Quali sono le caratteristiche della domanda di finanza sociale nel nostro Paese? Perché si ha l'impressione che in Italia essa stenti a affermarsi? E quali sono le prospettive per il futuro? E quali sono le sfide con cui devono a questo proposito confronarsi sia il Terzo settore che i soggetti della finanza sociale?
“La domanda di finanza sociale. Vincoli e Prospettive di sviluppo” nasce con l’esigenza di divulgare i risultati dell’analisi della domanda di finanza di impatto sociale, con particolare riguardo ai limiti e alle barriere che i risultati di tale analisi evidenziano, compiuta dall’unità di ricerca dell’Università degli Studi di Napoli – Federico II nell’ambito del progetto SIF, Social Impact Finance, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il progetto SIF si ripropone, infatti, di promuovere una rete di studio allo scopo di esaminare lo stato e le prospettive date dall’introduzione della finanza sociale in Italia che, come sottolineato da Marco Musella nell’introduzione generale, sembra rimasta all’ ”anno 0” a causa delle carenze del sistema sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda. Il libro è di sicuro interesse per gli studiosi e gli “addetti ai lavori” con il fine ultimo di sollecitare un’evoluzione positiva, è curato da Marco Musella, Melania Verde e Marco Traversi.
Il saggio è diviso in due parti. Nella Parte I gli autori si occupano di definire concetti e dinamiche relative alla finanza sociale e di determinare i soggetti interessati dal fenomeno. La Parte II, invece, è dedicata alla presentazione dei risultati veri e propri dell’indagine effettuata dall’unità di ricerca della Federico II.
La Parte I si apre, dunque, con dei chiarimenti generali sulla finanza sociale stessa (cap. I). Si definisce cos’è la finanza sociale con particolare riguardo al rapporto tra obiettivi sociali e ritorno economico degli investimenti finanziati; si tratta di un aspetto prioritario rispetto a qualsiasi sviluppo teorico e pratico, anche se non sufficientemente chiarito dalle precedenti esperienze di ricerca: solo se il ritorno economico è in secondo piano o addirittura sacrificabile al raggiungimento di scopi sociali è possibile parlare di una finanza differente da quella tradizionale, con un differente impatto su caratteristiche, domanda ed offerta. Ci si rivolge, poi, ad alcuni punti critici della materia: l’applicazione di un concetto apparentemente semplice come quello di domanda e offerta al settore finanziario, la distinzione dei concetti di “finanza sociale” e “finanziamento degli interventi sociali”, il monito sulle bolle speculative.
I capitoli successivi (capp. II, III, IV) si occupano di delineare il contesto in cui ci si muove, partendo dalla descrizione di un modello micro-fondato della domanda di finanza sociale fino ad esaminare i soggetti coinvolti anche sotto l’aspetto legale. Come agisce l’impresa sociale, in quanto agente micro-economico, nel breve e nel lungo periodo? Qual è la funzione obiettivo di un attore che ha l’obbligo di privilegiare l’output di beneficio sociale ma che, allo stesso tempo, per svilupparsi ed accedere al credito, ha la necessità di accumulare un determinato stock di capitale (profitto)? Qual è il panorama del non-profit generato dall’introduzione del Codice del Terzo Settore e del registro unico (Runts)? Come si inseriscono nel quadro le società benefit? Le risposte a queste domande contribuiscono a mettere ordine in un contesto che, in quanto in transizione, può risultare confusionario per chi si approccia al fervente dibattito scientifico sulla materia.
Naturalmente il cuore della pubblicazione è costituito dalla ricerca realizzata dal gruppo di lavoro nell’ambito del progetto SIF presentata nella Parte II. Il dibattito nel quale essa si inserisce è sicuramente di rilievo: il disallineamento tra domanda e offerta di strumenti di finanza sociale rappresenta il principale ostacolo all’espansione e allo sviluppo delle imprese sociali e degli altri enti del Terzo Settore il cui bisogno di finanziamenti esterni, che non solo risulta superiore a quello delle PMI tradizionali (a causa del minore orientamento al mercato), ma che, recentemente, registra anche una crescita, rimane per lo più insoddisfatto. Questo quadro generale, che si presenta con caratteristiche simili in Italia come in Europa e nel resto del mondo, finanche nei paesi con una “tradizione” di imprenditorialità sociale più saldamente ancorata quali il Regno Unito o i Paesi Bassi, oggi deve costituire l’ambito di intervento prioritario sul settore, perché la soluzione del problema è preliminare al definitivo collocamento dell’economia sociale come alternativa forte a Stato e mercato, già favorito da una riforma legislativa ormai ben avviata, anche se lungi dall’essere terminata.
L’indagine empirica, d’accordo con la letteratura scientifica estera, riconduce questo disallineamento a molteplici fattori. Gli autori sottolineano, in particolare, richiamando implicitamente la definizione iniziale di Musella, l’incapacità dell’offerta di strumenti finanziari (anche a causa della percezione che gli investitori hanno del settore come altamente rischioso e poco remunerativo) di cogliere le specificità delle attività di imprenditoria sociale finendo con il proporre tassi di interesse troppo alti o eccessive garanzie per l’accesso al credito; ma anche la scarsa conoscenza dei nuovi strumenti da parte degli stessi imprenditori, aggravata dalla frequente carenza di figure professionali negli enti sociali. Lo studio è condotto tramite l’analisi di questionari specifici somministrati sia ai soggetti privilegiati del Terzo Settore (realtà salde e qualificate) che ai numerosi soggetti del mondo dell’imprenditoria sociale. Va qui però sottolineato come il tasso di risposta ai questionari non sia stato particolarmente alto. Questo di per sé può indicare uno scarso interesse oppure, confermando ciò che si diceva prima, una scarsa consapevolezza o conoscenza da parte dei soggetti appartenenti ad entrambi i lati del mercato. Al di là dell’incertezza statistica che il problema può comportare per ricerche di questo tipo, è reso qui evidente come l’instaurazione di una rete di informazione e di studio sia assolutamente necessaria per migliorare il trend.
La pubblicazione si conclude con una serie di considerazioni che, a partire dai risultati della ricerca, sono indirizzate a definire i cambiamenti necessari a riavvicinare domanda e offerta. In questo caso gli autori si limitano ad offrire degli spunti senza approfondire le varie soluzioni, compito che probabilmente è delegato a studi e pubblicazioni specifiche che, come è stato detto poc’anzi, sono la prima tappa di un percorso utile a rafforzare la finanza sociale: dall’analisi di domanda e offerta all’educazione degli attori, fino alla costruzione di strumenti concreti.
“La domanda di finanza sociale. Vincoli e Prospettive di sviluppo” ha il pregio di generare consapevolezza anche nel nostro Paese sulle barriere e sui limiti che affliggono la finanza sociale e che costituiscono l’ultimo freno all’affermarsi, in Italia, dell’economia sociale. E di farlo sia in chi si approccia alla materia, grazie al quadro generale chiaro e sintetico sul Terzo Settore presente nella prima parte, che nei soggetti coinvolti. Il fine ultimo, come si diceva all’inizio, è quello di spronare gli addetti ai lavori ad introdurre i cambiamenti necessari, siano essi dalla parte dell’offerta o da quella della domanda. Flessibilità, specificità, adattamento e informazione sono le parole chiave.
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