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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-14-2019-economia-carceraria-impresa-e-inclusione

Numero 14 / 2019

Saggi brevi

Economia carceraria: impresa e inclusione

Eleonora Maglia

Abstract

Per far sì che la detenzione negli istituti carcerari divenga un momento di acquisizione di nuove competenze utili a fine pena per una vita dignitosa e produttiva, in Italia diverse cooperative sociali sono attive nella creazione di laboratori e di simulatori di impresa che mettono all’opera i soggetti posti in reclusione, con effetti positivi nel contenimento delle recidive. Partendo da queste evidenze, in questo paper si fornisce una mappatura degli interventi attivati sul territorio nazionale e si presenta un focus esplicativo delle fasi che è stato possibile isolare e modellizzare allo stato attuale della ricerca e che ha il fine di assicurare il buon esito dei progetti di economia carcerari. Oltre alle istituzioni e alle associazioni, come si vedrà, anche i consumatori finali possono svolgere un ruolo fattivo affinché sia assicurato il successo a progetti di alto contenuto sociale, quali sono gli interventi di economia carceraria.

DOI: 10.7425/IS.2019.14.04

Introduzione

Secondo le rilevazioni Istat, negli istituti penitenziali italiani risultano detenute 62.536 persone (quando la capienza regolamentare è pari invece a 47.709 posti) e sono diffuse forme di protesta, tra cui il rifiuto ad alimentarsi (7.851 casi all’anno) e gli atti di autolesionismo (6.902 episodi annui) spinti anche fino al tentativo di suicidio in 1.067 casi. Da questi dati è possibile comprendere quale sia la qualità di vita in luoghi largamente e notoriamente afflitti da sovraffollamento, giudicato sistemico e strutturale (Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, 2013), presente soprattutto al Nord ed ascrivibile principalmente alla diffusa condizione di attesa di giudizio, che riguarda il 36,6% del totale dei detenuti (Istat, 2015).

All’interno di queste dinamiche, posto che prioritariamente, per i dettami costituzionali, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato (Costituzione Italiana, articolo 27) e ricordando che le condizioni carcerarie misurano il grado complessivo di civiltà di un paese, come storicamente condiviso, nonostante i limiti oggettivi nell’applicazione dei diritti previsti (Vannoni, 2017), vengono attivati dei virtuosi percorsi lavorativi per promuovere l’occupazione e la dignità dei detenuti e ascrivibili all’ambito dell’economia carceraria.

Partendo da ciò, ci si è proposti di comprendere le dimensioni del fenomeno, attraverso una mappatura dei progetti presenti sul territorio nazionale, nonché di utilizzare i dati raccolti dall’analisi qualitativa attuata (Yin, 2005) per isolare e modellizzare le fasi di intervento, con l’auspicio che sia una traccia utile alla realizzazione di nuovi casi di simulatori d’impresa negli istituti di pena. Inoltre, partendo dall’evidenza che anche i consumatori finali rivestono una parte importante all’interno di questi percorsi virtuosi e possono intervenire fattivamente affinché abbiano successo, si illustrano le motivazioni e le modalità per sostenere il felice esito di questi tentativi per assicurare percorsi lavorativi a fine pena e, così, contrastare episodi di recidiva.

I progetti di economia carceraria: il panorama italiano

Nel panorama nazionale sono attivi molti progetti di economia carceraria, ascrivibili a differenti settori produttivi. Vi sono stamperie (come Extraliberi a Torino), laboratori sartoriali (come Sartoria San Vittore a Milano) e anche aziende agricole (come Vale la pena, a Roma) (Raitano, 2011). Per garantire visibilità a queste sperimentazioni ed agevolare gli acquisti degli articoli artigianali, delle creazioni e dei prodotti agricoli realizzati dai detenuti, all’interno del portale del Ministero della Giustizia è stata creata la “Vetrina dei prodotti dal carcere”, con opzioni di query per prodotto e per istituto penitenziario che ha avviato l’impresa. Inoltre, nel 2018, è stato realizzato il Festival dell’Economia Carceraria, per promuovere l’inclusione e l’aggregazione tra attività intra ed extra murarie, grazie al racconto diretto di storie e vissuti che ne consentano una conoscenza diretta e suggeriscano una riflessione personale e sociale. In più, per riunire queste e tutte le altre eccellenze dell’economia carceraria italiana e facilitarne la fruizione, è stato anche realizzato a Torino, Freedhome – Creativi Dentro, un concept store dedicato, ubicato in uno spazio di proprietà del Comune e sostenuto da Compagnia San Paolo, in cui convergono le produzioni di 45 istituti di pena e che dà offre una localizzazione stabile dopo le esperienze dei temporary store realizzate in occasione di fiere dedicate al consumo critico o delle principali festività. Si tratta di un interessante risultato, ottenuto in logica collaborativa multi-stakeholder da una rete di istituzioni, cooperative, professionisti, manager, agenti di polizia penitenziaria, detenuti e volontari, che attesta anche come percorsi opposti e contrari possono incontrarsi e convergere felicemente. Qui, si trovano i prodotti di Fine pane mai, il panificio della Casa circondariale di Rebibbia e di Sprigioniamo Sapori, il laboratorio dolciario della Casa circondariale di Ragusa, e molti altri articoli, ottime idee anche per regali etici e di alta fattura. L’obiettivo di questo pionieristico progetto è fornire un modello che sia esportabile in altre città per realizzare una rete nazionale, secondo il coordinatore Gian Luca Boggia, infatti, l’auspicio è che Freedhome – Creativi Dentro non sia solo uno spazio per commercializzare prodotti, ma un luogo attivo dove sviluppare idee, oggetti e servizi partendo dal lavoro in carcere come possibilità di creare un ponte con il futuro per chi è attualmente recluso (Vespa, 2016).

Il modello di intervento: focus su Banda Biscotti, fatti di un’altra pasta

Tra le iniziative citate nel pregresso paragrafo, si colloca anche Banda Biscotti, fatti di un’altra pasta. Si tratta di un laboratorio dolciario avviato in Piemonte dalla Cooperativa sociale Divieto di Sosta ed ha la particolarità di realizzare prodotti di pasticceria interamente all’interno delle carceri di Verbania e di Saluzzo, grazie al lavoro degli ospiti delle due strutture detentive. L’iniziativa coinvolge persone in situazioni di marginalità e svantaggio, ma altamente motivate, cui vengono offerti l’opportunità e gli spazi dove esprimere e valorizzare il proprio potenziale. In questo modo, facendo leva sull’impegno, sulla determinazione e sulla dedizione per realizzare il proprio riscatto e la propria realizzazione personale, i detenuti sono resi protagonisti attivi di un percorso volto al reinserimento sociale a fine pena. Questo progetto si fonda sull’esperienza d’intervento in contesti penali maturata in oltre 30 anni dalla Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri onlus, nonché sulla collaborazione territoriale tra le Direzioni degli istituti penali e gli Enti locali. È inoltre il felice risultato della prima sperimentazione di Simulatori di impresa avviata tra il 2009 e il 2013, per saggiare la possibilità di passare dalle attività di formazione professionale classiche a reali forme di attività di natura lavorativa, economicamente sostenibili e socialmente rilevanti (Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri, 2018).

Il Simulatore di impresa realizzato nelle carceri di Verbania e Saluzzo è sostanzialmente un incubatore, dove, dopo aver trasmesso expertise specifiche con un corso di formazione professionale, si coinvolgono gli ex-allievi nella produzione e nella commercializzazione di un bene, secondo le fasi indicate nello schema successivo.

Figura 1. Fasi del processo di accompagnamento del Simulatore di impresa. Fonte: modello elaborato sui dati raccolti

Dal punto di vista economico, l’avvio dell’attività viene sostenuto all’inizio con finanziamenti specifici, poi tramite l’autonomia finanziaria ed organizzativa dell’incubatore stesso, che diviene, così, una vera e propria impresa. La fase di commercializzazione avviene tramite un ente strumentale, creato ad hoc per consentire lo sviluppo e la realizzazione di attività accessorie (nel caso di Banda Biscotti, tramite la cooperativa sociale Divieto di Sosta citata).

La sperimentazione dei Simulatori di impresa di Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri (che, oltre al laboratorio dolciario Banda Biscotti, fatti di un’altra pasta, ha concorso a realizzare l’attività di produzione di complementi di arredo Ferro&Fuoco Jail Design), nel biennio successivo all’avvio (2014-2016), è evoluta in un’iniziativa di coinvolgimento del territorio circostante (Progetto Libero) e, grazie al finanziamento di Compagnia di San Paolo e alla partnership dell’Amministrazione Comunale e delle Associazioni locale, 24 detenuti in misura alternativa hanno partecipato operativamente anche alla commercializzazione dei prodotti, in una struttura esterna, comunale e destinata alle attività culturali.

Motivi e modalità per sostenere l’economia carceraria

Tutte le iniziative citate corroborano le rilevazioni empiriche per le quali, per un verso, punizioni più severe non implicano una sensibilità maggiore alla minaccia di una sanzione futura ma, piuttosto, la reazione opposta e, per un altro verso, l’esperienza della punizione tende a neutralizzare la risposta comportamentale alla deterrenza generale (Drago et al., 2007), inoltre dimostrano la forza riabilitativa del lavoro come strumento di dignità. Scorrendo tra i progetti più recentemente mappati poi, si riscontra anche un’attenzione particolare ad aspetti solidali e rigenerativi (Iannone, 2018) e l’ingaggio risulta in aumento particolarmente nella componente femminile, nel triennio 2000/13, +38,5%, e straniera, +78,6% (Istat, 2015).

Conoscere l’esistenza e gli effetti positivi dei progetti di economia carceraria è particolarmente opportuno posto che, culturalmente, permane una certa convinzione diffusa secondo cui la detenzione è l’unica e la sola possibilità, anche se ciò aumenta il rischio di recidiva, quando, invece, le misure alternative migliorano la possibilità di reinserimento, soprattutto ove si riesca ad attivare reti sociali (Saracino, 2018). L’attività lavorativa svolta in carcere, infatti, previene l’esasperazione di equilibri mentali e relazionali e contrasta la restrizione delle capacità fisiche, inoltre la scansione tra momenti di lavoro e di riposo, avvicinando il mondo dei liberi a quello dei reclusi, normalizza (Lunghi, 2012). La necessità di interventi per migliorare la qualità della vita negli istituti di pena è evidenziata dai dati sul sovrappopolamento carcerario – giudicato sistemico e strutturale (Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, 2013) – e sulla diffusione di forme di protesta. Secondo le rilevazioni Istat, risultano detenute 62.536 persone, quando la capienza regolamentare è pari invece a 47.709 posti; si registrano 7.851 casi all’anno di rifiuto ad alimentarsi e 6.902 episodi annui di atti di autolesionismo, che sfociano in suicidio in 1.067 casi (Istat, op. cit.).

All’interno di queste dinamiche, l’Amministrazione penitenziaria si attiva fattivamente affinché tutte le persone detenute possano acquisire adeguata professionalità, capacità e competenze specifiche per inserirsi nel mercato del lavoro, da un lato, assegnando fondi assegnati crescenti (49.664.207 euro nel 2013 e 60.381.793 euro nel 2015) e, da un altro lato, stipulando intese ed accordi con le associazioni cooperative (Senato, 2015). Inoltre, vi sono interventi normativi agevolativi (come la legge n. 193 del 2000, nota come Smuraglia), che prevedono sgravi contributivi e fiscali per le imprese e le cooperative che assumono detenuti. Così, grazie a questo orientamento, 12.345 detenuti lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria stessa e 2.225 presso soggetti terzi, come imprese private o cooperative, (Santagata, 2016), con effetti positivi sull’acquisizione di professionalità spendibili sul mercato del lavoro al termine dell’esecuzione della pena (Istat, op. cit.). Secondo le rilevazioni, le richieste di lavoro dall’esterno hanno ricevuto particolare slancio grazie ad interventi legislativi ad hoc, come la disciplina delle Cooperative Sociali (Istat, op. cit.).

Oltre agli interventi statali citati, per sostenere i progetti di lavoro negli istituti di pena affinché il carcere non sia meramente un luogo di espiazione della pena, ma effettivamente il luogo dove si riacquista dignità e nuove competenze per una seconda chance (Magliaro, 2015), anche i singoli consumatori hanno un potere di intervento, infatti, chi compra questi prodotti sa che aiuterà a realizzare un lavoro dignitoso, capace di alleviare uno stato di disagio, ridando fiducia e speranza per il futuro, in una parola, a riscattarsi.

Conclusioni

In questo paper si è dato conto del contributo che l’introduzione di simulatori di impresa negli istituti carceraria può apportare nel miglioramento della compressione delle recidive, attraverso la promozione della creazione di competenze lavorative spendibili a fine pena per realizzare una nuova inclusione sociale degli ex-reclusi. In proposito, si è analizzato quale siano le situazioni di vita in un carcere e come la permanenza in un carcere in stato di totale inazione possa prostrare le abilità pregresse dei detenuti, mentre l’esistenza di corsi professionali sia costruttiva di nuove skill, che attraverso progetti di economia carceraria possono essere messe all’opera contestualmente all’esperimento della condanna comminata. Si è inoltre illustrato il contributo fattivo che le comunità di consumatori posso apportare alla felice prosecuzione delle iniziative avviate, secondo la logica altruistica (Camerer, 2003) e la convergenza a situazioni giuste ed eque (Burnett, 2016) che tende ad emergere spontaneamente nelle interazioni sociali.

Con le argomentazioni presentate, complessivamente, si è soprattutto tentato di corroborare una corretta informazione sull’economia carceraria con l’auspicio che, in un futuro prossimo, sia possibile documentare ed analizzare molti nuovi progetti collaborativi di alto contenuto sociale e registrare tassi di adesione da parte dei consumatori sempre maggiori. Intanto, la progressiva crescita dei progetti di economia carceraria, documentata nel paper e misurabile sia nel numero delle iniziative attivate che nell’esistenza di concept store dedicati, costituisce un primo risultato positivo verso un auspicabile futuro di riscatto e di reinserimento lavorativo di categorie a rischio di esclusione e di recidiva.

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