Un viaggio da Nord a Sud tra alcune delle esperienze che hanno sperimentato e sviluppato il connubio tra produzione di birra artigianale e pratiche sociali d’inserimento lavorativo per persone con disabilità o in condizioni di svantaggio socioeconomico. Ecco le loro storie.
Da molti anni in Italia si è consolidato il fenomeno delle birre artigianali. Sebbene il nostro paese sia una rinomata patria del vino, il ruolo e il numero dei birrifici artigianali è andato infatti crescendo negli ultimi 30 anni. Convenzionalmente si indica il 1996 come l’anno della nascita del contemporaneo movimento delle birre artigianali italiane quando, casualmente in contemporanea, aprirono tre dei birrifici che avrebbero maggiormente influenzato tutto il panorama brassicolo: Baladin a Piozzo (CN), Birrificio Italiano a Lurago Marinone (CO) e Birrificio Lambrate a Milano.
Dal 1996 il movimento è cresciuto, evoluto, e si è anche affermato a livello internazionale con numerosi premi. Il Report annuale 2024 di Assobirra (associazione dei birrai e maltatori) fornisce una panoramica del fenomeno. I dati più aggiornati in merito all’attuale consumo di birra (artigianale e non) in Italia indicano una produzione annua di 17.220 ettolitri e un consumo di 21.483 (pro capite 36,4 litri all’anno). Il medesimo documento fornisce anche una panoramica generale sul settore dei microbirrifici artigianali, con la presenza nel nostro paese di 832 aziende di questo tipo e 175 brewpub (locale che combina la produzione con la mescita diretta al consumatore).
Non si può più quindi parlare di sola “moda” o fenomeno passaggero: le birre artigianali sono ormai un prodotto affermato nel nostro paese; ciò che invece non è ancora giunto all’attenzione del pubblico è la saldatura che nel corso degli anni si è creata fra queste produzioni ed il mondo del Terzo settore e dell’impresa sociale. Il fenomeno delle “birre artigianali sociali” è ancora molto di nicchia, ma potrebbe divenire col tempo un’interessante area di sviluppo per molto realtà del Terzo settore italiano, così come per aziende for profit alla ricerca di innovative pratiche per la loro responsabilità sociale d’impresa.
In questo articolo si propone un viaggio da Nord a Sud tra alcune delle esperienze che hanno sperimentato e sviluppato questo interessante connubio tra un prodotto di crescente interesse e le pratiche sociali d’inserimento lavorativo per persone con disabilità o in condizioni di svantaggio socioeconomico. Ecco le loro storie.
Il Birrificio Vecchia Orsa nasce nel 2007 dall’incontro tra passione per la birra e desiderio di inclusione sociale. Tutto comincia in un garage di Crevalcore (BO), dove un gruppo di amici decide di coinvolgere persone con disabilità in attività concrete e gratificanti, trasformando, su forte spinta di uno dei fondatori, grande appassionato, quella che inizialmente era un’esperienza di pet therapy in un vero laboratorio di birrificazione. L’obiettivo era creare un’esperienza di lavoro realmente utile ed inclusiva, cercando di rispondere al bisogno di alcune famiglie di conoscenti che non trovavano una possibilità d’inserimento per i giovani parenti con disabilità. Si avvia così un percorso che, nonostante le difficoltà, diventerà una delle prime esperienze di “birrificio sociale” in Italia.
Il terremoto in Emilia del 2012 distrusse la sede originaria e questo avrebbe potuto segnare la fine del progetto; ma, su forte spinta delle persone coinvolte e delle loro famiglie, il cui sentimento di attaccamento al lavoro era divenuto molto forte, il progetto riprende vita. I fondatori decidono quindi di reinventarsi: per anni vendono birra in modo itinerante, spinandola alle fiere da un furgoncino. Con tenacia raccolgono risorse sufficienti per ripartire a San Giovanni in Persiceto, dove oggi hanno sede sia il birrificio, sia il brewpub. La svolta arriva nel 2019, quando la cooperativa sociale Arca di Noè decide di investire nel progetto: prima con l’affitto di ramo d’azienda e poi con l’acquisizione definitiva. Questo passaggio consente nuovi investimenti, l’acquisto di macchinari e soprattutto l’assunzione di lavoratori con disabilità, oggi cinque – presto sei – inseriti stabilmente in produzione e nel pub.
I cooperatori ritengono che la produzione brassicola ben si adatti all’inserimento lavorativo perché è un processo molto standardizzato e con passaggi facilmente realizzabili anche da lavoratori svantaggiati. Attualmente Vecchia Orsa conta una squadra di 12-13 persone tra soci, mastri birrai, assistenti e personale del pub. Nel 2023 ha raggiunto il suo record produttivo con 1.900 ettolitri, frutto di cotte da circa 2.000 litri ciascuna. Una crescita costante che però ha ormai saturato la capacità produttiva: ogni cotta è già prenotata ancora prima di essere pronta, segno di un equilibrio virtuoso tra domanda e offerta.
La forza di Vecchia Orsa sta nell’unione tra qualità brassicola e impatto sociale. La scelta della birra come prodotto non è casuale: i processi di lavorazione, regolari e scanditi, si prestano all’inserimento lavorativo di persone con fragilità, che trovano così dignità e autonomia. L’impresa dimostra come la ricerca di eccellenza e la dimensione inclusiva possano crescere insieme, trasformando un piccolo garage di provincia in una realtà riconosciuta a livello nazionale come modello di innovazione sociale.
Il Birrificio Pintalpina nasce nel 2014 in Valtellina per iniziativa di tre educatori, da anni occupati presso i servizi socioeducativi del Comune di Sondrio, che decidono provare ad innovare i percorsi d’inserimento lavorativo per persone con disabilità. Partono quindi investendo i risparmi di una piccola associazione, con la quale organizzavano viaggi per giovani con disabilità, per poi ricercare un progetto più stabile e incisivo. La scelta cade sulla birra, non per una passione personale, ma per l’idea che la birrificazione potesse rappresentare un’attività continuativa, ricca di mansioni semplici e replicabili, con una possibile produzione continua su tutto l’anno, in grado di coinvolgere persone con disabilità in un vero contesto lavorativo. Fin da subito, il target privilegiato sono i ragazzi molto giovani con disabilità, spesso esclusi dai percorsi di alternanza scuola-lavoro. Pintalpina diventa così un ponte: dal PCTO nelle scuole fino ai primi anni dopo il diploma, quando il mondo del lavoro sembra un “vuoto assoluto”. La presenza stabile di un educatore all’interno del birrificio permette inserimenti anche complessi e garantisce sicurezza in un ambiente produttivo fatto di macchinari, muletti e impianti.
Negli anni il birrificio si amplia: aumentano le birre, arrivano i primi premi, cresce la squadra. Oggi Pintalpina è una cooperativa con 14 soci di cui 7 dipendenti, fra loro 4 con disabilità e assunti a tempo indeterminato, affiancati da 5 tirocinanti. Attorno al nucleo produttivo ruotano soci volontari di diversa estrazione – dal pensionato all’ingegnere – che portano competenze e idee, alimentando un modello di cooperazione autentica.
La produzione si assesta su circa 1.100 ettolitri l’anno con una media di 3-5 cotte al mese, numero destinato a crescere grazie a nuovi fermentatori. I soci di Pintalpina sentono l’importanza di essere percepiti dal cliente per la qualità del prodotto ancor prima che per il valore sociale generato, così da raggiungere una sostenibilità economica reale che supporti e alimenti la finalità di inclusione sociale. Nel 2025 la cooperativa ha avviato anche la “Mela Alpina”, una bottega sociale che vende mele e prodotti di altre cooperative, ampliando così le opportunità di sperimentazione lavorativa per chi già opera nel birrificio.
Se all’inizio Pintalpina si definiva un “laboratorio sociale di sperimentazione”, oltre che uno dei primi birrifici artigianali in Valtellina, oggi si presenta con orgoglio come un birrificio a tutti gli effetti, capace di unire eccellenza brassicola e inclusione. La peculiarità sociale non viene ostentata, ma resta impressa nel modo di lavorare e nella speranza di essere esempio per altre imprese: dimostrare che si può produrre birra di qualità e al tempo stesso generare valore sociale.
Il Birrificio SBAM (Social Brewery Alta Murgia) nasce a Poggiorsini, piccolo comune pugliese di duemila abitanti, come ramo della cooperativa sociale Campo dei Miracoli. Le radici risalgono al 1999, quando la cooperativa madre viene fondata per offrire opportunità lavorative a persone con disabilità psichiatrica, completando un percorso di riabilitazione che altrimenti si sarebbe fermato alle sole cure mediche. Dopo esperienze in servizi di pulizia e gestione mense, fra cui anche quella all’interno del carcere di Trani, nel 2015 prende forma l’idea di un birrificio sociale. L’occasione arriva grazie al Comune di Poggiorsini che vince un bando GAL per il recupero di un immobile e affida a Campo dei Miracoli la sua gestione; è in quel momento che la cooperativa si lancia la sfida del creare un birrificio sociale. Nessuno dei soci aveva esperienza brassicola, ma l’incontro con un mastro birraio di Acquaviva (BA), pronto a sposare la causa sociale, ha rappresentato il momento in ci il progetto ha preso vita. La fase iniziale coinvolse i centri di salute mentale di Gravina, Poggiorsini e Altamura: 14 persone con disabilità psichiatrica parteciparono a un corso teorico-pratico, di cui 12 lo conclusero con successo. Le mansioni furono volutamente mantenute manuali – dall’etichettatura al riempimento – per garantire a ciascuno un ruolo attivo.
Oggi nel birrificio lavorano tre persone con contratti sociali part-time, che consentono un impegno sostenibile di 2-3 ore al giorno, favorendo equilibrio tra occupazione e vita personale. SBAM produce circa 12.000 litri di birra all’anno, con cotte da 700 litri ciascuna (doppie in caso di necessità), sfruttando cinque fermentatori da 700 litri e uno da 1.400. In catalogo vi sono dieci birre.
La pandemia aveva quasi spento il progetto, costringendo la cooperativa a reinventarsi con degustazioni online e kit spediti a casa, ma proprio queste soluzioni hanno fatto conoscere SBAM anche fuori regione. Le birre, ispirate alla natura del Parco Naturale dell’Alta Murgia, portano in etichetta gli animali del territorio e rafforzano il legame con la comunità. All’inizio i vicini guardavano con sospetto al nuovo impianto nel centro del paese, temendo odori e disagi, ma oggi il birrificio è diventato un punto di riferimento e di orgoglio locale.
Il nome “SBAM” – acronimo di Social Brewery Alta Murgia – riassume l’anima del progetto: un’impresa nata dal basso, capace di unire passione per la birra, inclusione sociale e radicamento territoriale, dimostrando che anche in un piccolo borgo rurale si può costruire lavoro, comunità e qualità.
Il Birrificio Solid Ale birrificio nasce a Catanzaro nel 2016 come ramo della cooperativa sociale Hesperia, fondata appositamente per dare lavoro a persone con disabilità, in particolare con sindrome di Down. L’idea nasce dall’incontro fra un imprenditore locale appassionato di birra e alcuni membri di AIPD (Associazione Italiana Persone Down). Il tema al centro di questa connessione è la sperimentazione di nuove soluzioni per offrire occasioni di crescita professionale a persone con sindrome di down.
Da qui parte l’esperimento: dalla prima cotta a fiamma libera nell’ottobre 2016 prende vita un birrificio artigianale con un’anima sociale, con la determinazione a farsi conoscere prima per la qualità e solo dopo per la sua missione inclusiva.
All’inizio le famiglie sono diffidenti, temendo l’ennesimo “progettino sperimentale”, ma i ragazzi colgono subito la differenza: spogliatoi, turni e stipendi li fanno sentire lavoratori veri, con una dignità nuova che contagia anche i genitori. In pochi anni il birrificio passa da una sola etichetta a cinque birre stabili, arrivando a produrre anche in fusto e a inserirsi nel mercato dei regali aziendali. Nel 2018-2019 Solid Ale raggiunge il suo apice con circa 12-15 cotte l’anno, ognuna da 450 litri, per un totale di oltre 7.000 litri, equivalenti a circa 20.000 bottiglie.
La pandemia segna però un duro colpo: per proteggere i lavoratori con sindrome di Down, particolarmente vulnerabili al contagio, l’attività viene sospesa per due anni. Alla ripresa, il mercato è cambiato: molti clienti – fino a 35 prima dei lockdown – hanno chiuso o smesso di ordinare. Così Solid Ale si ritrova con un magazzino pieno e grandi difficoltà a rimettersi in moto. Nel 2024 sono state realizzate appena due cotte. Oggi la cooperativa non ha dipendenti attivi e cerca nuove energie e soci motivati per non lasciare morire l’esperienza.
Nonostante le difficoltà, Solid Ale resta un simbolo di innovazione sociale: un progetto costruito senza fondi esterni, ma solo con risorse personali, capace di trasformare il lavoro in uno strumento di emancipazione per ragazzi che hanno dimostrato precisione, dedizione e spirito di squadra. La sfida ora è rilanciare, trovare nuove forze, nuove reti e riportare il birrificio a produrre quella birra buona che, fin dall’inizio, era pensata per raccontare dignità e inclusione.
Il Birrificio Kauss rappresenta un caso diverso rispetto alle storie raccontate in precedenza. Non nasce come marchio di una cooperativa sociale, ma come progetto di un’azienda agricola con fattoria sociale, decisa a generare valore per il proprio territorio. Il percorso prende avvio nel 2012 e si consolida nel 2017, quando l’attività diventa ufficialmente un birrificio agricolo che quindi, secondo la normativa piemontese, deve autoprodurre almeno il 51% delle materie prime. Oggi Kauss–Qebere copre addirittura il 90% del fabbisogno con le proprie coltivazioni.
Fin dall’inizio, la scelta è stata quella di legare la birra al territorio, costruendo un prodotto radicato nella comunità locale e capace di generare valore. Questo obiettivo è stato perseguito non solo attraverso l’attività agricola, ma anche grazie alla creazione di una rete di collaborazioni con realtà sociali del Cuneese. Tra le più importanti spicca quella con la cooperativa sociale Il Ramo di Bernezzo (CN), legata alla Comunità Papa Giovanni XXIII, che favorisce l’inserimento lavorativo di persone con disabilità, fragilità socioeconomiche e percorsi di reinserimento post-detenzione. A questa cooperativa sono affidate lavorazioni come etichettatura e inscatolamento.
Il birrificio collabora inoltre con il Centro “Federica Pelissero” di Manta di Saluzzo (CN), accogliendo persone con autismo per esperienze lavorative, con la Casa di Reclusione di Saluzzo e con l’Associazione Liberi Dentro, offrendo percorsi di reinserimento a detenuti. A queste collaborazioni si aggiungono partnership con l’associazione “L’Airone ODV” e con il Consorzio “Monviso Solidale”, ampliando ulteriormente la rete sociale che ruota intorno al progetto.
Sul piano produttivo, Kauss raggiunge circa 1500 ettolitri all’anno, grazie a una sala cottura da 1.000 litri per cotta (10 ettolitri). Nonostante l’impegno sociale comporti spesso costi aggiuntivi e un carico di responsabilità maggiore, l’azienda considera queste scelte un investimento sul territorio e sulla sua crescita collettiva.
Oltre al sociale, Kauss mantiene forte l’attenzione all’ambiente: la riduzione dell’impatto, la valorizzazione agricola e le pratiche di sostenibilità sono i tre pilastri su cui si fonda l’impresa. In questo intreccio di agricoltura, birra e inclusione sociale, Kauss dimostra come un’azienda privata possa farsi motore di sviluppo responsabile, coniugando eccellenza produttiva e impegno per la comunità.
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