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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  2
Argomento:  Attualità
data:  09 giugno 2020

Piano Colao, tra buone intenzioni e ingenuità

Redazione

L’inclusione, l’equità, la non discriminazione e il ruolo del Terzo settore nel costruirle diventano assi portanti della strategia di rilancio delineata dal Piano Colao e questo è un aspetto culturalmente positivo. Però ci sono ingenuità e svarioni in un documento che difficilmente porterà ad esiti concreti.


La premessa è d’obbligo: in un Paese dove anche leggi approvate dal Parlamento vengono disattese o definanziate o in cui organi dello Stato invitano a disapplicarle, il “Piano Colao” è, ad oggi, un documento da leggere come espressione di un orientamento culturale, sapendo che gli auspici contenuti nelle 121 pagine che lo compongono potranno vedere un effettivo sbocco normativo o meno a seconda di variabili in gran parte imponderabili.

Ciò però non toglie nulla al suo rilievo: si tratta di un corposo documento, redatto in forza di un alto mandato istituzionale, che tenta di tracciare delle strade per una strategia di rilancio per un Paese ancora fortemente provato dall’emergenza sanitaria e che ancora, purtroppo, deve confrontarsi appieno con la crisi economia e sociale che ne seguirà. E dunque non è superfluo proporre alcune considerazioni in merito.

La prima, positiva e non scontata, anzi, difficilmente immaginabile solo pochi anni fa, è che quando si parla di rilancio del Paese si ritenga imprescindibile agire su una pluralità di dimensioni, tra cui anche quella di una “società più equa e inclusiva”. “Rilancio” emerge effettivamente come concetto che si articola non solo su un terreno meramente economico e produttivo, ma come crescita complessiva della società nei suoi vari aspetti. Concetti come la prossimità, la cittadinanza attiva, gli interventi di welfare, il contrasto alle discriminazioni fanno parte del rilancio allo stesso modo delle politiche industriali. L’ambiente, la formazione, l’arte e la cultura – i settori di interesse generale, in altre parole – sono anch’essi ben presenti. Insomma, si sta ragionando di una società migliore, non solo di rilancio in senso economico.

Il secondo elemento, anch’esso non scontato, è che il Terzo settore è presente. Si può discutere se lo sia tanto o poco, se sia considerato in tutti i capitoli in cui ha qualcosa da mettere a disposizione della comunità, ma certamente è entrato a tutti gli effetti a far parte degli attori mobilitati e da valorizzare per il rilancio del Paese.

Il terzo elemento positivo è la considerazione del Terzo settore non solo a proposito della sezione “Individui e famiglie” (pag. 101), ma anche nel capitolo “Imprese e lavoro”, così riconoscendo la valenza anche della parte imprenditoriale del Terzo settore (pag. 32).

Infine e più in specifico, altri elementi positivi stanno nell’avere trovato spazio, in questo piano, per temi quali la “piena attuazione della Riforma del Terzo settore e in particolare del d.lgs. 112/2017 dedicato all’impresa sociale” e la necessità di promuovere la “piena attuazione dell’art. 55 del Codice del Terzo settore che prevede il coinvolgimento attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento da parte delle amministrazioni pubbliche nell’organizzazione dei servizi a livello territoriale nonché l’utilizzo delle clausole sociali nei contratti di appalto” (pag. 32).

Il documento presenta però anche dei limiti: in taluni passaggi è un po’ naive. Ad esempio, nella parte dedicata al welfare talune idee sono piene di buone intenzioni ma un po’ strampalate, con proposte di azioni specifiche che paiono, più che priorità ragionate, istanze estemporanee raccolte in modo un po’ casuale da qualche stakeholder casualmente vicino a qualche membro della Commissione. Con riferimento all’impresa sociale si scrive tra le altre cose che la possibilità di darle slancio “che non dipende da donazioni/fundraising (sistema che come dimostrato in questi mesi è troppo fragile e discontinuo), in particolare per quanto riguarda le agevolazioni fiscali”, insomma concetti in effetti un po’ scentrati, così come appare singolare ma soprattutto controproducente la proposta di consentire alle società profit di acquisire partecipazioni rilevanti nelle imprese sociali (pag. 32); si tratta di una proposta che negherebbe alla base le fondamenta dell’impresa sociale, frutto di antichi pregiudizi e mancanza di conoscenza del fenomeno, che tradisce la difficoltà di molti soggetti a considerare la biodiversità imprenditoriale come un valore da preservare.

In sintesi: il documento soffre un limite – sicuramente sulle parti “sociali”, non si è in grado di valutarlo nelle altre – costituito dall’avere inserito come “parere di esperti” proposte più o meno meditate, disorganiche, probabilmente formulate anche da interlocutori casuali e più o meno ben comprese da soggetti poco avvezzi a masticare di sociale, con il risultato di mescolare affermazioni fondate e condivisibili e altre più ingenue (speriamo, a tale proposito, che il livello politico che eventualmente raccoglierà questi stimoli sappia discernerle); ma resta un dato, ampiamente positivo, che si spera possa rappresentare un passo definitivo: l’importanza, nel tracciare il percorso di rilancio del Paese, di temi come l’inclusione, l’equità, la non discriminazione; e il ruolo del Terzo settore e dell’impresa sociale nel costruire tutto ciò. Probabilmente il documento in quanto tale avrà un impatto abbastanza limitato, ma è auspicabile che tali attenzioni costituiscano un frutto di questa stagione destinato a consolidarsi.

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