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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  10 minuti
Argomento:  Sociologia
data:  06 settembre 2023

Ritorno alla terra e web society: una dimensione digitale del neo-ruralismo

Alessandro Fabbri

Fuggire dalla città, riscoprire la campagna, alla ricerca di uno stile di vita diverso. Un "ritorno al passato" che contiene perl molti elementi di futuro, spesso, in una originale commistione tra rurale e digitale. E questo interessa non solo persone e famiglie, ma anche imprese sociali, come evidenzia il fenomeno delle cooperative di comunità nelle aree interne.


Da vari decenni, in Italia così come in tutta l’Europa Occidentale e in Nord America, si è sviluppata progressivamente una tendenza, un fenomeno sociale che coinvolge sia individui e famiglie, sia gruppi sociali più o meno ampi. Tale tendenza si potrebbe definire “fuga dalla città”, “ritorno alla terra” o “riscoperta della campagna”, perché è fondata su una sorta di “minimo comun denominatore” costituito dall’allontanamento dalla dimensione urbana e dall’insediamento in una località situata in campagna, in collina o in alta montagna. “Neo/nuovo ruralismo” è invece la denominazione scientifica coniata un decennio fa da alcuni studiosi, i quali hanno dedicato al fenomeno un volume miscellaneo [Resina e Viestenzeds, 2012]. Nel capitolo che prende in considerazione l’Europa l’autore, il geografo catalano Joan Nogué, osserva che il termine può avere vari significati, prediligendo quello di «the back-to-the-land phenomenon that took place in Europe and North America in the 1960s and 1970s, led by young urban people seeking an alternative way of life in rural areas» [Nogué, 2012, p. 28]. A suo giudizio, tale fenomeno è continuato e continua tuttora ai giorni nostri, ma naturalmente nel XXI secolo, ossia in un contesto sociale ed economico radicalmente diverso da cinquant’anni fa, anche il neo-ruralismo è diventato più ampio e diversificato.

A mio giudizio questa diversificazione potrebbe comprendere il fatto che il neo-ruralismo ha ormai impattato con la digitalizzazione della società attuale, da molti studiosi definita web society [Cipolla, 2015], e di conseguenza si è digitalizzato a sua volta. Ritengo infatti che una variante molto recente e particolare del fenomeno consista in una persona o una famiglia che decide di insediarsi in maniera più o meno stabile in una casa abbandonata; può trattarsi di italiani o stranieri, ed il loro trasferimento può essere definitivo o temporaneo. In ogni caso, queste persone scelgono volontariamente di dare al loro trasferimento ed insediamento una forte copertura mediatica, utilizzando uno o più canali digitali. Essi infatti, spesso con l’aiuto di équipe di lavoro specializzate (dotate di videocamere, droni ed altra attrezzatura), documentano minuziosamente le varie fasi della loro nuova prospettiva di vita, dai lavori di ristrutturazione della casa acquistata all’esplorazione del territorio circostante, fino alle attività necessarie alla sussistenza, come ad esempio la preparazione di un orto (a volte anche un allevamento), l’approntamento di riserve idriche e l’implementazione di apparati di produzione di energia pulita (generalmente solare).

Un caso a mio avviso tipico è quello di Martijn Doolard, un olandese che si presenta come «a photographer, filmmaker and travel writer from the Netherlands. He finished two long distance bicycle journeys from Amsterdam to Singapore and Vancouver to Patagonia. Currently he is renovating and living in a remote stone cabin in the Italian Alps»[1]. Più precisamente, Doolard ha iniziato la sua avventura nell’ottobre del 2021[2] acquistando una piccola proprietà con due edifici in Val Pellice, nel Torinese, e da allora ha realizzato, ad intervalli più o meno regolari, ben 80 filmati, documentando il suo progressivo insediamento in quella terra. L’aspetto sociale di tale avventura è duplice: da un lato Doolard ha sviluppato relazioni sociali di tipo tradizionale, face to face, con gli abitanti del posto, incontrandoli, discorrendo con loro, chiedendo consigli, comprando o affittando merci e attrezzi e commissionando lavori che non può svolgere da solo; per un altro verso è riuscito invece a diventare un fenomeno mediatico, con ben 575.000 iscritti solo su Youtube, ove il suo ultimo video ha avuto, al momento, 206.076 visualizzazioni, 18.134 like e 1.491 commenti[3]. È chiaro che questa scelta di vita, oltre al suo alone romantico e “controcorrente”, è anche e soprattutto frutto di una lucida e razionale (e legittima) strategia imprenditoriale, che ha comportato un cospicuo investimento in denaro, tempo e lavoro progressivamente ripagato, ad esempio tramite la raccolta di donazioni su Paypal[4] e Patreon[5].

Ciò che tuttavia occorre sottolineare è che tale iniziativa ha avuto ed ha tuttora ricadute economiche e sociali sul territorio e sulla comunità interessati: infatti, per un verso, le spese di Doolard immettono denaro “fresco” in circolo nell’economia locale, e per un altro verso la sua presenza ed il suo interagire con la popolazione pongono quest’ultima in condizione di confrontarsi con una persona cosmopolita, portatrice di una cultura diversa (anche se non radicalmente), che si esprime in inglese e che ha al suo attivo esperienze di viaggi in altri continenti, mentre Doolard stesso è progressivamente entrato in confidenza con queste persone e con la loro cultura. Se, come sembra dai video, queste relazioni sono caratterizzate dal rispetto reciproco e da una crescente fiducia e propensione alla collaborazione, si potrebbe dunque ipotizzare che Doolard stia costruendo un vero e proprio capitale sociale “spendibile” in questo suo nuovo contesto di vita, e che viceversa lui stesso sia entrato a far parte del capitale sociale della “sua” nuova comunità (ciò tuttavia andrebbe appurato con un vero studio empirico). In aggiunta, la copertura mediatica dell’insediamento di Doolard ha certamente diffuso la conoscenza dell’esistenza di questa località tra il pubblico dei social media, e potrebbe averne incrementato le potenzialità turistiche: si tratta solo di una mia ipotesi, ma è un dato di fatto che in questi due anni, di tanto in tanto, Doolard è stato raggiunto da visitatori sia italiani sia stranieri, uomini e donne, che lo aiutano nei suoi lavori in cambio di ospitalità, e che a loro volta interagiscono con la popolazione locale. Utilizzando una terminologia specifica della sociologia della comunicazione si può quindi asserire che Doolard, sfruttando le potenzialità dei social media, si è reso mediatore fra il mondo online (in cui ha i suoi follower a livello mondiale) e quello offline (la piccola comunità in cui si è inserito), ed ha realizzato tra essi una «completa fusione comunicativa» o “com-fusione” [Strizzolo, 2011, p. 68], vicina al concetto di “coalescenza” poi introdotto anche nella sociologia dei media [Boccia Artieri et al., 2018; Strizzolo, Pocecco, Melchior, 2019].

Altri casi degni di nota, e per i quali possono valere le stesse considerazioni, riguardano invece coppie o famiglie, sia italiane sia straniere: si possono citare ad esempio Maddalena e Vincent, «a italian/french couple of architects who love DIY and eco-friendly constructions. We're currently renovating an abandoned stone house in Italy with natural materials as stones, lime and hemp. With this channel, we hope to bring you every step along this adventure as we turn this building from ruin to home»[6]. I due hanno iniziato la loro avventura quasi contemporaneamente a Doolard, nell’entroterra Imperiese[7]: al momento hanno realizzato 59 video, pubblicati su Youtube con il nome “ateliermavi”, hanno 64.500 iscritti e, particolare non trascurabile, anch’essi raccolgono offerte su Paypal[8]. C’è infine il caso di un’intera famiglia americana, i “raising voyagers”: Heather, Bradey e le loro figlie Alexa e Chloe, titolari di un sito internet, nel quale si definiscono «A Family of Travel Journalist» e dichiarano che «our mission is to show our girls the world. This world is a beautiful creation that deserves to be explored»[9]. Anch’essi si sono stabiliti in una località alpina la scorsa estate[10], e da allora hanno pubblicato su Youtube circa 50 video dedicati esclusivamente a questa avventura italiana, totalizzando ben 248.000 iscritti, oltre ad essere presenti anche su Facebook ed Instagram. Naturalmente sul loro sito hanno una pagina denominata “support us”, ed inoltre raccolgono a loro volta donazioni su Patreon[11].

Questi e molti altri esempi dimostrano a mio avviso la concretezza della “variante digitale” del neo-ruralismo del XXI secolo, nonché delle sue ricadute economiche e sociali. Dal punto di vista scientifico sarebbe senz’altro interessante sviluppare studi sociologici che permettano di definirne esattamente la consistenza, il consenso di cui gode presso l’opinione pubblica, gli eventuali tentativi di emulazione che ha ispirato, ed anche se la pandemia di Covid-19, con i suoi numerosi lockdown, può aver contribuito ad accrescere l’interesse per queste scelte di vita così diverse da quelle convenzionali: io stesso ho scoperto Doolard durante una quarantena per Covid nell’inverno del 2021.

Ben più rilevanti e “seri” dal punto di vista sociale, economico e, di conseguenza, scientifico sono invece i tentativi di insediamento in realtà rurali da parte di gruppi più o meno organizzati, che hanno in comune con queste iniziative individuali o famigliari il “minimo comun denominatore” sopra menzionato, ma che si caratterizzano per una lunga e consolidata tradizione, pienamente inserita nel mondo dell’economia sociale e concretizzatasi principalmente nell’istituzione dell’impresa di comunità, e in particolare nella sua fattispecie della cooperativa di comunità. Infatti, come ha dichiarato Giovanni Teneggi, le cooperative di comunità «Sono anzitutto cooperative, quindi aggregazioni economiche e imprenditoriali tra persone fisiche e giuridiche, che insistono su territori fragili e impoveriti, e a rischio di vivibilità, a causa di una serie di fragilità socio-economiche. Questi soggetti, su questi territori, progettano azioni di ripristino della loro abitabilità, e le traducono ove possibile in sviluppo e opportunità di crescita»[12]. A giudizio di Teneggi, il carattere comunitario alle origini si identificava con il cooperativismo tout court, poi nei decenni si è progressivamente affievolito per dinamiche economiche e politiche, salvo alcune eccezioni, ma «torna a essere fenomeno generale di innovazione negli ultimi vent’anni»[13]. Naturalmente la dimensione rurale non è una componente obbligatoria della cooperazione di comunità: Teneggi stesso menziona un caso rilevante in un ambiente urbano («La Paranza, nel quartiere Sanità, a Napoli»), ed anche la legislazione di alcune Regioni contempla la possibilità di sviluppare tali imprese sociali in aree urbane [Sforzi e Borzaga, 2019, p. 21], ma rimane il fatto che le cooperative di comunità sono maggiormente incoraggiate e diffuse nelle aree montane e, più in generale, rurali. Si tratta senz’altro di una forma di impresa sociale potenzialmente foriera di grandi vantaggi per l’economia e, in prospettiva, per il livello di welfare delle comunità nelle quali attecchisce (le attività e gli eventuali profitti possono integrare i servizi scolastici, assistenziali e sanitari locali), ma prima ancora la sua utilità sociale risiede nella capacità di rinsaldare la coesione delle comunità stesse, che rischia di disgregarsi. Teneggi lo sottolinea molto bene rammentando il primo caso di cui ha memoria:

La mia prima cooperativa di comunità, la prima che riconosco, è Monticchiello, in provincia di Siena, che era paese totalmente rurale e che dagli anni ’60 vedeva progressivamente schiacciato il reddito del bracciantato rurale e obbligava alla fuga. Il paese stava così morendo per spopolamento. In questo contesto nasce una cooperativa. In questo contesto nasce un movimento di resistenza degli abitanti, prima associativo poi cooperativo. Questa storia ci insegna il primo ingrediente: l’innesco culturale. La prima attività, infatti, è culturale: nel 1967 si costituisce il teatro povero di Monticchiello. In relazione a questo reinnesco, si riapre un dialogo sul futuro, e nel 1980 nasce la cooperativa di Comunità. Ci consegna questo elemento irrinunciabile. La parola e la conversazione sono la prima infrastruttura[14].

Tuttavia non esistono solo casi di successo, ed anzi è bene non dimenticare mai che il tentativo di fondare una cooperativa di comunità può naufragare per molte cause, fra le quali una non secondaria è proprio l’assenza di un livello minimo di coesione, di fiducia reciproca e, in sintesi, di capitale sociale tra i promotori, tra la comunità di riferimento e/o tra gli uni e gli altri. Recentemente un dettagliato articolo dei sociologi Fabio Berti e Alexandra D’Angelo ha infatti messo in luce il caso fallimentare della creazione di una cooperativa di comunità presso Gerfalco, nel Grossetano, individuando tra le cause la mancanza di compattezza del gruppo promotore, peraltro estraneo al paese, la sfiducia di molti paesani verso l’iniziativa e le storiche divisioni esistenti fra i paesani stessi. Da ciò deriva la valutazione finale dei due studiosi:

The Gerfalco case showed that the problems of inner areas do not only lie in the processes of depopulation, lack of services, and distance from urban centres, but also in the crisis of social capital, which has produced and continues to produce a fraying of the fabric of relations, mistrust, and disenchantment. As has already emerged from other research […], inner areas do not always represent true ‘local communities’, and for this reason, it would seem appropriate to work not only on the provision of ‘tools’ (such as, for example, community cooperatives) but also on the re-weaving of social ties [Berti e D’Angelo, 2022, p. 146].

Queste considerazioni si connettono armonicamente con quanto rilevato da Sforzi e Borzaga nel 2019 sui processi generativi delle imprese di comunità, anche alla luce degli studi empirici condotti fino a quel momento:

queste difficilmente nascono grazie al coinvolgimento immediato della maggioranza o di un numero elevato di membri di una comunità (anche in contesti di piccolissime dimensioni caratterizzate da 60/80 abitanti). Esse solitamente sorgono grazie ad un gruppo promotore, una «massa critica» […] in genere di piccole dimensioni, che sceglie di farsi carico del progetto e, soprattutto, del rischio imprenditoriale che comporta avviare un’impresa. Solo in un secondo momento, grazie ad un modello di governance inclusivo e alla capacità e al lavoro realizzato dal gruppo promotore all’interno della comunità, quest’ultima inizia a condividere l’idea iniziale, a partecipare a vario titolo alle attività dell’impresa e a contribuire al progetto di sviluppo locale. Un processo che richiede, però, tempo e che leggi come quella pugliese [del 2014 sulle cooperative di comunità] non contribuiscono né a promuovere né a sostenere [Sforzi e Borzaga, 2019, p. 22].

Alla luce di queste attente riflessioni di studiosi di vaglia è possibile trarre alcune conclusioni: chiunque voglia incoraggiare il neo-ruralismo nelle sue varie sfaccettature deve prendere in considerazione la componente fondamentale delle relazioni sociali, sia fra i soggetti che vogliono cimentarsi in un’iniziativa del genere, sia fra le comunità nelle quali intendono avviarla, che ne facciano parte o (soprattutto) no. Questo vale per le istituzioni pubbliche, che possono modificare la legislazione nazionale e regionale nelle direzioni indicate da Sforzi e Borzaga, ma anche per il mondo dell’economia sociale, in primis le centrali cooperative, che possono ampliare le forme di assistenza garantite ai promotori delle cooperative di comunità aiutandoli a mantenere salda la loro coesione interna ed a creare (o a rafforzare se già esistenti) legami di fiducia e collaborazione con la comunità di riferimento. Si potrebbe inoltre prendere spunto dalle iniziative individuali e famigliari sopra menzionate per sviluppare anche una copertura mediatica di tali imprese cooperativistiche: documentare sui social media i progressi quotidiani, le innovazioni, i lavori di ristrutturazione e l’avvio o il riavvio di attività produttive, nonché la cura per l’ambiente potrebbe dimostrare la trasparenza e la buona volontà dei promotori di questi esperimenti, procurando loro un consenso da parte della comunità, una fiducia nel loro esperimento che, come osservato, sarebbe una componente essenziale per il successo. Inoltre ciò permetterebbe di pubblicizzare l’esistenza di tali cooperative di comunità su scala più ampia, con la prospettiva di catalizzare donazioni, offerte di lavoro volontario (anch’esso molto utile secondo Sforzi e Borzaga) e potenziali clienti per i beni prodotti. In sintesi, forse sarebbe opportuno pensare di formare social media manager specificamente preparati a fornire assistenza allo sviluppo delle cooperative di comunità, anche prendendo spunto da realtà già portatrici di una competenza specifica, come ad esempio il team di “Italia che Cambia”[15].

D’altro canto, coloro che intraprendono l’iniziativa di un trasferimento in contesti rurali come singoli individui o come nuclei famigliari (eventualmente influenzati dai suddetti personaggi) potrebbero essere assistiti sia dal punto di vista tecnico (per i lavori di ristrutturazione e quelli agricoli), sia dal punto di vista dell’integrazione sociale, ossia nel disbrigo delle pratiche burocratiche, nel collegamento con i servizi scolastici, sociali e sanitari, e più in generale nella presa di contatto con la comunità locale, imparando a conoscerne la mentalità, la storia e le tradizioni. A questo scopo si potrebbero istituire associazioni o piccole imprese sociali, situate in paesi rurali e piccoli borghi a rischio di spopolamento, che possano fungere da intermediarie fra la comunità e gli eventuali “neo-ruralisti” interessati a trasferirsi, in sinergia con le istituzioni pubbliche, le agenzie immobiliari e le Pro Loco. Infatti, se questa tendenza proseguirà o addirittura aumenterà, spinta da vari fattori quali i prezzi degli immobili nelle città o l’aumento delle temperature, o la maggiore possibilità di smart working da remoto, creare imprese sociali che la facilitino e la canalizzino potrebbe rivelarsi un investimento molto vantaggioso, per riequilibrare la densità abitativa del nostro Paese e dare nuova linfa vitale ad aree ricche di opportunità e di bellezza.

 

Riferimenti bibliografici

Berti F., D’Angelo A. (2022), Relaunch of Italy’s inner areas and community cooperatives. The – failed – case of Gerfalco, «The Journal of Rural and Community Development», 17(2), 128–150.

Boccia Artieri G., Gemini L., Pasquali F., Carlo S., Farci M., Pedroni M. (2018), Fenomenologia dei social network. Presenza, relazioni e consumi mediali degli italiani online, goWare e Guerini scientifica, Milano.

Cipolla C. (2015), Dalla relazione alla connessione nella web society, FrancoAngeli, Milano.

Nogué J. (2012), “Neo ruralism in the European context. Origins and Evolution”, in Resina J.R., Viestenzeds W.R. (eds.) (2012), The New Ruralism. An Epistemology of Transformed Space, Iberoamericana Vervuert, Madrid.

Resina J.R., Viestenzeds W.R. (eds.) (2012), The New Ruralism. An Epistemology of Transformed Space, Iberoamericana Vervuert, Madrid.

Sforzi J., Borzaga C. (2019), Imprese di comunità e riconoscimento giuridico: è davvero necessaria una nuova legge?, «Impresa Sociale», 13, 16-30.

Strizzolo N. (2011), “Comunicazione”, in Cipolla C. (a cura di), I concetti fondamentali del sapere sociologico, FrancoAngeli, Milano.

Strizzolo N., Pocecco A., Melchior C. (2019), La comunicazione eclettica. Le dimensioni comunicative nella web society, FrancoAngeli, Milano.

 

[1] https://www.youtube.com/@MartijnDoolaard/about (ultimo accesso: 22.08.2023).

[2] Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=eo8_5d9yGq4 (ultimo accesso: 22.08.2023).

[3] Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=JA2sTeupnFM (ultimo accesso: 28.08.2023).

[4] Cfr. https://www.paypal.com/donate/?hosted_button_id=ARZW35KWBMJN6 (ultimo accesso: 22.08.2023).

[5] Cfr. https://www.patreon.com/martijndoolaard (ultimo accesso: 22.08.2023).

[6] https://www.youtube.com/@ateliermavi/about (ultimo accesso: 22.08.2023).

[7] Cfr. https://www.italiachecambia.org/2023/03/mavi-architetti-bioedilizia/ (ultimo accesso: 23.08.2023).

[8] Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=kDb1rl31evc (ultimo accesso: 22.08.2023).

[9] https://raisingvoyagers.com/about-us/ (ultimo accesso: 23.08.2023).

[10] Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=0WMjaYY-Sjg (ultimo accesso: 23.08.2023).

[11] Cfr. https://raisingvoyagers.com/support-us/ (ultimo accesso: 23.08.2023).

[12] https://www.glistatigenerali.com/cooperative/teneggi-le-cooperative-di-comunita-una-storia-che-parla-al-futuro-del-mondo/ (ultimo accesso: 23.08.2023).

[13] Ivi.

[14] Ivi.

[15] Cfr. https://www.italiachecambia.org/chi-siamo/# (ultimo accesso: 27.08.2023).

Rivista-impresa-sociale-Alessandro Fabbri Università di Bologna

Alessandro Fabbri

Università di Bologna

Professore associato di Sociologia generale presso l'Universitas Mercatorum di Roma.

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