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ISSN 2282-1694
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Numero 14 / 2019

Casi studio

Attori e reti di relazioni nei processi di sviluppo locale: il caso di Bolbeno

Federico Sartori, Jacopo Sforzi

Abstract

Il presente lavoro analizza il processo di implementazione di un progetto nel Comune di Borgo Lares, in un’area periferica del Trentino Sud-occidentale. La costante cooperazione tra l’amministrazione comunale, la Pro loco e altre aziende e associazioni locali, ha portato alla realizzazione e alla gestione di un impianto sciistico. L’analisi si concentra sulla rete di relazioni tra attori eterogenei che ha permesso di operare efficacemente in un settore, quello turistico legato allo sci, estremamente competitivo in quel particolare contesto geografico. Lo scopo di questo lavoro è, infatti, quello di mettere in evidenza i meccanismi che stanno alla base di questo caso di successo basato sulla cooperazione come meccanismo di coordinamento e su una governance locale multi-stakeholder al fine di valutare gli elementi di replicabilità del modello di gestione e di individuare indicazioni di policy che possano contribuire ad esportarlo in contesti che presentano caratteristiche simili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Il caso studio è stato analizzato attraverso interviste semi-strutturate ai responsabili del progetto, ai soggetti finanziatori, agli amministratori. Al fine di rendere evidente la rete di attori che in varie forme prendono parte alla governance del progetto, i dati raccolti sono stati quindi elaborati attraverso la Social Network Analysis. Il risultato è un inedito modello di governance che evidenzia come l’attore pubblico possa fungere da abilitatore dei cittadini, promuovendo la collaborazione tra attori eterogenei all’interno di un campo di interessi comuni.

DOI: 10.7425/IS.2019.14.05

Introduzione

Le aree interne, in particolare le aree interne montane, sono oggi contesti al tempo stesso problematici e innovatori. Nonostante siano interessate dalla presenza di problemi che le caratterizzano sia a livello nazionale che internazionale (spopolamento, scarse opportunità occupazionali, marginalizzazione e carenza di servizi essenziali), in alcuni casi hanno saputo far fronte a questi problemi in maniera innovativa, aprendo strade inedite e inviando segnali di futuro al resto del Paese (Calvaresi, 2016; Carrosio, 2013).

Ne è esempio il caso analizzato in questo lavoro, nel quale il contesto locale ha favorito la cooperazione tra differenti attori locali ed extra-locali che hanno adottato un modello di gestione di un bene fisico, trasformandolo in risorsa di sviluppo socio-economico. Nel caso analizzato, trovano conferma i modelli di sviluppo locale tipici del modello distrettuale (Becattini, 1987, 1989, 2000) e quelli riconducibili allo sviluppo “neo-endogeno” (Ward et al., 2005; Ray, 2006; Galdeano-Gòmez et al., 2011) che, in contrapposizione ai modelli di sviluppo endogeno (inteso come processo di sviluppo fondato esclusivamente sulle risorse interne a un dato territorio), sottolineano l’importanza di una continua interazione tra fattori endogeni ed esogeni nel determinare le differenti possibilità di sviluppo. Inoltre, nel presente lavoro si evidenzia la rilevanza del capitale sociale – inteso come reti di relazioni attraverso cui condividere informazioni, valori e norme informali – nei processi di sviluppo locale.

È, quest’ultima, la prospettiva dalla quale il capitale sociale viene analizzato in letteratura da quegli autori che pongono l’accento sul ruolo delle reti di relazioni nel facilitare il coordinamento delle azioni individuali e delle azioni collettive, aumentando l’efficienza della società (Granovetter, 1973; Bourdieu, 1986; Burt, 1995; Coleman, 1988, 1990; Putnam, 1993; Trigilia, 1999; Lin, 2005; Ward et al., 2005; Donati, 2007; Di Nicola et al., 2008). Inoltre, le reti di relazioni contribuiscono ad alimentare processi cooperativi e a condividere valori (come la fiducia) e norme (come la reciprocità e la solidarietà) che contribuiscono ad orientare il comportamento dei gruppi e dei singoli individui che li compongono (Trigilia, 1999; Piselli, 2005).

In letteratura, la produzione di capitale sociale viene spesso considerata come un fenomeno path dependent, legata principalmente a meccanismi socio-culturali di lunga durata tramandati storicamente, lasciando poco spazio alla possibilità di generare e accumulare capitale sociale per mezzo di azioni guidate da interventi pubblici o privati, soprattutto in contesti dove esso sembra essere meno sviluppato (Hooghe, Stolle, 2003; Borzaga, Sforzi, 2014). Tuttavia, pur riconoscendo il valore dei processi storici nella diffusione delle caratteristiche citate, le reti di relazioni e le interazioni tra attori all’interno di un dato luogo possono venire a crearsi anche attraverso interventi che mutano le condizioni di partenza. Principalmente, due sono gli approcci attraverso cui è possibile contribuire alla produzione di capitale sociale: il primo centrato sulle istituzioni pubbliche, il secondo centrato sulla società e le organizzazioni private (Hooghe, Stolle, 2003; Borzaga, Sforzi, 2014). Se il primo vede nelle istituzioni, nelle politiche e nei loro strumenti il mezzo attraverso il quale è possibile diffondere senso civico, inclusione sociale, fiducia nelle istituzioni e tra cittadini, il secondo sottolinea l’importanza delle interazioni sociali tra cittadini e il ruolo delle organizzazioni di terzo settore come scuole di democrazia, nelle quali migliorare quantitativamente e qualitativamente le relazioni e le preferenze individuali (Borzaga, Sforzi, 2014).

Per comprendere appieno il ruolo del capitale sociale è utile soffermarsi, inoltre, sulle classificazioni basate sui legami attraverso cui esso si sostanzia. È, infatti, possibile distinguere almeno tre diversi tipi di capitale sociale: quello di tipo bonding, rappresentato dai rapporti più prossimi all’individuo/gruppo, normalmente associati ai legami forti, in quanto rafforzano la coesione interna al gruppo; quello di tipo bridging, che, al contrario, si basa su legami deboli che mettono in relazione un individuo/gruppo ad un altro individuo/gruppo appartenente ad ambienti sociali od economici diversi in un rapporto orizzontale; infine quello di tipo linking, associato a rapporti che non avvengono in maniera orizzontale ma in maniera verticale con gruppi o individui che si trovano gerarchicamente in condizioni superiori o possono disporre di maggior potere rispetto agli altri, solitamente riconducibile a legami deboli (Tisenkopfs et al., 2008; Sabatini, 2009; Hawkins Maurer, 2010).

Il capitale sociale può essere, quindi, messo in relazione alla forza dei legami che si vengono a instaurare tra gli individui, riprendendo il noto saggio di Granovetter sull’importanza dei legami deboli (Granovetter, 1973). I legami deboli sono considerati il mezzo attraverso il quale i diversi gruppi che compongono la società vengono messi in condizione di comunicare tra loro, formando una rete (un network) che li mette in reciproca relazione. La diffusione di informazioni tra gruppi diversi, per esempio, avviene attraverso la possibilità (e la volontà) di costruire legami deboli con soggetti diversi. Infatti, all’interno di un gruppo chiuso, la circolazione delle informazioni è spesso limitata ai soli membri che lo compongono. I legami deboli sono quindi fondamentali, secondo Granovetter, perché agiscono da ponti e rappresentano il solo strumento di connessione fra gruppi eterogenei.

Ogni gruppo risulta così essere immerso in una rete di legami composta dall’insieme dei legami forti, cioè quelli più vicini, e dei legami deboli, cioè quelli che lo connettono con altri gruppi per mezzo di relazioni intermedie. La mancanza di sufficienti legami deboli all’interno di un gruppo può portarlo all’isolamento dalla rete che compone la società. I legami forti, infatti, benché possano essere caratterizzati da fiducia, identità e reciprocità, possono anche rappresentare un limite. Gruppi connessi da soli legami forti non promuovono l’innovazione e, benché possano indirizzare i comportamenti dei singoli individui, possono non essere funzionali ai processi di sviluppo locale. Numerose, in questa direzione, sono le critiche all’utilizzo delle reti come mezzo per perseguire fini particolaristici e, di conseguenza, sugli effetti negativi che possono avere verso la collettività (Banfield, 1958; Portes, 1998; Trigilia, 1999; Piselli, 2005; Sabatini, 2009).

Le differenti dimensioni del capitale sociale si manifestano, quindi, sotto diverse forme, e a seconda dei differenti contesti socio-istituzionali assumono connotati più o meno marcati. Tuttavia, queste dimensioni sono in continua interazione e si influenzano vicendevolmente. Ciò significa che non è definibile a priori quale sarà l’effetto della presenza di legami all’interno di una comunità o di un dato gruppo, siano essi deboli o forti. In base a quanto esposto, lo scopo di questo lavoro è quello di sottolineare come i legami e le reti tra attori siano fattori chiave per comprendere anche i processi di sviluppo locale, come avvenuto nel caso presentato.

Inquadramento teorico

Il presente lavoro evidenzia e analizza i meccanismi che hanno favorito la cooperazione tra diversi attori per la gestione di un impianto sciistico.

Poiché il caso studio analizzato in questo articolo non riguarda una forma d’impresa specifica quanto piuttosto una forma di cooperazione tra varie organizzazioni, faremo riferimento alla letteratura che si è occupata di modelli cooperativi non tanto come forma giuridica, quanto come meccanismo di coordinamento (Borzaga, Tortia, 2017). In questa letteratura l’attenzione è posta sulle forme e sulle modalità di condivisione dell’azione imprenditoriale da parte di attori diversi, che operano sulla base della condivisione dei bisogni e degli interessi della comunità a cui appartengono o hanno scelto di appartenere piuttosto che guidati dalla logica del profitto (Sforzi, Zandonai, 2018).

Questi attori possono essere imprese private così come istituzioni pubbliche o enti del terzo settore, i cui meccanismi di coordinamento sono funzionali alla costruzione di una governance aperta ed inclusiva, che sappia cioè prevedere il coinvolgimento dei soggetti rappresentativi della composizione sociale di una collettività al fine di rispondere ai suoi bisogni (Euricse, 2016; Sacchetti, 2018; Sforzi, 2018a).

Studiare la governance significa studiare le relazioni tra gli attori coinvolti in una data organizzazione, così come l’insieme di regole e norme (formali e informali) attraverso cui vengono disciplinati i loro rapporti e le loro interazioni. Sono, infatti, queste relazioni, e le norme che le regolano, a permettere alla rete degli attori coinvolti di assumere un determinato modello di governance. Inoltre, sono ancora queste relazioni a determinare le possibilità di ciascun attore di influire sulle decisioni relative agli obiettivi della rete e sulle strategie per perseguirli, o di decidere dell’utilizzo delle risorse economiche, delle politiche del personale etc.

Il potere decisionale all’interno di un dato modello di governance viene normato sia attraverso regole ed accordi formali sia attraverso regole e meccanismi informali, e non è detto che i soggetti abilitati alla presa di decisioni siano quelli per i quali le interazioni sono normate formalmente. Ciò significa che anche gli attori non formalmente coinvolti nella rete, e quindi nella governance, possono esercitare un’influenza rilevante nella presa di decisioni. In letteratura, si distingue principalmente tra due categorie di imprese a seconda di come la governance sia gestita e di come sia distribuito il potere decisionale tra gli attori coinvolti, riferendosi a modelli di governance mono-stakeholder o multi-stakeholder. Nel primo caso, le decisioni spettano ad un’unica categoria e, generalmente, tendono ad essere un numero ristretto al fine di concentrare il potere decisionale nelle mani di pochi portatori di interesse caratterizzati da omogeneità di intenti e funzioni economiche. Questo modello è funzionale per alcuni ambiti di intervento (es. agricoltura o lavoro), ma presenta almeno due ordini di problemi. In primo luogo, non si tiene conto delle motivazioni, degli interessi e dei bisogni di quei soggetti esclusi dai processi decisionali che tuttavia risentono, sia direttamente che indirettamente, delle attività dell’organizzazione (Sacchetti, Tortia, 2008; Tortia, 2008). In secondo luogo, esistono situazioni nelle quali imprese mono-stakeholder non possono operare a causa delle imperfezioni dei mercati di riferimento, potenzialmente superabili attraverso il coinvolgimento di soggetti eterogenei ai processi decisionali e produttivi (Sacchetti, Tortia, 2008; Tortia, 2008).

Si parla, invece, di governance multi-stakeholder quando esiste una partecipazione attiva da parte di più categorie portatrici di differenti interessi, ma uniti dagli obiettivi perseguiti dall’organizzazione. Questo non significa che ogni attore debba essere coinvolto allo stesso modo (e con la stessa intensità) nelle decisioni dell’impresa, ma che i soggetti locali possano essere coinvolti nella vita dell’impresa stimolando la loro partecipazione, ad esempio attraverso l’introduzione di appositi strumenti di partecipazione diretta negli statuti e nei regolamenti (Tortia, 2008; Sforzi, 2018a).

Modelli di gestione di questo tipo presentano alcuni vantaggi, tra cui il superamento delle asimmetrie informative. Infatti, questo modello offre la possibilità di superare eventuali blocchi informativi derivanti da interessi contrastanti, che portano ad un aumento dei costi di transazione a causa della mancanza di basi fiduciarie tra i soggetti coinvolti. Tali costi possono essere superati proprio attraverso una gestione capace di includere tali soggetti nella gestione dell’impresa o del progetto. Un secondo vantaggio, particolarmente importante per il caso studio analizzato in questo paper, è dato dal potenziamento della funzione distributiva, cioè la possibilità di produrre a costi inferiori grazie alla presenza di donazioni, di lavoro volontario e alla parziale donazione di lavoro da parte dei lavoratori remunerati (Sacchetti, Tortia, 2008; Tortia, 2008).

Le analisi teoriche e le ricerche empiriche relative ai differenti modelli d’impresa definiscono, quindi, la governance multi-stakeholder come un assetto gestionale entro il quale vengono coinvolte attivamente differenti categorie funzionali quali lavoratori, finanziatori, consumatori, volontari ecc. Inoltre, questo modello di gestione offre a più categorie di essere rappresentate (pur non essendo necessariamente coinvolte attraverso le medesime modalità), creando opportunità di interazione tra gruppi eterogenei e in grado di apportare risorse di diversa natura: economiche, cognitive, normative, relazionali etc. Di conseguenza, sono i modelli di governance inclusiva a favorire lo sviluppo di reti di attori che cooperano per fini comuni, favorendo allo stesso tempo lo sviluppo di relazioni fiduciarie utili alla socializzazione del rischio imprenditoriale e al senso di responsabilità verso le proprie attività (Sacchetti, 2018; Sforzi, 2018a).

Come nota Borzaga (2015), al fine di generare organizzazioni che abbiano come obiettivo la creazione di valore sono indispensabili la partecipazione diretta ai processi decisionali e la presenza di relazioni di fiducia tra gli attori coinvolti. Relazioni basate sulla fiducia riducono la complessità dei fenomeni e l’incertezza dei comportamenti degli attori, permettendo loro di operare secondo logiche diverse da quelle del solo scambio per il guadagno (Borzaga, 2015; Lopolito, Sisto, 2007). Inoltre, sono le relazioni fiduciarie a far sì che gli attori non optino per comportamenti opportunistici e siano disposti a rischiare più di quanto non farebbero in condizioni nelle quali queste relazioni non fossero presenti, tutti elementi determinanti anche nel contribuire positivamente ai processi di sviluppo locale (Trigilia, 1999). Infine, tali rapporti concorrono al raggiungimento della sostenibilità economica in quanto capaci di far leva sulla disponibilità degli attori coinvolti a cooperare piuttosto che su motivazioni auto-interessate, da cui deriva la possibilità di disporre di risorse gratuite o a costi inferiori rispetto a quelli di mercato (Borzaga, 2015).

Modelli di questo tipo, tuttavia, presentano anche delle criticità che è necessario tenere in considerazione. Infatti, l’inclusione di attori eterogenei può richiedere costi di coordinamento elevati e può portare anche alla nascita di conflitti tra gli attori coinvolti (Sacchetti, Tortia, 2008; Sforzi, 2018a; Tortia, 2008). Vi è quindi una questione relativa all’ampiezza della rete di attori da coinvolgere al fine di rendere agevole la governance.

Il caso analizzato di seguito non è riconducibile a una precisa forma giuridica in quanto, ad oggi, l’assetto gestionale è regolato da norme formali tra pochi attori e da norme informali tra i restanti altri. Queste ultime, tuttavia, devono essere necessariamente prese in considerazione in quanto capaci di influenzare in maniera determinante le decisioni relative alle attività da svolgere in seno al progetto. Un’organizzazione, la cui governance formale non prevede un assetto gestionale multi-stakeholder come nel caso oggetto di studio, può assumere una forma non dissimile da quella di un’organizzazione multi-stakeholder proprio in ragione delle interazioni e dei rapporti informali tra gli attori.

Meccanismi di coordinamento informali possono anche stare alla base di processi di sviluppo locale nei quali si riconoscono processi focalizzati sulle capacità, sui bisogni e sulle prospettive delle comunità locali. Tali processi, implementati tramite strategie inclusive e partecipative, sono in grado di creare valori comuni tra attori diversi anche non localizzati in quello specifico luogo, permettendo così la nascita di una rete funzionale al soddisfacimento di bisogni comuni piuttosto che allo scopo di proteggere interessi specifici (Sforzi, 2018b). In questa accezione, diversamente da altri modelli di rete (Sacchetti, Sugden, 2008), le reti di relazioni possono essere il fondamento stesso delle possibilità di svolgere qualsiasi attività da parte degli attori coinvolti al fine di soddisfare i propri bisogni, in quanto basate su meccanismi fiduciari e di mutua dipendenza nella quale ognuno riveste un ruolo funzionale al soddisfacimento dei propri bisogni partecipando anche al soddisfacimento di quelli comuni (Sacchetti, Sudgen, 2003; Sacchetti, Tortia, 2008; Tortia, 2008).

Tuttavia, proprio il riconoscimento di interessi comuni da parte degli attori, che avvengono attraverso processi di interazione e portano spesso alla necessità di mediazione delle posizioni, può potenzialmente rappresentare un ostacolo all’adozione di questi modelli di governance, la cui creazione può essere favorita tanto da condizioni pregresse quanto da attività finalizzate alla sua realizzazione.

In questo, la prossimità territoriale può riflettersi nella prossimità di interessi tra gli attori presenti in un determinato contesto, offrendo la possibilità di considerare il territorio come un attore collettivo grazie ai soggetti che hanno interessi su di esso e alle relazioni che esistono tra loro, alla loro condivisione di valori e ai loro obiettivi (Ciapetti, 2010; Camagni, Capello, 2013).

Metodologia

Il presente lavoro vuole individuare i meccanismi che stanno alla base del caso studio, riguardante la realizzazione di un impianto sciistico nel Comune di Borgo Lares, in un’area periferica della Provincia Autonoma di Trento, nel nord Italia. Lo scopo è capire come una rete di attori sia riuscita a coordinare le proprie attività al fine dello sviluppo del progetto, per trarne indicazioni di policy attraverso le quali poter contribuire alla promozione o al rafforzamento di reti altrettanto funzionali in contesti simili.

La metodologia utilizzata è di tipo qualitativo, la più adatta per indagare in profondità non solo il contesto socio-istituzionale nel quale il progetto oggetto di studio si è sviluppato, ma anche per cercare di ricostruire il complesso sistema di relazioni informali che lega gli attori coinvolti nella gestione di tale progetto (Yin, 2003). Infatti, la gestione del progetto ricade anche su attori che, pur coinvolti informalmente, hanno un peso rilevante in termini di presa delle decisioni e di capacità di rispondere ai bisogni della comunità di riferimento.

La Network Analysis per lo studio di caso

La tecnica utilizzata è stata quella della network analysis in quanto offre la possibilità di dare una lettura maggiormente rappresentativa dell’assetto gestionale assunto dai differenti attori presenti nel caso oggetto di studio. Essendo il processo di costruzione e realizzazione del progetto lungo e complesso (con una storia alle spalle di quasi 40 anni), per ragioni di sintesi, la tecnica è stata applicata al fine di rappresentare la situazione attuale senza riprodurre graficamente quegli attori che, nel tempo, hanno fatto parte del network gestionale ma che oggi non rivestono alcun ruolo. Questi attori e il loro contributo sono stati delineati nella parte descrittiva del caso studio.

Per la realizzazione del network, lo studio di caso si è concentrato sulla raccolta di dati relativi a una serie di indicatori sia di composizione che di struttura del capitale sociale attraverso i quali riuscire a comprendere, da un lato, se e quanto il network personale dei soggetti rappresentativi di un’organizzazione abbia influenzato i rapporti tra organizzazioni, dall’altro per rappresentare la composizione della rete individuando così la posizione degli attori in relazione agli altri attori coinvolti.

Per quel che riguarda il primo aspetto, è importante riuscire a capire il network personale degli intervistati in relazione al tipo di informazioni che essi sono in grado di far circolare nella rete (Podda, 2017). Infatti, la posizione che ciascun attore occupa rispetto agli altri attori può essere il riflesso del ruolo personale rivestito dai rappresentati delle organizzazioni. Ciò significa interrogarsi sul ruolo assunto dagli attori coinvolti nella governance del progetto, tentando di comprendere quanto questa dipenda dai suoi rappresentanti. Laddove si riscontri la presenza di buchi strutturali (o vuoti strutturali), cioè, dove degli attori siano tra loro disconnessi, alcuni attori possono assumere un ruolo di controllo delle informazioni circolanti nella rete da cui potrebbe dipendere un ruolo di subordinazione tra due attori (Burt, 1995; 2005).

Ai fini dell’analisi, sono interessanti anche alcuni indicatori di capitale sociale all’interno delle reti proposti da Borgatti, Jones e Everett (1998), come in particolare quelli che riguardano la densità, la distanza media e la centralizzazione della rete. La densità misura la presenza di legami positivi all’interno del gruppo, intendendo per positivi le relazioni di amicizia, la stima, la collaborazione attiva etc. Una buona densità è un indicatore di coesione interna al gruppo o alla rete di attori, benché essa può rappresentare un limite qualora sia eccessiva, soprattutto in termini di chiusura verso l’esterno. La distanza media che intercorre tra tutte le tipologie di attori serve a misurare la possibilità di controllo tra un attore e l’altro. Reti caratterizzate da elevate distanze medie o massime presenteranno maggiori difficoltà comunicative; al contrario, una maggior distanza permette un minor controllo sociale. La centralizzazione, invece, permette di fare dei ragionamenti in merito a come si eserciti il controllo. Infatti, reti molto centralizzate ricalcanti i modelli centro/periferia sono più semplici da controllare rispetto a reti frammentate in numerosi sottogruppi, ma al tempo stesso presentano dei limiti di omologazione dei comportamenti, nell’innovazione e nella capacità rappresentativa. Questi brevi accenni teorici sono quelli attraverso i quali la rete di attori è stata analizzata e di cui è offerta l’interpretazione nel paragrafo riguardante i risultati.

Raccolta dei dati

Il network di attori è stato ricostruito attraverso interviste semi-strutturate rivolte a ciascun attore che veniva ad essere di volta in volta citato dagli intervistati. Con il termine attori si intendono qui le organizzazioni che a vario titolo hanno preso parte all’assetto gestionale del progetto, per le quali si è intervistato un responsabile (presidente, dirigente o membro del cda) considerandolo un soggetto chiave in ragione del suo ruolo all’interno dell’organizzazione e al ruolo dell’organizzazione da lui rappresentata all’interno del network analizzato. Si è assunto il punto di vista di tali soggetti come rappresentativo dell’intera organizzazione da loro rappresentata, in quanto il ruolo che i soggetti intervistati hanno all’interno del network tende ad essere definito in base al ruolo ufficiale che loro rivestono presso quella specifica organizzazione. Ciò significa che un attore è tanto più rilevante nel network tanto più rilevante è il suo ruolo all’interno dell’organizzazione di cui fa parte. È proprio questo ruolo, inoltre, che permette di determinare o influenzare i processi decisionali.

Analisi dei dati

I dati raccolti sono stati successivamente analizzati per ricostruire il network a partire dal quadro teorico di riferimento e dalle dichiarazioni di ciascun attore. Si è ricostruita così una mappa degli attori funzionali alla gestione del progetto, maggiormente rappresentativa di quella deducibile dai soli rapporti formali, così da comprendere quali siano i meccanismi di funzionamento della rete utili alla governance del progetto. Nella mappa del network, ogni attore è rappresentato da un nodo la cui dimensione indica la sua rilevanza negli aspetti gestionali del progetto, dichiarata tanto dagli altri attori, quanto dall’attore stesso. Tali informazioni sono state raccolte attraverso domande rivolte ai responsabili nelle quali veniva chiesto di indicare attraverso un peso da 0 a 10 il ruolo delle organizzazioni ai fini del progetto, dove 10 indica un attore fondamentale e 0 un attore che non prende parte agli aspetti gestionali del progetto.

La presenza di un legame tra due attori è rappresentata attraverso una freccia di collegamento la cui direzione indica la direzione dell’influenza di un attore sull’altro intesa come la possibilità di modificare il comportamento dell’organizzazione in funzione delle diverse necessità da soddisfare da parte degli attori collegati. A seconda del numero di legami, tanto in entrata quanto in uscita, si definisce la centralità del soggetto rispetto alla rete. Attori con un numero elevato di legami saranno quindi centrali nella rete e disporranno di maggiori possibilità rispetto agli altri di ricevere o dare informazioni, così come per mobilitare risorse o influenzarne l’allocazione. Quanto più due attori dichiarano di relazionarsi frequentemente ai fini del progetto, tanto più sarà marcata la loro prossimità nel network, così come la freccia che collega due attori sarà di spessore maggiore in base al grado di affinità che caratterizza il legame.

Lo studio di caso

Genesi del progetto

La frazione di Bolbeno (333 residenti, 585 m s.l.m.) è parte del Comune di Borgo Lares, situato nella parte sud-occidentale della Provincia Autonoma di Trento. Fino al 2015 Bolbeno ha costituito un Comune a sé, per poi fondersi con il Comune di Zuclo dando origine al Comune di Borgo Lares.

Il progetto di sviluppo analizzato in questo lavoro riguarda la realizzazione di un impianto sciistico nei primi anni sessanta grazie al contributo del BIM[1] del Sarca, che in quel periodo si trova ad elargire dei finanziamenti riservati ai comuni per la realizzazione capillare di impianti sciistici, da mettere a dimora entro i suoi confini. Attraverso il contributo del BIM, nel 1963 l’ex Comune di Bolbeno inaugura, assieme al limitrofo Comune di Tione, la pista da sci grazie all’installazione di un impianto di risalita su una lingua di terreno di circa 400m utilizzata per lo sci sin dai primi anni del Novecento.

Tale area, benché inizialmente fosse in gran parte di proprietà privata, è stata acquisita nel corso tempo dall’ex Comune di Bolbeno (oggi Comune di Borgo Lares) che ne detiene oggi la maggior parte, salvo alcune particelle fondiarie residuali per cui il Comune corrisponde una quota di affitto ai proprietari. L’impianto in quel periodo non aveva ancora un carattere formale, contando sulla sola affluenza degli abitanti del borgo. In questa prima fase, la gestione dell’impianto da parte del Comune avveniva in maniera informale, e l’impianto era gestito autonomamente dai residenti senza che fossero necessarie assunzioni di figure responsabili o particolarmente specializzate.

Attorno agli anni Ottanta si rese necessario un adeguamento dell’impianto alle normative vigenti, e le Amministrazione comunali si trovarono di fronte all’obbligo di formalizzare l’impianto dovendo affidare la gestione ad un’organizzazione esterna in grado di rispondere ai requisiti previsti (obbligo di sorveglianza dell’impianto, personale assicurato e regolarizzato, operare senza scopo di lucro etc.) e di assumere stagionalmente personale qualificato. È in questo frangente che si pongono le basi per quello che sarà poi il modello di gestione attuale analizzato all’interno di questo lavoro.

Figura 1. Inquadramento territoriale del Comune di Borgo Lares nella Provincia Autonoma di Trento

Tuttavia, alla necessità di messa in regola dell’affidamento e della gestione degli impianti sciistici inizialmente finanziati dal BIM del Sarca, le piste sparse sul territorio non trovano soggetti pronti a gestire gli impianti a causa dell’elevato rischio imprenditoriale e dei numeri di presenze (risibili) sui quali al tempo si poteva contare. Al bando di affidamento partecipò solo la Pro loco, aggiudicandosi la gestione dell’impianto di sci, destinata a durare fino ad oggi.

È grazie ad essa che si avvia il processo di consacrazione di Bolbeno come vera e propria stazione sciistica, che passerà dall’essere un impianto limitato ai residenti del borgo all’essere una stazione in grado di offrire un servizio ad un’intera area e nuove opportunità di sviluppo per la comunità locale.

Delineazione dei soggetti coinvolti

La gestione si connota sin da subito da una forte collaborazione tra la Pro loco e l’Amministrazione comunale di Bolbeno (quella di Tione, in questo frangente, decise di non essere coinvolta), soprattutto grazie ai diversi soggetti che rivestivano (e rivestono ancora oggi) dei ruoli chiave in entrambe le organizzazioni, riuscendo così ad avere una visione più ampia delle problematiche che scaturiscono dalla gestione e delle soluzioni più adatte per risolverle.

Tale gestione proseguì per cinque anni in maniera discontinua, complici alcuni inverni poco nevosi in cui l’esercizio non venne garantito, portando a un deficit di bilancio di circa 50 milioni di lire, appianato poi grazie alla contrazione di un mutuo bancario da parte della Cassa Rurale locale in favore della Pro loco.
Dipendendo in maniera così significativa da un fattore esterno non controllabile (la nevosità degli inverni), sia la Pro loco che l’Amministrazione si resero conto che per poter rispettare gli standard minimi per la fornitura del servizio erano necessari alcuni investimenti imprescindibili per rendere funzionali e produttivi gli impianti: l’innevamento artificiale. La Pro loco si trovò così, dopo pochi anni di attività, in una situazione di indebitamento dovuto sia al mutuo per la quale l’organizzazione era già economicamente impegnata per i successivi anni sia dalla necessità di dover fare ulteriori investimenti per poter garantire la continuità e sostenibilità economica della propria attività. Grazie al contributo straordinario dell’Amministrazione comunale prima e del BIM del Sarca poi, nella seconda metà degli anni Ottanta venne realizzato un impianto di innevamento artificiale, al fine di garantire l’esercizio più a lungo e in maniera continuativa ad ogni stagione invernale, rilanciando l’attività e offrendo la possibilità di ripianare la situazione economica in declino.

Verso i primi anni Novanta vengono convenzionati, dall’Amministrazione comunale di Bolbeno, i Comuni limitrofi per una quota fissa proporzionata alla distanza e al numero di abitanti, con la contropartita di garantire tariffe agevolate ai residenti e delle giornate gratuite per le scuole materne. Tale convenzione ha durata di cinque anni e, dalla sua prima stipula, il numero di comuni convenzionati è andato via via crescendo. Se la prima convenzione venne sottoscritta da 4 amministrazioni comunali, oggi i comuni coinvolti sono 41, alcuni dei quali fuori dai confini provinciali, con un bacino di utenza di circa 120.000 persone.

A lato dell’impianto è presente una struttura alberghiera, dotata di bar e ristorante di proprietà privata, costruita sul finire degli anni Sessanta e gestita da diversi imprenditori privati. Nel 1999 gli ultimi albergatori decisero di non rinnovarne l’affitto e la proprietà decise di conseguenza di vendere la struttura e le relative pertinenze, sulle quali insistono parte degli impianti utili al funzionamento della stazione sciistica.

Il servizio di ristorazione offerto era considerato dall’Amministrazione e dalla Pro loco come imprescindibile per il buon funzionamento dell’intera stazione e, dopo una prima fase in cui la stessa Pro loco si prese in carico la gestione della ristorazione, l’Amministrazione comunale decise di acquistare lo stabile per € 445.000, ripartiti tra il Comune, che versò il 5% del capitale acquisendone la proprietà, e la Provincia Autonoma di Trento che finanziò la spesa per il restante 95%. L’operazione attuata dal Comune, orientata anche alla ristrutturazione della struttura, fu quella di formalizzare una partnership con una società privata attiva nel mondo della ristorazione che, facendosi carico di parte della spesa, fosse interessata ad assumersi anche parte del rischio e la gestione successiva della struttura.

Alla pubblicazione dell’avviso pubblico da parte del Comune rispose solo una società, la Zodiac s.r.l., che impose la condizione di avere il 51% della proprietà in modo da tutelare l’investimento da possibili scelte politiche da parte delle giunte future. Venne così a crearsi la Silvia s.p.a., azienda partecipata dalla Zodiac s.r.l. e dal Comune di Borgo Lares con capitale sociale di € 2.100.000, che attraverso la contrazione di un mutuo di € 500.000 rese possibile l’avviamento della ristrutturazione dell’immobile e l’avviamento commerciale, a cui contribuì anche la Provincia Autonoma di Trento con una cifra di circa € 380.000.

La ristrutturazione coinvolse anche altre parti del complesso della struttura e del terreno circostante, di proprietà Comunale e dato in concessione alla Pro loco, per il noleggio delle attrezzature, e alla “Scuola sci e Snowboard Rainalter” di Madonna di Campiglio, che gestisce autonomamente corsi di sci sull’impianto di Bolbeno grazie al contributo dello Sci Club Bolbeno, organizzazione nata negli anni Sessanta che si occupa della gestione di eventi e competizioni sciistiche. Attraverso la ristrutturazione venne realizzato un ristorante e un bar, chiamato “La Contea”, che nel 2011 la società partecipata Silvia cedette in gestione alla società privata Gandalf s.r.l. (ex Zodiac s.r.l.) per un canone di affitto pari a € 55.000 all’anno. Oggi il funzionamento della stazione sciistica di Bolbeno può quindi contare sulla presenza di un servizio di ristorazione e bar nei pressi dell’impianto di risalita.

Un modello di gestione multi-stakeholder

Nel corso degli anni, l’investimento totale fatto dalle organizzazioni e dalle istituzioni che a vario titolo sono state coinvolte, è stimato attorno agli € 8.000.000, anche in considerazione delle attrezzature acquistate, dell’impianto di innevamento artificiale e della ristrutturazione dell’immobile. Tali risorse, benché siano riconducibili in larga parte all’intervento pubblico (per una cifra indicativa vicina ai € 7.000.000), derivano anche da contributi privati a titolo di sponsor (circa € 200.000) e dagli utili generati dalla gestione stessa della pista, che ha permesso di reinvestire circa € 500.000 in beni funzionali al progetto.

Tuttavia, gli attori che hanno contribuito agli investimenti per la stazione di Bolbeno sono mutati nel tempo. A seconda delle fasi storiche, infatti, alcuni attori hanno assunto ruoli chiave in funzione di determinate criticità, per poi lasciare quel ruolo una volta superato quel particolare momento. In questo modo, anche il network di soggetti che ha contribuito allo sviluppo del progetto è cambiato nel tempo, facendo sì che alcuni attori risultassero centrali all’interno della rete in particolari situazioni per poi farsi da parte o, addirittura, uscire dal network.

È il caso del BIM del Sarca, sebbene oggi non risulti essere centrale nel network gestionale, in alcuni momenti specifici ha rivestito il ruolo di soggetto chiave per il superamento delle problematiche. Nella fattispecie, le risorse apportate da questo ente sono principalmente di natura economica, grazie all’erogazione di contributi tanto nella fase di avviamento quanto per gli investimenti resisi necessari durante gli anni Novanta. È anche il caso del Comune di Tione, benché nella fase di avviamento abbia giocato un ruolo centrale in termini di apporto di risorse e competenze offrendo anche una base di persone direttamente coinvolte nel progetto e disposte a prestare il proprio lavoro volontario, negli anni ’90 si è ritirata dalla gestione diretta della stazione sciistica arrivando a rivestire oggi un ruolo simile a quello degli altri Comuni convenzionati.

Tra i soggetti che nel tempo hanno invece assunto un ruolo maggiormente centrale nella rete è possibile individuare il Consorzio per il Turismo Giudicarie Centrali, ente sovracomunale che si occupa della promozione turistica di quell’area geografica. La promozione e il marketing dell’impianto avviene, infatti, per mezzo del Consorzio, che è inoltre il mediatore tra la Pro loco e gli albergatori locali nella stipula di accordi per offrire tariffe agevolate a chi pernotti più di una notte presso le strutture alberghiere. Anche gli sci club sono organizzazioni che offrono flussi di utenti grazie all’organizzazione di competizioni agonistiche avallate dalla Fisi presso l’impianto, soprattutto grazie al ruolo di broker svolto dallo Sci Club di Bolbeno che ha connesso altri sci club all’impianto di Bolbeno. Un’altra società che negli anni novanta ha ricondotto parte della sua attività all’impianto di Bolbeno è la “Scuola Italiana Sci e Snowboard Rainalter” di Madonna di Campiglio. Ad oggi anche la Scuola di Sci rappresenta uno degli attori grazie ai quali è stato possibile offrire un servizio che potesse essere al pari delle stazioni concorrenti in termini di servizi. Grazie alla Scuola di sci è stato possibile, attraverso la convenzione stipulata tra i Comuni, coinvolgere gli Istituti scolastici (Scuole dell’infanzia e Scuole primarie) offrendo loro corsi a tariffe agevolate come previsto dalla convenzione che disciplina la gestione dell’impianto. Formalmente, infatti, è il Comune di Borgo Lares ad essere titolare della concessione funiviaria di servizio pubblico S 76h “Coste di Bolbeno”, che ne esternalizza la gestione per una durata quinquennale. Trattandosi di un servizio non avente rilevanza economica, la convenzione attraverso la quale la concessione è esternalizzata prevede che possano concorrere alla gestione solamente organizzazioni senza fini di lucro. Pertanto, la convenzione prevede che l’affidamento dei beni funzionali allo svolgimento delle attività connesse alla stazione sciistica sia concesso a titolo gratuito alla Pro loco di Bolbeno che si assume tutti gli oneri di gestione e le spese utili al buon funzionamento della stazione stessa. La Pro loco, inoltre, si fa carico delle spese di manutenzione ordinaria e degli oneri previdenziali e assicurativi del personale, che si registra in aumento e conta, nella stagione 2018-2019, un numero di 10 addetti.

La Provincia Autonoma di Trento ha rivestito un ruolo che nel tempo è andato mutando di fase in fase. Essa, oltre ad avere potere di revoca e di approvazione della concessione, ha investito nel progetto una rilevante quantità di risorse economiche. Ne è esempio il contributo per l’acquisto dell’immobile privato prospicente la pista che ha reso possibile l’avviamento dell’attività da parte della Silvia s.p.a., poi dato in gestione alla Gandalf s.r.l.

Nonostante le partnership formali, vi sono anche una serie di contributi da parte di altre associazioni locali non propriamente formalizzate, che vanno oltre alla gestione della stazione sciistica di Bolbeno, utili ad evidenziare la condivisione del progetto a livello locale. Sono quelle che la Pro loco di Bolbeno ha con la Pro loco di Zuclo (ovvero della frazione che, assieme a Bolbeno, forma il Comune di Borgo Lares), con la Pro loco di Tione, con il Coro Cima Tosa, con la sezione locale degli Alpini e con i Vigili del Fuoco volontari Bolbeno–Zuclo. Tali rapporti si esplicano principalmente nell’organizzazione di eventi congiunti, portando altre associazioni a prestare lavoro volontario per la gestione dell’impianto oltre ai volontari in seno alla Pro loco titolare della gestione.

Dalle interviste effettuate, risultano essere oltre 200 i volontari che a vario titolo prestano il proprio lavoro per attività riconducibili alla gestione della stazione sciistica, svolgendo mansioni che vanno dalle ore lavoro in biglietteria alla battitura e alla gestione dell’impianto di innevamento, ma comprendono anche attività di mediazione e brokeraggio con altre realtà quali gli istituti scolastici e i Comuni. Di conseguenza, il modello gestionale che nel tempo è venuto costruendosi è una particolare commistione tra intervento pubblico, privato e terzo settore, in cui la stretta cooperazione tra più enti ha portato il progetto a consolidarsi nel tempo come realtà sciistica a servizio dell’intero contesto locale. Tale legittimazione è dipesa fortemente dall’ambiguità dei rapporti tra la Pro loco, il Comune e la società privata di ristorazione. A seconda delle esigenze, infatti, esse hanno potuto assumere un ruolo tale per cui il funzionamento della stazione sciistica non fosse compromesso. In questo, un ruolo centrale è stato svolto dai soggetti che rivestivano e rivestono le cariche di rappresentanza istituzionale all’interno delle organizzazioni private e delle istituzioni pubbliche, tali per cui è stato possibile adottare il metodo di lavoro precedentemente accennato.

Discussione dei risultati

La rete e gli attori: tra forza dei legami e capitale sociale

Gli attori a cui è da ricondurre la leadership nella gestione del progetto, ovvero i soggetti che presentano il numero maggiore di rapporti con gli altri enti, sono fondamentalmente quattro: il Comune di Borgo Lares (ente pubblico), la Pro loco di Bolbeno e lo Sci club (enti non profit) e la società Gandalf s.r.l. (ente profit). A questi attori, a cui è possibile attribuire un ruolo fondamentale nel modello di governance, vanno aggiunte altre organizzazioni che contribuiscono attivamente alla gestione del progetto di sviluppo che ruota attorno all’impianto sciistico, come la Scuola di Sci Rainalter, che tiene i rapporti con lo Sci club funzionali all’organizzazione dei corsi destinati agli istituti scolastici e il Consorzio Turistico, attore a cui sono affidati il marketing e la comunicazione. Infine, rivestono un ruolo rilevante la sezione locale degli Alpini e dei Vigili del Fuoco Volontari di Zuclo e Bolbeno.

Tutte queste organizzazioni così come i loro componenti, risultano essere legati tra loro attraverso un complesso intreccio di legami forti e deboli, che li mettono in relazione tanto in modo orizzontale quanto in verticale. Ciò significa che anche organizzazioni tra loro diverse come il Comune e la Pro loco, sono legate non tanto grazie a legami deboli frutto della cooperazione per il progetto, quanto piuttosto attraverso legami forti che intercorrono tra i loro componenti. I dati ricavati dalle interviste, infatti, evidenziano come le organizzazioni a cui è stata ricondotta la leadership hanno anche componenti legati tra loro attraverso legami di parentela di primo e secondo grado. I componenti di queste organizzazioni, inoltre, hanno dichiarato nelle interviste di condividere non solo il tempo di lavoro/volontariato all’interno del progetto, ma anche parti del tempo libero. Tale dinamica è meno netta, invece, quando ci si allontana dal centro della rete, dove i legami forti diminuiscono e si evincono maggiormente relazioni e legami deboli funzionali alla riuscita del progetto. Le reti personali degli attori coinvolti sono, quindi, una risorsa importante, ma la loro capacità di incidere positivamente nei processi di sviluppo socio-economico risiede nel modo in cui questi attori utilizzano le proprie reti (Trigilia, 1999; Provasi, 2004). Nel caso analizzato, benché esistano attori chiave ritenuti dagli altri soggetti coinvolti come indispensabili per il proseguimento del progetto, tali attori sono stati costantemente coadiuvati da una rete di altri attori a loro volta necessari per l’espletamento di una serie di attività funzionali all’utilizzo efficace ed efficiente dell’impianto.

Un ulteriore elemento di analisi è suggerito dal fatto che, all’interno della rete, anche gli attori più distanti sono percepiti come parte integrante della rete stessa. Infatti, alla domanda relativa alla valutazione di un eventuale uscita dal progetto di uno qualsiasi degli attori (pubblici, privati o non-profit), gli intervistati delle quattro organizzazioni principali (Amministrazione comunale, Pro loco, Sci club, Gandalf s.r.l.), hanno risposto all’unanimità indicando come molto negativa l’uscita di ciascun attore, senza distinzioni di sorta. Parimenti, anche gli attori maggiormente periferici hanno dato, per la maggior parte, parere molto negativo valutando la possibilità di un’uscita dal progetto di uno qualsiasi di quegli attori.

Anche altri aspetti del quadro teorico trovano riscontro nell’analisi empirica. Si consideri, tuttavia, che lo strumento di analisi adottato (network analysis) si concentra sulla rete di attori che sono funzionali oggi alla gestione del progetto. Per questo motivo alcuni dei soggetti che in passato hanno rivestito un ruolo rilevante nel processo di costituzione dell’attuale assetto gestionale non sono rappresentati nel network attuale o, quando rappresentati, assumono un ruolo marginale. In questo senso è da sottolineare come la rete di organizzazioni (Fig. 2) non solo si è modificata in termini di ruoli rivestiti da ciascun attore, ma è andata nel tempo allargandosi.

In termini generali, questo evidenzia una crescente condivisione delle finalità del progetto anche da parte di attori non coinvolti sin dall’inizio del processo. Inoltre, la gran parte degli attori che nel tempo sono entrati a far parte della gestione del progetto, non vi sono entrati sulla base di ragioni economiche, quanto piuttosto per la possibilità di realizzare i propri interessi, tanto a livello di organizzazione quanto di singole persone, in un contesto nel quale tali interessi non sono dissimili da quelli del progetto e della rete nel suo complesso (Sacchetti, Sudgen, 2003; Sacchetti, Tortia, 2008; Tortia, 2008).

Inoltre, il modificarsi della rete di organizzazioni è segno di un processo di diffusione e trasmissione di alcuni valori e comportamenti da parte delle organizzazioni partecipanti (ne è esempio eclatante il lavoro volontario da parte di vari attori della rete), che sembra suggerire una capacità di generazione e rigenerazione di capitale sociale da parte dei processi innescati dal progetto. Ciò trova riscontro in quella parte della letteratura che non vede il capitale sociale come una risorsa path dependent, ma come una risorsa che può essere almeno in parte generata attraverso politiche, progetti e interazioni sociali che mutano le condizioni di partenza del contesto analizzato (Borzaga, Sforzi, 2014). È secondo questa accezione che dev’essere letta la capacità del progetto di modificare le condizioni pregresse, andando a creare una minore incertezza nei comportamenti degli attori, alimentando processi collaborativi, creando fiducia e reciprocità utile ad orientare e coordinare la rete di organizzazioni (Burt, 1995; Trigilia, 1999; Piselli, 2005).

Inoltre, la struttura della rete (Fig. 2) non sembra presentare evidenti buchi strutturali tali da generare posizioni di subordinazione tra gli attori (Burt, 1995; 2005). In altri termini, benché alcuni attori siano in posizioni tali da poter potenzialmente assumere un ruolo di controllo delle informazioni, ciò non avviene in ragione dei rapporti fiduciari e in ragione dei ruoli che gli attori assumono all’interno della rete. Infatti, gli attori intervistati hanno dichiarato di essere parte del progetto grazie ad una scelta consapevole e funzionale alle proprie esigenze, e non sottolineano la necessità di reperire informazioni o risorse attraverso la rete. Ciò è principalmente dovuto al fatto che la rete utile alla gestione del progetto non è l’unica entro la quale gli attori sono inseriti e non rappresenta perciò la sola possibilità per ciascuna organizzazione di soddisfare i propri bisogni.

Figura 2. Mappa degli attori ricavata attraverso la Network Analysis

Alcuni punti sulla governance multi-stakeholder

Il complesso modello di governance descritto deve la sua forma soprattutto all’Amministrazione comunale e alla sua capacità di riconoscere le competenze dei vari attori e assegnare a ciascun di loro un compito, riuscendo in seguito a costruire tra i vari soggetti coinvolti relazioni fiduciarie e stabili nel tempo. In questo senso l’Amministrazione comunale ha dimostrato la capacità di mettere insieme diversi fattori produttivi locali al fine di raggiungere scopi che si configurano nelle sfere del sociale tentando di generare benefici per un’intera collettività. In altre parole, ha svolto il ruolo di attivatore sociale abilitando altre organizzazioni alla presa in carico di funzioni e responsabilità specifiche.

Benché l’affidamento dell’impianto alla Pro loco di Bolbeno risulta essere una formalizzazione di un’iniziativa spontanea che l’Amministrazione non avrebbe potuto gestire internamente, questo ha avuto un effetto abilitante sulla comunità locale nella misura in cui ha permesso la nascita di altre associazioni che basano la loro attività proprio sull’impianto sciistico, contribuendo ad incentivare la diffusione di valori sociali, fiducia e reciprocità.

È interessante sottolineare come il modello di governance adottato non è il frutto di una scelta consapevole, quanto piuttosto l’esito di un lungo processo di costruzione di significati e consolidamento di ruoli. Ciò ha permesso che, nel tempo, alcuni attori venissero a rivestire ruoli cruciali grazie al fatto di assumersi delle responsabilità e svolgere delle attività proprie in seno al progetto. Per questo motivo il modello di governance multi-stakeholder è da considerarsi come l’esito del processo di costruzione del progetto in un contesto interattivo. Nel tempo, infatti, gli attori che facevano parte della rete hanno spinto altri attori a prenderne parte, come nel caso della Pro loco che ha attratto altre associazioni a prendersi in carico di alcune attività. Ma è anche il caso degli Istituti scolastici e degli altri Comuni, provenienti tanto dal contesto locale quanto extra-locale, che sono stati via via coinvolti e inclusi nella gestione del progetto con differenti modalità. Di conseguenza il modello di governance non nasce da una decisione pianificata in precedenza, quanto piuttosto è l’esito di un processo aperto che ha avuto inizio con il progetto stesso.

Un punto da sottolineare è che gli attori della rete partecipano congiuntamente, seppur in misura variabile, alla definizione degli “standard” del servizio. Ciò significa poter considerare il modello di gestione adottato come un modello inclusivo, in quanto anche il destinatario finale del servizio può prendere parte alla gestione del progetto andando a modificare i tratti del servizio su quel particolare target (Sacchetti, Tortia, 2008; Borzaga, 2015), che a sua volta modifica il comportamento degli altri attori della rete.

Inoltre, questo modello di gestione fondato sulla cooperazione tra più attori come meccanismo di coordinamento (Borzaga, Tortia, 2017), si dimostra funzionale non solo a garantire benefici per i soggetti direttamente coinvolti, ma anche a generare valore socio-economico per l’intera comunità locale. Grazie alla cooperazione tra i vari attori, infatti, vengono favoriti anche processi di apprendimento circa le necessità, le opportunità e le aspettative degli attori stessi (dai fornitori sino ai destinatari) ma anche della comunità locale. È quindi l’individuazione di un insieme di interessi comuni tra più attori a permettere la condivisione di competenze, strategie e risorse, rendendo possibile il perseguimento contemporaneo di scopi plurimi.

Dalle interviste è emerso come questo modello di governance sia, infatti, funzionale alla soluzione di aspetti critici o problematici grazie all’assegnazione di funzioni diverse ai differenti soggetti della rete che, a seconda delle esigenze da soddisfare, attivano risorse e reti esterne differenti. Un esempio in questa direzione è rappresentato dalle fonti di finanziamento e dalla necessità, in alcuni casi, di reperire contributi straordinari per i quali è necessaria l’attivazione di una rete di soggetti collegata all’Amministrazione comunale, come la Provincia Autonoma di Trento o il BIM del Sarca. Dalle interviste i due enti hanno manifestato di intrattenere rapporti stretti con l’Amministrazione comunale e con la Pro loco in qualità di ente gestore dell’impianto, mentre hanno rapporti minimi o nulli con il resto della rete. Un altro esempio riguarda il Consorzio Turistico delle Giudicarie, che svolge le funzioni di comunicazione e marketing anche attraverso il rapporto con gli albergatori che esso possiede grazie alle attività che non riguardano il progetto analizzato. Esso opera principalmente con la Pro loco e, in misura minore, con l’Amministrazione comunale, con la Gandalf s.r.l. e lo Sci club.

Gli aspetti gestionali dell’impianto sono riservati alle due associazioni, la Pro loco e lo Sci club. Alla prima è inoltre affidata la manutenzione e la gestione ordinaria dell’impianto, attività a cui vanno ricondotte le opportunità d’impiego presso il noleggio, la biglietteria e l’impianto di risalita. Alla seconda è riservata l’organizzazione di eventi coadiuvata dalla sezione locale degli Alpini. La Gandalf s.r.l., gestendo il servizio di ristorazione, si interfaccia principalmente con l’Amministrazione comunale, con la Pro loco, con lo Sci club e con la Scuola di Sci Rainalter per organizzare il servizio in relazione alle presenze previste.

Fondamentale, nel promuovere il processo di azione collettiva che si è concretizzato è stata, almeno al principio, la presenza di un gruppo promotore (MISE, 2016; Sforzi, Zandonai, 2018), un ristretto gruppo di persone, composto da rappresentati sia del pubblico che dell’associazionismo locale, da cui è dipeso il successo (come sarebbe potuto essere il fallimento) dell’iniziativa stessa. In particolare, da questo studio di caso emergono due aspetti rilevanti: l’importanza dei legami forti all’interno di una piccola comunità (sono diversi i soggetti che rivestono ruoli tanto nella Pro loco, quanto nello Sci club o nell’Amministrazione comunale) e la capacità di questi attori di utilizzare questi legami non per soddisfare interessi personali, ma per generare fiducia, condividere le risorse, le prospettive di sviluppo e la gestione del progetto e perseguire così obiettivi realmente di interesse comunitario. Detto in altri termini, i network locali attivati e attivabili in funzione delle esigenze da soddisfare sono sì legati ai rapporti tra i soggetti rappresentanti degli enti, ma grazie ad un modello di governance aperto e inclusivo questi sono stati messi a fattor comune della propria comunità di riferimento per favorire l’ingresso e la partecipazione di altri attori esterni alla rete.

I meccanismi di coordinamento

Un altro tema emerso dalle interviste riguarda la rilevanza dei meccanismi informali di coordinamento tra le organizzazioni della rete. Infatti, i processi decisionali ed il coordinamento delle attività sembrano essere gestiti prevalentemente tramite interazioni informali tra i soggetti coinvolti, che vengono poi formalizzati attraverso riunioni periodiche o atti da parte del Comune. Ciò sembra sottolineare ancora una volta come i legami forti incidano sulla riuscita del progetto, reso possibile non solo dalla prossimità di interessi fra i diversi attori, ma anche dalla prossimità geografica tra gli attori che rivestono i ruoli centrali nella gestione del progetto.

Nonostante gli incontri formali abbiano più uno scopo informativo che deliberativo, in quanto le decisioni sono il risultato di accordi ed interazioni informali avvenute tra gli attori in precedenza, gli intervistati considerano comunque fondamentali tali incontri e nessuno si sente escluso dal processo decisionale. Tutti gli attori, infatti, affermano di non sentirsi esclusi dal processo decisionale e di avere un potere di influenza sulle decisioni da prendere, benché tale potere non sia formalizzato e vari a seconda degli ambiti e dei rispettivi ruoli rivestiti.

Come è stato sottolineato, è grazie alle relazioni fiduciarie tra le persone e tra le organizzazioni che è possibile adottare dei meccanismi di coordinamento informali capaci di ridurre la complessità e l’incertezza dei comportamenti della rete. Tali rapporti di fiducia riescono anche a far sì che i costi di coordinamento della rete non risultino vincolanti dal punto di vista della governance, in quanto la cooperazione avviene su basi spontanee e volontaristiche con una grande condivisione della mission generale del progetto.

La governance allargata che la struttura della rete evidenzia, sembra anche essere stata funzionale dal punto di vista della strategia di impresa. Infatti, dalle interviste traspare come i momenti di coordinamento siano serviti ad assumere consapevolezza circa il mercato di riferimento e le sue esigenze, in questo caso legato al turismo invernale. Nel tempo, le organizzazioni responsabili della gestione dell’impianto hanno sempre più puntato su un target specifico di utenza, quello dei neofiti e degli sciatori occasionali, per i quali non esiste una vera e propria offerta da parte delle altre stazioni sciistiche presenti sul mercato locale. In questo senso va intesa la capacità di influenza delle strategie progettuali da parte degli attori coinvolti anche informalmente, evidenziando la permeabilità della rete ai soggetti esterni tanto in termini di gestione quanto di progettazione. L’ampliamento della rete ha inoltre permesso, nel tempo, di raggiungere la sostenibilità economica dell’iniziativa. Le convenzioni realizzate con i diversi comuni, attraverso le quali si istituzionalizzano nuove reti di relazioni con altri attori, sono un ulteriore elemento per evidenziare i meccanismi di coordinamento all’interno della rete. Durante i corsi di sci offerti agli istituti scolastici presenti nei comuni convenzionati, la società gestrice e co-proprietaria della struttura ristorativa offre all’utenza il pasto senza ristorni economici da parte dell’Amministrazione comunale o della Pro loco. Questo non avviene solamente per rispondere a inclinazioni sociali della mission aziendale, ma anche grazie ad una reciproca convenienza maturata attraverso la cooperazione tra le varie organizzazioni. In altri termini, il fare insieme non è legato solo a motivazioni intrinseche di tipo idealistico, ma anche da necessità materiali di condivisione per competere in modo più efficace ed efficiente in un mercato dove altrimenti non si sarebbero trovati margini di azione.

Interessante rispetto a questo è il commento di uno degli attori intervistati, tra i responsabili della società gestrice del servizio ristorativo nei pressi della pista:

Il giorno di Natale potremmo fare “servizio ristorante” e non self-service per chi scia. Sicuramente guadagneremmo di più. Ma verrebbe meno quel rapporto di collaborazione e fiducia che abbiamo con la Pro loco e con l’Amministrazione comunale. Il resto dell’anno è anche grazie alla pista di sci che riusciamo a lavorare. (Gandalf s.r.l.)

La presenza nella rete di imprese for-profit, come la Scuola di sci Rainalter e la Gandalf s.r.l., è considerata in modo unanime come una risorsa positiva e rilevante in quanto capace di offrire opportunità occupazionali all’interno del territorio. Nella stessa direzioni vanno le considerazioni emerse dalle interviste fatte agli amministratori della Scuola di sci Rainalter, nelle quali viene evidenziato come la sostenibilità economica della propria attività sull’impianto sia orientata a coprire i costi di gestione, rinunciando volontariamente ad eventuali fonti di guadagno alternative che sarebbero facilmente ricavabili dalla stazione sciistica di Madonna di Campiglio, dove la Scuola opera parallelamente.

La sostenibilità economica di tutta l’iniziativa, non solo la nostra, dipende da questo sistema [gestionale]. Se non ci fosse il volontariato non si potrebbe operare lì. Si consideri comunque che anche la Pro loco, oltre ai volontari, ha personale assunto. È un sistema dove ognuno è funzionale all’altro. Se non ci fosse lo Sci club non si avrebbe sufficiente utenza. L’utenza comporta la gestione dell’impianto, che non si farebbe senza la Pro loco. Questo comporta anche assistenza, che facciamo noi come scuola di Sci, e comporta anche la necessità di offrire servizi di ristorazione. (Scuola di Sci e Snowboard Rainalter)

Le imprese coinvolte nel progetto scelgono di rinunciare spontaneamente, e non attraverso vincoli contrattuali formalizzati, a parte del proprio profitto per offrire servizi che sono funzionali alla sostenibilità economica del progetto. Durante i corsi di sci riservati agli Istituti scolastici dei comuni convenzionati, agli utenti è offerto gratuitamente il pasto presso la struttura ristorativa senza per questo ricevere compensi economici da parte delle altre organizzazioni appartenenti alla rete. Durante l’intervista ai responsabili della società gestrice dell’impianto, essi hanno dichiarato che la rinuncia a parte del proprio profitto avviene in maniera spontanea, nella consapevolezza che tale rinuncia è funzionale tanto alla sostenibilità economica dell’iniziativa (in questo caso l’offerta di corsi di sci a prezzi ridotti per gli studenti) quanto agli aspetti riconducibili al marketing e alla fidelizzazione degli utenti. L’esigenza emersa da questo attore è infatti anche quella di destagionalizzare l’attività e garantirne il funzionamento nei mesi in cui l’impianto non è in attività.

In questo senso anche le imprese – grazie ad una governance del progetto capace di mettere a valore la disponibilità e la necessità alla cooperazione tra più attori e basata su meccanismi diversi da quelli del solo profitto – possono concorrere alla produzione di beni e servizi d’interesse pubblico. È questo un dato particolarmente significativo del caso analizzato, in quanto la cooperazione tra attori pubblici e del non-profit ha attratto, nel tempo, anche imprese for profit che partecipano alla gestione diretta del progetto, tralasciando le imprese for profit che figurano come sponsor e che sono state solo brevemente citate. Ciò che è rilevante sottolineare è che all’interno della stessa rete agiscano associazioni di volontariato, che basano il loro operato su prerogative sociali, organizzazioni e istituzioni pubbliche, che perseguono per loro natura fini pubblici, e imprese for profit operanti nel mercato. Queste ultime, pur operando in un’ottica privata, orientano il loro operato e lo coordinano con le altre organizzazioni appartenenti alla rete non solo in termini di esternalità, ma prendendo parte diretta alla gestione di alcuni tipi di servizi basati, invece, sulle attività delle altre organizzazioni.

Le particolari condizioni che sono venute a crearsi a Bolbeno hanno fatto sì che organizzazioni eterogenee potessero cooperare, ciascuna perseguendo il proprio scopo, e arrivare a comporre in questa modo uno scopo più rilevante dal punto di vista sociale e dello sviluppo locale, riattivando risorse latenti e creando nuove possibilità per il borgo. Il caso sembra così essere significativo dal punto di vista della capacità di coordinamento tra più attori che, sulla base della condivisione dei bisogni, scelgono di perseguire gli scopi della comunità cui appartengono o hanno scelto di appartenere (Sforzi, Zandonai, 2018). È secondo questa via che gli interessi individuali e delle singole organizzazioni, inoltre, possono convergere verso gli interessi di una intera comunità.

Conclusioni

Il caso appena descritto, legato alla gestione comunitaria di un impianto sciistico nel comune di Borgo Lares, si classifica come un’esperienza di sviluppo innovativa in quanto il modello di governance adottato dalle organizzazioni che partecipano al progetto ha stimolato la partecipazione di attori diversi, che hanno scelto di cooperare per un fine comune. Il caso dimostra come, grazie a un assetto gestionale di questo tipo, anche istituzioni pubbliche, imprese private ed enti di terzo settore possono cooperare per concorrere alla produzione di beni e servizi tesi ad un fine diverso da quello della massimizzazione del profitto, riuscendo non solo a creare opportunità occupazionali, ma anche a rendere la comunità protagonista attiva del processo di sviluppo locale.

Le associazioni di volontariato coinvolte sono funzionali alla gestione dell’impianto, le imprese private rendono possibile l’offerta di un servizio elevato in grado di far competere la stazione sciistica sul mercato turistico locale, infine le istituzioni pubbliche sono necessarie per la costruzione di strategie di sviluppo in relazione alla legittimazione che il progetto ha acquisito negli anni, grazie alla quale è possibile attrarre investimenti con maggior facilità. Va inoltre sottolineato che il principale ruolo svolto dal Comune è quello di abilitatore degli attori locali, in quanto ha permesso a numerosi attori presenti in quello specifico contesto di prendere parte ai processi decisionali e gestionali dell’impianto. Oggi, l’obiettivo del Comune è quello di ridimensionare progressivamente il proprio ruolo all’interno del progetto delegandolo agli attori sociali. Tuttavia, essendo esso l’ente proprietario e istituzionalmente deposto alla richiesta di finanziamenti da parte di istituzioni pubbliche di ordine superiore (come per es. la Provincia autonoma di Trento), ad esso rimane il compito degli interventi di natura straordinaria sull’impianto sciistico.

Il processo di sviluppo del progetto di Bolbeno, evidenzia inoltre come i legami e le reti costituiti nel tempo abbiano influenzato positivamente la riuscita del progetto. Da questo studio di caso, ciò che emerge e si intende in sintesi sottolineare è come le reti e i tipi di legami tra gli attori rappresentino dei fattori chiave per comprendere i processi di sviluppo locale (Trigilia, 1999; Piselli, 2005; Carrosio, 2013). Nel caso in analisi, tuttavia, è difficile stimare se la creazione di queste reti sia dovuta a condizioni pregresse piuttosto che ad attività finalizzate alla loro creazione. In questo articolo, infatti, l’attenzione è stata focalizzata non tanto sulla presenza o meno di un elevato livello di capitale sociale, quanto sulla capacità del progetto e degli attori coinvolti di creare reti di relazioni, così da poter comprendere il ruolo che queste hanno avuto per la buona riuscita del progetto stesso. La riflessione è stata posta, quindi, sul modello di governance che gli attori hanno spontaneamente assunto piuttosto che su come sia stato possibile adottarlo.

In conclusione, la scelta di un modello di governance multi-stakeholder e inclusivo ha reso possibile non solo la nascita di una rete di organizzazioni locali funzionali alla gestione dell’impianto, ma ha anche permesso di mettere a valore (sociale) il ruolo di attori privati che perseguono fini privati, facendoli cooperare congiuntamente per il bene comune. Ciò rappresenta l’elemento di maggiore replicabilità in contesti simili del caso analizzato, soprattutto in quei contesti dove si registra una forte coesione interna e una disponibilità da parte delle istituzioni a farsi attori abilitanti delle risorse latenti. Come nel caso di Bolbeno analizzato in questo articolo, o in altri (Belliggiano et al., 2017; Sforzi, 2018b), le amministrazioni locali dimostrano di poter contribuire attivamente alla creazione di nuovi luoghi di interazione, intesi come costruzioni sociali risultanti da un continuo scambio e dialogo tra differenti attori che scelgono di lavorare o vivere in un dato contesto, sostenendo e stimolando processi di cambiamento culturali ed economici.

In questo caso, è stato proprio l’incoraggiamento della partecipazione e della cooperazione tra i vari attori ad offrire nuove e più ampie possibilità alla comunità perché si facesse carico delle proprie traiettorie di sviluppo, soprattutto in un contesto complesso come lo sono quelli interni.

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Note

  1. ^ L’acronimo BIM sta per Bacino Imbrifero Montano. Si tratta di un consorzio che raccoglie tutti i comuni ricadenti in un determinato bacino imbrifero le cui acque sono sfruttate per la produzione di energia elettrica. I concessionari delle derivazioni di acqua sono tenuti al versamento di sovracanoni idrici al BIM in ragione dello sfruttamento delle risorse idriche. Scopo dei BIM è la redistribuzione di tali risorse all’interno dei comuni che lo costituiscono.
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