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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Attualità
data:  26 aprile 2020

L'inclusione scolastica ai tempi del Coronavirus. “Non va tutto bene”.

Melania Verde

In assenza di iniziative specifiche di sostegno, l'interruzione della frequenza scolastica e la sua sostituzione con la didattica a distanza, rischia di determinare difficoltà insormontabili per gli allievi con diversabilità.


Con il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID19” e i successivi provvedimenti adottati dall’Esecutivo, finalizzati ad assicurare una gestione dell’emergenza sanitaria italiana adeguata all’evolversi della situazione, è stata disposta in primis la sospensione delle attività didattiche, prevedendo l’attuazione di modalità di insegnamento/apprendimento a distanza (DaD).

A tal proposito, il grosso problema sembra essere il divario digitale, cioè la forte differenza di dotazioni informatiche (strumenti e connessione) a seconda delle classi sociali e delle zone del Paese. Secondo molti la didattica a distanza approfondisce questo divario, è una metodologia didattica che aggrava l'iniquità sociale. Ecco che si prova a correre ai ripari, in diverse regioni, con l'assegnazione alle famiglie di un bonus per l’acquisto di attrezzature, strumenti informatici, ed altri supporti per l'accesso ai servizi didattici.

Un altro problema, non certamente di poco conto, pare, invece, restare in ombra, su cui invito a riflettere, ovvero il divario di abilità tra studenti normodotati e studenti diversamente abili, un divario che la didattica a distanza anche in questo caso è andata ad accentuare.

È forse il caso di andare a rileggere la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, ratificata dall’Italia nel 2009, che ha impegnato i Paesi a promuovere la rimozione delle “barriere” che possono essere di ostacolo all’esercizio, da parte di quanti sono portatori di minorazioni fisiche, mentali o sensoriali a lungo termine, del diritto a partecipare in modo pieno ed effettivo alla società.

La DaD va fatta, su questo non può esserci dubbio. Il diritto all'istruzione, in queste condizioni, di emergenza sanitaria, può essere garantito probabilmente solo così. Il sistema scolastico è obbligato ad assicurarla, e ne sono responsabili i dirigenti scolastici, come prevedono i decreti emanati nell'emergenza.

Ma sia anche ben chiaro che ai tempi del Covid-19 il principio dell'inclusione scolastica ha certamente subito una grave limitazione. In numerosi Vademecum per la gestione della DaD di diverse istituzioni scolastiche si legge infatti “va ricordato che la dimensione inclusiva va, per quanto possibile, mantenuta, anche con riguardo agli alunni con bisogni educativi speciali”.

L'attenzione al tema c'è ma è quel “per quanto possibile” che preoccupa! Nei fatti, poi,c'è da dire che la DaD, per alcuni studenti, è difficile da seguire e soprattutto “da capire”: perché certe condizioni di divers-abilità necessitano, ad esempio, di contatto fisico, e di una gestione educativa e didattica necessariamente in presenza, pc e piattaforme online non possono sostituire il rapporto diretto con il docente.

In altri casi, la gestione dello strumento informatico richiede piena padronanza di sensi come la vista e l'udito, nonché livelli di attenzione e concentrazione elevati, capacità e competenze assenti o parziali in studenti con patologie e disabilità gravi. Il risultato? Alunni, in alcuni casi, esclusi dalle lezioni in videoconferenza, in altri, abbandonati dagli insegnanti di sostegno che da lontano possono fare ben poco, isolati dai loro compagni, alunni che restano affidati esclusivamente alle famiglie per ciò che concerne (anche) l'istruzione che diventa appunto parentale (o come si dice in inglese homeschooling) al di fuori cioè delle istituzioni pubbliche e private. Il contributo delle famiglie ai risultati formativi non deve essere trascurato, in quanto importante forma di innovazione dal basso che non può passare inosservata.

I provvedimenti per la gestione e il contenimento dell'emergenza sanitaria stanno, dunque, contribuendo a sgretolare quel concetto di “Scuola inclusiva”, già intrinsecamente fragile, seppur ampiamente regolamentato negli anni da un punto di vista normativo (una pietra miliare è l'art. 3 della nostra Costituzione: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale...”). Se un’educazione equa ed inclusiva e pari opportunità di apprendimento rappresentano un diritto, questo diritto deve essere garantito a tutti.

È importante, dunque, che i dirigenti scolastici si attivino (coinvolgendo i Gruppi di Lavoro per l’Inclusione), per favorire le specifiche esigenze di questi allievi “speciali” per i quali, come si è detto, non è sempre possibile la fruizione della didattica online senza l’ausilio di personale che faciliti la comunicazione.

Alcune Federazioni delle persone con disabilità chiedono a gran voce che le istituzioni scolastiche attivino al “domicilio” degli alunni e studenti con disabilità la continuità didattica attraverso gli insegnanti di sostegno ad essi assegnati. 

Si tratta di una proposta concreta che ha un preciso fondamento giuridico, ovvero il d.lgs. 66/2017 (Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità) che ha, da ultimo, ulteriormente regolamentato l'educazione domiciliare. Nello specifico, l'art. 16 prevede che le istituzioni scolastiche, in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale, gli Enti locali e le aziende sanitarie locali, individuino azioni atte a garantire il diritto all'istruzione agli allievi, con gravi patologie certificate, impossibilitati a frequentare (per lunghi periodi) la scuola. Perché non applicare questa norma? Non è forse vero che in questo periodo di lockdown un sottoinsieme di alunni è impossibilitato a frequentare la scuola sia in presenza che virtualmente?

Il tema è di grande rilievo e si presta ad un ampio dibattito, evidenzia la necessità di realizzare innanzitutto una rete solida e dialogante di soggetti istituzionali e non che sia in grado (se non di realizzare) almeno di avviare concreti processi di inclusione, perchè l'inclusione è un processo, non è uno stato, occorre intervenire, oggi, sul contesto e, domani, sui soggetti.

Una maggiore e congrua attenzione, pertanto, va riservata anche alle politiche scolastiche (che devono integrarsi con quelle sanitarie, del lavoro, sociali...) rappresentando il servizio scolastico un aspetto fondamentale del welfare, al pari di altri.

A questo quadro appena abbozzato, si aggiunge l’incertezza su quando e con quali modalità si tornerà alla normalità...o alla (a)normalità perché molte cose non saranno più come prima!

Rivista-impresa-sociale-Melania Verde Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Melania Verde

Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Attualità
data:  26 aprile 2020
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