Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Diritto - Terzo settore
data:  21 novembre 2020

Il Codice del Terzo settore tra uniformità e distinzioni

Gianfranco Marocchi

La Corte costituzionale è investita di una questione apparentemente secondaria, ma che potrebbe riaprire la discussione sull'equlibrio forse non del tutto assestato tra uniformità di previsoni tra tutti gli ETS e specificità delle diverse famiglie del Terzo settore.


Nei giorni scorsi si è appreso che il Consiglio di Stato ha investito la Corte costituzionale di una questione inerente al Codice del Terzo settore. Il casus belli non parrebbe di per sé così rilevante: una fondazione, che sino al 2017 aveva potuto in quanto Onlus accedere a contributi per l’acquisto di ambulanze, lamenta di non avere potuto partecipare successivamente a tali opportunità in quanto il Codice del Terzo settore – e di conseguenza il bando cui desiderava partecipare - dispone, all’art. 76, che tali risorse “sono destinate a sostenere l'attività di interesse generale delle organizzazioni di volontariato attraverso l'erogazione di contributi per l'acquisto, da parte delle medesime, di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali…”.

Dunque, essendo l’ente in questione una fondazione e non un’organizzazione di volontariato, ne è discesa la sua esclusione dalla possibilità di richiedere il contributo. La fondazione ha argomentato che, di fatto, la sua struttura è assimilabile ad una OdV, vi operano in prevalenza volontari e che dunque si tratterebbero in modo diverso soggetti sostanzialmente identici, ma il TAR Lazio ha rigettato l’argomentazione; il Consiglio di Stato, investito in seconda istanza della questione, invece ha ritenuto la questione meritevole di esame da parte della Corte costituzionale. Chi fosse interessato ad approfondire la specifica questione può trovare in questo articolo ulteriori elementi.

Ovviamente non possiamo sapere cosa deciderà nel merito la Corte costituzionale, ma forse non è neppure così rilevante; ciò che invece suscita la nostra curiosità è in primo luogo sapere se risponderà al quesito limitandosi ad un parere definito sul tema in esame o, come avvenuto nel caso della Sentenza 131/2020, utilizzerà la questione specifica per proporre riflessioni più ampie. Perché, in questo secondo caso, non è improbabile che la Corte possa sviluppare ragionamenti interessanti almeno su due fronti.


Il primo dei due – forse quello che merita meno attenzioni – è la evocata pregnanza dei criteri di “sostanzialità”: ha senso affermare: “non sono una OdV (una impresa sociale, una APS, ecc.) ma è come se lo fossi, perché nei fatti sono ad essa sovrapponibile nelle caratteristiche sostanziali (es. la quota di volontari) e nell’operatività (faccio anch’io soccorso su ambulanze)”? Argomentazioni di questo tipo possono valere entro enti di Terzo settore, ma sono spesso introdotte anche da soggetti ad esso esterni, ad esempio che esercitano attività di impresa in settori di interesse generale e che ambiscono ad essere equiparati ad una impresa sociale.

Questo genere di ragionamenti probabilmente è destinato a fare poca strada, perché generalmente si infrange sulla dimensione della stabilità di tale identità sostanziale: laddove una certa combinazione di caratteristiche (non solo una singola, per quanto rilevante) sia posseduta ora, ma non statutariamente e stabilmente, potrebbe cambiare domani, con la conseguenza che un determinato favor potrebbe essere goduto oggi per perseguire domani strade difformi a quelle pensate per soggetti che invece mantengano certe caratteristiche per tutta durata della loro attività (e anche al termine di essa, se pensiamo ad esempio alle norme sulla devoluzione del patrimonio allo scioglimento dell’ente). Se invece determinate caratteristiche fossero possedute stabilmente (e quindi statutariamente) non vi sarebbe ragione per non ottenere il riconoscimento della natura in questione.

A questo proposito giova ricordare che – in un’epoca di malintesa “laicità” in cui culturalmente si tende a considerare il possesso di una certa qualifica quasi come espressione di una immotivata rendita di posizione – in occasione della Sentenza 131 la Corte ha riaffermato con forza la pregnanza della specifica natura di ciascuna organizzazione.


Ma, se questa prima considerazione appare abbastanza scontata, vi è un’altra questione sulla quale è invece interessante ragionare e sulla quale qualche dubbio può effettivamente essere avanzato.

Il Codice del Terzo settore è vissuto sin dall’inizio nell’equilibrio tra due tensioni: quella all’unificazione, a partire dalla comune appartenenza delle diverse organizzazioni alla famiglia comune del Terzo settore e quella alla distinzione, sulla base delle caratteristiche specifiche dei diversi tipi di Enti di Terzo settore – impresa sociale, volontariato, promozione sociale, ecc. In quali casi – per quali obblighi, quali favor, quali caratteristiche – è ragionevole che siano previste disposizioni analoghe per tutti gli Enti in quanto accomunati dall’essere di Terzo settore e in quali va prevista una disciplina che dia conto delle peculiarità di ciascuno?

A questo proposito si esprime una convinzione – generale, non riferita allo specifico caso di cui è investita la Corte costituzionale: che questo equilibrio sia stato, nel corso dei lavori che hanno portato al Codice, alterato a favore delle ragioni della distinzione in misura maggiore di quanto la logica prevedrebbe. Della distinzione, si intende, non fondata parametri oggettivi e trasversali ai diversi enti – ad esempio disponendo obblighi diversi in ragione delle dimensioni – ma della distinzione nel senso di conservare prerogative storiche di ciascuna specifica forma, anche al di là di quanto ragionevole, in ossequio a considerazioni connesse alla natura delle organizzazioni. Il terreno fiscale è tipicamente quello in cui la spinta alla conservazione è stata più forte, ma parallelamente anche la struttura degli incentivi – il tema oggetto del contendere - meriterebbe un attento esame in tal senso.

Il legislatore ha ritenuto opportuno – in una visione che a chi scrive pare francamente talvolta un po’ intrusiva – disporre che un certo di tipo di attività sono esercitabili da tutti gli enti del terzo settore, ma solo alcune dalle imprese sociali (e solo alcune delle alcune dalle cooperative sociali); ha disposto che taluni strumenti come il social bonus per recupero di immobili pubblici o beni confiscati possa essere accordato solo qualora vi si svolgano attività con modalità non commerciale (l’inserimento lavorativo nel bene sottratto alla mafia e le altre attività di imprese socaili no, quindi); non ha superato una categoria concettualmente deprecated come “enti non commerciali” (anzi ne fa larghissimo uso!) facendo da ciò derivare una disciplina fiscale per alcuni enti diversa da quella di altri e così via. Una disamina analitica di queste e molte altre “distinzioni” richiederebbe spazi e competenze superiori, ma l’impressione è che, in un sistema che ambiva a gestire la tensione tra unificazione e distinzione sulla base di una consequenzialità logica, abbiano giocato elementi esogeni, che hanno “sporcato” qua e là il Codice. Questi elementi possono anche talvolta avere origini ragionevoli – anche la difficoltà a cambiare e adattare sistemi complessi va considerata, per evitare che uno splendido costrutto razionale determini infine conseguenze rovinose – ma probabilmente a tali istanze si è ceduto un po’ troppo.


Non si ha idea della posizione che assumerà la Corte costituzionale circa la rivendicata incongruità di riservare ad una specifica forma organizzativa gli incentivi sulle ambulanze, e forse di per sé si tratta di questione non così rilevante. L’impressione è però che sarebbe opportuno avviare alcune riflessioni serie sulla tensione tra unificazione e distinzione, prima che esse siano poste ad una ad una nelle aule dei tribunali, anche avendo il coraggio di mettere sul tavolo gli elementi cui sopra si è fatto riferimento, nell’ottica di trovare percorsi in grado di contemperare l’accompagnamento al cambiamento con la costruzione di un assetto più equilibrato.

Rivista-impresa-sociale-Gianfranco Marocchi Impresa Sociale

Gianfranco Marocchi

Impresa Sociale

Nel gruppo di direzione di Impresa sociale, è anche vicedirettore di Welforum.it. Cooperatore sociale e ricercatore, si occupa di welfare, impresa sociale, collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore.

Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.