Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Economia
data:  19 maggio 2020

L'agire responsabile delle imprese ai tempi del Covid. Autentico o strategico?

Melania Verde

Oltre alle imprese sociali, anche le imprese for profit si sono mobilitate per l'emergenza Covid. Perché? Motivazionei intrinseche, legate all'autentica volontà di generare un beneficio per la comunità o estrinseche, per trarre un vantaggio di immagine?


In queste settimane sono state documentate numerose iniziative di imprese sociali per fronteggiare l’emergenza Covid-19 (si veda ad esempio l’iniziativa #noicisiamo di Legacoop sociali raccontata in questo articolo sul Forum di Impresa Sociale o questa pagina curata da Isnet); ma vi è da segnalare come sembrino anche essere numerose le imprese for profit che hanno fornito il proprio contributo sia in ambito pubblico sia, soprattutto, in quello della società civile organizzata, introducendo ed adottando nuove e diversificate iniziative di responsabilità sociale[1] legate specificamente alla pandemia in corso. Se ad esempio si sfoglia il repertorio delle oltre 900 risposte filantropiche mappate da Assifero e Italia non profit, si può constatare come diverse centinaia siano state promosse da imprese.

L'emergenza sanitaria attuale è certamente un fattore nuovo che ha generato nuove “pratiche” di responsabilità sociale di impresa. Un articolo pubblicato sul Sole24Ore il 17 marzo scorso, riporta una prima raccolta di best practices. L'elenco di imprese ed imprenditori responsabili, in tema Covid, è esteso, quasi inaspettato, vista la “pandemia economica” e la crisi di liquidità che si trovano a vivere in questo periodo piccole e medie imprese. In particolare, sono i grandi e noti Gruppi a farsi notare: Huawei, Coca cola, Amazon, Galbani, Parmalat, Kimbo, Galbusera, Prada, Benetton, Energie Italia, Mapei, Leonardo, LG, Api Ip, Generali Italia, Barilla, Lavazza. Certo è possibile chiedersi in che misura tali azioni siano frutto di un orientamento socialmente responsabile e quanto risponda, nella logica della strategic social resopnsability, ad esigenze di immagine. Ma prima di riflettere sulle “motivazioni” intrinseche o estrinseche alla base dell'agire responsabile, è utile verificare cosa è stato fatto. Possiamo suddividere le best practices in due gruppi.

Nel primo gruppo, rientrano le buone pratiche rivolte agli “stakeholders interni o primari”, ovvero a quei soggetti senza la cui partecipazione l’impresa non può sopravvivere come complesso funzionante (Clarkson, 1995). Molte imprese, infatti, si sono impegnate, fin da subito (prima ancora delle misure restrittive adottate dal Governo con i dpcm d'urgenza che via via si sono susseguiti), a garantire la sicurezza sul lavoro dei lavoratori. Molti imprenditori hanno scelto di salvaguardare la salute dei propri dipendenti, procedendo alla sanificazione degli impianti (e degli ambienti di lavoro in generale), alla turnazione del personale e all'acquisto di ingenti quantità di materiale per la protezione individuale, fino ad arrivare, in alcuni casi, alla sospensione delle attività produttive o alla chiusura delle proprie filiere. È stato adottato lo smart working sempre al fine di ridurre al minimo i rischi e le possibilità di contagio senza rinunciare a portare avanti le attività. Ancora, numerose fabbriche hanno cambiato filiera. Molte, infatti, sono le storie di aziende e fabbriche che hanno cambiato o accelerato la loro produzione di materiali essenziali per la lotta contro il virus. Per fare un esempio: un’azienda produttrice di ventilatori polmonari per la terapia intensiva ha eliminato tutte le commesse estere, in modo tale da produrre macchinari solo per l'emergenza italiana. Dai 125 apparecchi al mese, l'azienda è passata alla produzione di 500 macchinari, allungando i turni del proprio personale e reclutando altri tecnici.

Nel secondo gruppo, rientra l'agire responsabile rivolto agli “stakeholder esterni o secondari” (a coloro cioè che non sono essenziali per la sua sopravvivenza di un'impresa) tra cui possiamo annoverare le ingenti donazioni in denaro (fino a dieci milioni di euro), da parte di gruppi di rilievo nazionale, ma anche micro donazioni, da parte di piccoli imprenditori, alle strutture sanitarie per l'acquisto di materiali, dispositivi di protezione individuale o strumentazioni indispensabili per i presidi medici. In altri casi, le imprese hanno donato direttamente respiratori, tute protettive, mascherine, gel igienizzante, tamponi, farmaci, ma anche altre tipologie di beni, dai succhi di frutta agli operatori della protezione civile, agli alloggi d’emergenza per medici e infermieri, ai libri per gli ammalati... Le imprese hanno donato anche luce, gas e servizi di assistenza dei propri tecnici negli spazi oggetto di ampliamento e costruzione o trasformazione degli ospedali impegnati nella lotta contro il coronavirus. Ancora molte grandi catene hanno organizzato la consegna a domicilio della spesa senza il sovrapprezzo per il recapito. Alcune compagnie petrolifere hanno offerto (e continuano ad offrire) carburante per coprire gli spostamenti dei lavoratori sanitari più impegnati nel contrasto dell'epidemia.

Questa vera e propria gara di solidarietà da parte delle imprese trova il suo fondamento nelle “motivazioni intrinseche” degli imprenditori oppure in un “approccio strategico” alimentato da “motivazioni estrinseche” (incentivi di mercato), il cui fine è incrementare le componenti del patrimonio intangibile, ovvero l’insieme delle risorse di natura immateriale fondamentali per la creazione di valore, dal capitale relazionale (in termini di fiducia, rispetto e motivazione) al capitale organizzativo (in termini di innovazione, organizzazione e “reputazione”), tutti elementi che risultano rilevanti per la “capacità competitiva” delle imprese?

Il sospetto non è frutto di preconcetti, ma di esplicite teorizzazioni che hanno ispirato molti economisti. Secondo la teoria neoclassica, infatti, le imprese hanno una sola ed unica “responsabilità sociale”: massimizzare gli utili a vantaggio degli azionisti. Questo è l’imperativo morale. Ecco perché, secondo questa teoria, il perseguimento delle finalità sociali ed ambientali a scapito dei profitti, nel tentativo di agire moralmente, in realtà è concepito come un comportamento immorale. C’è, però, un caso in cui la responsabilità sociale di impresa è ammissibile: quando non è sincera. In altre parole, la logica à la Friedman (1962) giustifica l’adozione di comportamenti di responsabilità sociale di impresa solo nel caso in cui il loro costo sia controbilanciato da un chiaro beneficio in termini di profitti (logica della strategic social responsibility).

Ma d’altra parte questo modo di intendere l’impresa è riduttivo. La prospettiva istituzionalista (da Veblen a Teubner) vede nell’impresa un’istituzione che ha il compito di concorrere allo sviluppo economico e sociale, il cui fine ultimo è il raggiungimento del bene comune, dell’utilità collettiva, piuttosto che il solo torna conto individuale. L’impresa ha un impegno morale intrinseco di trattare in modo positivo gli stakeholder. È ben nota in letteratura la piramide di Carroll (1979) in cui si fa riferimento alle responsabilità che l’impresa deve soddisfare per poter sopravvivere: responsabilità economiche, ma anche giuridiche o legali, etiche, discrezionali o filantropiche.

Certamente si può supporre che una parte delle buone pratiche sia stata favorita dalla misura prevista all'art. 66 del decreto “Cura Italia” che afferma che “per le erogazioni liberali in denaro e in natura, effettuate nell'anno 2020 dalle persone fisiche e dagli enti non commerciali, in favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro, finalizzate a finanziare gli interventi in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 spetta una detrazione dall'imposta lorda ai fini dell'imposta sul reddito pari al 30%, per un importo non superiore a 30.000 euro”. Certamente gli incentivi sono importanti, ma anche in questo caso sarebbe limitativa una lettura meccanica che considera la donazione come conseguenza di un vantaggio fiscale; e questo comunque non sarebbe neppure del tutto auspicabile, perché una responsabilità sociale che faccia leva prevalentemente sulle motivazioni estrinseche, secondo alcune teorie, l’effetto di minare le motivazioni intrinseche delle imprese come il senso di responsabilità, la consapevolezza del proprio ruolo, la coscienza professionale. La teoria della sostituzione delle motivazioni di Frey e Jegen ben chiarisce questo aspetto, evidenziando come le motivazioni estrinseche possano produrre effetti contrari (distorsivi) di crowding out.

La responsabilità sociale di impresa ha origine nel libero arbitrio, ed in quanto tale non può che trovare fondamento e spiegazione nelle motivazioni (interne) dei soggetti che operano nell’impresa che va intesa - per usare le parole di Zamagni in una recentissima intervista su Civita – quale “Agente di civilizzazione” di un territorio o di una nazione, abbandonando l'obsoleta veste del mero profitto.

[1]

Footnotes

  1. ^ Di “Responsabilità sociale di impresa” non vi è in letteratura una definizione univoca e specifica a causa della varietà ed eterogeneità dei significati che, nel corso degli anni, gli vengono attribuiti. I comportamenti responsabili si modificano nel tempo, variano in base al contesto socioculturale, politico-istituzionale unitamente ad altri fattori.
Rivista-impresa-sociale-Melania Verde Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Melania Verde

Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.