Andrea Tittarelli intervista Luisa De Amicis sulle opportunità offerte dalla programmazione europea 2021 - 2027:1800 miliardi di bilancio per cogliere le grandi sfide che le nostre società devono affrontare. Il Terzo settore è chiamato ad impegnarsi cercando nuove alleanze.
Luisa De Amicis ha conseguito un Master in Economia e Gestione delle Amministrazioni Pubbliche e delle Istituzioni Internazionali presso l'Università Bocconi di Milano (Italia) e ha completato con successo un Master in Sustainability Management presso la 24ORE Business School e corsi executive presso l'INSEAD (Francia) e la CASS Business School (Regno Unito). Ha più di 15 anni di esperienza e un eccellente curriculum di raccolta fondi presso l'Unione Europea, il governo britannico, aziende e fondazioni. I suoi campi di competenza sono i finanziamenti e le politiche dell'UE, l'impact investing, l'imprenditoria sociale e i partenariati intersettoriali, acquisiti attraverso progetti internazionali e attività di advocacy. È stata vice Amministratore delegato di Euclid Network, il network europeo per il terzo settore e le imprese sociali. Per diversi anni è stata anche membro di vari gruppi di esperti della Commissione europea e membro del Consiglio di amministrazione di Mouves, la rete francese di imprenditori sociali e di Bond, il network delle organizzazioni inglesi per la cooperazione internazionale. Nel 2016 è entrata in PlusValue - società dedita alla creazione di nuovi modelli di business all’insegna dell'innovazione e della sostenibilità - dove si occupa delle finanze e di operazioni strategiche. Profonda conoscitrice del sistema “Bruxelles”, è responsabile di diversi progetti finanziati dal settore pubblico e privato e tiene corsi di formazione su finanziamenti e politiche europee.
1) In un contesto continentale caratterizzato da forti identità nazionali - molto spesso contrapposte le une alle altre - qual è stato lo stimolo che ti ha portata a una “visione europea”? Si è trattato di un’esperienza di vita, oppure ha avuto una dimensione intellettuale?
Faccio parte della generazione Erasmus, del fenomeno RyanAir, dei corsi sull’integrazione europea e le prime politiche di coesione. Nei miei studi, ho scelto un corso di Laurea che cita nel titolo le amministrazioni internazionali. La visione dell’Europa unita fa parte degli ideali con cui sono cresciuta. Ho avuto poi la fortuna di riuscire ad applicare la mia “visione” vivendo in 5 paesi europei. In Italia sono nata e cresciuta, in Germania ho fatto l’Erasmus durante l’università, in Austria ho lavorato per le Nazioni Unite e in Belgio per il Consiglio dell’UE, per poi approdare in Gran Bretagna dove ho vissuto per ben 10 anni, parte dei quali lavorando per un network europeo del terzo settore. In quel periodo, ho avuto la fortuna di viaggiare molto per lavoro e poter quindi andare a vedere di persona gran parte dei Paesi Europei. Sono stati anni molto intensi della mia carriera, dove ogni viaggio mi faceva conoscere sì le peculiarità nazionali del paese in cui andavo, ma questo non era altro che uno stimolo continuo ad arricchirsi ed ampliare il mio bagaglio culturale. Conoscere nuove persone, lavorare insieme a dei progetti concreti, vedere il cambiamento realizzato e fare la differenza, sicuramente non per tutti, ma almeno per alcuni. Solo condividendo le stesse esperienze e lavorando insieme giorno dopo giorno si capisce veramente quanto poi alla fine veramente siamo tutti “diversi” ma “uguali” o come dicono in Commissione Europea “united in diversity”.
2) L’Unione Europea rappresenta un cantiere aperto assai originale nella storia delle istituzioni pubbliche; molte le zone di faglia che accendono i paesi membri: vincolo esterno (il limite all’autonomia decisionale locale imposto da circostanze di livello superiore), austerità (politica orientata al rigore degli Stati, fatta di tagli alle spese pubbliche al fine di ridurre il deficit pubblico)… Su tutte, la peculiarità più importante, a mio avviso, prende forma nel sistema di redistribuzione delle risorse basato sui bandi, che scardina il principio dell’azione “incondizionata” dell’ente pubblico ricalibrandola sulla iniziativa/capacità progettuale. Come consideri questo approccio? Quali sono a tuo avviso i pro e i contro?
Non sono mai stata molto convinta che la redistribuzione a pioggia di aiuti da parte dello Stato potesse essere una soluzione efficace. È lo Stato che identifica i bisogni, li quantifica e monetizza, sostituendosi ai suoi cittadini, annichilendone lo spirito di innovazione per la ricerca di soluzioni concrete e creandone dipendenza dai propri sussidi. L’approccio per progetto al contrario, stimola la possibilità di sviluppare ed implementare soluzioni nuove, che abbiano al centro il cittadino e rispondano ai suoi bisogni. Aumenta la cooperazione tra Paesi ed incoraggia la creazione di nuove collaborazioni tra soggetti appartenenti a settori diversi (vedi per esempio il quadruple helix approach, che prevede la partecipazione da parte di tutti i settori: il pubblico, il privato, l’università e il Terzo settore). Certo c’è anche chi dice che le domande sono complesse da compilare, portano tanta burocrazia e che i fondi arrivano sempre in ritardo. Tutto vero, ma per ogni rendimento deve esserci un investimento iniziale, no? Inoltre burocrazia e ritardi nei pagamenti sono tipici, si sa, delle amministrazioni pubbliche. La mia non vuole essere una giustificazione, ma credo faccia parte del gioco. L’altra grossa critica che spesso si sente è che i progetti vengono vinti sempre “dai soliti noti” o magari se si ha “l’amico nei posti giusti...”. Molto spesso però non si considera che i “soliti noti” hanno già sviluppato quelle partnership e quelle competenze necessarie per potersi muovere agilmente tra i finanziamenti e capire per tempo quali siano quelli più adatti a loro. Allo stesso tempo, quante volte è capitato di sentire che questa o quella domanda è stata vinta da sconosciuti nei circoli di Bruxelles! Con ogni progetto valutato da almeno tre valutatori esterni alla Commissione, io credo che il sistema europeo sia più meritocratico di tanti altri.
3) Entriamo nel vivo. Dal contenuto della programmazione legata ai fondi europei 2021-2027, cosa si evince? Il volontariato e l’economia civile rappresentano strumenti strategici in una prospettiva di medio/lungo periodo?
La nuova programmazione UE per il periodo 2021-2027 offrirà nuove opportunità alle organizzazioni della società civile di tutta Europa. Non coglierle, sarebbe un’occasione persa per il settore e per la stessa Europa. La concorrenza è forte, ma con circa 1.800 miliardi di euro di bilancio dell’UE, il gioco non è mai stato così interessante. Tanti passi in avanti sono stati fatti per tematiche rilevanti per l’economia civile. Per esempio, il 30% del budget sarà speso per combattere il cambiamento climatico con un focus sulla protezione della biodiversità e al mainstreaming di genere; verranno rafforzati i programmi chiave, tra cui Erasmus+, EU4Health e Horizon Europe per complessivi 15 miliardi di euro e viene ribadita la volontà europea di mantenere la leadership europea a livello globale negli obiettivi di sviluppo sostenibile. Allo stesso tempo però non sono mancate delle critiche e per esempio l’aumento del budget dedicato al cambiamento climatico è stato giudicato da alcuni come veramente poco ambizioso, nonostante sia stato aumentato di oltre il 20% rispetto al periodo precedente, e ci si chiede se sia stato giusto il taglio al budget delle politiche di coesione del 10%, soprattutto considerando il periodo di grande difficoltà e sperequazione sociale. Vedremo chi avrà ragione, intanto il grande treno dei fondi europei per il 2021/2027 è partito e non bisogna farselo scappare.
4) Specifichiamo un po'. Isolando due categorie nella grande famiglia del terzo settore, associazioni e imprese sociali, quali sono le linee dei fondi diretti e indiretti percorribili da queste?
Io mi occupo soprattutto di fondi diretti, ossia elargiti direttamente da Bruxelles. In questa categoria le opportunità sono veramente tante, anche se non emerge una vera e propria distinzione all’interno del terzo settore tra associazioni e imprese sociali. In primis, Horizon Europe, il principale programma di ricerca e innovazione, che in questo settennio avrà 95.5 miliardi Euro di budget, il più grande mai avuto finora. In questo programma il ruolo delle associazioni è fondamentale, a dispetto di ciò che ci si potrebbe aspettare, soprattutto all’interno del secondo pilastro, quello su Global Challenges and European Industrial Competitiveness. Uno degli obiettivi di Horizon Europe è proprio quello di stimolare ricerca ed innovazione, rafforzando la collaborazione tra accademia e società civile. Le associazioni con i loro membri rappresentano una fonte inesauribile di conoscenza maturata sul campo delle loro aree di riferimento, e possono aiutare i ricercatori e le università a sviluppare nuove metodologie, prodotti o servizi innovativi per risolvere alcuni bisogni o criticità evidenziate dalle associazioni stesse, e che possono subito trovare un’applicazione pratica. Insomma, una collaborazione win-win. Ci sono poi tanti altri programmi come Erasmus+, il cui budget è arrivato a 26 miliardi, diventando quasi il doppio rispetto al settennio precedente. Con questo programma le organizzazioni della società civile possono accedere direttamente a Key Action 2 “ Cooperation among organisations and institutions“ per ridurre il gap delle competenze in Europa o Key action 3 “Support to policy development and cooperation”. Guardando a programmi più specifici, c'è Creative Europe che mira a promuovere la competitività e l’innovazione dell’industria dei media e audiovisivi in cui tante organizzazioni della società civile sono attive, Citizens, Equality, Rights and Values programme (CERV) per proteggere e promuovere i diritti e i valori dell'Unione, sostenendo e sviluppando ulteriormente società aperte, basate sui diritti, democratiche, eque e inclusive; Asylum, Migration and Integration Fund (AMIF) che rafforzerà una politica comune in materia di asilo, sosterrà la migrazione legale, compreso il miglioramento delle possibilità di integrazione dei migranti, e contribuirà a contrastare la migrazione irregolare. Insomma ci sono veramente opportunità per tutti, non resta che iniziare a lavorare!
5) Alcuni esempi possono risultare utili. Presenta una buona prassi concretizzata nel recente passato.
Di buone prassi ce ne sono tante ma una “storica” e ancora attuale è quella legata al programma Erasmus per giovani imprenditori. Lo prendo come esempio proprio perché credo sia un programma genuinamente valido, volto a rafforzare ed incrementare collaborazioni tra Paesi e settori, ma anche e soprattutto a consolidare ed irrobustire proprio quelle conoscenze e competenze che alle volte mancano al terzo settore. Nonostante il nome, Erasmus per giovani imprenditori è un programma aperto a persone di tutte le età in cui il terzo settore e gli imprenditori sociali sono proprio uno dei target specifici del programma. Il programma ha l’obiettivo di aiutare gli aspiranti imprenditori sociali europei ad acquisire le competenze necessarie per avviare e/o gestire con successo una piccola impresa sociale in Europa. I nuovi imprenditori apprendono e scambiano conoscenze e idee di business con imprenditori già affermati, dai quali vengono ospitati e con i quali collaborano per un periodo da 1 a 6 mesi. Praticamente un programma di mentorship istituzionalizzato in cui la Commissione mette a disposizione risorse finanziarie e contatti per aiutare gli imprenditori a trovare il giusto match. Il programma, nato più di 10 anni fa è uno dei pochi programmi europei che negli anni non solo ha visto aumentare il suo budget ma ha anche visto un’estensione del programma a nuovi paesi, avviando pilots anche fuori Europa. Risultato? Più di 10 mila scambi effettuati e 45 Paesi coinvolti. Per me è proprio cosi che si rafforza la nostra Europa: lavorare insieme, fianco a fianco, conoscendosi e imparando nuove competenze. Come diceva un vecchio proverbio: “Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina insieme.”
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