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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura: 
Argomento:  Interviste
data:  19 aprile 2022

I fili d'erba che diventano querce

Andrea Tittarelli

Andrea Tittarelli intervista Adriano Tomba, Segretario generale della Fondazione Cattolica Assicurazioni, ripercorrendo il percorso che dalla consapevolezza della necessità di modelli alternativi di sviluppo porta all'investimento nell'impresa sociale, l'esempio più avanzato di sostenibilità.


Continuando a costeggiare il nostro colonnato - che tiene ben saldo, in alto, il Bene Comune - incontriamo Adriano Tomba. È Segretario Generale della Fondazione Cattolica Assicurazioni. In passato ha ricoperto il ruolo di Amministratore di Risparmio e Previdenza Spa e della Cassa di Risparmio di San Miniato Spa. Ha lavorato dal 1983 al 2001 presso la Banca Commerciale Italiana e dal 2001 al 2011 presso il gruppo Banca Popolare di Verona, nell’ambito del quale ha creato e guidato per sei anni il “Laboratorio delle Imprese”, un’iniziativa finalizzata ad individuare strategie di rilancio o riposizionamento dei distretti produttivi dei territori di maggior radicamento del Gruppo Banco Popolare. È stato inoltre Presidente della sezione di Verona dell’UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) e fondatore della Fondazione della Comunità Veronese Onlus.

Adriano, qual è stata la scintilla che ha dato il via al tuo percorso?

Non c’è stata una scintilla, ma un lungo cammino che viene da lontano. Penso agli insegnamenti valoriali trasmessi da mio nonno, un uomo di tanti fatti e poche (ma sagge!) parole; alla consapevolezza maturata che la Persona – ogni Persona – sia unica, singola e irripetibile. Alla comprensione che la bellezza sta nella diversità e l’armonia nel “noi”.

Per 30 anni ho lavorato in due delle maggiori banche italiane e ho avuto la fortuna di occuparmi in prima persona di progetti per lo sviluppo delle piccole e medie imprese, l’ambito dove più si manifesta la creatività e la capacità di intraprendere delle persone. Ma nel 2004 mi resi conto dell’insostenibilità di un modello economico che creava scarti. Tanti scarti. E gli scarti erano persone. Trovai illuminante l’enciclica Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI perché mi fece osservare la realtà con sguardo nuovo. Iniziai allora a cercare modelli alternativi di sviluppo, basati sulla collaborazione per crescere e competere nel mercato. Capii presto che avrei dovuto perseverare: non esisteva il concetto di collaborazione. Al di là della creazione di alcuni consorzi di successo tra imprenditori, mi trovavo quotidianamente a confrontarmi con gli egoismi.

Che lavoro fai? Come lo descriveresti l'impegno di un Segretario Generale in una Fondazione di erogazione?

Sono segretario della Fondazione Cattolica da 11 anni. Un incarico affascinante e complesso. Appena arrivato, mi trovai di fronte ad una quantità di richieste ingestibile. Potevo scegliere: chiudere la Fondazione in un fortino attraverso rigidi vincoli burocratici o cedere alle elargizioni a pioggia per non scontentare nessuno. Ma non presi nessuna di queste strade. Il Presidente Paolo Bedoni mi invitò a cercare una nuova via capace di generare valore condiviso.

Così abbiamo aperto porte e finestre all’ascolto e al confronto. Ricordo che in pochi mesi ho macinato 30 mila chilometri, incontrato 500 associazioni ed esaminato 2 mila progetti. Ho toccato con mano il disagio di cui si occupano gli enti sociali. Conoscere davvero queste realtà ha permesso al Consiglio di Amministrazione di introdurre una nuova linea guida nel 2011: privilegiare le attività che mettono al centro la Persona, anziché le strutture, investendo in iniziative che sviluppino futuro.

Siamo usciti dalla concezione dell’elargizione che crea dipendenza e ci siamo lanciati sull’investimento perché favorisce un approccio di lungo periodo e si concentra sull’impatto, sul valore generato, sull’educazione alle comunità. Crediamo nei progetti che creano opportunità di inclusione delle persone perché le valorizzano e danno loro dignità.

Dopo anni d’esperienza in un mercato in cui l’impresa, coi suoi criteri (legittimi) di efficienza ed efficacia, strumentalizzava le persone, mi sono trovato finalmente di fronte ad uno scenario completamente diverso: nel nonprofit la persona è al centro e lo spirito di collaborazione un elemento naturale.

Da dove vengono e dove stanno andando le organizzazioni del terzo settore simili alla tua?

L’aumento dei bisogni e la carenza di risorse credo sia uno stimolo per tutti: ciascuno deve trovare la sua strada per dare risposte che diano senso alla propria attività e generino impatto sociale. Noi abbiamo scelto di porre attenzione all’intrapresa sociale perché permette di guardare la realtà, lasciarsi toccare, individuare soluzioni sostenibili, assumersi la responsabilità di portarle avanti nel tempo mantenendo al centro di questo sviluppo la Persona. E di farlo in diversi campi: ci occupiamo di famiglia, attraversata da tante forme di fragilità, di disabilità per creare progetti di vita inclusivi; di nuove povertà e di inserimento lavorativo, essenziale per l’autonomia e la piena realizzazione della persona.

In merito alla platea nonprofit beneficiaria dei vostri servizi, invece, cosa dice il "film" degli ultimi anni? A quali dinamiche hai assistito?

In genere incontro piccole realtà sociali, talvolta appena costituite. I “fili d’erba” che col tempo possono diventare querce perché caratterizzate da una sorprendente creatività, dinamismo, motivazione, sensibilità sociale, apertura alla collaborazione e al donarsi che nel profit non ho mai trovato. Questo rende possibile la contaminazione ed il trasferimento di buone pratiche i cui esiti lasciano stupiti. Attorno alla Fondazione è nata una rete informale formata da circa 300 realtà sociali avviate in 10 anni accomunate dal desiderio di creare un futuro più inclusivo e sostenibile. Con 132 di queste, ad esempio, lo scorso Natale abbiamo creato la prima campagna di raccolta fondi condivisa “Nataleognigiorno, il tuo presente crea futuro”. Ciascuno ha creato i propri pacchi dono unendo ai propri prodotti quelli degli altri, attivando così nuove collaborazioni e mutualità.

Le Fondazioni di erogazione hanno sempre vissuto una relazione "privilegiata" con il volontariato; cosa ci dici del rapporto con le imprese sociali?

Le imprese sociali sono il nostro più grande investimento. Sono il fronte più avanzato nella ricerca dell’auto-sostenibilità economica perché attraverso un prodotto o un servizio proposto al mercato trovano le risorse per finanziare la propria attività sociale. È un’impresa che torna alle origini: essere strumento per dare sostenibilità all’uomo. Una bella rivincita! Quelle che abbiamo aiutato a decollare, in particolare, sono legate ai disagi sociali più forti. Per questo sono incredibilmente attrattive, soprattutto per i giovani. Sanno dare meglio di altre un senso all’azione. Un senso che diventa la vera ricchezza per chi si lascia coinvolgere.

Ultimamente si sente molto parlare di rigenerazione urbana, azione di comunità, processi partecipativi, ecc.: pensi possa essere interessante per i capitali accantonati dalle Fondazioni da destinare al bene comune?

Le nostre linee guida per il momento sono altre, ma il tema è certamente importante, da prendere in considerazione nei prossimi anni.

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Andrea Tittarelli

Università di Perugia

Imprenditore sociale con l'incarico di Presidente presso la cooperativa "La Semente" e manager del nonprofit nel ruolo di Direttore Generale in seno alla Federazione di Angsa (Associazione Nazionale Genitori di Soggetti Autistici). Insegna "Impresa sociale e service design" presso il Dipartimento di Scienza Politiche dell'Università degli Studi di Perugia.

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