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ISSN 2282-1694
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Argomento:  Policy
data:  24 ottobre 2022

Chi ha provato i Social Impact Bonds, oggi parla di fiducia

Gianluca Salvatori

I Social Impact Bonds funzionano, si chiedono gli inglesi che li hanno provati un questi dieci anni? L'esito di questa analisi è che un approccio puramente contrattualistico, come il pay-per-result, può compromettere sia la qualità che i costi. La direzione da percorrere è invece quella della costruzione della fiducia.


Questo articolo verrà pubblicato anche sul prossimo numero cartaceo di Vita.


Nel paese che li ha inventati i social impact bond sono sotto osservazione. A dieci anni dalle prime “obbligazioni ad impatto sociale”, il Governo britannico ha voluto verificare se siano davvero quel prodigio di innovazione sociale che pretendono di essere. Perciò sta diffondendo i risultati di alcune ricerche commissionate per misurarne l’efficacia. Per dirla con uno scioglilingua, nel Regno Unito vale il principio per cui le politiche pubbliche che prescrivono la valutazione di impatto non possono sottrarsi ad una valutazione del loro stesso impatto. Specialmente quando si tratta di stabilire come è meglio spendere i soldi dei contribuenti.

Quando furono introdotti l’argomento a favore dei social impact bond era che essi fossero in grado di produrre più risultati, e migliori, ad un costo pari o addirittura inferiore rispetto alle forme tradizionali di spesa sociale. Per due ragioni, essenzialmente. In primo luogo, perché il principio secondo cui un’attività si paga solo se produce i risultati attesi avrebbe rivoluzionato la qualità degli interventi sociali finanziati dal bilancio pubblico. E, inoltre, perché la mobilitazione di capitali privati da parte di investitori socialmente motivati – in triangolazione con la committenza pubblica e con la capacità operativa del non profit - avrebbe portato all’interno dei programmi di investimento sociale la necessaria efficienza, oggettivamente misurabile in termini di impatto sociale.

Nel corso del tempo a questa rosea visione si è opposta la critica di quanti obiettavano che quello dei social outcomes contract (un’altra delle denominazioni con cui si è battezzato il meccanismo per cui un committente pubblico paga un investitore privato per il servizio ottenuto solo a fronte di risultati dimostrabili) fosse un approccio esposto alla manipolazione dei risultati. Come accade, ad esempio, con il fenomeno della “scrematura”: si privilegiano progetti relativamente facili da realizzare e con obiettivi più semplici da misurare, a scapito di situazioni di bisogno sociale più complesse e urgenti. Per non dire, poi della finanziarizzazione degli obiettivi sociali indotta dall’intervento di investitori privati e dell’eccesso di complicazioni che questi strumenti comportano per i beneficiari. Motivi più che sufficienti a sconsigliarne l’uso.

Di fronte ad opinioni così nettamente polarizzate, nel 2016 il Governo britannico e l’Università di Oxford hanno istituito il Government Outcomes Lab con il compito di studiare i SIB a partire da evidenze fattuali e esperienze documentate. Per analizzare con rigore anziché esaltare o criticare per partito preso. Sei anni più tardi Nigel Ball ha riassunto le conclusioni del laboratorio di cui è direttore in un intervento alla Social Outcomes Conference, svolta ad Oxford lo scorso settembre.

Una vasta serie di ricerche, secondo Ball, ha dimostrato che i contratti payment-by-results sono tanto più suscettibili di essere manipolati quanto più l’obiettivo cui tendono è definito in modo ristretto. Ma se questo problema può essere mitigato ponendosi degli obiettivi più ampi e di lungo periodo, allora la misurazione diventa molto più complicata e i metodi per attribuire i risultati ottenuti a seguito di una specifica attività o misura possono essere molto imprecisi o molto costosi. Le difficoltà nell’uso di questi strumenti sono quindi reali e questo è certamente un punto a favore dei critici. Ma questo non è un motivo sufficiente per tornare alle pratiche precedenti, fatte di gare al massimo ribasso (magari basate su indicatori di performance in parte o del tutto fasulli) o finanziamenti a fondo perduto svincolati da ogni forma di misurazione dei risultati.

Secondo il Government Outcomes Lab, per migliorare l’utilizzo di risorse pubbliche destinato alle politiche sociali è la fiducia che va posta al centro del rapporto. Per quanto una pubblica amministrazione non possa rinunciare a servirsi di contratti e indicatori di risultato, è bene essere consapevoli infatti che la formula perfetta per la valutazione di impatto non esiste. E un approccio puramente contrattualistico, come il pay-per-result, può compromettere sia la qualità che i costi. Tanto più nelle attività che richiedono innovazione o adattabilità a circostanze mutevoli, come nella maggior parte dei casi relativi alla materia sociale.

Citando gli studi del premio Nobel Oliver Hart sui contratti di fornitura, Ball insiste sulla necessità di porre la costruzione e il mantenimento della fiducia al centro delle relazioni contrattuali. La chiave è un approccio più relazionale e basato sulla fiducia: si definiscono obiettivi comuni e si lascia flessibilità sul come raggiungerli. Solo così è possibile affrontare le incertezze e gli imprevisti di fronte ai quali si infrange invece il rapporto formalistico fondato su indicatori di performance e obbligazioni contrattuali definite rigidamente. Nel contesto britannico questo approccio all'erogazione dei servizi pubblici basato sulla fiducia oggi è considerato un’evoluzione necessaria che può correggere le criticità mostrate in questi dieci anni dai SIB. La logica è ancora contrattualistica, ma con un’apertura significativa verso un metodo di collaborazione tra parti poste su un piano di parità. Vista dall’Italia, è una conferma importante di come la strada da battere vada in direzione della co-programmazione e co-progettazione, più che dei social outcomes contract. Per una volta, verrebbe da dire, non dobbiamo farci ispirare da altri.

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Gianluca Salvatori

Euricse

Segretario generale di Euricse - European Research Institute on Cooperatives and Social Enterprises, una fondazione che promuove la conoscenza e l’innovazione nell’ambito delle imprese cooperative e sociali e delle altre organizzazioni nonprofit di carattere produttivo.

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