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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Diritto
data:  15 novembre 2021

Dalla patologia delle sentenze alla fisiologia della prassi

Luca Gori

Ogni pronunciamento del giudice amministrativo su procedimenti di amministrazione condivisa determina una certa fibrillazione; ma va tenuto a mente che quando si arriva alle aule di un tribunale si ha a che fare con sospette patologie, non con l'ordinarietà, descritta nelle linee guida e praticata da centinaia di enti.


Ogni volta che è pubblicata una pronuncia del giudice amministrativo in tema di co-progettazione (art. 55) o convenzioni (art. 56) nel Codice del Terzo settore, puntualmente, c’è un sussulto nelle pubbliche amministrazioni e negli enti del Terzo settore. Credo sia un effetto dello shock derivante (ancora) dalla doccia fredda del parere n. 2052 del 2018 del Consiglio di Stato il quale, ritenendo all’epoca di dover ridurre fortemente la portata applicativa degli artt. 55 e 56 del Codice, ha determinato uno strascico di rallentamento e perplessità negli enti pubblici. Quei dubbi giuridici di coordinamento fra Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016) e Codice del Terzo settore – ulteriormente alimentati dalla posizione dei giudici di Palazzo Spada sulla competenza dell’ANAC ad adottare delle Linee guida[1]  - sono stati successivamente risolti dall’importante pronuncia della Corte costituzionale n. 131 del 2020 e dalla successiva – fondamentale - modifica normativa di coordinamento del Codice dei contatti pubblici medesimo col Codice del Terzo settore, nonché dall’emanazione del D.M. n. 72 del 2021, contenente Linee guida in tema di co-programmazione, co-progettazione, accreditamento e convenzioni.

            Tale tipo di sussulto si è verificato in occasione di una recente pronuncia del Consiglio di Stato (sez. V, 7 settembre 2021, n. 6232). I giudici amministrativi hanno censurato la scelta di un Comune di affidare mediante co-progettazione ad un soggetto del Terzo settore la gestione di una spiaggia attrezzata comunale destinata a persone con disabilità, con la puntualizzazione nell’avviso di determinati requisiti relativi al tipo di servizio da offrire. In precedenza, tale gestione era stata affidata ad un soggetto for profit, selezionato tramite procedura ad evidenza pubblica, che poi ha impugnato il procedimento di co-progettazione indetto dal Comune. La censura si è mossa in più direzioni.

            Il Consiglio di Stato ha accolto quella ritenuta assorbente a tenore della quale mancherebbe «il requisito della gratuità del servizio», il quale «giustifica l’impiego delle procedure di affidamento con selezione limitata ai soggetti del terzo settore» (corsivo nostro). Si tratta di un assunto che, alla luce della normativa vigente (o, come si direbbe: del diritto vivente) così come interpretato dalla Corte costituzionale e dalle Linee guida, pare essere non condivisibile[2]. Non è infatti quella nozione di gratuità totale intesa «conseguimento di un aumento patrimoniale da parte della collettività, cui corrisponde una sola la mera diminuzione patrimoniale di altro soggetto, ossia il prestatore del servizio[3]» che giustifica il ricorso alla co-progettazione. Stupisce per la mancanza totale di un richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale (n. 131 del 2020) e della modifica del Codice dei contratti pubblici in funzione di coordinamento col Codice del Terzo settore. Su questo aspetto, la linea seguita dal Consiglio di Stato appare errata.

            Ben altra rilevanza ha invece la censura rivolta all’errato impiego della co-progettazione nel caso di specie. Come è noto, ciò che legittima la co-progettazione è la volontà di condividere risorse fra Terzo settore e P.A. la costruzione dello specifico progetto di servizio o intervento. Nella sentenza, invece, si rileva come non vi sia stato alcuno alcun atto di indirizzo politico che enunci tale volontà, o una co-programmazione all’origine del procedimento (non obbligatoria, ma senz’altro opportuna per rendere chiari gli obiettivi perseguiti dall’amministrazione) né alcuna specifica co-progettazione intesa come “condivisione” di risorse, bensì solo l’affidamento sotto mentite spoglie di un servizio attraverso una procedura riservata, senza specifica motivazione, al Terzo settore. In altri termini, non emerge in alcun modo il perché un servizio affidato in precedenza, a titolo oneroso, ad un operatore del mercato sia transitato all’interno della disciplina dell’amministrazione condivisa. Qui sta il vero vulnus del procedimento intrapreso dal Comune, l’elemento di debolezza e di distonia rispetto al quadro normativo vigente. Quest’ultimo aspetto non è affatto da affrontare «per completezza di analisi», quasi ad abundatiam, come afferma il giudice amministrativo, bensì costituisce il cuore “pulsante” della sentenza. 

            Al di là del caso specifico e nonostante il progressivo chiarimento del quadro giuridico, è innegabile che, ad ogni sentenza del giudice amministrativo – TAR o Consiglio di Stato – si registrino una fibrillazione e delle domande inquiete. Quasi a dire che, in fondo, rimanga pur sempre un “dubbio” sulla effettiva legittimità o, comunque, una certa percezione di una eccezionalità di quei procedimenti di «amministrazione condivisa». Mi pare che sia questa una sorta di spia di una cultura giuridica ed amministrativa che, ancora, non si è sedimentata pienamente. Eppure – come alcune ricerche recenti mettono in evidenza[4] – quella della co-programmazione e della co-progettazione (nella legge 328/2000) e, ancora di più, delle convenzioni (nella legge 266/1991!) è una storia antica, sebbene abbia avuto una sorta di periodo di lungo “letargo”.  

            È importante, allora, acquisire una prospettiva di metodo.

            La giurisprudenza amministrativa arricchisce indubbiamente la comprensione generale degli elementi sostanziali e procedimentali dell’amministrazione condivisa. Ma non si può dimenticare come essa, da un lato, sia legata a singoli atti, procedimenti e scelte amministrative di un determinato ente pubblico. Non si può, quindi, prescindere dalla ricostruzione del fatto, affermando principi di diritto in astratto. La connessione esistente fra fatto e diritto è un dato metodologico da considerare con particolare accuratezza. Nella sentenza sopra rammentata, ad es., si può constatare come vi sia stato un passaggio repentino da parte del Comune fra un affidamento tramite Codice dei contratti pubblici verso la co-progettazione, senza un percorso politico ed amministrativo argomentato e strutturato (almeno a quanto si può comprendere).

            Per altro verso, vi è l’ineludibile necessità che la giurisprudenza si sedimenti nel corso del tempo, metabolizzando le diverse novità che sul tema sono arrivate in rapidità (e che costringono il giudice amministrativo a rivedere le proprie posizioni, percorso non facile: la “rottura” nella continuità dei precedenti in giurisprudenza è sempre un evento a suo modo drammatico). Su questo c’è qualche difficoltà, inutile negarlo. Ma si deve tenere conto che tale giurisprudenza è originata pur sempre da (sospette) patologie del procedimento. Esse, cioè, non affrontano usualmente la fisiologia dell’amministrazione condivisa ma – come è naturale – esaminano le distorsioni della stessa. Al contrario, la fisiologia è descritta, estensivamente, dalle Linee guida ministeriali, dalle Linee guida eventualmente adottate da Regioni ed enti locali, dalle leggi regionali  e dai regolamenti locali in materia. E la fisiologia è rappresentata pure dai moltissimi avvisi per co-programmazione e co-progettazione che si vanno diffondendo in Italia e che, magari con difficoltà, giungono al termine senza sfociare davanti al giudice. Se, dopo l’approvazione del Codice del Terzo settore, il dato giurisprudenziale ha riempito lo spazio bianco lasciato dalla norma (tanto che – su Impresa sociale – si evocava l’esistenza di tanti giudici e di poco legislatore[5]), oggi, invece, il diritto positivo, sia sul piano delle norme primarie (statali e regionali), sia sul piano della c.d. soft-law c’è, per fortuna, ed è a quello che Terzo settore e P.A. deve guardare prioritariamente, assumendolo come parametro di riferimento.

             

  

[1] Cfr., sul punto, Cons. St. n. 3025/2019, contenente parere su Linee guida recanti indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali elaborate da ANAC, in revisione delle precedenti del 2016 (deliberazione ANAC n. 32 del 2016).

[2] Sebbene si tratti solamente di un documento in consultazione, la bozza di Linee Guida ANAC sull’affidamento dei servizi sociali, con riferimento alle ipotesi estranee all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, precisa che essa si riferiscono anche ai casi di onerosità (https://www.anticorruzione.it/-/schema-di-linee-guida-recanti-%C2%ABindicazioni-in-materia-di-affidamenti-di-servizi-sociali%C2%BB?inheritRedirect=true&redirect=%2Fconsultazioni-online.).

[3] Sotto questo profilo, si precisa, «la effettiva gratuità si risolve contenutisticamente in non economicità del servizio poiché gestito, sotto un profilo di comparazione di costi e benefici, necessariamente in perdita per il prestatore» (pag. 14 del parere cit.). Il che significa che deve escludersi qualsiasi forma di remunerazione, anche indiretta, dei fattori produttivi (lavoro, capitale), potendo ammettersi unicamente il rimborso delle spese («le documentate spese vive, correnti e non di investimento, incontrate dall’ente»: pag. 21 del parere).

[4] Si può vedere, per una convincente ricostruzione sul piano dell’evoluzione normativa, il volume di E. Frediani, La co-progettazione nei servizi sociali. Un itinerario di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2021. 

[5] Sia consentito il richiamo al mio intervento https://www.rivistaimpresasociale.it/forum/articolo/tanti-giudici-e-poco-legislatore-a-proposito-di-rapporti-p-a-terzo-settore

Rivista-impresa-sociale-Luca Gori Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa

Luca Gori

Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa

Ricercatore presso l'Istituto di Diritto, Politica e Sviluppo, Scuola Sant'Anna di Pisa.

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