Le innovazioni introdotte dal Codice del Terzo Settore, con la progressiva affermazione di coprogrammazione, coprogettazione e accreditamento, quali cambiamenti indurranno nelle imprese sociali? Come dovranno trasformarsi per valorizzare queste innovazioni?
La 381/1991 ha inaugurato la stagione della sussidiarietà: la cooperativa sociale è soggetto di impresa che opera per “l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini”, finalità che la rende omologa alle pubbliche amministrazioni. A partire dai primi anni Duemila le esperienze collaborative hanno lasciato il passo agli strumenti ed alle logiche della competizione sul mercato. Oggi però le innovazioni introdotte dal Codice del Terzo Settore ci portano a riscoprire le ragioni della collaborazione, con la progressiva affermazione di coprogrammazione, coprogettazione e accreditamento. Come dovranno cambiare le imprese sociali per valorizzare queste innovazioni?
Gianfranco Marocchi (Impresa Sociale) modera
* Gianluca Poloniato (Cooperativa sociale Frassati, Torino) [slide presentazione] - Sito
* Federico Gaudimundo (Consorzio CoopeRho, Lainate MI) [slide presentazione] - Sito
* Manuela Righi (Sol.Co. Mantova) [slide presentazione] - Lunattiva
Il dibattito sull’amministrazione condivisa per alcuni anni si è sviluppato principalmente sugli aspetti giuridici, così da argomentare la legittimità di procedimenti con cui gli amministratori pubblici hanno generalmente minore confidenza rispetto a quelli competitivi finalizzati all’acquisto di servizi. La sentenza della Corte costituzionale n.131 del 26 giugno 2021 ha segnato un cambio di passo sia tra gli operatori, sia all’interno della comunità scientifica, rendendo meno problematici i profili giuridici e al tempo stesso spingendo ad approfondire altri aspetti della questione. In breve, non si tratta più di interrogarsi sugli aspetti formali e quindi sull’effettiva praticabilità giuridica della coprogrammazione e della coprogettazione; piuttosto, la sfida è oggi quella di verificare come questi dispositivi possano concretamente tradursi in processi di collaborazione effettiva e con esiti virtuosi.
Questo livello della ricerca non può che passare attraverso il confronto con esperienze che già hanno messo in campo forme di coprogrammazione e coprogettazione, dalla cui osservazione è possibile cogliere le principali sfide che si pongono di fronte alla riscrittura in senso collaborativo delle modalità di disegno delle politiche pubbliche e della conseguente realizzazione di interventi in settori di interesse generale.
È stato questo il tenore della sessione sull’amministrazione condivisa che si è svolta nell’ambito del XIX Workshop sull’impresa sociale a Trento. Le testimonianze che hanno animato il dibattito sono state quelle di Gianluca Poloniato della Cooperativa sociale Frassati di Torino, Federico Gaudimundo del Consorzio CoopeRho della cintura di Milano, Manuela Righi di Sol.Co. di Mantova.
Uno degli elementi che sembrano decisivi, all’interno delle migliori esperienze di amministrazione condivisa che si sono sviluppate in Italia negli ultimi anni, è la capacità di mobilitare energie e settori di cittadinanza prima latenti o inespressi, indirizzandoli verso nuovi progetti collettivi in cui vengono ridefinite le forme dell’intervento sociale.
Basti pensare ad #Oltreiperimetri, nel rhodense, un progetto di welfare di comunità, nato al fine di individuare e mettere in atto nuove modalità d’intervento e di azione sociale basate sulla presa in carico comunitaria dei bisogni, mettendo a valore la collaborazione fra gli attori del territorio. Tale esperienza intende essere “un generatore di nuova energia sociale”; mira a fornire una rete di supporto alle situazioni di vulnerabilità e marginalità non attraverso i classici interventi, ma tessendo nuovi legami sociali che coinvolgano le intere comunità, con cittadini che intervengono nella presa in carico dei bisogni di altri cittadini. #Oltreiperimetri ha avuto un effetto moltiplicatore rispetto al numero di cittadini volontari che si sono impegnati all’interno del progetto, aumentato in tre anni di centinaia di unità, di cui buona parte costituita da persone non si erano mai impegnate precedentemente. È all’interno di questo nuovo contesto, che definisce nuove identità collettive e forme di relazione inclusive e plurali, che si apre un nuovo ventaglio di possibilità di intervento mirato.
Un secondo elemento che merita attenzione è la capacità dei contesti collaborativi di creare nuovi spazi di condivisione animati da interessi e passioni comuni, oltre il perimetro delle organizzazioni coinvolte. Nel confronto e nella rinnovata capacità di relazione e collaborazione fra soggetti eterogenei maturano nuove forme di intelligenza collettiva che permettono di attivare forme di sostegno e di innovazione sociale dirette a sostenere i cittadini in condizioni di disagio.
Coprogrammazione e coprogettazione, allora, funzionano quando viene assunta la necessità di incidere più ampiamente nel contesto comunitario al fine di creare un nuovo senso dello stare insieme, ad un livello che precede la stessa strutturazione dei singoli interventi mirati.
Ad esempio Lunattiva, a Mantova, è un progetto promosso dal Comune, iniziato come forma di “baratto amministrativo” a fronte delle morosità degli inquilini delle case popolari del quartiere Lunetta e diventato un intervento di attivazione di cittadinanza in senso ampio. Lunattiva “punta al miglioramento del benessere dei residenti attraverso la valorizzazione delle relazioni umane e degli spazi comuni”. Il consorzio di cooperative sociali Sol.co Mantova e il Comune collaborano alla realizzazione di azioni dirette ad emancipare i nuclei familiari dalla situazione di morosità attraverso il lavoro, mettendo in atto interventi personalizzati, tarati sulle esigenze, sui desideri e sulle potenzialità della singola persona. All’interno dell’“Officina delle Idee” è possibile incontrare gli operatori del progetto per “condividere proposte, idee, richiedere informazioni, proporti come volontario per le attività e trovare un luogo d’ascolto sempre disponibile ad accogliere”.
Un altro elemento, strettamente connesso a quello appena analizzato, che sembra accomunare le esperienze che stanno sviluppando in maniera efficace i processi di collaborazione, è la fuoriuscita dal perimetro del welfare classicamente inteso. Certamente emerge la centralità della funzione di protezione sociale esercitata dai progetti che vedono protagoniste le cooperative in sinergia con l’ente pubblico; tuttavia, tale funzione sconfina al di là della logica prestazionale che ha spesso caratterizzato l’erogazione dei servizi nei sistemi di welfare locale e si radica all’interno della promozione di nuovi modelli di relazione e di sviluppo comunitario.
Basti pensare agli #OP cafè nel rhodense, che si propongono come dei laboratori di comunità in cui i cittadini sperimentano la possibilità di riflettere su questioni comuni a partire da un problema e provano a trovare risposte condivise, attraverso forme di partecipazione attiva. È da questi micro-laboratori che si sono sviluppati dei servizi di welfare gestiti da tutti i cittadini, gratuiti e aperti a tutta la comunità.
La sfida di queste esperienze, allora, più che nel tamponamento delle marginalità, sta nella riscrittura dei caratteri della cittadinanza, in un’ottica maggiormente inclusiva e plurale, attraverso la costruzione di strumenti realmente abilitanti. Ciò passa attraverso la tessitura di alleanze ampissime, in cui persino la relazione fra erogatori e beneficiari risulta assai decostruita. Piuttosto vengono descritti nuovi orizzonti di solidarietà in cui tutti possono contribuire ad elevare gli standard del benessere e a favorire il diritto universale all’autodeterminazione.
Il progetto #Oltreiperimetri, ad esempio, ha puntato alla creazione di luoghi di incontro informale, in cui migliaia di cittadini volontari stanno mettendo a disposizione il proprio tempo, sostenendo e accompagnando gli operatori nel loro lavoro. A partire dai primi laboratori di comunità si è creata una vera e propria piattaforma che aggrega interessi e persone che si riconoscono in una scommessa comune.
L’approccio collaborativo, allora, si innesca innanzitutto all’interno stesso dei sistemi messi in moto dalle organizzazioni, in cui si genera un orizzonte valoriale comune improntato alla creazione di forme di governance inclusive. In gioco è, allora, la qualità dei legami sociali che in questi processi prendono forma, anche con riferimento alle relazioni tra le diverse organizzazioni di Terzo settore presenti su un territorio. C’è, infatti, la necessità di passare dalla logica competitiva che ha dominato i rapporti fra gli enti fino a questo momento a una di collaborazione. In questo quadro, può risultare decisivo il ruolo dell’ente pubblico, come nel caso del Conisa in Valsusa, che ha avuto una funzione propulsiva nell’incentivare dinamiche di collaborazione, nonché, più in generale, nell’orientare i rapporti e le attività che coinvolgono gli altri attori, pur al di fuori di modelli di tipo coercitivo e verticale. Tale diverso orientamento nelle relazioni non può in ogni caso essere inteso come un dato a priori: piuttosto, è dentro lo sviluppo concreto dei progetti che bisogna far spazio ad un altro modo di vedere l’altro, non più inteso come concorrente ma come alleato. Ciò si traduce in un atteggiamento diverso anche rispetto ai bandi e ai progetti successivi, finalizzato a fare rete e a mettere a valore le competenze di tutti.
È così che, in queste esperienze, si creano delle identità collettive, che si innestano sul progetto condiviso e che portano operatori (magari di cooperative o associazioni diverse) e cittadini ad identificarsi, in determinati ambiti, primariamente con il nome del progetto e non con l’organizzazione di provenienza. Non è l’identità fissa e inamovibile dettata dall’origine delle comunità in questione, ma un’identità fluida, che si definisce nel confronto e nella collaborazione, inventando un nuovo lessico per dire l’apertura e l’inclusione. Tale apertura si esprime, oltre che all’interno delle relazioni che vengono ad instaurarsi fra le organizzazioni protagoniste delle esperienze di coprogettazione, anche rispetto all’esterno.
È in questo senso che l’“amministrazione condivisa” può favorire una reinterpretazione delle logiche della partecipazione. Come ha messo in evidenza Manuela Righi, non c’è partecipazione democratica se non si include chi non ha opportunità. La coprogettazione diventa, allora, un dispositivo per allargare gli spazi della decisione e per favorire dinamiche di democratizzazione nei territori. A Mantova, ad esempio, si è partiti dal problema dell’assenza di lavoro nel quartiere per creare un laboratorio di rigenerazione “urbana e umana”, attraverso l’organizzazione di mercatini, mostre etc., nonché attraverso un sistema premiale in cui collaborando con le organizzazioni i cittadini accumulano dei punti, spendibili in prima istanza all’interno di un meccanismo di baratto amministrativo e in prospettiva anche come moneta di scambio locale. All’interno di tale sistema, che è passato innanzitutto attraverso la tessitura di nuove forme di riconoscimento e partecipazione collettiva, è stato poi posto il problema dell’inserimento lavorativo attraverso le cooperative.
Gli obiettivi di inclusione, dunque, acquisiscono un più ampio valore politico: in gioco non c’è semplicemente la risposta ad un bisogno specifico, ma la possibilità di favorire il protagonismo di persone che, in assenza di una rete di sostegno di questo genere, non avrebbero diritto di parola. Gli interventi sociali rispondono, ancora una volta, alla necessità di abilitare le persone alla cittadinanza.
In questo quadro assistiamo ad un continuo rimpallo tra coprogrammazione e coprogettazione. Si passa ininterrottamente da momenti a cui si guarda più a lungo termine ad altri in cui c’è la necessità di avere di mira i bisogni più urgenti. Anche in questo caso, l’amministrazione condivisa rifugge l’etichettamento entro schemi preconfezionati e si propone, piuttosto, come uno spazio dinamico, che fornisce margini di manovra alle organizzazioni e all’ente pubblico. In questo modo, anche la creatività e l’iniziativa soggettiva non risultano sacrificate, anzi possono costituire la chiave di volta per sfuggire alla standardizzazione delle risposte e alla burocratizzazione dei processi.
Un’altra delle evidenze che queste esperienze ci consegnano è che il valore aggiunto della coprogettazione non è nel “cofinanziamento” – laddove con ciò si intenda l’indicazione di risorse a vario titolo promesse da parte del soggetto di Terzo settore in fase di candidatura per la partecipazione ai tavoli –, ma nelle risorse che si generano nel divenire dei processi stessi. Nel caso della Valle di Susa il partenariato è stato infatti in grado di reperire attraverso progettazioni realizzate dal partenariato – indipendentemente dal soggetto formalmente individuato come capofila, in coerenza con gli obiettivi generali definiti congiuntamente – su bandi comunitari e di fondazioni, un importo pari a dieci volte la disponibilità di partenza; a Rho e a Mantova, oltre a reperire risorse aggiuntive, si sono, come già evidenziato, mobilitati centinaia di volontari.
Ciò che emerge però da tutte le esperienze, e che ci sembra vada assunto come principale sfida per il futuro della coprogrammazione e della coprogettazione, è che la collaborazione non può essere costretta entro modelli o regole fisse, seguendo le quali possa dirsi esaurito il rischio di incorrere in fraintendimenti o errori. Piuttosto, le potenzialità più interessanti di queste procedure ci sembrano connesse con la possibilità di alimentare l’iniziativa, la creatività e le opportunità di progettazione del reale, entro una diversa modalità di decisione e di relazione fra pubblico e attori sociali. Per fare questo, più che la redazione di decaloghi, è necessario interrogarsi su quali sono le condizioni che rendono concretamente possibile l’istaurazione di legami sociali diversi, improntati alla reciprocità e alla cooperazione, oltre le logiche della subordinazione e della competizione che hanno dominato fino a questo momento. È all’interno di tale spazio, che inaugura una diversa grammatica dei rapporti, che è possibile sperimentare diverse strategie di intervento e di azione politica e sociale.
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