Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
impresa-sociale-1-2013-una-nuova-metrica-per-l-impresa-sociale-il-sistema-di-rilevazione-del-valore-aggiunto-sociale

Numero 1 / 2013

Saggi

Una nuova metrica per l'impresa sociale: il sistema di rilevazione del Valore Aggiunto Sociale

Andrea Bassi

Abstract

Vi è una certa insoddisfazione tra gli operatori del terzo settore, tra i finanziatori privati nonché tra i decisori pubblici, circa le modalità di valutazione dell’impatto sociale, derivante dall’operare di tale tipologia organizzativa, nella comunità territoriale di riferimento. I sistemi di misurazione della performance delle organizzazioni di terzo settore e delle imprese sociali (OTS/IS) variano grandemente nel tempo a seconda di una serie di variabili endogene ed esogene in relazione ai contesti (ambienti) economici, politici, sociali e culturali, in cui esse sono inserite (operano).

Il presente articolo si propone di fornire al lettore italiano un quadro teorico concettuale innovativo a partire dal quale è possibile costruire una batteria di indicatori per la valutazione del valore aggiunto sociale prodotto dalle OTS/IS. L’ipotesi da cui si prende le mosse è che la specificità/distintività delle OTS/IS sia data dalla loro capacità di produrre beni relazionali e di generare capitale sociale.

Partendo dalla esplicitazione di “che cosa” producano le OTS/IS, il testo illustra il modello della “catena di produzione del valore” applicato alle OTS/IS elaborato da un gruppo di studiosi della Harvard University, basato su cinque dimensioni/fasi: risorse-processi-prodotti-risultati-effetti. Il paragrafo successivo è dedicato alla presentazione delle diverse tipologie di valore aggiunto che un’organizzazione può produrre per la società. A seguire viene descritto in maniera dettagliata il modello di valutazione del “valore aggiunto sociale” (SAVE), applicato alle OTS/IS italiane. Infine, nelle conclusioni viene richiamato il percorso teorico illustrato nel corso dell’articolo e vengono avanzate alcune ipotesi per possibili progetti di ricerca futuri.


There is a widespread dissatisfaction among nonprofit leaders and managers, private funders and public decision-makers concerning the system of social impact assessment of nonprofit organizations/social enterprises (NPO/SE). The systems of performance measurement of NPO/SE vary greatly on the basis of a series of endogenous and exogenous variables related to different organizational environments: economic, political, social and cultural.

The aim of this article is to present to the Italian reader an innovative theoretical framework on the basis of which it is possibile to build a bunch of indicators for the evaluation of the social added value produced by NPO/SE. Our hypothesis is that NPO/SE are characterized by two main features: the capacity to produce relational goods and their ability to generate social capital in the community.

Moving from the definition of what the NPO/SE do really produce the article shows the “value chain creation” model applied to the Italian NPO/SE. The logical framework, elaborated by a team of Harvard University scholars, consists of five dimensions: resources, processes, products, results and impacts. The following section focuses on the presentation of different “added value” typologies, that an organization can produce for the society as a whole. Next the evaluation model called S.A.V.E. is explained using the Italian NPO/SE as empirical reference. Finally the conclusive section summarizes the main results illustrated in the article and opens new hypothesis for further research projects.

Il presente lavoro si inserisce in un percorso di ricerca che sto portando avanti da alcuni anni (Colozzi, Bassi, 2008; Bassi, 2009a, 2009b, 2010a, 2010b, 2011a, 2011b). Molte delle riflessioni in esso svolte sono state da me elaborate nel corso di un’indagine empirica svolta nell’ambito del programma di ricerca Il Valore sociale aggiunto (VAS) del Terzo settore: come misurare la produzione di beni relazionali dell’Unità di ricerca dell’Università di Bologna, all’interno del PRIN 2007 dal titolo Reti societarie, capitale sociale e valorizzazione dei beni pubblici - coordinatore nazionale prof. Pierpaolo Donati - che ha visto coinvolte anche le sedi dell’Università di Verona e dell’Università Cattolica di Milano.

“(…) (with the) concern that what could currently be counted
may not measure what truly is
the value added to society by nonprofit organizations
and citizen participation”

(Flynn, Hodgkinson, 2002 - p. viii).

Introduzione

I sistemi di misurazione della performance delle organizzazioni di terzo settore e delle imprese sociali (d’ora in poi OTS/IS) variano grandemente nel tempo a seconda di una serie di variabili endogene ed esogene in relazione ai contesti (ambienti) economici (A), politici (G), sociali (I) e culturali (L), in cui esse sono inserite (operano) (Figura 1). Tra queste ultime (variabili esogene) si menziona:

  1. il sistema di regolazione normativa delle OTS/IS;
  2. il complesso di istituzioni politico-amministrative dello Stato e delle sue articolazioni territoriali;
  3. gli stili e le pratiche di management delle agenzie della Pubblica Amministrazione;
  4. la configurazione societaria del mercato e del sistema del credito;
  5. la disponibilità di risorse solidaristiche presenti in una determinata società/comunità territoriale;
  6. le preferenze e gli stili di consumo dei fruitori e beneficiari dei servizi;
  7. gli elementi culturali, valoriali e simbolici.

Per quanto riguarda le variabili endogene vi sono diverse dimensioni relazionali che impattano sulla definizione/determinazione della misurazione della performance (adempimento della mission), cioè su ciò che “ha valore”, su ciò che “dà valore”, su ciò che è da valutare positivamente (e quindi valorizzare) rispetto ad attività, programmi, progetti, a cui dare un giudizio (di valore, valutazione) negativo (e quindi da abbandonare, interrompere, o riconfigurare). Di seguito ne indichiamo tre principali:

  1. la dimensione della governance, cioè della configurazione interna delle forme e delle procedure attraverso cui si prendono decisioni di carattere politico-strategico;
  2. la dinamica gestionale (management) cioè il livello della presa di decisioni relative alle scelte allocative;
  3. i rapporti che si instaurano tra i membri dell’organizzazione e i fruitori/beneficiari dei servizi che essa eroga.

Date queste premesse non desta stupore il rilevare che la misurazione del valore (sociale) delle OTS/IS è mutata e muta significativamente nel tempo e nello spazio.

Che cosa, come, per chi produce il terzo settore

La tematica affrontata in questo articolo chiama in causa l’oggetto (il che cosa) e le modalità (il come) del produrre da parte di quel variegato mondo di soggetti organizzativi a vario titolo riconducibile sotto il termine di terzo settore o settore non profit.

Non v’è dubbio che, per affrontare correttamente questo tema, occorrerà distinguere all’interno del terzo settore italiano le prassi delle diverse tipologie organizzative (popolazioni) che lo popolano (compongono): il volontariato, l’associazionismo di promozione sociale, la cooperazione (di solidarietà) sociale, le fondazioni, e qual vasto insieme di soggetti non lucrativi che storicamente, socialmente, giuridicamente non rientrano nelle quattro tipologie summenzionate (enti morali, enti religiosi, ex-ipab, ecc.). Nondimeno a nostro avviso, pur nelle differenze, esistono dei caratteri comuni che rappresentano il quid, il surplus, il contributo specifico del terzo settore alle nostre società in fase di tarda modernità. La Tabella 1 riporta in modo sintetico tali peculiarità per ciascuna dimensione dell’agire socialmente rilevante: micro, meso, macro.

Tabella 1: Che cosa produce il terzo settore nelle varie dimensioni dell'agire sociale

La dimensione micro è quella delle relazioni inter-personali, faccia a faccia, è l’ambito degli interscambi della vita quotidiana, delle interazioni familiari, amicali, di vicinato, di mutuo e auto-aiuto. A questo livello operano i soggetti associativi di piccole o piccolissime dimensioni: il volontariato di base, parrocchiale, le associazioni del tempo libero, culturali, educative e ricreative, di quartiere. La funzione societaria degli attori di terzo settore in questa dimensione basilare, fondativa della vita di relazione, è quella di fornire alle persone:

  • un luogo in cui esperire un senso di appartenenza reale e non virtuale (relazioni sociali non alienate);
  • un luogo in cui sperimentare forme di partecipazione attiva (democrazia associativa);
  • un ambito in cui realizzare forme di auto-gestione, auto-organizzazione e auto-produzione di beni e servizi;
  • uno spazio relazionale in cui vivere l’esperienza di realizzare concretamente azioni di solidarietà verso terzi.

Attraverso questa esperienza quotidiana di messa in comune, di condivisione con altri, di discussione e confronto (a volte anche di scontro, non ci sono persone più rissose dei volontari!), le persone che vivono un’esperienza associativa maturano un senso di responsabilità, in primo luogo verso se stessi e poi via via verso il prossimo, verso la cosa pubblica, ecc., allargando il proprio comportamento civico a sfere sempre più ampie della vita di relazione. Concludendo su questo punto, a livello micro il terzo settore contribuisce a “formare” una società civile, anche nel cuore della società contemporanea post- e/o dopo- moderna, costituita di e da cittadini responsabili.

La dimensione meso è quella delle relazioni inter-organizzative, delle reti di associazioni, è l’ambito degli interscambi tra soggetti organizzati, tra attori collettivi. A questo livello operano i soggetti associativi di medie o medio-piccole dimensioni: il volontariato strutturato a livello regionale o nazionale, le associazioni di promozione sociale, le fondazioni, i sistemi di cooperazione sociale (consorzi, ecc.). L’ambito territoriale di riferimento è costituito da un comprensorio che può andare dal quartiere metropolitano, al comune, alla provincia, al distretto socio-sanitario, ecc. La funzione societaria degli attori di terzo settore in questa dimensione intermedia della vita di relazione, è quella di fornire al tessuto sociale di riferimento un modello di scambio di beni e servizi e relazioni fondate sulla reciprocità e non sul mero “valore di scambio economico” delle prestazioni; nonché la manifestazione concreta che la forma associativa costituisce uno strumento efficace ed efficiente per la risoluzione di problemi di carattere collettivo.

Figura 1: Le quattro dimensioni delle relazioni nel terzo settore

La dimensione macro è quella delle relazioni inter-sistemiche, delle reti internazionali, è l’ambito degli interscambi tra soggetti organizzati di secondo o terzo livello, tra attori collettivi trans-settoriali. A questo livello operano i soggetti associativi di grandi o grandissime dimensioni: le reti di volontariato strutturato a livello inter-regionale o inter-nazionale, le “associazioni” di associazioni di promozione sociale (i tavoli di concertazione, ecc.), i network di fondazioni e charities, i sistemi di cooperazione internazionale. L’ambito territoriale di riferimento è costituito da un’area vasta che può corrispondere al territorio di uno stato nazione, ma anche ad un ambito inter-regionale europeo, o addirittura a reti tra continenti. La funzione societaria degli attori di terzo settore in questa dimensione elevata della vita di relazione, è quella di far veicolare e circolare il medium della fiducia quale modalità di relazionarsi tra i soggetti e di fornire uno spazio pubblico di discussione e di costruzione consensuale di accordi, nell’ambito del processo di globalizzazione. Il quale al contrario tende a creare enclaves, a costruire barriere e steccati, tra le nazioni, tra sistemi paese, e anche all’interno dei paesi industrializzati. A questo livello le reti di associazioni contribuiscono a creare una sfera di senso (campo relazionale) volto a “tessere” e “ricucire”, a costruire ponti, laddove l’onda d’urto del mercato globalizzato frammenta e separa.

Ora, se le osservazioni sin qui esposte hanno una qualche plausibilità e il contributo specifico del terzo settore (settore non profit) è quello di produrre: per le persone/cittadini un senso di responsabilità verso la cosa pubblica; per le organizzazioni e i sistemi territoriali locali un insieme di beni relazionali (o beni collettivi, o beni meritori)[1]; e, infine per i sistemi sociali complessi o le vaste comunità un solido ammontare di capitale sociale[2]; allora le differenze principali tra il settore non profit, quello profit e quello pubblico, dal punto di vista del produrre, non stanno tanto nel che cosa produrre ma principalmente nel come produrre, e soprattutto con chi e per chi produrre.

Il modello della catena di creazione del valore

A conoscenza di chi scrive la descrizione più completa del modello della catena del valore applicato alle organizzazioni di utilità sociale è quello sviluppato da un gruppo di ricerca dell’Università di Harvard (Wei-Skillern, Austin, Leonard, Stevenson, 2007). L’obiettivo dichiarato è quello di individuare uno schema di analisi che consenta di discernere il valore distintivo o lo scopo basico che l’organizzazione intende produrre nonché i risultati delle sue attività (ciò che produce realmente). Lo schema logico sottostante il modello della “catena del valore” (ivi - pp. 324-332) distingue tre elementi principali che emergono dalle attività di una OTS/IS: outputs, outcomes e impatti. Esso segue un processo di analisi costituito da cinque tappe:

Inputs → Activities → Outputs → Outcomes →Impacts
Resources → Process → Products → Results → Impacts

Il modello può essere applicato in entrambe le direzioni (in avanti e a ritroso): da sinistra a destra, al fine di monitorare l’esecuzione delle attività e verificare il livello di efficienza dei processi organizzativi; da destra a sinistra al fine di pianificare nuovi programmi o attività e di misurare quanto questi siano affidabili, efficienti e congruenti con gli effetti (impatti) desiderati. Lo schema logico consente di identificare le connessioni causa-effetto lungo la catena di creazione del valore.

Un modello di analisi simile è illustrato in un articolo molto stimolante relativo alla valutazione della performance organizzativa e dell’impatto sociale delle OTS/IS della studiosa Rey Garcìa (Rey Garcìa, 2008), definito come metodologia del Social Return on Investment (SRI). Si possono trovare punti di contatto anche in altre metodologie di analisi organizzativa quali la Balanced Score Card (BSC) and il Benchmarking.

Figura 2: Lo schema della "Catena del Valore"

Le cinque fasi della catena di produzione del valore nelle OTS/IS

Di seguito presenteremo un’illustrazione tipologica dei cinque elementi della catena di produzione del valore, adottando prima un approccio diagnostico (di monitoraggio dei processi organizzativi) e in seguito la prospettiva dell’analisi previsionale (di progettazione di nuove attività/servizi).

Approccio diagnostico

Dal punto di vista dell’analisi processuale occorre chiedersi se lo stato di cose attuale sia coerente con i principi guida della organizzazione (mission) e se il livello (quantità e qualità) delle prestazioni erogate sia soddisfacente rispetto agli obiettivi organizzativi.

1. Prendendo in considerazione le risorse (inputs) economico-finanziarie occorre verificare se l’attuale articolazione del proprio portfolio di entrate sia soddisfacente, sia in termini di coerenza con i propri valori (ad esempio presenza di sponsorizzazioni da parte di imprese non eticamente responsabili), sia per pertinenza/adeguatezza rispetto agli obiettivi perseguiti (ad esempio eccessiva dipendenza da un singolo acquirente può indurre un isomorfismo organizzativo con conseguente eterogenesi dei fini). Se analizziamo le risorse umane, cioè la struttura dei prestatori d’opera dell’organizzazione, allora in questo caso occorrerà verificare e valutare se l’attuale configurazione sia coerente con la propria identità (ad esempio presenza o assenza di personale volontario) e con le finalità dichiarate (ad esempio grado di competenza degli operatori e politiche di formazione).

2. Per quanto riguarda i processi (activities) l’ottica sarà quella di valutare se ad ogni stadio di presa di decisioni (livello politico-strategico, livello gestionale, livello operativo) è garantito o meno il massimo grado possibile di partecipazione degli stakeholders di riferimento. Si tratterà di analizzare le modalità (come) in cui vengono prese le decisioni da parte degli organi di governo (Presidenza, Consiglio di Amministrazione, Consiglio di Gestione, a seconda della forma giuridica e della tipologia organizzativa) e se vengono favorite/incentivate oppure ostacolate/frenate pratiche partecipative inclusive. La medesima analisi dovrà essere svolta a livello gestionale (management: direttore, responsabili di struttura/servizio, coordinatori d’area, ecc.) e a livello operativo (equipe di operatori).

Al fine di meglio comprendere i punti successivi assumiamo come studio di caso (quale referenza empirica) un’associazione di promozione sociale impegnata nel settore della formazione permanente degli adulti, altrimenti denominata: “Università per Adulti”, “Università Aperta”, “Università Popolare”, “Università per la terza età”, ecc., operante da oltre venticinque anni in una città capoluogo di provincia, nel centro-nord, di medie dimensioni (150.000 abitanti).

3. Relativamente ai prodotti (outputs) cioè all’esito finale del processo di erogazione/fornitura del servizio/prestazione - tangibile in caso di un bene, intangibile nel caso di un servizio, ma comunque misurabile: ad esempio il numero di ore di formazione svolta per numero di destinatari/partecipanti (Tabella 2) - occorre verificare il grado di interazione/relazionalità tra prestatori d’opera e fruitori/beneficiari delle prestazioni. Si tratta qui di rilevare il livello di coinvolgimento di chi riceve il servizio nella determinazione della qualità del medesimo.

Nel rapporto tra risorse – processi – prodotti si esplica una prima misura di performance organizzativa, e cioè propriamente quella della efficienza. Essa infatti tende a rilevare l’adeguatezza di un’unità di misura, considerata come variabile, rispetto ad un’altra ritenuta costante. Ad esempio se assumiamo come dato l’attuale livello di risorse economiche di cui l’organizzazione dispone, possiamo valutare se i processi messi in atto per raggiungere gli obiettivi fissati nonché i prodotti realizzati, siano svolti correttamente, cioè al massimo di impiego possibile o piuttosto vi siano sprechi e dispersioni di risorse (in questo caso, risorse economiche, ma il medesimo ragionamento si applica nel caso delle risorse umane, che possono essere sotto-utilizzate o sovra-utilizzate, dando luogo rispettivamente a fenomeni di disimpegno/abbandono e burning-out).

EFFICIENZA = rapporto tra risorse - prodotti - processi

4. Veniamo ora ai risultati (outcomes). Se i prodotti ci dicono che cosa una determinata attività/servizio ha realizzato e sono quasi sempre misurabili in termini quantitativi, i risultati a cui questi prodotti danno origine invece sono di più difficile rilevazione e misurazione. Restando all’esempio delle cosiddette Università degli adulti (o popolari o aperte) rilevare che in un anno si è svolta una certa quantità di ore di lezione (ad esempio 1.500 ore in 72 corsi) per un certo numero di persone (ad esempio 900 partecipanti) - il prodotto - non ci dice nulla circa la capacità che l’attività della associazione ha avuto nel combattere le solitudini involontarie di molti anziani in contesto urbano, o di rafforzare le competenze mnemoniche dei medesimi per contrastare l’invecchiamento delle capacità cognitive, e così via, che costituiscono propriamente i “risultati attesi” delle Università per la Formazione Permanente degli adulti (Tabella 2).

Nel rapporto tra processi – prodotti – risultati si esplica una seconda, classica, misura di performance organizzativa, e cioè propriamente quella della efficacia. Essa misura il grado di raggiungimento (totale, parziale, nullo) degli obiettivi dell’organizzazione. La propria capacità di venire incontro al bisogno per la cui soddisfazione ci si era costituiti o di risolvere il problema (economico, sociale, ambientale) per cui ci si era attivati. Ad esempio possiamo valutare se i processi messi in atto e i prodotti realizzati siano adeguati (sufficienti) a consentire i raggiungimento dei risultati attesi.

EFFICACIA = rapporto tra processi - prodotti - risultati

Le due misure (efficienza ed efficacia) sono indipendenti tra loro. Si può avere cioè un impiego di risorse e uno svolgimento dei processi assolutamente efficienti ma che producono risultati di nessuna efficacia. Viceversa possiamo avere organizzazioni estremamente efficaci che presentano modalità di gestione delle risorse economiche ed umane del tutto inefficienti. Queste ultime difficilmente possono perdurare nel tempo.

5. Infine, per quanto riguarda gli effetti (impacts) che l’agire dell’organizzazione produce (induce) sull’ambiente socio-economico circostante ci troviamo di fronte ad un ambito che dispone in misura ancora minore dei precedenti di strumenti di rilevazione e misurazione. In parte per il fatto che gli effetti di una azione nel sociale si mostrano dopo un periodo di tempo medio-lungo (cinque-dieci anni), ma soprattutto perché è estremamente difficile riuscire ad isolare l’effetto dell’intervento di altre variabili che possono incidere sul cambiamento del fenomeno analizzato. Solo in casi molto ristretti è possibile avere “gruppi di controllo” rispetto a cui misurare gli effetti diretti che l’azione dell’organizzazione ha avuto sul gruppo target. Nondimeno è possibile impostare alcuni strumenti di rilevazione dell’impatto sociale delle attività di una OTS/IS, anche se ciò richiede la costruzione di un sistema di monitoraggio permanente in grado di raccogliere dati longitudinali.

Tabella 2: Alcuni esempi di esiti attesi - indicatori - e strumenti di rilevazione, nel caso di un'associazione che effetua corsi per la formazione permanente degli adulti (long life learning)

L’analisi previsionale

L’analisi previsionale si muove dalla prospettiva opposta: parte cioè dagli effetti/impatti che si intendono produrre nella società, per risalire ai risultati attesi, ai prodotti da erogare, ai processi da mettere in atto e infine alle risorse da procurarsi. Essa è estremamente utile in tutti i casi in cui l’organizzazione voglia prevedere la fattibilità dell’attivazione di un nuovo servizio o attività, o l’apertura di una nuova struttura (residenziale, semi-residenziale, ambulatoriale, socio-riabilitativa, socio-educativa, ecc.).

Rimanendo nell’esempio della Associazione di Promozione Sociale impegnata nell’educazione permanente degli adulti ipotizziamo che il Consiglio Direttivo voglia ampliare il target dei partecipanti ai corsi, rivolgendosi particolarmente alla popolazione straniera immigrata.

In questo caso gli effetti che si intendono raggiungere riguardano l’aumento del grado di inclusione sociale degli immigrati nel tessuto sociale locale e indirettamente l’aumento del grado di coesione sociale della comunità di riferimento. Il secondo passaggio sarà quello di identificare i risultati attesi, in questo caso il miglioramento della conoscenza della lingua italiana da parte dei migranti stanziali, il miglioramento della loro capacità di orientarsi nell’offerta dei servizi socio-sanitari-educativi-occupazionali locali, il miglioramento della condizione sociale delle donne (mogli, madri, sorelle, figlie) con particolare riferimento al superamento di situazioni di isolamento, il miglioramento del grado di conoscenza della popolazione migrante da parte della popolazione autoctona, ecc. La terza fase consisterà nell’individuazione dei prodotti/servizi mirati a produrre i risultati attesi, in coerenza con gli effetti desiderati. Ad esempio: quale tipologia di attività formativa (corso, laboratorio, seminario, gruppi di studio/lavoro, ecc.)? Quali modalità di erogazione (sede, orari, ecc.)? Il passaggio successivo consisterà nell’esplicitare le attività necessarie a dar luogo ai prodotti individuati. In questo caso occorrerà individuare partendo da un’analisi approfondita delle forze interne all’organizzazione: chi fa che cosa (quali volontari o lavoratori retribuiti sono disponibili per questa attività aggiuntiva?), con chi la si può fare (esistono nel territorio altre associazioni o istituzioni che operano nel medesimo ambito o che svolgono attività analoghe, è possibile costruire con loro delle collaborazioni?). Infine, il processo di analisi previsionale terminerà con l’individuazione delle risorse economiche (ma anche organizzative) necessarie per lo svolgimento delle attività. Occorre costruire un budget specifico per l’azione aggiuntiva (centro di costo) e fare una oculata analisi delle uscite e delle entrate plausibili: quali sono i nostri attuali finanziatori (donatori) che potrebbero essere interessati a supportare una attività di questo tipo? E quali assolutamente no? Vi sono altri potenziali finanziatori nel territorio che non abbiamo contattato sinora e che invece sarebbero molto interessati a sostenere questa attività?

Come si vede lo strumento della “catena del valore” costituisce un tool analitico di grande capacità esplicativa e potenzialità euristica. La Tabella 3 mostra in maniera sintetica per ciascun elemento/dimensione di analisi sin qui illustrata: la referenza empirica a cui si riferisce (colonna due), il gruppo di attori che coinvolge (colonna tre) e alcuni criteri per valutarne la corretta (adeguata, pertinente) realizzazione (colonna quattro).

Tabella 3: I cinque elementi della catena di produzione del valore

La Tabella 4 applica lo schema logico della “catena di creazione del valore” alle quattro tipologie di OTS/IS italiane: organizzazioni di volontariato (Legge 266/91), associazioni di promozione sociale (Legge 383/00), cooperative sociali (Legge 381/91) e fondazioni civili (Libro I - Titolo II del Codice Civile). Come si può ben vedere essa fornisce un quadro sintetico ed immediatamente percepibile delle differenze costitutive (originali ed originarie) di queste quattro forme organizzate di azione solidaristica, presenti nel nostro paese.

Tabella 4: La catena di creazione del valore applicata alle quattro tipologie di OTS/IS italiane

I quattro tipi di valore aggiunto

Chi scrive è cosciente del fatto che vi sono molteplici tipologie di “incrementi quanti-qualitativi” di valore (valore aggiunto appunto) che un’organizzazione e un’organizzazione di terzo settore (OTS/IS) in particolare può ed effettivamente produce per la società in generale.

Figura 3: I quattro tipi di valore aggiunto prodotti da una organizzazione

Al fine di approfondire tale tematica utilizzeremo il noto schema quadrifunzionale elaborato da T. Parsons (AGIL) per indicare le componenti del sistema generale d’azione (Figura 3). In linea di principio è possibile individuare almeno quattro declinazioni principali del valore aggiunto che un’organizzazione (nel nostro caso una OTS/IS) può apportare alla società in generale (livello macro), alla comunità locale di riferimento (livello meso), alle persone che lavorano in essa o che beneficiano delle sue prestazioni (livello micro).

In primo luogo troviamo il VAE (valore aggiunto economico), esso è dato dall’apporto in termini di aumento (o non consumo) di ricchezza materiale, economica e finanziaria (investimento, risparmio), che una OTS/IS produce attraverso la sua attività specifica. Ad esempio in termini di occupazione prodotta, ma anche in questo caso, si noti bene, non meramente nel senso del numero di posti di lavoro “creati”, ma piuttosto della qualità (dignità) delle posizioni occupazionali. Ad esempio dal punto di vista della conciliabilità dei tempi di vita e tempi di lavoro, dei differenziali salariali presenti (rapporto tra lo stipendio più alto e quello più basso non superiore a 2 o a 3), della formazione offerta alle qualifiche professionali, ecc.

In secondo luogo possiamo individuare il VAP (valore aggiunto politico), il quale è dato dalla capacità di una OTS/IS (o di una rete, o coordinamento, o rappresentanza) di influire sull’agenda politica (anche in questo caso ai livelli macro, meso e micro), di far entrare nel dibattito politico tematiche, argomenti, questioni, problemi, che senza il suo apporto il sistema politico non avrebbe trattato. Nonché dal contributo in termini di conseguimento degli obiettivi programmati, di capacità di risposta ai problemi sociali da parte della OTS/IS.

In terzo luogo vi è il VAS (valore aggiunto sociale), ovvero il contributo specifico di una OTS/IS in termini di produzione di beni relazionali (dimensione relazionale interna) e creazione di capitale sociale (dimensione relazionale esterna).

Infine, troviamo il VAC (valore aggiunto culturale), il quale è dato dall’apporto specifico che una OTS/IS contribuisce a creare in termini di diffusione di valori (equità, tolleranza, solidarietà, mutualità), coerenti con la propria mission, nella comunità circostante.

A questo punto è possibile rilevare il VAT (valore aggiunto totale o societario) di una organizzazione di terzo settore per la società (comunità territoriale in cui opera), il quale è dato dalla risultante (e non dalla mera sommatoria) dei diversi valori aggiunti che detta OTS/IS crea (o meno) attraverso la sua attività nelle varie sfere relazionali: economica, politica, societaria, culturale. Secondo la formula seguente:

Valore Aggiunto Societario (VAT) = VAE et VAP et VAS et VAC

Dato che oggetto specifico del presente lavoro è costituito dal VAS, nelle pagine che seguono dovremo limitare la nostra analisi esclusivamente a questa componente dei quattro possibili tipi di valore aggiunto che le OTS/IS possono produrre/creare per la società.

Il sistema di rilevazione SAVE (Social Added Value Evaluation)

Il sistema di misurazione SAVE si basa su quattro dimensioni organizzative: gestione economico-finanziaria (A), pianificazione politico-strategica (Governance - G), attività e processi (I), cultura e valori (L).

Figura 4: Le dimensioni organizzative interne del SAVE

 

  • relazione A – G segue il principio dell’equità;
  • relazione G – I segue il principio della responsabilità;
  • relazione I – L segue il principio della giustizia;
  • relazione L – A segue il principio della fiducia.

Figura 5: I quattro processi organizzativi delle OTS/IS

La prima dimensione riguarda il modo in cui le OTS/IS gestiscono il processo di creazione delle risorse (entrate) e le relazioni che esse stabiliscono con i donatori e finanziatori. La questione di fondo è: le OTS/IS operano in modo trasparente e corretto dal punto di vista della gestione delle risorse economiche?

La seconda dimensione analizza la catena interna del processo di decision-making e valuta il grado in cui i membri dell’organizzazione partecipano ad esso. La questione fondamentale è: in che misura il sistema di governance promuove la partecipazione dei membri?

La terza dimensione costituisce il cuore del sistema SAVE e prende in considerazione il processo interno di fornitura/erogazione del bene/servizio prodotto. Essa fa luce sul grado in cui i vari stakeholders della OTS/IS sono coinvolti nelle attività dell’organizzazione.

La quarta dimensione concerne il processo di impegno ai valori o di creazione dei valori. Essa fa emergere l’impatto che le attività della OTS/IS producono verso la comunità locale o la società in generale. Essa mira a misurare il livello di capitale sociale e di coesione sociale creati dall’organizzazione (networking, partnerships, etc.).

Per ciascuna dimensione sono stati individuati alcuni nuclei concettuali chiave attorno a cui costruire una batteria di indicatori per la misurazione del VAS. Di seguito si menzionano alcuni a titolo esemplificativo.

Per quanto riguarda la prima dimensione (economico-finanziaria, di acquisizione delle risorse) i nuclei semantici risultano essere i seguenti:

  1. capacità (e andamento nel tempo) della OTS/IS di “attivare risorse umane volontarie” nella comunità territoriale di riferimento;
  2. capacità (e andamento nel tempo) della OTS/IS di “attivare risorse economiche di carattere donativo” nella comunità territoriale (o ideale) di riferimento;
  3. capacità (e andamento nel tempo) della OTS/IS di “comunicare in maniera trasparente” il proprio operato agli stakeholders di riferimento (modalità di redazione del bilancio sociale e modalità di diffusione/condivisione dello stesso: social accountability).

Relativamente alla seconda dimensione (politico-strategica, di presa delle decisioni) i nuclei semantici risultano essere i seguenti:

  1. capacità da parte della OTS/IS di “favorire, incentivare, promuovere la partecipazione democratica” di tutti gli stakeholders al processo decisionale;
  2. capacità della OTS/IS di “favorire, incentivare e promuovere il ricambio” del proprio gruppo dirigente (modalità di gestione del processo di successione della leadership organizzativa).

Per quanto riguarda la terza dimensione (gestionale-operativa, di svolgimento del processo produttivo, di erogazione del servizio), che concerne la produzione di beni relazionali, i nuclei semantici risultano essere i seguenti:

  1. capacità da parte della OTS/IS di “favorire, incentivare, promuovere il coinvolgimento” degli stakeholders interni (membri, lavoratori retribuiti, volontari, ecc.) nelle varie fasi del processo di erogazione del servizio (progettazione, esecuzione, valutazione);
  2. capacità da parte della OTS/IS di “favorire, incentivare, promuovere il coinvolgimento” degli stakeholders esterni (fruitori, beneficiari, famiglie, comunità, clienti/fornitori, ecc.) nelle varie fasi del processo di erogazione del servizio (progettazione, esecuzione, valutazione).

Relativamente alla quarta dimensione (produzione, implementazione e attivazione di senso, cultura e valori), che riguarda la capacità di generare capitale sociale, i nuclei semantici risultano essere i seguenti:

  1. grado di reputazione/fiducia della OTS/IS nella comunità, ambito territoriale di riferimento;
  2. capacità da parte della OTS/IS di “networking” ovvero di operare insieme ad altri soggetti del territorio: pubblici, privati, non profit.

Come si evince dalle riflessioni sin qui svolte lo strumento di analisi da noi proposto si trova ancora ad uno stadio prototipale. Al momento è possibile affermare che siamo giunti all’elaborazione di un framework concettuale piuttosto rigoroso, coerente e coeso, che costituisce la base teorica per la costruzione di un vero e proprio modello di analisi-organizzativa e di valutazione di programmi, interventi, servizi.

A tal fine è stato iniziato un percorso di indicizzazione degli indicatori che consenta di pervenire ad un elevato grado di formalizzazione della loro versione definitiva e quindi della loro misurazione e rappresentazione grafica. Il modello di riferimento da noi adottato è stato quello del cosiddetto Diamante della società civile elaborato da un gruppo di studiosi internazionali nell’ambito del progetto “L’Indice della Società Civile” realizzato da Civicus – World Alliance for Citizens Participation[3]. A partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso l’associazione ha elaborato un “indice” teso a rilevare lo “stato di salute” della Società Civile nei vari paesi del mondo. Il progetto di ricerca si è sviluppato attraverso tre fasi, che hanno visto un progressivo ampliamento del numero dei paesi coinvolti:
- CSI Fase pilota (2000-02): 13 paesi;
- CSI Fase I (2003-06): 40 paesi;
- CSI Fase II (2008-10): 60 paesi.

L’indice si compone di quattro dimensioni principali: Valori, Struttura, Ambiente legale e politico, Impatto, ciascuno di quali suddiviso in sotto-dimensioni, le quali a loro consistono di un certo numero di indicatori, per un totale complessivo di 74 indicatori.

Figura 6: Le quattro dimensioni dell'Indice della Società Civile

Una volta raccolti i dati da una pluralità di fonti dirette (primarie) ed indirette (secondarie) attraverso un processo di deliberazione collettiva, viene attribuito un punteggio per ogni singolo indicatore (su una scala 0, 1, 2, 3); quindi la media della somma dei punteggi di ogni indicatore determina il “punteggio delle sotto dimensioni”; in seguito la media della somma dei punteggi di ogni sotto dimensione determina il “punteggio delle quattro dimensioni principali”; le quali, infine, attraverso un procedimento grafico danno luogo al “diamante dell’indice della società civile”.

Figura 7: Il Diamante della Società Civile

Senza entrare nel merito della correttezza/adeguatezza dell’approccio adottato da Civicus, che esula dagli scopi di questo lavoro, ciò che ci è parso di grande interesse è la estrema capacità di sintesi che il modello consente, raccogliendo in un’unica rappresentazione grafica le informazioni raccolte su ben 74 indicatori. Consentendo in tal modo al lettore di avere un’immediata visione dello stato di salute della società civile in un determinato Paese, o area geografica. Inoltre il “Diamante” permette di avere un banchmark, un punto di confronto/riferimento, per comparazioni sull’andamento del fenomeno studiato in altri paesi o contesti geopolitici. In terzo luogo esso permette di visualizzare immediatamente i punti di forza e le aree di debolezza di un determinato Paese (in questo caso) rispetto alle quattro dimensioni del fenomeno studiato (lo stato di salute della società civile, in questo caso).

Per tutte queste ragioni ci è parso utile ipotizzare di applicare il modello del “diamante” allo schema conoscitivo/valutativo da noi elaborato, adottando però una scala da 1 a 5, invece che la scala 1-3 scelta da Civicus. Le Figure 8 e 9 mostrano una possibile applicazione teorica (ideal-tipica) dello schema del diamante al modello del VAS.

Chi scrive è avvertito dell’esistenza di modelli di valutazione di impatto sociale delle OTS/IS che utilizzano altre rappresentazioni grafiche, quali la “ragnatela” (the Spider Web) o la “stella” (the Star) (Mook, 2013), ma rispetto a questi ci pare di poter affermare che il modello del “diamante” risulta essere il più flessibile ed implementabile, in quanto si possono includere (aggiungere) di volta in volta delle sotto-dimensioni rispetto alle quattro dimensioni analitiche principali passando così da un “rombo” ad un “ottagono” e a un “dodecagono” (Figura 9). Inoltre il modello può essere applicato a se stesso in maniera ricorsiva, per cui è possibile avere una rappresentazione separata per ciascuna dimensione principale (ad esempio “Risorse”) utilizzando le sottodimensioni analitiche. In questo caso è possibile applicare l’intera gamma di figure geometriche intermedie: “pentagono”, “esagono”, “eptagono”, ecc.

La Figura 8 mostra una possibile applicazione del “diamante” inserendo i dati di una ipotetica OTS/IS. Il quadrato/rombo costituito dalle linee di colore rosso indica i valori medi (punteggio 3) sulla scala 1-5 e rappresenta il modello ideal-tipico (mediano) di OTS/IS, rispetto a cui comparare lo status reale della organizzazione (o del gruppo di organizzazioni, o dell’area geografica, o del settore di servizi) in esame (oggetto dello studio). Che viene qui rappresentata dal rombo disegnato dalle linee azzurre. Le distanze (gli scarti) per ciascuna dimensione tra i valori medi (standard) e i valori reali, mostrano in modo chiaro e diretto i punti di forza e i punti di debolezza dell’organizzazione esaminata. Le aree cioè rispetto alle quali la OTS/IS si colloca al di sopra della media e quelle invece rispetto alle quali mostra valori inferiori a quelli attesi, e che costituiscono pertanto ambiti organizzativi su cui incentrare le politiche di miglioramento della qualità della propria performance.

Nel caso ipotetico qui rappresentato la OTS/IP mostra buone performance di produzione di valore aggiunto sociale in tre aree: “Risorse” (+1), “Governance” (+0,2), e “Impatti” (+0,4), mentre indica un valore inferiore a quello atteso relativamente alla dimensione processuale di erogazione del servizio: “Output/Outcome” (- 1,3). Ciò significa che l’organizzazione in oggetto è stata in grado di mettere in atto modalità di gestione e di rendicontazione delle risorse umane ed economico-finanziarie eque e trasparenti, coerenti con la propria mission organizzativa, che ha saputo implementare modalità e strumenti di partecipazione degli stakeholders che ne garantiscono una buona influenza e controllo sul processo decisionale, e che è stata in grado di costruire relazioni durevoli con la propria comunità territoriale di riferimento, rispetto alla quale ha generato capitale sociale. Mentre è apparsa lacunosa e deficitaria nella capacità di coinvolgimento dei fruitori e beneficiari dei servizi nelle varie fasi del processo di erogazione del servizio medesimo (produzione del “bene relazionale”). Area su cui dovrà focalizzare i propri sforzi di miglioramento nel prossimo futuro.

Le Figure 10-11-12-13 applicano il modello del “diamante del VAS” ad alcune delle tipologie di OTS/IS presenti nel nostro paese. Sempre utilizzato il metodo del “caso ipotetico” o idealtipico, per ciascuna tipologia vengono messe in rilievo le caratteristiche peculiari, distintive proprie di quella specifica forma organizzativa. Così la cooperativa sociale di tipo A vede un punteggio alto nella trasparenza rispetto all’utilizzo delle risorse economiche (bilancio sociale) (Figura 11), mentre L’associazione di promozione sociale mostra come punto di forza la partecipazione dei propri associati alla governante (Figura 11). L’organizzazione di volontariato a sua volta si segnala per l’elevato livello di coinvolgimento degli utenti nel processo di erogazione del servizio e per l’apertura verso la comunità locale (Figura 12); la fondazione operativa o civile presenta come punti di forza la oculata gestione delle risorse economico-finanziarie e il rapporto (radicamento) nella comunità locale (Figura 13).

Si tratta per ora di un esercizio teorico di applicazione astratta ed ipotetica del modello del “diamante” allo schema teorico-metodologico del VAS, l’auspicio è che presto possa essere oggetto di sperimentazione empirica.

Figura 8: Il Diamante del VAS

Figura 9: Il Diamante del VAS - sotto-dimensioni

Figura 10: Il Diamante del VAS - Cooperativa sociale di tipo A

Figura 11: Il Diamante del VAS - Associazione di promozione sociale

Figura 12: Il Diamante del VAS - Organizzazione di volontariato

Figura 13: Il Diamante del VAS - Fondazione operativa (o civile)

Considerazioni conclusive

Il presente articolo si inserisce in un percorso di ricerca di più ampio respiro, che lo scrivente sta portando avanti da alcuni anni. Tale riflessione analitica è volta ad individuare strumenti di valutazione delle attività delle OTS/IS in grado di riconoscerne (misurare) e valorizzarne (comunicare) le specificità (distintività), le caratteristiche identitarie.

In questo quadro è stato elaborato un sistema organico, coerente e strutturato di rilevazione del valore aggiunto sociale delle OTS/IS, che ho illustrato dettagliatamente in altri saggi a cui si rimanda (Bassi, 2011a, 2011b). Il modello di analisi organizzativa e di analisi previsionale che abbiamo illustrato ampiamente in queste pagine, denominato “catena di creazione del valore” si inserisce in tale percorso di indagine. Esso consta in un processo di lettura della compagine organizzativa (o di analisi prospettica in sede di pianificazione di attività future) composto da cinque tappe/fasi, che si sviluppano attorno ad altrettanti elementi organizzativi: le risorse (input), i processi (activity), i prodotti (output), i risultati (outcome) e gli effetti (impact) sull’ambiente circostante. Tale strumento costituisce una fase intermedia nella elaborazione del sistema di rilevazione del valore aggiunto sociale (SAVE) e può fornire un utile dispositivo di diagnostica organizzativa. Ovviamente esso dovrà essere applicato tenendo conto delle peculiarità delle diverse tipologie di OTS/IS. La Tabella 4 presenta in sintesi gli elementi di fondo che differenziano le principali quattro famiglie organizzative che compongono il terzo settore italiano: organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali e fondazioni civili (operative).

L’urgenza e la necessità da parte dei soggetti di terzo settore di sviluppare un sistema autonomo di monitoraggio delle proprie attività (performance) in termini di “grado di produzione di beni relazionali”; nonché di valutazione degli effetti prodotti nel contesto socio-economico circostante, nei termini di generazione di capitale sociale, sono sotto gli occhi di tutti. Soprattutto in una fase di profonda revisione del sistema dei servizi sociali, sanitari ed educativi in atto in molte regioni del nostro paese in seguito alla adozione del sistema dell’accreditamento, che viene progressivamente a sostituire il precedente modello di assegnazione dei servizi tramite gara (sostegno della offerta). Il duplice processo di “re-internalizzazione” dei servizi messo in atto da numerosi enti locali in seguito alla costituzione delle ASP (Aziende pubbliche di servizi alla persona) e di attuazione del modello dell’accreditamento in gran parte delle regioni italiane, pone sfide inedite agli attori di terzo settore protagonisti - da oltre due decenni - dei sistemi di welfare locale. La questione di fondo è se le OTS/IS siano o meno attrezzate dal punto di vista culturale (della leadership) ed organizzativo, per muoversi in questo nuovo ambiente caratterizzato da modifiche profonde nel sistema di regolazione delle relazioni pubblico-privato e negli schemi di finanziamento dei servizi erogati.

In questo panorama mutato le OTS/IS saranno chiamate a mettere in atto profondi processi di adattamento organizzativo (nei modelli di governance, nei processi di fornitura dei servizi, ecc.) e innovazione operativa (costruzione di partnership e sviluppo di networks) che richiederanno una significativa capacità di auto-diagnosi e di lettura prospettica (pianificazione) degli scenari futuri. Gli strumenti, le metodologie che stiamo cercando di elaborare da alcuni anni vanno esattamente in questa direzione, qualificandosi come dispositivi per mettere in luce le peculiarità identitarie delle OTS/IS. Ciò che conferisce loro senso e dignità come attori autonomi della società civile e al contempo come imprese sociali. L’auspicio è che la dirigenza delle associazioni di rappresentanza delle OTS/IS voglia investire in questo percorso (anche di analisi critica) e intenda promuovere al proprio interno un programma di consulenza organizzativa e di formazione di quadri-dirigenti, in grado di aumentare la capacità di auto-diagnosi e di lettura dei profondi mutamenti sociali in atto.

Nella consapevolezza che: “quel che si misura determina, alla lunga, quel che si fa e come lo si fa” (Zamagni, 2011 - p. 58).

Bibliografia

Arvidson M. (2009), “Impact and Evaluation in the UK Third Sector: Reviewing Literature and Exploring Ideas”, Third Sector Research Centre working paper, 27.

Barman E. (2007), “What is the Bottom Line for Nonprofit Organization? A History of Measurement in the British Voluntary Sector”, VOLUNTAS International Journal of Voluntary and Nonprofit Organizations, 18(2), pp. 101-115. http://dx.doi.org/10.1007/s11266-007-9039-3

Bassi A. (2009a), “La specificità dell’impresa sociale: tra comunità e servizio. Una prima ipotesi di misurazione del valore aggiunto sociale – VAS”, paper presentato al III Colloquio scientifico sull’impresa sociale, Trento: Iris Network, 1 Luglio.

Bassi A. (2009b), “Social Entrepreneur, Social Entrepreneurship, Social Enterprise. Three Terms in Quest of a Theoretical Framework”, paper presented at 2nd EMES International Conference on Social Enterprise, Trento: EMES Network-Euricse, 1-4th July.

Bassi A. (2010a), “La valeur ajoutée sociale de les organisations de l’économie sociale et solidaire. Esquisse d’un système d’indicateurs pour le mesurage de la performance des entreprises sociales dans le marché des services à la personne”, paper presented at XXXes Journées de l’Association d’Économie Sociale, Charleroi (Belgio), 9-10th September.

Bassi A. (2010b), “Pour une théorie de la valeur (sociale) ”, paper presented at “Philanthropie et solidarité - la théorie du don entre recherche et pratique”, Loccum (Germania): Università Protestante di Scienze Applicate di Bochum, 20-22th Octobre.

Bassi A. (2011a), “Il valore sociale aggiunto delle organizzazioni di terzo settore che erogano servizi alla persona. Verso un sistema di indicatori (VSA) per la misurazione della performance delle imprese sociali”, in Donati P., Colozzi I. (a cura di), “Il valore aggiunto delle relazioni sociali”, Sociologia e Politiche Sociali, numero monografico, vol. XIV, n. 1.

Bassi A. (2011b), Il valore aggiunto sociale del terzo settore, QuiEdit, Verona.

Bolton M. (2002), Voluntary Sector Added Value, NCVO National Council for Voluntary Organisations, London.

Bourdieu P. (1980), “Le capital social: note provisoires”, Acte de la recherche en sciences sociales, 31, pp. 2-3.

Bourdieu P. (1986), “The Forms of Capital”, in Richardson J.G. (a cura di), Handbook of Theory and Research for the Sociology of Education, Greenwood Press, New York.

Cabinet Office - Office of Third Sector (2009), A Guide to Social Return on Investment, Society Media, London.

Cima S., Fioruzzi M., Gandullia L. (2003), Quanto vale il nonprofit italiano? Creazione di valore aggiunto sociale e ruolo delle donazioni, Franco Angeli, Milano.

Coleman J. (1988), “Social Capital in the Creation of Human Capital”, American Journal of Sociology, 94, pp. 95-120.

Coleman J. (1990), Foundation of Social Theory, Harvard University Press, Cambridge.

Colozzi I. (2006), “Terzo settore e valutazione di qualità. Misurare la produzione di beni relazionali”, Lavoro Sociale, 6(3), pp. 411-419.

Colozzi I., Bassi A. (2008), “Le ragioni della valorizzazione del non profit nelle politiche socio-sanitarie. Il valore aggiunto sociale (VAS) delle organizzazioni di terzo settore”, in Cipolla C., Maturo A. (a cura di), Scienze sociali e salute nel XXI secolo: nuove tendenze vecchi dilemmi?, Franco Angeli, Milano.

Department for Social Development (2006), “Toolkit to Measure the Added Value of Voluntary and Community Based Activity”, Government UK.

Donati P. (1997), “L’analisi sociologica del terzo settore: introdurre la distinzione relazionale terzo settore/privato sociale”, in Rossi G. (a cura di), Terzo settore, stato e mercato nella trasformazione delle politiche sociali in Europa, Franco Angeli, Milano.

Donati P. (2007), “L’approccio relazionale al capitale sociale”, in Donati P. (a cura di), “Il capitale sociale. L’approccio relazionale”, Sociologia e Politiche Sociali, numero monografico, Vol. X, n. 1.

Donati P. (2008), “Il capitale sociale come qualità della società civile”, in Donati P., Tronca L. (2008), Il capitale sociale degli italiani, Franco Angeli, Milano.

Flynn P., Hodgkinson V.A. (a cura di) (2002), Measuring the Impact of the Nonprofit Sector, Kluwer Academic/Plenum Publishers, New York.

European Commission (2001), “Green Paper - Promoting a European framework for Corporate Social Responsibility” (COM(2001) 366 final), DG Employment and Social Affairs.

Kendall J., Knapp M. (2000), “Measuring the Performance of Voluntary Organizations”, Public Management Review, 2(1), pp. 105-132. http://dx.doi.org/10.1080/14719030000000006

Land K.C. (2002), “Social Indicators for Assessing the Impact of the Independent Not-For-Profit Sector on Society”, in Flynn P., Hodgkinson V.A. (a cura di), Measuring the Impact of the Nonprofit Sector, Kluwer Academic/Plenum Publishers, New York.

Manelli A. (2004), “La creazione di valore nell’impresa sociale. Il valore aggiunto sociale secondo il modello Cosis”, Quaderni Monografici Rirea, 25, Roma.

Mook L. (2013), “Social Accounting for the Social Economy”, in Mook L. (a cura di) (2013), Accounting for Social Value, University of Toronto Press, Toronto-Buffalo-London.

Mulgan G. (2010), “Measuring Social Value”, Stanford Social Innovation Review, Summer 2010.

NEF (2009), A Bit Rich: Calculating the Real Value to Society of Different Professions, NEF New Economic Foundation, London.

Patel R. (2009), The Value of Nothing. How to Reshape Market Society and Redefine Democracy, Portobello, London.

Putnam R. (1993a), Making Democracy Work, Princeton University Press, Princeton (USA). Trad. It., La Tradizione Civica nelle Regioni Italiane, Mondadori, Milano.

Putnam R. (1993b), “The Prosperous Community: Social Capital and Public Life”, The American Prospect, 13, pp. 35-42.

Putnam R. (1995), “Bowling Alone: America’s Declining Social Capital”, Journal of Democracy, 6(1), pp. 65-78.

Reeder N., Hewes S. (2010a), “Valuing Service Innovation in Health”, Summary Paper, The Young Foundation.

Reeder N., Hewes S. (2010b), “Innovation Valuation Tool for Health”, Guidance Manual, The Young Foundation.

Rey Garcìa M. (2008), “Evaluating the Organizational Performance and Social Impact of Third Sector Organizations: A New Functional Realm for Nonprofit Marketing”, paper presented at 8th International Conference of the ISTR International Society for Third Sector Research, Conference Working Papers Series, Vol. VI.

Robbie K., Maxwell C. (2006), Making the Case. Social Added Value Guide, Communities Scotland, Edinburgh.

Stiglitz J., Sen A., Fitoussi J.P. (2009), “Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress”, Paris.

Tronca L. (2007), L’analisi del capitale sociale, Cedam, Padova.

Weber M. (1995), Economia e Società, Vol. I, Edizioni di Comunità, Milano.

Wei-Skillern J., Austin J., Leonard H., Stevenson H. (a cura di) (2007), Entrepreneurship in the Social Sector, Sage, London.

Westall A. (2009), “Value and the Third Sector. Working Paper on Ideas for Future Research”, Third Sector Research Centre working paper, 25.

Zamagni S. (2011) (a cura di), Libro Bianco sul terzo settore, Il Mulino, Bologna.

Footnotes

  1. ^ Come è noto il concetto di “bene relazionale” è stato elaborato da Donati in un percorso di ricerca trentennale. Esso si riferisce ad un bene/servizio che presenta le seguenti caratteristiche: a) un bene la cui produzione, fruizione e consumo implica il coinvolgimento del produttore e del beneficiario; b) un bene che può essere fruito solo nella e attraverso la relazione; c) la qualità del bene sta nella relazione. Distinguendosi in questo modo sia dai beni pubblici che dai beni privati (Donati, 1997 - p. 37).
  2. ^ Sul concetto di capitale sociale esiste ormai un’ampia bibliografia anche in lingua italiana. Per una rassegna dei principali approcci e una rielaborazione originale del concetto: (Donati, 2007; Donati, Tronca, 2008). Di seguito si riportano le principali definizioni attorno a cui si è sviluppato il dibattito scientifico. Pierre Bourdieu (1980, 1986): “[social capital is] the sum of resources, actual or virtual, that accrue to an individual or a group by virtue of possessing a durable network of more or less institutionalized relationships of mutual acquaintance and recognition.” James Coleman (1988, 1990): “Social capital is defined by its function. It is not a single entity, but a variety of different entities having two characteristics in common: They all consist of some aspect of social structure, and they facilitate certain actions of individuals who are within the structure. Like other forms of capital, social capital is productive, making possible the achievement of certain ends that would not be attainable in its absence”. Robert Putnam (1993, 1995, 1996): “social capital ... refers to features of social organization, such as trust, norms, and networks, that can improve the efficiency of society by facilitating coordinated actions.”
  3. ^ CIVICUS è una associazione di organizzazioni non profit fondata nel 1991 a Washington DC e, a partire dal 2002, con sede a Johannesburg (www.civicus.org).
Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.