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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  2
Argomento:  Attualità
tag:  PNRR
data:  06 giugno 2023

PNRR: per realizzarlo compiutamente si riconosca un ruolo più ampio al terzo settore

Carlo Borzaga, Felice Scalvini

Anche se il nostro Paese incontra più di una difficoltà nel gestire le risorse del PNRR, continua a manifestarsi - diversamente da altri paesi europei - una imbarazzante timidezza nel coinvolgere il Terzo settore, anche in ambiti in cui da decenni offre un contributo senza pari.


Il dibattito sui ritardi nella realizzazione degli interventi del PNRR non ha fatto altro che confermare i timori emersi al momento della sua adozione: che una amministrazione pubblica burocratizzata e da oltre vent’anni priva o quasi di capacità programmatorie e di personale dedicato non sarebbe riuscita da sola a mettere a terra molti dei progetti o degli interventi previsti. Diversi studiosi e operatori del terzo settore più volte e in varie sedi avevano fatto presente che per realizzare il Piano andavano coinvolte direttamente e fin dall’inizio tutte le risorse nazionali e in particolare quelle del terzo settore. Come hanno fatto Francia e Spagna che, nei loro Piani, hanno previsto non solo il terzo settore, o l’economia sociale che dir si voglia, come un attore alla pari di tutti gli altri, ma hanno previsto di riservare allo stesso una parte delle risorse, fino ad assegnare, come in Spagna, a una apposita unità la loro gestione. Una proposta di coinvolgimento giustificata da diverse ragioni: perché il terzo settore italiano è dotato o in grado di attivare risorse e professionalità assenti in molte amministrazioni locali soprattutto nel Sud del paese; perché diverse delle Missioni (in particolare ,ma non solo la 5, “coesione e inclusione” e la 6 “salute”) previste dal Piano già lo vedono coinvolto in modo importante; perché buon conoscitore dei problemi, ma anche delle risorse dei territori; perché, come ha riconosciuto la Corte costituzionale, è regolamentato in modo da perseguire l’interesse generale, esattamente come le amministrazioni pubbliche.

Averlo confinato, quasi per dargli un contentino, solo in alcuni ambiti della missione 5 e averne poi quasi sempre sottomesso il suo intervento alle decisioni delle amministrazioni locali può quindi essere oggi considerata una delle cause dei ritardi. L’esempio più importante è quello degli asili nido: ci sono già voluti due bandi per cercare di raggiungere l’obiettivo di spesa e ancora non si sa se i progetti presentati al secondo bando saranno sufficienti. Con progetti arrivati soprattutto, almeno nella prima fase, da città del Nord che già raggiungono l’obiettivo di disporre di un posto ogni tre bambini, con una sottorappresentazione del Sud e delle piccole comunità. Bastava, come in diversi avevamo proposto, partire dalla diffusione in quest’ambito di gestori di terzo settore e dall’esperienza anche progettuale da essi maturata e lasciare partecipare direttamente al bando le realtà che già gestiscono asili nido e scuole dell’infanzia e che potevano o potenziare la loro offerta o proporre, soprattutto nelle comunità più piccole, soluzioni 0-6 a partire dalle strutture già a disposizione. Sarebbero poi stati loro a interloquire e ad accordarsi con le amministrazioni locali interessate. Ma non c’è solo il caso degli asili nido. Anche l’avviso per la presentazione di progetti a favore delle persone vulnerabili ha visto un avanzo di risorse significativo. E restano ancora da avviare le procedure per progetti come l’inserimento lavorativo di persone con difficoltà di accesso al lavoro, il recupero a fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata, le Comunità energetiche già in fase di costituzione anche se manca il decreto attuativo e l’avviso per i contributi previsti dal PNRR, l’assistenza medica territoriale. Solo per ricordarne alcuni.

Adesso che è diventato palese che molte amministrazioni locali da sole non ce la fanno, si è ancora in tempo a cambiare strategia in due direzioni: considerando come valore aggiunto dei progetti presentati dalle amministrazioni locali il coinvolgimento del terzo settore e soprattutto ammettendo dove è possibile che le organizzazioni di terzo settore presentino direttamente i loro progetti, eventualmente chiedendo alle amministrazioni interessate, almeno per il momento, una semplice condivisione. A titolo di esempio: come si pensa a implementare l’obiettivo delle “politiche attive del lavoro e integrazione soggetti svantaggiati”? Finora in Italia questo compito, soprattutto quello dell’integrazione dei soggetti svantaggiati, è stato svolto, oltre che dalla legislazione sul collocamento obbligatorio o mirato, dalle cinque mila cooperative sociali di inserimento lavorativo che inseriscono regolarmente ogni anno più di 30.000 svantaggiati occupando nel complessivamente quasi centomila persone. E facendo risparmiare alla casse pubbliche almeno due mila euro all’anno per inserito. Un loro sostegno diretto ad investimenti finalizzati a potenziarne l’attività in senso sia quantitativo che qualitativo rientrerebbe perfettamente negli obiettivi del PNRR. Magari utilizzando le risorse non spese in altri progetti della stessa missione. E gli esempi potrebbero continuare.

In buona sostanza se si allarga il bacino della domanda è molto probabile che si raggiungano gli obiettivi. Se questo coinvolgimento del terzo settore non fosse previsto nella formulazione del PNRR consegnato all’Europa basta introdurlo ora in fase di revisione. E difficilmente la Commissione dirà di no visto che lei stessa ha preso da poco – con il piano di Azione per l’Economia Sociale - una posizione chiara a favore di queste organizzazioni tra cui rientrano tutte quelle che oggi noi denominiamo Enti di terzo settore.

In un momento in cui la scialuppa di salvataggio, grazie alla quale spendere tutte o quasi le risorse, paiono essere le grandi imprese a controllo pubblico, appare davvero miope non considerare alla stessa stregua e con un insieme di specifici programmi il mondo dell’economia sociale e del terzo settore. Un universo di soggetti che da decenni, sempre sviluppandosi anche nelle fasi di crisi, sta dando grande prova di capacità imprenditoriale diffusa e innovativa e di autentico servizio alla collettività e che, con adeguati strumenti di supporto è sicuramente in grado di “cantierare” rapidamente e per un importo complessivo molto significativo, progetti realmente utili per lo sviluppo del Paese.

Rivista-impresa-sociale-Carlo Borzaga Euricse - Università degli Studi di Trento

Carlo Borzaga

Euricse - Università degli Studi di Trento

Già professore ordinario di Politica economica presso l’Università degli Studi di Trento, dal 2008 al 2022 è stato presidente di Euricse, di cui ora è presidente emerito. È stato tra i fondatori di EMES e di Iris Network, che ha presieduto per dieci anni. I suoi interessi di ricerca spaziano dal mercato del lavoro all’analisi economica delle cooperative, delle organizzazioni non profit e delle imprese sociali, dai sistemi di welfare all’organizzazione dell’offerta di servizi sociali e sanitari.

Rivista-impresa-sociale-Felice Scalvini Impresa Sociale

Felice Scalvini

Impresa Sociale

È direttore responsabile della rivista Impresa Sociale.

Avvocato, entra a 23 anni nel mondo della finanza, che abbandona nel 1981 per dedicarsi al nascente fenomeno della cooperazione sociale, della quale è stato leader nazionale portandola al riconoscimento legislativo e all’infrastrutturazione politica e imprenditoriale. Ha promosso la nascita di Federsolidarietà, Cgm, Cosis, Forum Nazionale del Terzo Settore. Attualmente è presidente di Assifero e di Fondazione Asm.

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