/1tdp9WA 

McCabe A. (2012), “Is the Third Sector so Special? What is it Worth?”, Third Sector FuturesDialogues, Big Picture Paper 3, TSRC Informing Civil Society, Third Sector Research Centre, Birmingham.

Millar R. (2012), “Social Enterprise in Health Organisation and Management: Hybridity or Homogeneity?”, Journal of Health Organization and Management, 26(2), pp. 143-148.

Mulgan G., Reeder N., Aylott M., Bo’sher L. (2011), Social Impact Investment: the Challenge and Opportunity of Social Impact Bonds, The Young Foundation, London.

Olson J., Phillips A. (2012), “Rikers Island: the First Social Impact Bond in the United States”, Community Development Investment Review, pp. 97-101, Federal Reserve Bank of San Francisco, Goldman Sachs, San Francisco, CA.

Pawson R. (2002), “Evidence-based Policy: in Search of a Method”, Evaluation, 8(2), pp. 157-181. http://dx.doi.org/10.1177/1358902002008002512

Pawson R., Greenhalgh T., Harvey G., Walshe K. (2004), “Realist Synthesis: an Introduction”, ESRC Research Methods Programme, Working Paper Series, CCSR, University of Manchester, Manchester.

Public Accounts Committee (2012), Preventing Fraud in Contracted Employment Programmes. Fifteenth Report of Session 2012-13, HC103, The Stationery Office, London.

Pudelek J. (2013), “HM Prison Peterborough social impact bond has led to a fall in reconvictions, official figures show”. Third Sector: http://www.thirdsector.co.uk/Finance/article/1186265/hm-prison-peterborough-social-impact-bond-led-fall-reconvictions-official-figures-show/

Robinson J. (2012), Better Public Services Through Social Impact Bonds, Lessons from the US, Canada, New Zealand and Australia, Winston Churchill Memorial Trust, London.

Rotheroe A., Lomax P., Joy I. (2013), “The Future for Children Bond: identifying the Lessons Learned from Allia’s Bond Offer to Retail Investors”, Social Investment, July, pp. 1-29, New Philanthropy Capital, London.

Roy M.J., Donaldson C., Baker R., Kay A. (2013), “Social Enterprise: New Pathways to Health and Well-being?”, Journal of Public Health Policy, 34(1), pp. 55-68.

Sanderson I. (2000), “Evaluation in Complex Policy Systems”, Evaluation, 6(4), pp. 433-454. http://dx.doi.org/10.1177/13563890022209415

Scott L. (2012), “Social Impact Bonds: what’s that coming over the hill?”. acquiringbusiness4good: http://www.senscot.net/view_art.php?viewid=12318

Scottish Government (2011a), Public Social Partnerships, Scottish Government, Edinburgh. http://www.scotland.gov.uk/News/Releases/2011/07/08133636

Scottish Government (2011b), Reducing Reoffending Change Fund, Scottish Government, Edinburgh. http://www.scotland.gov.uk/Topics/Justice/public-safety/offender-management/changefund

SCVO (Scottish Council for Voluntary Organisations) (2011), How to do Things Differently: Third Sector 2011 manifesto, Scottish Council for Voluntary Organisations, Edinburgh.

Seelos C., Mair J. (2012), “Innovation is Not the Holy Grail”, Stanford Social Innovation Review, Fall 2012.
http://www.ssireview.org/articles/entry/innovation_is_not_the_holy_grail

SENSCOT (2012), Social Investment in Scotland: a Discussion Paper, August 2012. http://www.senscot.net/view_art.php?viewid=12660

SENSCOT (2013), Social Impact Bonds: YMCA Scotland, March 2013. http://www.senscot.net/view_art.php?viewid=13252

Social Enterprise UK (2012), The Shadow State: a Report about Outsourcing of Public Services,Social Enterprise UK, London.

Social Finance (2012), www.socialfinance.org.uk 

Social Investment Task Force (2000), Enterprising Communities: Wealth Beyond Welfare. Report to the Chancellor of the Exchequer from the Social Investment Task Force, Social Investment Task Force, London.

Social Investment Task Force (2010), Social Investment Ten Years on: Final Report of the Social Investment Task Force, Social Investment Task Force, London.

Taylor-Gooby P., Stoker G. (2011), “The Coalition Programme: a New Vision for Britain
or Politics as Usual?”, The Political Quarterly, 82(1), pp. 4-15. http://dx.doi.org/10.1111/j.1467-923X.2011.02169.x

Travis A. (2010), “Will Social Impact Bonds solve society’s most intractable problems?”. The Guardian: http://www.theguardian.com/society/2010/oct/06/social-impact-bonds-intractable-societal-problems

Walker P. (2010), “Investors to pay for prisoner rehabilitation”. The Guardian: http://www.theguardian.com/society/2010/mar/19/investors-pay-for-prisoner-rehabilitation

Wintour P. (2012), “Social impact bond launched to help teenagers in care and the homeless”. The Guardian:
http://www.theguardian.com/society/2012/nov/23/social-impact-bond-teenagers-homelessness

 

 

 
Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.