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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura: 
Argomento:  Diritto
data:  16 marzo 2024

Le pecore e le volpi

Gianfranco Marocchi

Un grossolano errore del Consiglio di Stato sul quale da mesi si preferisce glissare. Scritto per stimolare le pecore a non essere più tali e nella vana speranza che la coscienza delle volpi sussulti.


Premessa

Avevo fatto voto di non scriverne mai, della Sentenza 5217/2023 del Consiglio di Stato. Ai tempi del parere 2052 del 2018, il Consiglio di Stato lo avevo attaccato nel modo più accanito; successivamente, avevo invece apprezzato un certo equilibrio – ad esempio nel valutare le linee guida ANAC sui servizi sociali (17/2022) e il Codice dei contratti pubblici. Per cui quando, nel maggio 2023, uscì la sentenza in questione, mi forzai a pensare che la cosa migliore fosse astenersi: vi era in atto un evidente percorso di apertura, che era bene far maturare. 
Oggi, questo voto, apparentemente lo infrango. Ma, a ben vedere, in realtà la sentenza del Consiglio di Stato è solo un’occasione per parlare di altro. Per parlare – quasi nel modo di Esopo - di noi e del nostro Paese.

Il fatto

Il Consiglio di Stato, con la sentenza 5217/2023 interviene su una disgraziata questione, una discutibile coprogettazione di Latina già oggetto delle reprimende del TAR Lazio; e il Consiglio di Stato conferma nella sostanza le censure del TAR. Ma non è qui il caso di entrare più di tanto nel merito della vicenda.
Sta di fatto che il Consiglio di Stato, nell’argomentare le proprie tesi, insieme a diversi contenuti abbastanza ragionevoli, infila – seppure arrotondandola entro giri di parole - una svista grossolana (peraltro già compiuta dal TAR nel primo grado di giudizio). Confonde due istituti diversi, art. 55 e art. 56 del Codice del Terzo settore: l’uno che tratta di coprogrammazione e coprogettazione, l’altro che parla di convenzioni con il volontariato e l'associazionismo, due fattispecie diverse nella natura e nel procedimento, tra loro non interrelate; lascia intendere, travisando, che un procedimento di coprogettazione ex art. 55 si concluda poi con una convenzione ex art. 56. Un errore tecnico abbastanza plateale, soprattutto considerando che (diversamente da chi scrive) i giudici del Consiglio di Stato qualche studio di diritto dovrebbero avere fatto e, con ogni probabilità, lo studente che in un corso universitario di diritto del Terzo settore si rendesse protagonista di uno svarione simile all’esame sarebbe senza dubbio rimandato con onta alla successiva sessione.

Tra l’altro, come si vedrà, un errore tecnico con conseguenze abbastanza fastidiose. 

Ma, come premettevo, non è dell’errore in sé che desidero parlare. Anch’io, che pure ho conseguito la licenza media, potrei per sbaglio e distrazione scrivere in un articolo “la mela e rossa” con la “e” senza accento. Errare è umano, si viene ripresi, ci si scusa, si corregge; e la cosa, generalmente, finisce lì.

Le pecore

Fate una veloce ricerca su internet. Sulla sentenza in questione, invece di rispettosamente far notare la svista, i commentatori – impossibile che non si siano accorti dell’errore – si sono susseguiti nel prendere per buono il ragionamento dei giudici, nel trarre massime dal fondamento manifestamente errato. Nessuno, probabilmente, tra coloro che conoscono personalmente gli estensori della sentenza, ha ritenuto di telefonare loro per avvertirli dell’errore. E, se mai qualcuno li avesse avvertiti, i giudici ben si sono guardati dall’agire per una pronta correzione, benché fosse non decisiva nel modificare comunque l’esito della sentenza che dunque sarebbe potuta essere nella sostanza confermata.

Nulla di tutto ciò è accaduto.

Come nella fiaba di Andersen, tutti a dire dei nuovi vestiti del re: il fatto stesso che il grossolano errore fosse compiuto dalla massima espressione della giustizia amministrativa lo ha ammantato di sacralità. E come i cortigiani e i cittadini della fiaba ignorano la nudità del re per timore di apparire stolti, così lo svarione della Sentenza passa sotto silenzio e chi commenta pudicamente tralascia, glissa, passa oltre: di solito non ripete e non riprende l’errore, ma non lo fa notare, lo aggira, come se nulla fosse.

Che strano paese siamo! Talvolta feroce e contrappositivo, talvolta succube. Questa volta, senza dubbio, succube e pecorone. 

E veniamo al perché ora affronto la questione. Senza addentrarsi in aspetti tecnici che esulano dal tema di questo scritto, mi è accaduto recentemente di confrontarmi con un disorientato funzionario di un ente locale, che avendo diligentemente letto la Sentenza 5217, proprio non riesce a comprendere come concludere una coprogettazione (art. 55) portata avanti con alcune cooperative sociali: giacché, all’atto finale dell’accordarsi, deduce dall’errata sentenza di dover fare riferimento all’art. 56, che tratta di convenzioni con il volontariato e l’associazionismo di promozione sociale; e non certo con cooperative. E si chiede pertanto disperato come uscirne. Provo a rassicurarlo, sperando di utilizzare termini appropriati, dal momento che sto invadendo campi disciplinari altrui: stia tranquillo dottore, la “convenzione” che chiude una coprogettazione è un accordo stipulato ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990, l’art. 56 non c’entra nulla, si riferisce ad altre convenzioni, quindi lei può concludere il procedimento insieme alle cooperative che hanno coprogettato. “Ma il Consiglio di Stato…”, obietta lui preoccupato. A questo punto devo fare appello a tutta la mia impertinenza: sì lo so, dottore, capisco i suoi timori, anch’io dubiterei se qualcuno che non è nemmeno laureato in giurisprudenza venisse a dirmi che il Consiglio di Stato ha sbagliato, ma… è proprio così. Inizialmente è perplesso, comunqe mi ascolta, mi dà credito, ripercorriamo insieme con pazienza la normativa. Legge, ci pensa, ragiona lui stesso e si convince. Bene. Comprende che anche il ragionamento che in quella sede il Consiglio di Stato fa sulle “spese generali” è almeno in parte viziato dallo stesso svarione e agisce di conseguenza. E io capisco che fu errato da parte mia, allora, tacere, perché anche il silenzio associa gregge e comprendo che la scelta di essere pecora può essere ispirata da tanti e diversi nobili motivi; ma rimane sbagliata.

Le volpi

Oltre alle pecore vi sono le volpi. Le pecore, timorose, si intruppano, talvolta perché pavide temono le conseguenze, talvolta perché spaventate dalla propria stessa debole natura e quindi, fuor di metafora, propense a convincersi che se il Consiglio di Stato certe cose le ha dette, non può per definizione avere sbagliato e che i propri dubbi sono quindi frutto di incompetenza e ignoranza.

Le volpi, astute, sfruttano a loro vantaggio ogni situazione. Maliziosamente.

Senza entrare negli aspetti tecnici, ben si sarà intuito che, a prescindere dal caso in giudizio, i fraintendimenti del Consiglio di Stato possono portare taluni fastidiosi problemi a chi è impegnato in una coprogettazione. Bene, pensano le volpi: invece di sposare la causa della verità e evidenziare l’errore affinché sia corretto, lo amplifichiamo per affermare che la coprogettazione non può che portare problemi. Assentono compiacenti alla sentenza, concludono che quindi – "purtroppo", dicono, falsamente avviliti - l’unica strada per gli enti pubblici è quella di appaltare e per il terzo settore di scannarsi nella competizione. Le volpi, che sono scaltre, ben vedono l’altrui errore; e lo cavalcano.

Per concludere

Se io scrivessi “la mela e rossa” con la “e” senza accento, ciò sarebbe evidenziato senz’altro come un errore; ma in un mondo di pecore e volpi, se lo scrivesse il Consiglio di Stato leggeremmo fiumi d’inchiostro secondo cui 1) nell’evoluzione della grammatica questa forma è ammessa ed è (anzi, “e”) alquanto innovativa 2) che, come solo il lettore arguto può comprendere, si intendeva parlare di due soggetti, l’uno denominato “mela” e l’altro denominato “rossa” e quindi effettivamente trattasi di congiunzione e la frase è corretta 3) che la frase potrebbe - forse, anche, a prima vista - apparire non corretta, ma visto chi l’ha scritta non può essere messa in questione e quindi è giusta. E dunque, tra l’altro, sarebbe sbagliato affermare “La mela è rossa” (anzi, a ben vedere, quella mela rossa non è proprio rossa!).

E questo ci fa comprendere, come, ancor più del Consiglio di Stato, il problema siano le pecore e le volpi e tutto il sistema che incoraggia ad assumer l’una o l’altra natura.

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Gianfranco Marocchi

Impresa Sociale

Nel gruppo di direzione di Impresa sociale, è anche vicedirettore di Welforum.it. Cooperatore sociale e ricercatore, si occupa di welfare, impresa sociale, collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore.

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