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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  5 minuti
Argomento:  Interviste
data:  06 luglio 2021

Realacci: l'impresa sociale, contemporaneità a misura d'uomo

Andrea Tittarelli

L'impresa sociale, dice Realacci intervistato da Tittarelli, è un elemento costitutivo di una contemporaneità a misura d'uomo, di un'Italia che può essere più forte assieme a una nuova Europa e può aiutare il mondo a progredire proprio perché garante dell'animo umano in armonia con il creato.


Dopo l’intervista a Padre Enzo Fortunato Andrea Tittarelli ci propone una nuova intervista, alla ricerca di testimonianze inedite di persone che, prendendosi cura del bene comune, incrociano i percorsi delle imprese sociali.


Siamo alla seconda puntata e questa volta è con noi Ermete Realacci; ambientalista e politico italiano, Presidente onorario di Legambiente, Presidente della Fondazione Symbola, portavoce con Padre Enzo Fortunato del Manifesto di Assisi. Figlio di insegnanti, cresce a San Giovanni Incarico, un piccolo comune del Lazio, per poi trasferirsi a Formia dove partecipa, nei primi anni settanta, al Movimento di Animazione Cristiana e consegue la maturità classica. Lavora ed emerge come figura fortemente carismatica in Legambiente, di cui ricopre la presidenza dal 1987 al 2003, facendone l'associazione ambientalista italiana più diffusa e radicata sul territorio. Alle elezioni del 2001 viene eletto deputato dell’Ulivo; si apre così la carriera politica che lo porterà alla presidenza della Commissione “Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici” della Camera dei Deputati. Primo firmatario tra l’altro della legge sugli ecoreati e di quella sulla valorizzazione dei piccoli comuni. Convinto sostenitore della necessità di rafforzare il rapporto tra società, istituzioni ed economica è tra i fondatori del Kyoto club, unione di varie istituzioni e imprese impegnate per la riduzione dei gas-serra. Con lo scopo di promuovere la soft-economy e di creare una rete di realtà che rappresentino la qualità italiana, fonda Symbola - la Fondazione per le qualità italiane promotrice - insieme al Sacro Convento - del “Manifesto di Assisi” per un’economia a misura d’uomo contro la pandemia e la crisi climatica. Pronti via.

Ermete, cos’è che l’ha sensibilizzata all’ambientalismo? C’è un accadimento particolare che ha dato il la alla sua storia di attivista in questo campo?

La mia attenzione all’ambiente è nata da tante cose. Non so dire se ci sia stato un elemento prevalente. Ero un ragazzo che viveva in un piccolo paese, mio padre era un insegnante, ma aveva una grande passione per la terra, per l’agricoltura e per la natura, ed io mi sono nutrito di questo per poi, successivamente, incrociare i grandi temi. È stata determinante, quando ero all'Università, la vicenda del nucleare; studiavo fisica e lo scontro che ci fu sulla costruzione di centrali nucleari mi avvicinò all'ambientalismo e all'idea che questo si dovesse collegare a una grande attenzione per le comunità e le persone. Piero Angela, in un messaggio ai maturandi di quest’anno, ha detto una frase che condivido totalmente... “che ce ne facciamo di ragazzi che prendono otto, nove, dieci, ma non sanno difendere i più deboli?”; l'ho sempre pensata così e il mio ambientalismo si incrocia con questa sensibilità.

Negli anni ‘70, i tempi delle sue prime imprese quale era la sensibilità delle istituzioni rispetto al tema ambientale?

Negli anni settanta l'attenzione ai temi ambientali era molto più ridotta e alcuni effetti, alcuni inquinamenti, venivano considerati “normali”. Ricordo, sembra impossibile oggi, che negli allegati tecnici del piano regolatore di Venezia del 1962 - sono gli anni in cui nasce porto Marghera e nasce anche l’ITALSIDER di Taranto, poi diventata ILVA, la più grande acciaieria d'Europa – c’era scritto:“Nella zona industriale troveranno posto prevalentemente quegli impianti che diffondono nell’aria fumo, polvere o esalazioni dannose alla vita umana, che scaricano nell’acqua sostanze velenose, che producono vibrazioni e rumori”. Si è continuato così, per arrivare a culminare in quello che forse in Italia rappresenta l’episodio simbolico di rottura dello status quo, ovvero il disastro dell’ICMESA di Seveso, nel 1976. Ancora oggi si chiama “direttiva Seveso” la direttiva europea che affronta i gli impianti a grande rischio - credo sia stato un punto di passaggio. Nel frattempo, a livello internazionale, l'attenzione era cresciuta: nel 1972 si tenne a Stoccolma la prima conferenza dell'ONU, ma gli strumenti erano ancora molto deboli.

Quali sono a suo parere le motivazioni per cui responsabilità ambientale e sociale hanno rappresentato, con rare eccezioni, delle vere e proprie rimozioni nella cultura imprenditoriale dalle rivoluzioni industriali a giorni molto recenti?

In Italia, come altrove, ci sono anche radici diverse. C'è, nel nostro Paese, una cultura antica, sottotraccia, spesso sottovalutata, che porta a un rapporto fra imprese, economia, società e comunità, più intenso; come ha detto benissimo Stefano Zamagni, in occasione della presentazione del Manifesto di Assisi al Sacro Convento di San Francesco, se si apre una prospettiva di un’economia a misura d'uomo, l'Italia ha molto da dire, perché fin dal medioevo, fin dalle tradizioni anche francescane, di tanti pensatori, di tante imprese, c'è una componente della nostra economia che si è incrociata con la società e le comunità ed ha puntato sulla bellezza; diceva Cipolla che la missione dell'Italia è produrre all'ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo... Questa cultura e questa pratica sono state spesso sottovalutate, in quanto il pensiero mainstream - la cultura delle agenzie di rating - era legata al fatto che alcune dimensioni, come la sostenibilità e l’inclusività, venissero dopo; prima bisognava avere crescita e profitto e dopo si potevano magari porre questioni legate alla coesione e al benessere della società. Il nostro compito oggi è far capire che è esattamente il contrario. Sono certo che l’Italia e l’Europa posso aiutare questa “conversione”.

Il frutto del lavoro della politica e del mercato occidentali postmoderni è un sistema in cui l’universalità dei diritti fondamentali sembra arretrare e gli equilibri naturali minacciano cambiamenti pericolosi; il genere umano sembra proprio destinato all’insostenibilità...

Le situazioni peggiori sono in realtà fuori dall’occidente e colpiscono i paesi e le persone più deboli. È in corso anche se abbiamo uno scontro fortissimo tra chi pensa a un’economia senz'anima e a un mercato senza regole – per dirla con il pensiero di Einaudi “impassibile strumento economico, il quale ignora la giustizia, la morale, la carità, tutti i valori umani” - e chi, invece, vede il mercato come uno strumento da condizionare al bene comune. Da questo ultimo punto di vista, sia la crisi climatica che la pandemia ci aiutano a guardare il mondo con altri occhi. È la posizione assunta dall’Europa. Alcuni anni fa un’azione come quella del Recovery Fund sarebbe stata impensabile: un grande moto di solidarietà tra Paesi che ha al centro tre grandi questioni: coesione, inclusione, sanità; transizione verde; digitale. Ricordo quando il Papa andò a Strasburgo nel 2014 e pronunciò un discorso durissimo descrivendo un’Europa vecchia e stanca e paragonandola a una nonna non più fertile e vivace. Molto è cambiato; abbiamo avuto gli accordi di Parigi nel 2015, favoriti anche dalla Laudato Sì, e l’Europa, dopo lo shock della Brexit ha iniziato a invertire la rotta a partire dalla crisi climatica. Con la pandemia questo cambiamento ha preso maggior forza anche per indicare la direzione di una nuova economia. Il Manifesto di Assisi, scritto prima del dilagare del Covid 19, era stato profetico; nella prima frase del documento si legge infatti “affrontare con coraggio la pandemia e la crisi climatica non è solo necessario, ma rappresenta una straordinaria occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d'uomo e per questo più capaci di futuro”. Una partita oggi finalmente aperta.

Uno degli eventi più recenti di Symbola è la presentazione in collaborazione con Unioncamere di “Coesione è competizione” un rapporto biennale elaborato in partnership con Consorzio Aaster e Aiccon. Di cosa si tratta e cosa dimostra?

Il rapporto “Coesione è competizione” può essere considerato figlio dell’humus culturale che percepisco alla base delle domande poste. In Symbola cerchiamo sempre di guardare la realtà con occhi diversi e questo vale per il lavoro che facciamo sulla green economy con Green Italy, sull’economia della cultura e nelle tante analisi che portiamo avanti sulla società e sull’economia italiana. Ebbene, da questo panorama, emerge un elemento, da molti per troppo tempo ignorato: essere buoni conviene. Per dirla con le parole finali del Manifesto di Assisi e con i richiami di Fratelli Tutti, essere gentili conviene. Per il Rapporto Coesione è Competizione una parte importante delle imprese italiane (il 37%), quelle più impegnate in dinamiche comunitarie multistakeholder - come rapporti migliori con i lavoratori, con le comunità e con i territori, vanno meglio economicamente: esportano di più, innovano di più, producono più posti di lavoro. Sono più attente al green e alla cultura. Per il Manifesto di Assisi: “non c'è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c'è in Italia” ... partiamo dai punti di forza del nostro paese, nell'economia, nella società, nella cultura e nelle istituzioni, per affrontare i nostri mali antichi.

Economia civile e sostenibilità ambientale, vede dei nessi e delle buone prassi possibili? Ci offra qualche buon esempio e alcune ipotesi.

Qualcuno potrebbe pensare che l'impresa sociale e il terzo settore siano dei fattori che arrivano dopo le scelte di fondo e invece non solo sono fondamentali, anche nella sfida ambientale, nessuno deve essere lasciato indietro e nessuno deve essere lasciato solo. Rappresentano un prerequisito, quasi una scintilla di innovazione sociale, ovvero portano nel loro DNA societario dei valori civici/istituzionali fondanti. Sono molto fiero di essere riuscito a fare approvare una legge sulla valorizzazione dei piccoli comuni che da molti erano considerati un piccolo mondo antico da guardare con occhio languido mentre scomparivano. Rappresentano, invece, uno dei punti di forza del nostro paese e nella tenuta dei piccoli comuni quanto contano le cooperative di comunità? Quanto conta il fatto che l'identità delle comunità venga tenuta in vita anche da un'azione che non è connessa solo al valore economico, o meglio che crea valore economico anche attraverso il valore sociale? L'impresa sociale, dunque, se la vediamo in questa ottica, è un elemento costitutivo di una contemporaneità a misura d'uomo, di un'Italia che fa l'Italia e che può essere più forte assieme a una nuova Europa e può aiutare il mondo a progredire proprio a partire da un nuovo umanesimo che però rafforzi un’economia che può affrontare le sfide che abbiamo davanti.

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Andrea Tittarelli

Università di Perugia

Imprenditore sociale con l'incarico di Presidente presso la cooperativa "La Semente" e manager del nonprofit nel ruolo di Direttore Generale in seno alla Federazione di Angsa (Associazione Nazionale Genitori di Soggetti Autistici). Insegna "Impresa sociale e service design" presso il Dipartimento di Scienza Politiche dell'Università degli Studi di Perugia.

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