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Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  5 minuti
Argomento:  Libri
data:  20 ottobre 2020

I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore

Redazione

È uscito "I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore", curato da Antonio Fici, Luciano Gallo e Fabio Giglioni. Si tratta del primo Quaderno di Terzjus, che rilegge  gli articoli 55 e 56 del Codice del Terzo settore anche alla luce della Sentenza 131 della Corte costituzionale.


È uscito il primo Quaderno di Terzjus, associazione che approfondisce le tematiche giuridiche relative al Terzo settore, alla filantropia e all’impresa sociale. Il volume, curato da Antonio Fici, Luciano Gallo e Fabio Giglioni, può essere scaricato gratuitamente o acquistato in versione cartacea a questo indirizzo e contiene contributi di Gregorio Arena, Luigi Bobba, Barbara Boschetti, Gianluca Budano, Marcello Clarich, Antonio Fici, Luciano Gallo, Fabio Giglioni, Luca Gori, Alessandro Lombardi, Felice Scalvini, Giulia Scoppetta e Gabriele Sepio.

Il libro rilegge in particolare gli articoli 55 e 56 del Codice del Terzo settore, anche alla luce della Sentenza 131 della Corte costituzionale di cui si è ampiamente trattato su www.rivistaimpresasociale.it e sul numero 3 della Rivista; è uscito inoltre nei giorni in cui – come si legge nella postfazione – giungeva il tanto atteso via libera al Registro Unico e la conversione in legge del Decreto Semplificazioni introduceva una significativa modifica al Codice dei contratti pubblici, che ha riconosciuto la pari dignità del Codice del Terzo settore nel disciplinare le relazioni tra enti pubblici e terzo settore.

Nell’impossibilità di sintetizzare i ricchi contenuti sviluppati nei diversi capitoli e avendo già trattato in altre sedi il pensiero di alcuni tra gli autori come Gregorio Arena, ci si limita a proporre alcuni spunti, nella speranza che possano dare conto della ricchezza delle analisi sviluppate nel volume e invitare alla lettura.

Felice Scalvini, nel saggio introduttivo, evidenzia come lo sviluppo dell’amministrazione collaborativa richieda in primo luogo un lavoro interno al Terzo settore, chiamato ad evolvere in corrispondenza con il nuovo ruolo che è chiamato ad assumere, anche se di questo sembra esservi poca consapevolezza: “Si vanno infatti diffondendo richieste e proposte che mirano ad avviare percorsi formativi, tavoli, o altre forme di confronto tutti orientati a sollecitare la PA a cambiare registro e innescare i nuovi auspicati processi. Non mi sembra vi sia notizia di parallele iniziative rivolte all’interno del Terzo settore e dedicate ai soggetti che lo compongono. Quasi che questi risultino già attrezzati per la nuova stagione”. E questo, continua Scalvini, richiede di “sviluppare ricerca e proporre una formazione – in tutte le varie forme, ma principalmente per i leader e manager del terzo settore – fortemente alternative a quelle ispirate dal mainstream mercatista, finanziarizzato e concorrenziale, proponendo la cooperazione come categoria alla quale ispirare, a cominciare dalle relazioni tra gli ETS e tra ETS e PA e impegnandosi a delineare nuovi assetti economici e sociali”; gli stessi enti dovranno “affiancare e supportare il mondo del Terzo Settore nella attività di coprogrammazione che sarà chiamato a svolgere. Attività che non può prescindere dalla disponibilità di informazioni, dati, valutazioni che esulano dalle normali conoscenze e competenze dei singoli enti (e purtroppo, spesso, anche delle PA con le quali interloquire)”.

Tra i ragionamenti proposti da Antonio Fici vi è la constatazione di come – a partire dai ragionamenti sulle cooperative di comunità - la Sentenza 131 evidenzi il legame tra natura del Terzo settore, conseguente possibilità che esso instauri una relazione con la pubblica amministrazione basata sulla “comunione di scopo” e adozione di strumenti amministrativi conseguenti; tanto è vero che “solo per enti con una identità legislativa che li renda funzionalmente simili alle pubbliche amministrazioni è possibile contemplare modalità di rapporto con queste ultime ispirate al paradigma dell’amministrazione condivisa… Nei contratti con comunione di scopo le parti cooperano apportando risorse…, ma queste risorse sono aggregate in vista dell’obiettivo comune e non costituiscono oggetto di scambio tra le parti, sicché la prestazione di una parte di per sé non soddisfa l’interesse dell’altra e finisce per rivolgersi anche a vantaggio di chi la effettua. L’obiettivo dei contratti con comunione di scopo, inoltre, può essere comune a più di due parti, ciò che spiega perché tali contratti possano essere plurilaterali, cioè avere più di due parti.” Per questo motivo, continua Fici, è ragionevole che le relazioni tra Enti pubblici e Terzo settore siano soggetti ad “un regime giuridico particolare (quello di cui al Codice del terzo settore e alla legge 241/90 cui il medesimo Codice fa rinvio) rispetto a quello generale di cui al d.lgs. 50/2016 (che si occupa di contratti essenzialmente sinallagmatici, in quanto “aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere”), così come sono disciplinati da norme specifiche i contratti associativi della pubblica amministrazione.

Fabio Giglioni analizza la possibile tensione nello sviluppo del diritto tra le istanze comunitarie e quelle costituzionali, che potrebbero orientare la norma a partire da concezioni diverse: “la prima, riconducibile a quella sostenuta dal giudice amministrativo, stabilisce un ordine degli equilibri giuridici che può essere sintetizzato in termini di europeizzazione del diritto amministrativo, a esito del quale emerge un chiaro tratto funzionale del diritto amministrativo alla realizzazione del mercato unico. In questo senso deve essere ricordato che, secondo costante giurisprudenza del diritto europeo, gli enti non profit sono equiparabili a soggetti d’impresa e il discrimine non è dato dalla qualificazione soggettiva, ma dalla relazione oggettiva che essi stabiliscono con le pubbliche amministrazioni. Nell’indirizzo opposto, invece, emerge un’altra visione degli elementi del diritto amministrativo, più orientata alla realizzazione di un ordine costituzionale che, attraverso il principio della sussidiarietà orizzontale, esprime una chiara condizione di privilegio per quelle relazioni che rafforzano il carattere democratico e solidaristico dell’ordinamento giuridico. In questa seconda prospettiva prevale un ordine costituzionale del diritto amministrativo, funzionale alla costruzione di una società democratica.” Nell’affermare, qualora tale opposizione si producesse, la necessità di salvaguardare i principi fondamenti della Costituzione repubblicana nel caso in cui non sia possibile assicurare la piena conciliabilità con l’ordinamento europeo, l’autore evidenzia tuttavia come quella dell’insanabile opposizione costituisca l’ipotesi estrema, mentre esistono buoni motivi per ritenere possibile la coesistenza tra ordine costituzionale e ordine europeo, seguendo il percorso indicato dalla Sentenza 131 che opportunamente ricorda il riconoscimento, da parte del diritto europeo, di spazi di autodeterminazione degli stati in cui l’art. 55 legittimamente si colloca.

Luciano Gallo, evidenzia in primo luogo come, a ben vedere, a cadere sotto le censure dei giudici amministrativi siano più frequentemente i casi in cui gli strumenti del codice del Terzo settore sono utilizzati in modo spurio, in procedimenti nei fatti riconducibili ad appalti sotto mentite spoglie. Sarebbe pertanto, continua Gallo, “quanto mai urgente ed opportuno un intervento del Legislatore con il quale – mediante una “norma ponte” – chiarire efficacemente l’ambito applicativo degli istituti del CTS rispetto a quelli previsti dal vigente codice dei contratti pubblici ed il relativo rapporto.” Questo non riguarda certo solo tecnicismi giuridici, ma aspetti di sostanza: “fare “amministrazione condivisa” non è, tuttavia, solo questione procedurale e, dunque, di corretta applicazione delle norme, ma è anche un esercizio di discrezionalità politica (nello scegliere fra “mercato” o “sussidiarietà”).”

Si segnala ancora, tra i diversi saggi del Quaderno, il contributo di Luca Gori che si concentra sulla relazione tra le competenze dei diversi livelli di governo nell’orientare le relazioni tra Enti pubblici e Terzo settore. Di particolare interesse è la sua analisi sulla L.R. 65/2020 della Regione Toscana, la prima “di nuova generazione” e cioè che affronta i temi qui trattati alla luce del Codice del Terzo settore. Come ricorda Gori, “il punto nodale della legge è costituito dalla previsione di una norma che chiarisce il regime giuridico applicabile in base alla finalità perseguita dalla P.A. e, quindi, alla tipologia di rapporto prescelto con il Terzo settore. Si rimedia così alla reticenza del Codice del Terzo settore, costruendo un tessuto connettivo normativo, nelle materie di competenza regionale, fra quest’ultimo ed il Codice dei contratti pubblici. Quest’ultimo, infatti, trova applicazione qualora la P.A. intenda, nei confronti degli enti del Terzo settore, “procedere all’affidamento di servizi mediante esternalizzazione e con riconoscimento di un corrispettivo” (art. 12). Laddove si scelga di affidarsi al mercato e la causa del rapporto risieda nella corresponsione di un quantum a fronte di un servizio reso, la legge toscana non ammette deroghe alle norme sulla contrattazione pubblica. Nei casi in cui, invece, si prediliga un modulo di “amministrazione collaborativa” (secondo il lessico della Corte costituzionale), si applicano gli istituti del coinvolgimento attivo in luogo del Codice dei contratti pubblici.”

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