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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura: 
Argomento:  Policy
data:  21 ottobre 2022

Il peggior nemico dell'amministrazione condivisa

Gianfranco Marocchi

Il peggior nemico dell'amministrazione condivisa sono le coprogettazioni fatte male, quelle che sembrano appalti, quelle in cui si deve competere più che collaborare. E' il caso di questo esempio toscano, del tutto estraneo allo spirito e alla lettera della norma


Mi capita sovente che colleghi da diverse parti d’Italia mi sottopongano avvisi pubblici o altri atti di amministrazione condivisa o chiedano di confrontarsi su situazioni specifiche relative a coprogrammazioni e coprogettazioni. Questo confronto è reciprocamente arricchente, perché dal ragionare insieme su concreti problemi applicativi si fanno passi avanti sulla conoscenza e la consapevolezza di tutti i soggetti coinvolti.

Confesso però che quando un amico mi ha sottoposto delle fotocopie della deliberazione 274 del 16 giugno 2022 di ESTAR Toscana ho in prima istanza pensato ad uno scherzo, a quello spirito toscano che ha originato Lercio.it o Il Vernacoliere; e al boomer che commenta con impegno e serietà una notizia farlocca rilanciata da questi giornali attraverso i social, per diventare egli stesso oggetto di giusta derisione.

Invece no. Ho controllato. Era tutto vero.

Estar, ente strumentale della sanità toscana che opera, oltre che per il supporto amministrativo e per altre funzioni, come centrale di committenza incaricata di procedere ad acquisti per conto delle aziende sanitarie della Regione, aveva effettivamente pubblicato una delibera quadro sulla coprogettazione dei servizi sociosanitari.

Dopo la terza o quarta lettura, nel vano tentativo di comprendere la logica di un testo che di logica è privo, ho ritento utile condividere alcune riflessioni generali.

In premessa e senza perdere su questo troppo tempo. Il testo appare completamente estraneo alle più basilari previsioni giuridiche sull’argomento e sfugge ad ogni ragionevolezza. Solo per fare alcuni esempi, vi si sostiene che la co-programmazione sia una fase di un procedimento di coprogettazione (!) e che essa è seguita da una ulteriore fase denominata “co-pianificazione” (!!) che non trova alcuna corrispondenza nella normativa esistente. È come quando il professore di matematica di liceo, chiamato a correggere un compito di geometria analitica, dopo avere sottolineato spazientito un certo numero di errori blu si rende conto che l’allievo continua a sbagliare perché non ha la minima cognizione delle tabelline (e si chiede come l’allievo sia arrivato fino a lì, ma questo è un altro discorso). Insomma, se mai qualcuno degli ottimi amministratori pubblici toscani che ho avuto occasione di conoscere si ritrovasse per le mani questa deliberazione, non dubiti di sé: può stracciarla senza esitazione e procedere con le indicazioni contenute nelle linee guida (DM 72 del 31 marzo 2021) o, per quanto riguarda lo specifico supporto agli atti amministrativi, rifacendosi a ben più solidi lavori (es. questo di Franco Pesaresi). Il testo è inemendabile, non si può fare altro che ignorarlo completamente.

Ciò premesso, è utile sviluppare alcuni ragionamenti più ampi.

Il primo è che testi come quello proposto sono figli di una mentalità che ostinatamente prova a ricondurre la logica dell’amministrazione condivisa a quella degli affidamenti di servizi. Non è bastata la Sentenza 131/2020 della Corte costituzionale che ha chiarito senza ambiguità l’alterità dell’amministrazione condivisa rispetto agli affidamenti di servizi; non sono bastate le modifiche al Codice dei contratti pubblici che nel settembre 2020 hanno chiaramente riconosciuto come l’amministrazione condivisa sia governata da logiche estranee al d.lgs. 50/2016 e debba rifarsi invece all’art. 55 del Codice del Terzo settore (e quindi alla legge 241/1990 per quanto riguarda il procedimento amministrativo); non sono bastate le linee guida ANAC 17/2022 che indicano chiaramente al punto 2 l’amministrazione condivisa come fattispecie esclusa dal Codice dei contratti (e, pertanto, dall’ambito di interesse dell’ANAC). E non si tratta - cosa assolutamente ragionevole - del fare riferimento strumentalmente e in modo puntuale a taluni articoli del Codice dei contratti pubblici per specifici aspetti procedurali (ad esempio mutuando dall’articolo 80 i motivi per cui un soggetto non può essere ammesso ad una coprogettazione): ma di conformare la logica dell’amministrazione condivisa in quanto tale a quella della competizione di mercato, contravvenendo in modo frontale al pronunciamento della Corte costituzionale. Tale ostinazione è frutto di una ideologia persistente, che non riesce a concepire l’esistenza di spazi di azione della pubblica amministrazione che perseguono l’interesse generale con strumenti estranei a quelli del mercato, per citare ancora la Corte costituzionale. Non si tratta solo, quindi, di alfabetizzare le pubbliche amministrazioni alle competenze giuridiche basilari in tema di amministrazione condivisa, ma ancor prima di diffondere la consapevolezza sul fatto che essa non è, primariamente, una nuova tecnica giuridica, ma il frutto di una diversa concezione del ruolo delle istituzioni e della società civile, coerente con il disposto costituzionale dell’articolo 118, quarto comma, della Costituzione, di cui, per citare nuovamente la Corte costituzionale, l’art. 55 costituisce la prima sistematica forma di proceduralizzazione.

Il secondo ragionamento è in parte collegato al primo, ma porta anche ad esiti ulteriori. Già sulla base di quanto sopra, appare irragionevole che di amministrazione condivisa si occupi una centrale di committenza, un soggetto che opera quindi acquisti per le pubbliche amministrazioni, giacché in questo caso non si tratta di “acquistare” alcunché; ancora la Corte costituzionale e poi le linee guida ben evidenziano la radicale estraneità dell’amministrazione condivisa allo scambio tra prestazione e corrispettivo. Ma, oltre ciò, la circostanza ci dà l’occasione per affermare che, per tanti buoni motivi, l’amministrazione condivisa non è delegabile. L’acquisto di beni e servizi, almeno in alcuni casi, sì; l’amministrazione condivisa no. È imprescindibilmente territoriale, nasce dalla collaborazione dei soggetti (pubblici e di Terzo settore) accomunati dall’interesse generale, che lavorano insieme per affrontare un’esigenza dei cittadini che entrambi hanno a cuore. Insomma, l'amministrazione condivisa non è delegabile per le stesse buone ragioni per cui nel nostro paese “per procura” si può stipulare una compravendita ,ma non un matrimonio.

Terzo. Il successo dell’amministrazione condivisa, e in particolare della coprogettazione, ci porta ad affrontare un tema non privo di aspetti delicati, quello dell’applicazione di questi istituti al welfare consolidato, in altre parole a quegli interventi che rivestono un ruolo centrale nel nostro sistema di protezione sociale. Ho discusso in modo più ampio il tema in questo articolo su Welforum.it e si tratta senza dubbio di una questione da affrontare con molta attenzione. Si registrano sul tema posizioni diverse; personalmente ritengo che coprogettare il welfare consolidato sia possibile ed auspicabile, ma che ciò richieda un insieme di attenzioni non marginali per non ricadere in forme surrettizie di affidamento dei servizi, che poi a loro volta aprirebbero la strada ad interpretazioni dell’amministrazione condivisa come quelle qui commentate.

Infine: oggi il peggior nemico dell’amministrazione condivisa sono pratiche di amministrazione condivisa mal fatte. Ne parlammo su Impresa Sociale in questo articolo rispetto ai casi in cui sono posti in capo al terzo settore oneri economici impropri e insostenibili o in questo articolo su Welforum.it rispetto al dispendio di energie che un procedimento collaborativo richiede. La sostanza è che i procedimenti da cui i partecipanti escono dicendo tra sé che “in fondo era meglio se si faceva un appalto” sono oggi l’insidia più grande per chi ha a cuore la diffusione della collaborazione. E questo è il motivo per cui, pur se talune ragioni di diplomazia ispirerebbero prudenza, quando esce un atto sconclusionato e irragionevole come quello qui esaminato, la questione deve essere affrontata senza troppi giri di parole: se, per silenzio di chi può scrivere e per quieto vivere, una deliberazione quadro come quella qui esaminata, che si pone come modello per tutte le Aziende sanitarie di una Regione, fosse mai anche parzialmente adottata come guida dei procedimenti di coprogettazione da parte degli enti del territorio, ciò avrebbe necessariamente un forte impatto negativo, originando esperienze che portano i partecipanti nel migliore dei casi a non vedere le differenze con un appalto, ma più facilmente a concludere che “se la coprogettazione è questa, è meglio evitarla”. E dunque va detto in modo chiaro che l’unica cosa che è sensato fare è cestinarla.

Ciò che invece ci conforta è che, fortunatamente, insieme a tanti esempi di coprogettazioni mal fatte, ve ne sono altri assolutamente pregevoli, che possono porre la base per la diffusione di pratiche positive. Vi sono amministratori pubblici attenti e coscienziosi che si stanno formando e che hanno ben compreso il potenziale di cambiamento insito nell’amministrazione condivisa. Vi sono Enti di Terzo settore che, tra mille fatiche, stanno investendo su un ruolo che richiede loro di abbandonare sicurezze e atteggiamenti consolidati, per diventare protagonisti dello spazio pubblico. E da qui si può partire.

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Gianfranco Marocchi

Impresa Sociale

Nel gruppo di direzione di Impresa sociale, è anche vicedirettore di Welforum.it. Cooperatore sociale e ricercatore, si occupa di welfare, impresa sociale, collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore.

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