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ISSN 2282-1694
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Argomento:  Diritto - Libri
data:  05 giugno 2023

Luca Gori, Terzo settore e Costituzione

Paolo Sanna

Paolo Sanna recensisce il volume di Luca Gori Terzo settore e Costituzione. Si tratta della versione estesa dell'articolo pubblicato sul numero 2/2023 di Impresa Sociale.


Il rigore scientifico e la passione, uniti alla profonda conoscenza della prassi, sono qualità fondamentali per confezionare una qualsiasi ricerca giuridica che sappia interessare, insegnare e suscitare riflessioni nel lettore senza farlo smarrire nel limbo della dogmatica o, peggio ancora, gettarlo nelle maglie di una pedante e piatta ricognizione della prassi, magari arricchita – si fa per dire - da una calligrafica riproduzione del dato normativo.

Ebbene, chi, per interesse scientifico o per necessità pragmatiche, intenda approfondire il tema del Terzo settore e della sua recente (ma non più recentissima) Riforma, nella prospettiva, centrale, ma non esclusiva, del diritto Costituzionale, ritroverà per certo tutte quelle virtù nell’opera di Luca Gori, dal titolo “Terzo settore e costituzione”, edita nel 2022, per i tipi della Giappichelli.

Sembra davvero che, nel concepirla, l’A. abbia ben messo a frutto l’insegnamento ricevuto dal suo Maestro (il Prof. Emanuele Rossi): associare all’attività di ricerca sui temi delle formazioni sociali, del Terzo settore e del volontariato “un singolare impegno personale, operativo e ideale, in molte realtà associative”.

Ne è scaturito un lavoro che, innanzitutto, si fa notare per “peso”: 5 capitoli, posti di seguito a una parte introduttiva – tanto sintetica quanto utile contenente “Premesse, indicazioni metodologiche e struttura della ricerca” - e che trovano coronamento in una serie di stimolanti spunti conclusivi.

Il tutto è sorretto da un notevole apparato bibliografico: basti pensare che la bibliografia occupa le ultime 40 pagine dell’opera che, aggiunte alle precedenti, ne portano il totale a 377.

L’obiettivo – dichiarato dall’A. - è quello di perimetrare il Terzo settore e di definire finalità, contenuti e limiti del trattamento giuridico di favore legislativo riservato agli enti del Terzo settore (per brevità, ETS) in una duplice prospettiva costituzionale: «statica» rivolta al verfassungsgrundlage, da cui ricavare valori e principi che informano l’intervento normativo in materia; «dinamica» che si interroga sul “chi, perché e come” il diritto si interessi del Terzo settore, pur trattandosi, appunto, di un diritto promozionale.

Il Capitolo I° (intitolato “L’emersione sul piano giuridico del Terzo settore”) – la cui lettura svela sin da subito l’ottima fattura del lavoro – contiene una ricostruzione storica del Terzo settore nell’ordinamento italiano, in particolare la sua metamorfosi da categoria dogmatica ad ambito normativo.

Pur consapevole del fatto che le radici del fenomeno degli enti senza fine di lucro, ma teleologicamente orientati al perseguimento di finalità solidaristiche, rientra nella tradizione del nostro Paese (donde l’opportuno caveat di non considerarlo “fatto di importazione”) e affonda le proprie radici già in un’epoca anteriore al medioevo, l’A. assume come punto di partenza della ricognizione storica la disciplina formatasi dall’esordio dello stato preunitario.

Scorrono sotto gli occhi del lettore alcune delle più importanti tappe normative – efficacemente delineate nei loro tratti più espressivi - che, nell’arco di più di un secolo e mezzo, hanno avuto la loro acme con la Riforma del 2016.

Tra queste, l’A. segnala, i primi tentativi sistematici di unificare la disciplina normativa di un ipotetico terzo settore (dove “terzo” è qui dall’A. emblematicamente indicato con la “t” minuscola”) attuati con la Gran legge del 1862 in un clima statutario che guardava al fenomeno associativo con occhi “indifferenti” e “diffidenti”; la sua “pubblicizzazione” mediante la legge Crispi del 1882; il completo annullamento di qualsiasi spazio interstiziale tra la dimensione pubblica e l’autonomia delle formazioni sociali per opera del fascismo, all’insegna di un «processo di entificazione»; l’intervento, in quello stesso frangente temporale, del Codice civile Grandi: evento che, contro gli auspici dei redattori, in seguito, si sarebbe rivelato di portata «epocale» nel quadro della evoluzione della disciplina del Terzo settore.

Le «povere e scarne e norme» dedicate agli enti non personificati (associazioni e comitati) segneranno una linea di demarcazione tra questi e gli enti riconosciuti come persone giuridiche, dando vita, nel contempo, alla prima linea di fondo cui si ispirava l’ideologia alla base della disciplina codicistica; l’altra consistendo nel perseguimento di finalità non lucrative, incompatibili con lo svolgimento di attività di impresa, spartiacque tra gli enti del libro I°, titolo II, e le realtà entificate governate dal libro V. La storia successiva si darà carico di smentirle entrambe: dopo l’avvento della Carta costituzionale del 1948, proprio la disciplina “light” delle associazioni non riconosciute aprirà alla fantasia dell’autonomia privata, decretando il successo travolgente delle associazioni prive di personalità giuridica sul piano della prassi e spianando la strada – a distanza di alcuni lustri- allo sviluppo della legislazione speciale.

Allo stesso modo, la Costituzione del 1948, nel sancire un netto cambio di paradigma (di cui – anticipa l’A. - sarà alfiere il riconoscimento delle formazioni sociali ex art. 2, posto a fondamento ordinamentale del principio pluralista) condurrà a una progressiva svalutazione della personalità giuridica e all’affermazione della soggettività degli enti non personificati affrancata dal riconoscimento statale.

Nello stesso tempo, la destrutturazione dell’originario ordito codicistico passerà attraverso il possibile esercizio di attività imprenditoriale da parte degli enti regolati dal Libro I°, stante la distinzione tra finalità perseguite (sempre di natura ideale) e attività esercitate per il loro raggiungimento (anche imprenditoriale) nonché la riconosciuta compatibilità tra scopo non lucrativo e esercizio di un’attività economica organizzata.

Ancora una volta, in seguito, la legislazione speciale imiterà la metamorfosi ermeneutica subita dal sistema codicistico muovendosi verso il progressivo riconoscimento di attività imprenditoriali da parte di enti diversi dalle società, con l’altrettanto progressiva «attrazione» della disciplina degli enti no profit verso le regulae del Libro V°.

La parabola che, negli anni 70’ del secolo scorso, vede sia il declino della forma partito sia l’avvento del regionalismo conduce alle prime esperienze di welfare mix in tema di assistenza sociale: in questo clima, maturano, in modo graduale, un profondo mutamento dei rapporti tra pubblico e privato nonché il bisogno di una legislazione speciale in grado di innestarsi sull’impianto del Codice civ., all’insegna del riconoscimento dello spazio di autonoma iniziativa assunto dalle organizzazioni private.

Negli anni 80’, la risposta a tali esigenze consiste però in provvedimenti legislativi disorganici, episodici e frammentari che - seppur non in grado di fornire un quadro regolativo omogeneo - si rivelano comunque utili nell’indicare la strada di una normativa diretta a riconoscere determinati tipi di enti al fine di promuoverli, in ragione della meritevolezza delle diverse finalità perseguite e delle differenti modalità di svolgimento dell’attività.

Insomma, si profila una direzione che va nel senso del superamento della personalità giuridica e delle norme civilistiche come strumento di selezione degli enti idonei a collaborare con le PPAA per il perseguimento di scopi socialmente rilevanti e meritevoli di essere ammesse a vantaggi (seppur bilanciati da oneri) e dell’affermazione, in tal senso, del primato delle norme Costituzionali.

Vengono poi gli anni ‘90 del secolo scorso: anni “fantastici” per il Terzo settore perché caratterizzati da numerose iniziative normative di estremo rilievo – che l’A. richiama puntualmente - tra cui, soprattutto, la l. n. 266/1991, quadro sul Volontariato, la l. n. 381/1991, sulle cooperative sociali, e il d. lgs. n. 460/1997, in materia di ONLUS.

L’A. ne evidenzia l’importanza: quanto alla prima, per avere fornito la matrice alla successiva legislazione speciale sul Terzo settore. Infatti, l’idea alla base della legge quadro consisteva nell’istituire non una nuova fattispecie di ente collettivo, bensì una qualifica – appunto quella di organizzazione di volontariato – assumibile da un ente costituito nella forma giuridica ritenuta più adeguata al perseguimento dei suoi fini, con il limite della compatibilità con lo scopo solidaristico, alla presenza di alcuni requisiti teleologici (assenza del fine lucrativo), di struttura interna (democraticità, elettività e gratuità delle cariche associative e delle prestazioni fornite dagli aderenti, obbligo di formazione del bilancio, ecc.) e di pubblicità (iscrizione in un pubblico registro, istituito da ciascuna Regione). Il possesso della qualifica di organizzazione di volontariato diviene presupposto fondamentale per fruire della disciplina promozionale dettata dalla stessa legge-quadro e, in particolare, per accedere al regime convenzionale con gli enti pubblici.

La disciplina delle cooperative sociali del 1991 è altrettanto indicativa, stavolta perché articola un modello cooperativistico fondato su di un profilo causale autonomo di carattere tanto solidaristico quanto mutualistico.

Quello sulle ONLUS rappresenta, invece, «il provvedimento normativo più importante nella storia del Terzo settore» al punto da esserne divenuto – almeno sino all’entrata in vigore del CTS - “vero e proprio spartiacque”. Le norme del 1997 articolano una qualifica tributaria unitaria assumibile da enti fra loro disomogenei, in possesso di una serie di requisiti – in primis, l’iscrizione all’interno di un’anagrafe, appositamente istituita – che attengono non già alla forma giuridica assunta o al riconoscimento giuridico, bensì alle finalità perseguite, alle attività esercitabili e alle relative modalità di svolgimento. Pur pensata come limitata alla previsione di regole fiscali di favore, la denominazione ONLUS ha finito per assumere la valenza (impropria) di criterio ordinatore e unificante dell’intero settore degli enti senza fine di lucro: ne è derivata un’identità del Terzo settore fondata sulle norme premiali e sulla conseguente posizione ancillare delle espressioni di autonomia statutaria. Nondimeno, in quegli stessi anni, fiorisce la selva della legislazione speciale (anche regionale) sul Terzo settore che, pur nella sua disomogeneità, segue due linee di sviluppo: da un lato, conia nuove qualifiche (inter alia, quella di Associazione di promozione sociale ex lege n. 383/2000), con l’effetto di accentuare lo svuotamento del Codice civile; dall’altro lato, subordina il riconoscimento di soggetti collettivi al loro operare in determinati ambiti di attività (in particolare, nel settore dell’advocacy).

In questo complesso milieu legislativo, interviene la l. Cost. n. 3/2001 che, nel modificare il Titolo V° della parte seconda della Carta, allo scopo di favorire la relazione fra enti pubblici e l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli ed associati, positivizza il principio giuridico c.d. di sussidiarietà orizzontale introducendolo nel corpo dell’art. 118, ult. comma.

La novità costituzionale non vale, però, a rompere la tendenza legislativa che preferisce una disciplina del Terzo settore ispirata al particolarismo normativo: ne è testimone il successivo d.lgs. n. 155/2006, che – pur con scarso successo e sempre mediante la configurazione di una qualifica – ha tentato di regolare quelle epifanie diverse dalla cooperativa sociale consistenti nello svolgimento di attività imprenditoriale senza scopo di lucro soggettivo e con finalità di interesse generale. L’intervento del 2006 ha ulteriormente alimentato il dibattito sull’esigenza di razionalizzare il quadro normativo in materia di Terzo settore, per favorirne la tenuta complessiva sotto il profilo costituzionale, muovendo dall’aspetto definitorio incentrato sulla dimensione soggettiva (irrilevanza della forma giuridica privatistica) e su di alcuni tratti oggettivi (assenza dello scopo lucrativo; finalità aggiuntive; ambito e modalità di svolgimento delle attività).

L’A. si sofferma, dunque, sul più recente stadio evolutivo inerente alle regole del Terzo settore italiano, in altre parole sulla delega racchiusa nella l. n. 106/2016 e sui relativi decreti legislativi di attuazione e, in particolare, sul d. lgs. n. 117/2017, recante il Codice del Terzo (per brevità, CTS): benché si tratti di un corpus normativo ritenuto non esaustivo e non scevro da profili di criticità, la scelta di ricorrere alla forma del Codice è valutata, infatti, come centrale e di indubbio interesse sistematico. Segue una prima analisi di uno degli aspetti ordinamentali più rilevanti della novella, anche ai fini del lavoro di ricerca: la definizione del Terzo settore.

Contemplata in via espressa sia dall’art. 1, l. delega, sia dall’art. 4, CTS, la nozione di Terzo settore si caratterizza per il superamento della precedente frammentazione di criteri e finalità per lasciare spazio a un approccio unitario, seppur articolato, connotato “in positivo” e che pone in (problematica) connessione finalità perseguite, attività svolte e modalità di svolgimento, nonché un requisito essenziale consistente nell’iscrizione dell’ente nel nuovo Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS).

Dal CTS emerge, dunque, una categoria normativa di enti ai quali il legislatore attribuisce uno statuto giuridico (tendenzialmente) unitario e una piena riconoscibilità istituzionale e politica: è il riflesso di un processo di cambiamento che interessa altresì il piano socioculturale e che, più di recente, ha trovato un suggello sul versante costituzionale con la sentenza del Giudice delle Leggi n. 131/2020.

Preso atto della novità definitoria e, allo stesso tempo, dell’intrinseca dinamicità del Terzo settore che ne rende la disciplina giuridica cronicamente inadeguata, la ricerca prosegue nel Capitolo II° (intitolato “Criteri costituzionali e scelte legislative di riconoscimento del terzo settore”) in una duplice direzione: da una parte, saggiare il fondamento costituzionale del settore in esame; dall’altra parte, verificare quanto dello spazio riservato dalla Carta all’area degli enti delle libertà sociali risulti effettivamente occupato e quanto, invece, resti normativamente non considerato o inesplorato.

In particolare, al fine di individuarne la base e la meritevolezza costituzionali, l’A. approfondisce la definizione legale di «Terzo settore» e di «ente del Terzo settore» (come si è detto, data rispettivamente ex artt. 1, l. 106/2016, e 4, CTS), rinvenendone l’elemento distintivo nel profilo teleologico: “sono le finalità, infatti, che consentono di far emergere dall’indifferenziato coacervo del pluralismo sociale una serie di enti che, in ragioni di tali fini, vengono a connotarsi per una serie di caratteristiche uniformi”.

Nella prospettiva costituzionale, l’A. qualifica l’ETS come un tipo di formazione sociale declinato sul piano della legislazione ordinaria, non senza evidenziarne gli aspetti critici.

La tesi essenziale – ampiamente discussa e motivata nella prospettiva d’indagine indicata - è che – a prescindere dalla loro forma giuridica in concreto assunta sul piano civilistico – le formazioni sociali del Terzo settore rappresentano un “momento di manifestazione della personalità umana e luogo nel quale il dovere di solidarietà può esprimersi compiutamente, nella sua componente orizzontale o fraterna (ossia volontariamente assunta come libera espressione della socialità della persona), al fine di concorrere all’attuazione dell’obiettivo delineato dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, e in particolare del programma proclamato dal secondo comma di quest’ultima disposizione, quale obiettivo finale di tutto il processo di attuazione costituzionale”.

A tal punto, l’A. esplora in modo assai articolato e documentato i rapporti tra Terzo settore e principio di sussidiarietà orizzontale, come positivizzato dalla l. cost. n. 3/2001, la cui rilevanza è duplice: regola di relazione fra i pubblici poteri e il settore in esame (non potendosene invece predicare la valenza di vero e proprio fondamento giuridico-costituzionale); elemento definitorio da cui trarre i connotati sostanziali degli ETS (poiché la norma delinea i presupposti al verificarsi dei quali l’iniziativa autonoma dei cittadini singoli o associati può essere considerata rilevante sul piano giuridico e individua le attività di interesse generale). Ne discende un’operazione di bilanciamento costituzionale assai delicata tra il rispetto dell’autonomia delle formazioni sociali (imposto dagli artt. 2 e 18, Cost.), la promozione delle attività di interesse generale (ex art. 118, ultimo comma, Cost.), e il perseguimento degli interessi pubblici, con le correlate attività di controllo (art. 97 Cost.).

In questo contesto, colpisce il grado di attenzione che l’A. pone alla valorizzazione della posizione del «singolo» (sul rilievo che la sussidiarietà orizzontale colora di rilevanza una pluralità di manifestazioni del pluralismo sociale e che, casomai, è compito dei pubblici poteri, eventualmente, delimitare un ambito di ricomprensione delle attività individuali) e all’analisi del significato della locuzione “attività di interesse generale”, soprattutto sotto il profilo dei suoi rapporti con il principio di legalità. 

Segue un approfondimento critico della relazione esistente fra il riconoscimento legislativo degli ETS come formazioni sociali e le altre libertà sociali nonché, in particolare, con il paradigma generale della libertà di associazione nell’ottica di testarne limiti e fondatezza.

In quest’ultima direzione, l’A. si da carico di verificare l’ammissibilità di un intervento pubblico che - avendo come scopo la valorizzazione di determinate formazioni sociali - identifichi criteri di meritevolezza in grado di evidenziare le finalità perseguite, senza però tradursi – in maniera diretta o indiretta - in un’illegittima compressione della libertà di associazione e del suo portato garantistico: nella prospettiva considerata, la “chiave di volta” che rende ammissibile – pur non senza limiti - la legislazione inerente agli ETS è colta nella facoltatività dell’acquisizione della relativa qualifica.

L’A. sottolinea, infatti, come la codifica normativa di un certo modello di formazione sociale incontri il limite della possibilità riconosciuta ai consociati di scegliere se approfittare del relativo regime, senza vedersi attribuita la qualificazione a dispetto della loro volontà: “la scelta di conformare l’autonomia privata ai requisiti previsti dalla legge si deve configurare come un onere – e non come obbligo – ed è costituzionalmente necessitata”.

Sempre principalmente del prisma del diritto Costituzionale, l’A. compie una disamina – completa, ragionata e critica - dei singoli elementi che concorrono a definire l’ETS: natura privata dell’ente (con riferimento alla quale, ad esempio, è molto ben valorizzato il tema della democraticità interna); relative esclusioni dalla facoltà di assumere la qualifica (riguardanti, in particolare, le fondazioni di origine bancaria, gli enti espressamente individuati dall’art. 4, comma 2, CTS), nel cui ambito è di particolare interesse l’analisi condotta sulla portata del significato «enti religiosi civilmente riconosciuti» ex art. 4, comma 3, CTS; assenza dello scopo di lucro in senso soggettivo (e relative eccezioni); attività di interesse generale; modalità di svolgimento dell’attività; infine, la registrazione nel RUNTS.

A conclusione del secondo capitolo, l’A. si sofferma – non trascurando la prospettiva del diritto euro-unitario - sul contenuto degli indici normativamente richiesti all’ente qualora voglia conseguire la qualifica di «ente del Terzo settore» e, di conseguenza, accedere al regime specifico previsto per la categoria.

La sussistenza di tali indici - verificata, prima di tutto, in sede di iscrizione al RUNTS – è fondamentale poiché loro tramite si invera (o dovrebbero inverarsi) l’elemento teleologico ovvero il tratto distintivo della nozione di ETS. L’A. avverte, però, come tali indici non debbano essere valutati in maniera ipostatizzante, ma al contrario, assunti nella loro intrinseca “mobilità”, posto che “appare davvero arduo ipotizzare che i confini ed i caratteri del Terzo settore siano stabiliti una volta e per tutte ma, al contrario, compito del diritto è scorgere e valutare le novità che, progressivamente, l’autonomia privata dei cittadini, singoli o associati, produce e che, almeno in parte, ha già prodotto, e che il diritto pubblico ha, magari embrionalmente, iniziato a riconoscere”.

Nel Capitolo III°, intitolato “La promozione del Terzo settore come questione di diritto costituzionale”, l’A. si propone di definire i contenuti propri del diritto promozionale del Terzo settore - così come delineato dal legislatore statale - e di identificare i settori di promozione nonché i caratteri e problemi da essi posti. Si tratta del «profilo dinamico» del Terzo settore, ossia dell’insieme di strumenti che consente al «profilo statico» di inverarsi come prassi sociale diffusa.

Il profilo «dinamico» è colto mediante una metodologia d’indagine “paradigmatica” e “concreta” svolta per il tramite delle norme promozionali: “ciò significa comprendere come l’art. 118, u.c. Cost. – e, in particolare, l’espressione «favoriscono» – trova applicazione in concreto, consentendo il dinamico sviluppo del Terzo settore oppure, al contrario, come una limitata o insufficiente applicazione ne costituisca un fattore di freno”.

Prima di tutto, è indagato, sul piano generale, il significato giuridico proprio del c.d. diritto promozionale, di cui è posto in evidenza il necessario ancoraggio causale a un bene di rango costituzionale.

Si deve trattare di un bene chiaramente individuabile e idoneo, in una logica di bilanciamento, a determinare una disciplina derogatoria rispetto a quella di diritto comune, secondo un criterio di ragionevolezza che, in subiecta materia, è sindacabile dal Giudice delle Leggi alla luce di due sotto-criteri: strumentalità e proporzionalità Dopo avere analizzato i caratteri del diritto promozionale sul piano teorico-generale, l’A. ne affronta il contenuto costituzionale sullo specifico e concreto versante del Terzo settore. In tale ultimo caso, il bene costituzionale meritevole di una normativa promozionale – il cui fondamento si trae, in primo luogo, nell’espressione di favor contenuta nell’art. 118, ultimo comma, Cost.- si ritrova nelle caratteristiche giuridico-sostanziali esaltate dalla definizione degli ETS, ovvero “tanto nelle finalità, quanto nelle connesse attività, quanto – infine – nei modi”.

Diverse e difficilmente riconducibili ad unitatem sono poi le modalità promozionali introdotte dal legislatore nel settore in esame, che l’A. non manca di schematizzare in modo esaustivo, suggerendone una lettura interpretativa – anche in chiave di valutazione di costituzionalità - non atomistica, ma di tipo sistematico: “l’obbligo costituzionale di «favorire» deve essere misurato non già con riguardo alla singola misura promozionale ed alla sua natura derogatoria, bensì all’effetto complessivo risultante per l’ambito omogeneo considerato”.

È inoltre condivisibile il caveat dell’A. a non accostare le singole norme promozionali previste per il Terzo settore a quelle contemplate per gli enti a esso estranei, “perché ciò che difetta è, appunto, la considerazione della specificità soggettiva degli ETS e del sistema normativa che è stato, per loro, configurato”. Fa seguito una puntuale analisi delle misure promozionali a carattere derogatorio riguardanti alcuni aspetti della disciplina civilistica, tributaria e amministrativistica: tra le misure civilistiche, una particolare attenzione è dedicata all’acquisto della personalità giuridica da parte degli ETS ex art. 22, CTS. Secondo l’A., la rilevanza promozionale della norma – che sollecita anche la riflessione del Civilista - non tocca la funzione propria del riconoscimento (che permane identica all’interno e all’esterno del perimetro del Terzo settore), quanto la semplificazione del modo di acquisizione e, soprattutto, l’armonizzazione dei procedimenti amministrativi volti alla registrazione come associazione/fondazione ETS e come ente personificato (così sottraendoli al double check delle diverse amministrazioni competenti). D’altro canto, l’iter semplificato per l’acquisto della personalità giuridica e la limitazione della responsabilità patrimoniale derivante dal riconoscimento facilitato sono controbilanciati dal regime di registrazione al RUNTS e dalla sua ampia accessibilità: pertanto, l’inesistenza di una analoga forma di registrazione per gli altri enti del Libro I°, Codice civ., rende costituzionalmente ragionevole il loro assoggettamento all’applicazione dell’iter ordinario ex d.P.R. n. 361/2000, benché la mancata attuazione della delega del 2016 concernente la revisione delle regole codicistiche lasci insoddisfatta esigenze di certezza giuridica e di tutela dei terzi che non sono soltanto un proprium del Terzo settore, ma riferibili all’intero Libro I°, Codice civ..

Particolare cura è poi dedicata ad alcune possibili chiavi di lettura costituzionali della disciplina tributaria e a quella inerente ai rapporti con la P.A.: scelta espositiva coerente con la considerazione della centralità del ruolo che tali regole giocano nell’ambito delle politiche promozionali per il Terzo settore.

Il bene costituzionale alla base delle norme promozionali in materia tributaria è individuato nell’esigenza di garantire il perseguimento delle finalità e delle attività di interesse generali degli ETS, senza scopo di lucro, “in forme sempre più efficaci, avendo la disponibilità di risorse economiche da destinare a tali finalità costituzionalmente meritevoli, prescelte in autonomia dagli enti stessi”, all’insegna di un c.d. sussidiarietà fiscale, ovvero di un vero e proprio sistema che – pur se in modo non sempre coerente sul piano costituzionale - si avvale tanto di strumenti di esclusione degli ETS dall’imposizione diretta di diritto comune - in base al loro profilo soggettivo (che esprime – anche - il modo in cui essi concorrono alla spesa pubblica) - quanto di agevolazioni fiscali.

Nondimeno, un sistema siffatto mostra talune rilevanti fragilità che, oltre al segnalato profilo della coerenza costituzionale, toccano la connessione con la disciplina europea in tema di aiuti di stato (tutti aspetti attentamente scrutinati dall’A.).

Sul fronte amministrativistico, la disciplina promozionale investe il rapporto fra Terzo settore e pubblica amministrazione: un rapporto che l’A. etichetta come “fra i più tormentati”, poiché la “relazione” giuridica fra i soggetti pubblici e gli ETS – enti dotati di una meritevolezza costituzionale – poggia su basi del tutto alternative a quelle previste dalle regole in materia di contratti pubblici contenute nel d.lgs. n. 50/2016.

L’analisi si sofferma, in particolare sugli artt. 55, 56 e 57, CTS, e sulle altre norme che prevedono l’instaurazione di rapporti fra P.A. e Terzo settore, tanto in via diretta quanto in via indiretta.

Di sicuro interesse, è l’analisi della prima disposizione che traduce, in termini generali - rectius alla stregua di una clausola generale - il principio di sussidiarietà orizzontale nel campo considerato, con il coinvolgimento attivo degli ETS mediante il ricorso a due modalità: co-programmazione e co-progettazione. Vengono però segnalati il difetto di un’adeguata disciplina procedimentale e l’esigenza di un raccordo con le regole euro-unitarie a tutela del principio concorrenziale.

Segue un’attenta analisi del regime convenzionale contemplato dagli artt. 56 e 57, CTS, rispettivamente, in termini di genus e species (posto che la seconda è specificamente dedicata alla particolare materia – oggetto di frequente contenzioso - del trasporto sanitario di emergenza-urgenza).

Non manca un’analisi concernente la promozione del volontariato sia negli ETS sia come fenomeno in quante tale ovvero realizzabile ovunque; l’istituzione del Consiglio nazionale del Terzo settore della fondazione Italia Sociale; la materia dei finanziamenti sia diretti sia indiretti (i primi contemplati, in varie forme, dagli artt. 72-76 CTS, a sostegno di determinate tipologie di ETS o di attività di interesse generale; i secondi a beneficio di quanti contribuiscano a sostenere gli ETS).   

Dal sistema delle norme promozionali del Terzo settore, stabilmente incorporate all’interno della riforma (d.lgs. nn. 111, 112 e 117 del 2017), l’A. coglie l’emersione di almeno due diverse visioni, che si riflettono altresì sulla stessa considerazione del Terzo settore nell’ordinamento costituzionale: l’una effettivamente alternativa, che si muove a partire dalla valorizzazione della categoria normativa degli ETS accolta dal legislatore per rafforzarne la finalità; l’altra di genere tipicamente derogatorio (secondo lo schema classico delle norme incentivanti).

Come segnala il suo titolo “Gli effetti della qualifica della qualifica di Ente del Terzo Settore ed il controllo nella prospettiva costituzionale”, il Capitolo IV° affronta i temi degli effetti che discendono dall’acquisizione della qualifica di ETS sul piano degli obblighi giuridici gravanti sugli enti interessati e dei controlli per essi stabiliti ex lege.

Si tratta, in sostanza, dell’esplorazione di quel versante definito dall’A. come “l’altro lato della promozione”.

L’idea è che l’ammissibilità della disciplina promozionale per gli ETS e lo status di favore facciano il pari con una serie di obblighi e di adeguate forme di controllo (affidate, in primis, ai pubblici poteri), volta a verificare la sussistenza e la permanenza dei requisiti essenziali affinché l’ente possa continuare a definirsi «del Terzo settore» e, quindi, a fruire del relativo regime di favor, senza che ne sia vulnerata l’autonomia costituzionalmente protetta.

In particolare, l’A. s’interroga sull’obiettivo finale degli obblighi e dei controlli, nonché sulle regole costituzionali in grado di orientare sia il legislatore sia l’ermeneusi delle norme vigenti.

Dopo avere indentificato concettualmente la categoria degli obblighi giuridici discendenti dalla qualifica di ETS (vincoli giuridici che conformano l’azione dell’ente nel suo sviluppo dinamico nel tempo) e il sistema dei controlli - funzionale ad assicurare l’adempimento di tutte le prescrizioni ex lege - l’A. ne ritrova il fondamento costituzionale nella disciplina promozionale ad accesso facoltativo, poiché in assenza di obblighi e controlli, “l’attribuzione di misure di favore rischierebbe di tradursi in un privilegio sregolato, liberamente fruibile, scisso da ogni forma di verifica sull’effettiva sussistenza e permanenza dei requisiti richiesti”.

D’altro canto, occorre, però, che obblighi e controlli siano strettamente collegati ad una norma di favore o, comunque, ad un interesse costituzionalmente meritevole di tutela: diversamente, si materializzerebbe lo spettro di un’illegittima ingerenza e di un indebito condizionamento nell’ambito delle c.d. libertà sociali, non sanabile alla luce della mera facoltatività della qualifica giuridica.

S’impone, insomma, anche nell’ambito considerato l’esigenza di un giudizio di ragionevolezza che – alla luce della giurisprudenza costituzionale – dovrà essere condotto secondo i canoni della strumentalità della misura rispetto al fine e della proporzionalità dell’intensità della misura rispetto al fine.

L’A. ritiene che l’obiettivo finale di obblighi e controlli sia ad ampio spettro: non solo la semplice assicurazione e verifica di conformità a quanto previsto dalla legge, ma, soprattutto, il rafforzamento del legame di fiducia esistente fra il Terzo settore e il variegato insieme degli stakeholder che con esso si relazionano.

Segue un’articolata analisi delle varie tipologie di obblighi e delle relative misure previste dalle nuove regole del Terzo settore: di trasparenza; legati alla raccolta fondi, ai rapporti di lavoro e al volontariato, anche sotto il profilo del loro impatto costituzionale.

Quanto ai primi, ad esempio, ne è messa in luce la funzione di forma di verifica diffusa da parte dei soggetti portatori di un interesse, dunque la loro diversità rispetto alla trasparenza amministrativa, e l’A. si sofferma sul quadro complesso e frammentato delle varie misure di trasparenza.

Oggetto di accurato vaglio è poi la materia dei controlli: si tratta, infatti, di uno dei temi più delicati dell’intera disciplina e dall’elevata rilevanza costituzionale perché esplica degli effetti importantissimi sia sull’accesso al perimetro legale del Terzo settore sia sull’operatività degli enti.

L’A. ricostruisce il sistema dei controlli alla luce di una serie di variabili: profilo soggettivo (chi sono i controllori); l’oggetto e il parametro del controllo e i suoi effetti.

Del versante soggettivo è evidenziata l’eccessiva frammentazione, che l’A. propone di ricomporre mediante il ricorso (ancora una vola) al principio di sussidiarietà.

Il vero nodo costituzionale posto dalla disciplina dei controlli – sia esterni sia di autocontrollo – è però dato dalla loro intensità che non sempre appare ben graduata soprattutto se le norme-parametro presentano espressioni ampie o ambigue, così da porre l’amministrazione nella difficile posizione di dover esercitare margini di discrezionalità notevoli.

Non manca, anche a tale proposito, un originale contributo ricostruttivo dell’A.: il suggerimento è quello di ispirare la lettura costituzionale del plesso normativo dedicato alla funzione di controllo del Terzo settore “ad una logica di self-restraint” basata sul combinato disposto degli artt. 18, 97 e, soprattutto, sull’art. 118, ultimo comma, Cost.: “l’amministrazione è chiamata ad esercitare i propri poteri nei termini di una verifica di tipo giuridico-formale rispetto a requisiti già stabiliti dal legislatore o predeterminabili, oppure nel senso di accertamento di dati di fatto incontrovertibili e obiettivamente accertabili, così da evitare di sostituire il proprio apprezzamento, in ogni fase di svolgimento dell’attività, a quello dell’ETS”.

Ed è proprio nell’118, ultimo comma, Cost., che l’A. ritrova l’elemento più importante per conformare anche la funzione, i poteri e gli strumenti di controllo sul Terzo settore, interrogandosi, casomai, sull’opportunità di estendere per via curiale taluni aspetti della materia dei controlli a tutti gli enti del Libro I°, Codice civ.

Nel Capitolo V°, intitolato “Il Terzo settore nel pluralismo territoriale”, l’A. si propone di “leggere” il profilo costituzionale del Terzo settore nell’ordinamento costituzionale proprio alla luce del contesto pluralista delineato dal Titolo V°, ritenendolo un momento imprescindibile per comprendere le modalità di realizzazione del riconoscimento, della promozione e del controllo sul Terzo settore.

Infatti, i diversi livelli di governo concorrono, con competenze legislative e funzioni amministrative distinte, al raggiungimento del medesimo obiettivo promozionale del Terzo settore, inteso come “una modalità di perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociali”, ma che da luogo a una rilevante tensione fra Stato e Regioni, composta in sede di giurisdizione costituzionale.

Proprio sul filo della Giurisprudenza del Giudice leggi, l’A. riannoda, quindi, la complessa trama del riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni sul Terzo settore che muove, in primo luogo, dagli elenchi di materie ex art. 117, Cost., di competenza esclusiva dello Stato (“ordinamento civile” e “tutela della concorrenza”).

L’indagine tocca anche la competenza legislativa statale esclusiva in tema di livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali (ex art. 117, comma secondo, lett. m, Cost).

La competenza regionale si espande con riguardo alle misure promozionali prefigurate dallo stesso CTS sia in sede attuativa sia articolando autonome misure rientranti nell’ambito della sfera legislativa delle stesse Regioni.  

Seppur non espressamente menzionato dal CTS, il settore più ampio di intervento della fonte regionale investe i diversi ambiti di attività di interesse generale ove gli ETS possono operare, poiché tanto il Codice quanto il d. lgs. sull’Impresa sociale, nell’individuarle, stabiliscono che tali attività debbano essere svolte «in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio»: infatti, gran parte delle attività richiamate ricade nella competenza concorrente o residuale.

Nondimeno anche le politiche di promozione regionale dovranno muoversi entro determinati limiti, quali i principi già delineati dalla Corte costituzionale; il rispetto della potestà legislativa statale in tema di ordinamento civile e di un criterio di ragionevolezza idoneo a circoscrivere estensione soggettiva e contenuto oggettivo delle misure promozionali.

Il quadro normativo regionale potrebbe, dunque, mostrarsi assai complesso e differenziato.

L’A. non manca di ricostruirlo alla luce delle discipline regionali intervenute dopo l’entrata in vigore della riforma: in particolare, sono oggetto di scrutinio le leggi dell’Emilia- Romagna e della Toscana (oggi si aggiungono Molise e Umbria).

L’auspicio – formulato alla luce dell’esperienza regionale toscana - è che la “regionalizzazione” del Terzo settore “non si esaurisca, semplicemente, con l’attuazione delle misure che, più o meno espressamente, sono indicate nel d.lgs. n. 117 del 2017, bensì si esprima all’interno di un quadro coerente, costituzionalmente orientato, di norme di riconoscimento e di forme di promozione delle diverse manifestazioni del pluralismo sociale, sia che esse si esprimano in forme collettive o individuali” (non viene può trascurato il rischio che, per via regionale, il Terzo settore si estenda, sul piano sostanziale, al di là del perimetro stabilito dalla legge statale).

Oltre all’analisi del profilo normativo, l’A. concentra il focus sulla distribuzione delle funzioni amministrative fra i diversi livelli di governo: si tratta di uno dei profili più sensibili della Riforma, soprattutto con riferimento alla tenuta e alla gestione del RUNTS (qui si segnala il pericolo di una possibile frammentazione dei contenuti della disciplina regionale circa i profili dell’iscrizione, della cancellazione e, più in generale, del controllo sugli enti).

Come si è accennato, a chiusura dell’opera si ritrovano alcuni Spunti conclusivi”, dove a un sintetico riassunto contenutistico del percorso di ricerca compiuto, l’A. aggiunge altri arricchenti elementi di riflessione.

Il valore fondamentale del lavoro consiste nell’avere tracciato un quadro complesso, ricco di problemi e questioni costituzionali, “per un ambito ordinamentale che, ingiustamente, è stato considerato ancillare o residuale, anche dal punto di vista della riflessione giuridica e, specialmente, giuridicocostituzionale, quasi espressione di una solidarietà minore”.

Del resto – come rileva l’A. – uno dei meriti della riforma del Terzo settore sul piano culturale consiste nell’affermazione dell’esistenza di uno spazio alternativo allo Stato e al mercato, non avulso da quest’ultimi, attraversato da una fitta rete di connessioni e dotato di un suo proprio statuto di tipo costituzionale e giuridico.

Tuttavia, resta sullo sfondo, in una condizione di latenza, una certa tensione con il diritto euro-unitario che ha il suo parossismo nella distinta concezione identitaria della solidarietà, ma che recrimina una ricomposizione tra sede interna e consesso europeo affinché l’intervento promozionale del pluralismo sociale espresso dal Terzo settore possa espandersi in maniera piena ed effettiva.

In tale ultimo senso, l’auspicio è che si realizzi una forte integrazione fra intervento pubblico e capacità manifestate dalla società civile organizzata, attraverso moduli di collaborazione innovativi e inediti, non immediatamente riconducibili né alla pubblica amministrazione né ai soggetti di mercato (pur intesi in senso lato).

La rilevanza politico-sociale, la diffusione numerica e territoriale, la complessità delle sfide giuridico-costituzionali, tuttavia, inducono a sviluppare un altro scenario conclusivo che vede, da un lato, il rapporto del Terzo settore con l’impresa for profit, oscillante tra l’esigenza di collaborazione e il rischio di omologazione e, dall’altro lato, soprattutto, il primo come “una delle più rilevanti ed innovative forme di partecipazione dei cittadini alla vita politica ed istituzionale, specialmente a livello locale”, tanto più nell’attuale contesto di grave crisi della rappresentanza partitica.

Si tratta di un rilievo pienamente condivisibile e che, con cautela, apre alla considerazione del Terzo settore come “una delle più efficaci modalità per approdare alla determinazione della politica nazionale in alternativa ai partiti politici (art. 49 Cost.)”.

In questo contesto, i cittadini contribuiscono alla determinazione della politica e reclamano “uno spazio (tendenzialmente) libero di azione nel quale esercitare la loro

autonoma iniziativa proiettata allo svolgimento di una attività di interesse generale”, non tramite un intervento diretto della P.A., bensì mediante un intervento promozionale o un sostegno collaborativo, su un piano di relazione condivisa e non meramente esecutivo.

Non mancano le sfide: se la Riforma del Terzo settore ha inteso forgiare strumenti giuridici innovativi a fronte di un rapporto tra cives e istituzioni che, abbandonato il principio di autorità, sembra annodarsi su di una trama tendenzialmente paritaria e dialogica, il rischio è che la crescente “liquidità” del Terzo settore e degli enti che lo popolano possa, in prospettiva, costituire un problema di tenuta dell’idea stessa di “settore” con confini determinati o determinabili.

Nondimeno, “la valorizzazione dell’amministrazione condivisa, la centralità assunta dagli spazi pubblici da riqualificare, il ricorso agli strumenti di sussidiarietà fiscale e le forme alternative di esercizio di funzioni amministrative da parte di soggetti privati sono la cartina di tornasole di una trasformazione dell’amministrazione, in grado di propagarsi sino a lambire tratti essenziali della forma di stato, disegnando un nuovo scenario di democrazia”: si assiste, insomma, a un fenomeno di mutamento della dislocazione del potere politico, cui, però si accompagna un delicato gioco di equilibri tra il ruolo del Terzo settore e quello dell’amministrazione pubblica.

L’A. invoca il ricorso alla Carta come fattore di equilibrio capace di individuare un punto baricentrico, così da assicurare lo sviluppo del Terzo settore e la trasformazione dell’amministrazione nell’alveo costituzionale, nella consapevolezza però che l’incessante mobilità degli attori sociali pone il baricentro in una condizione di perenne instabilità: “cogliere il senso di questa instabilità, che non è, di per sé, un dato negativo o positivo, attraverso le categorie del diritto costituzionale, è una delle funzioni più importanti, anche per leggere lo stato di salute della nostra democrazia pluralista”.

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Paolo Sanna

Università degli Studi di Firenze

Dottore di Ricerca in Diritto Privato, Università di Pisa. Nel 2000, ha svolto attività di ricerca presso la University of South Carolina, School of Law. Dal 2001 al 2005, è stato Assegnista di Ricerca in materia di responsabilità civile professionale presso il Dipartimento di Dir. Priv. “U. Natoli”, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Pisa. È autore di numerose pubblicazioni in materia privatistica. Ha svolto numerose lezioni nell’ambito di corsi universitari, post lauream e di formazione professionale sia in Italia sia all’estero. È in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale per l’accesso al ruolo di Professore di seconda fascia nel settore concorsuale 12/A1-Diritto Privato. Dal 2021 a oggi, è Assegnista di ricerca in Diritto Privato presso il Dip. di Scienze per l’Economia e l’impresa, Università di Firenze, dove svolge attività di ricerca in materia di enti del Terzo settore. È Avvocato del Foro di Pisa dal 2001. Volontario attivo nel campo del soccorso sanitario e si occupa di formazione all'interno della Federazione delle Misericordie della Toscana.

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