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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  3 minuti
Argomento:  Attualità
data:  18 dicembre 2021

Ci sono tante Italie

Gianfranco Marocchi

Un'Italia solidale, generosa, fatta di slanci, capace di innovazioni che l’Europa ammira e copia. Un'altra risentita e bottegaia, sospettosa, un po’ razzista. Non solo cittadini e opinionisti, ma anche chi siede nelle istituzioni, dalla politica alla magistratura, viene da una delle due Italie.


Leggendo le stimolanti riflessioni a partire dal caso Riace proposte nell'articolo di Galera, Giannetto e Pisani pubblicato sul numero 4/2021 di Impresa Sociale , resta un interrogativo: come è possibile? Come è possibile che quanto agli occhi di alcuni – degli autori, miei, di tante persone impegnate nel sociale – appare pratica encomiabile e modello da imitare, per altri sia invece obiettivo da attaccare, distruggere, denigrare?

Il fatto è che ci sono tante Italie.

C’è una prima Italia solidale, generosa, fatta di slanci, capace di innovazioni che l’Europa ammira e copia, come nel caso dell’impresa sociale. C’è una seconda Italia, risentita e bottegaia, sospettosa, un po’ razzista. E, ovviamente, tante intermedie, spesso fluttuanti sulla base delle onde emotive. Forse, a ben guardare, molte altre parti di modo sono simili.

Ciò che la seconda Italia detesta sopra ogni altra cosa è la prima Italia. Non tanto per avversione ideologica: il fatto è che non la capisce, rappresenta un elemento disturbante per chi si sente in un mondo feroce, così che l’essere belva è l’unica cosa naturale da fare. O meglio: quella prima Italia va bene come santino occasionale, come eroe da venerare – lo scriveva bene ancora Giulia Galera con Simone Baglioni nel numero 2/2021 di Impresa Sociale – sottolineandone la distanza con il “mondo normale”; ma dev’essere chiaro che chi, invece, vive nel mondo altra scelta non ha che tirar fuori gli artigli e graffiare.

Il Terzo settore e in generale ogni forma di impegno sociale agito è ciò che la seconda Italia detesta, a meno che non si adatti appunto ai salotti lacrimosi e commoventi, fatti di tossicodipendenti redenti e di volontari sorridenti, in una parola di storie esemplari che ci rassicurano sulla nostra bontà. Il Terzo settore che opera, stimola, costruisce, mette in atto una società non ferina, quello risulta è invece insopportabile. Anzi, è incredibile: incredibile che possa esistere; e quindi, se esiste, ci deve essere qualcosa sotto. “Anche loro devono esser marci come noi”, è il ritornello che si ripete la seconda Italia. Ci rubano ci guadagnano, dicono di essere solidali ma sicuramente sono anche peggio di noi: e d’altra parte lo diceva uno di loro, che gli immigrati fanno guadagnare più soldi della droga. Sono gli stessi, quelli della seconda Italia, che concepiscono come scandalo che un ente di Terzo settore spenda soldi pubblici (questo termine “pubblici”, viene rimarcato con la stessa soddisfazione di chi pensa di avere scoperchiato un indicibile scandalo) per accogliere minori o disabili (chissà se dovrebbero pagarsi i servizi da soli, secondo questa Italia…) o ancor più, per accogliere persone che vengono da lontano. Non è nemmeno necessario che il Terzo settore assuma un ruolo conflittuale verso l’ingiustizia, critichi apertamente ciò che è sbagliato: basta, appunto, una pratica che rimanda ad una concezione sociale diversa per suscitare la reazione.

Se questo è il Paese, con le sue differenze e le sue contraddizioni – e anche con le sue oscillazioni: nel 2015 la singola foto che rappresentava la tragica morte del piccolo Aylan su una spiaggia turca spostò per mesi una fetta di opinione pubblica dal rifiuto alla pietà verso i migranti - non molto diversa è la politica, capace di produrre una delle Costituzioni più avanzate al mondo, riforme e leggi capaci di far svoltare pagina al Paese (di una di queste, la 381/1991, abbiamo celebrato da poco il trentennale, come raccontato anche nel numero 4/2021 della nostra rivista) e di renderlo più civile; e anche di esprimere una classe politica gretta e spregiudicata, incline ad andare dietro ad ogni rancore popolare alla ricerca di voti, senza vergogna di assumere posizioni che in paesi civili non dovrebbero nemmeno essere concepite.

Tanti italiani, tanti politici. E anche tanti giudici. Quelli della prima Italia, che scrivono la sentenza della Corte costituzionale 131/2020, così bella e profonda che la citeremo tra trent’anni. E alcuni giudici amministrativi, che alla Corte costituzionale e alla Costituzione stessa non sembrano particolarmente interessati e che trovano una difficoltà insormontabile a comprendere il concetto di Terzo settore come soggetto di interesse generale al pari di una pubblica amministrazione e quindi qualificato ad avere con essa un rapporto specifico, non riconducibile a quello che viene instaurato con le imprese for profit.

E poi i giudici penali. Ricordo ancora, alcuni anni fa, un processo a carico di un dirigente di Terzo settore ingiustamente – secondo il giudizio definitivo - accusato di turbativa d’asta per avere lavorato con una pubblica amministrazione secondo una logica di partenariato: ricordo la Pubblico ministero, arrogante e sprezzante, che aveva chiaramente salda in testa l’idea che nel terzo settore siano tutti un po’ farabutti a caccia di soldi pubblici (e di nuovo!). Farabutti che si ammantano di finti valori ma che sono peggio degli altri. Una splendida rappresentante della seconda Italia. E poi, appunto, la sentenza contro Mimmo Lucano, con la ricerca cavillosa di motivi per aumentare a dismisura la pena così da poter dare una punizione esemplare per affermare che quelli che dicono di voler aiutare altre persone – ancor di più se con la pelle nera – sono criminali peggio degli altri; cosa che peraltro, in un sistema cosparso di vincoli irragionevoli che rendono l’azione di aiuto un percorso ad ostacoli, diventa abbastanza facile.

Non si tratta di avercela con la politica o di avercela con la magistratura. Ma togliere alle istituzioni vincoli sacrali e di rendersi conto che le istituzioni – tutte le istituzioni, dal comune di provincia al presidente della Repubblica - sono fatte da persone e che le persone appartengono a tante Italie diverse. Alcune belle o alcune meno.

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Gianfranco Marocchi

Impresa Sociale

Nel gruppo di direzione di Impresa sociale, è anche vicedirettore di Welforum.it. Cooperatore sociale e ricercatore, si occupa di welfare, impresa sociale, collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore.

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