Cooperazione sociale e movimento pacifista affondano le proprie origini negli stessi movimenti. Questo va ricordato in una stagione di riarmo e riduzione del welfare, riaffermando l'Europa immaginata da padri con al centro la dignità umana, la libertà, la democrazia, l'equità, la pace e la coesione.
Il 24 settembre 1961 si svolse, da Perugia ad Assisi, la prima Marcia della Pace ideata ed organizzata da Aldo Capitini. La marcia rappresentò per il pacifismo italiano un punto di svolta, un atto simbolico con un profondo contenuto politico, il tentativo per la società civile di entrare nel terreno della politica con una forma partecipativa non ancora sperimentata nel Paese.
Idealmente la prima marcia da Perugia ad Assisi rappresenta la nascita del movimento pacifista moderno, autonomo dai grandi partiti di massa, con legami e connessioni con i movimenti sociali laici e cattolici che negli anni Sessanta e poi nei Settanta accompagnarono la realizzazione di importanti riforme economiche e sociali.
In questo contesto culturale il 20 settembre 1965 il Presidente della Provincia di Perugia, Ivano Rasimelli, convocò la seduta del Consiglio Provinciale presso la Sala dei Notari – la sala più prestigiosa della città – e davanti a centinaia di cittadini proiettando delle diapositive a colori denunciò pubblicamente l’arretratezza culturale, il degrado dei padiglioni e le pessime condizioni di vita dei pazienti internati nell’ospedale psichiatrico di Perugia; si rifiutò di approvare l’ampliamento dell’ospedale psichiatrico ed avviò il percorso che in modo parallelo con quanto accaduto a Trieste portò al superamento del manicomio ed alla nascita delle prime cooperative sociali ante litteram come la Cooperativa Lavoratori Uniti, nata nel 1972 all’interno dell’Ospedale psichiatrico di Trieste su stimolo di Franco Basaglia.
I punti di contatto tra il movimento pacifista e il nascente movimento della cooperazione sociale non sono solo geografici e temporali ma anche biografici perché molti attivisti pacifisti e non violenti negli anni Settanta e nei successivi anni Ottanta sono stati tra i fondatori di numerose cooperative sociali; imprese che, è utile ricordarlo, nascono per difendere i diritti delle persone più fragili.
Le cooperative sociali, inoltre, hanno ospitato migliaia di cittadini che rifiutavano in modo radicale l’uso delle armi - gli “obiettori di coscienza” - e insieme alle associazioni cattoliche e laiche hanno dato vita ad un vasto movimento che, dal basso, si è opposto alla diffusione delle armi ed alla guerra come “business”. Esemplare in tal senso è prima l’esperienza delle MAG e poi il movimento che ha portato alla nascita di Banca Etica, banca nata su spinta di cittadini, enti locali, associazioni e cooperative sociali per investire in modo etico i risparmi e non finanziare, in nessun modo, le imprese impegnate direttamente o indirettamente nella produzione e commercio delle armi.
“La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente”. (Bertolt Brecht)
Negli ultimi anni, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la guerra è al centro dell’agenda pubblica. Nei media e nella politica la retorica bellicista ha preso il sopravvento rispetto alle ragioni del negoziato, della diplomazia e della pace. Una delle poche figure pubbliche che ha continuato a dare voce alle ragioni della pace è stato – ed è ancora – Papa Francesco che non ha perso occasione per denunciare i danni della “terza guerra mondiale a pezzi” che si sta lentamente trasformando in un vero e proprio conflitto globale, le cui vittime sono in larga parte i civili. Il Pontefice ha più volte esortato gli stati a perseguire una politica per il disarmo ed a ricercare in modo ostinato soluzioni diplomatiche alle crisi internazionali.
In questo contesto il 6 marzo la Presidente della Commissione Europea ha presentato il piano da 800 miliardi di euro per aumentare la spesa in armi e difesa denominato ReArmEU. Secondo le anticipazioni pubblicate dai media il piano prevede un mix di misure, tra cui l’emissione di debito comune per 150 miliardi, la possibilità temporanea di scorporare le spese per la difesa dal Patto di stabilità e misure di flessibilità, tra cui anche la possibilità di utilizzare i fondi di coesione, destinati a ridurre gli squilibri sociali e territoriali, per aumentare le spese militari dei singoli stati.
Senza entrare nel merito del piano appaiono evidenti tre elementi:
Al di là degli aspetti tecnici, come hanno evidenziate diverse organizzazioni e movimenti sociali, il piano ReArmEU interroga sulla natura dell’Unione Europea. Quale sarà l’Europa del futuro? L’Europa del riamo, della crescita esponenziale delle spese militari dei singoli stati, che indeboliste i sistemi di welfare nazionali e diluisce gli impegni del Gren Deal oppure l’Europa dei padri fondatori che rimette al centro delle politiche la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’equità sociale, la sicurezza, la pace e la coesione?
Quando nei primi anni Novanta la guerra era arrivata nel cuore dell’Europa, a pochi kilometri dai nostri confini, Alexader Langer si interrogava su come contrastare la logica bellica. Alcuni dei suoi insegnamenti possono rappresentare una bussola per orientarsi anche oggi.
“Dinnanzi al fallimento della politica e della negoziazione, che sfocia nella guerra, bisognerà pur rafforzare gli "anti-corpi" a disposizione di ogni singola persona per prevenire le guerre e per non lasciarsene, comunque, catturare, una volta che sono scoppiate.…
Se il consenso alla guerra (sotto forma di nazionalismi, razzismi, pregiudizi, stereotipi, ecc.) può con tanta facilità diventare maggioritario si dovrà intervenire anche qui "a monte" ed allargare una solida base ideale e culturale di disposizione alla pace ed alla convivenza, disintossicando cuori e cervelli.
Se è considerato scontato che, una volta scoppiata la guerra, non resta che allinearsi ed arruolarsi (materialmente e culturalmente), bisognerà pur che qualcuno lavori per suscitare e consolidare scelte di "obiezione alla guerra". Sono dunque tante le forme di azione che si possono scegliere per "cambiare la vita di fronte alla guerra", nel senso di negarle ogni consenso e sostegno e nel senso di farle mancare - ognuno - almeno un pezzettino di apparente giustificazione[1]”.
Oggi la cooperazione sociale può impegnarsi quotidianamente con la forza dell’esempio e della testimonianza di chi si prende cura, ogni giorno, delle persone più fragili per erodere il consenso alla guerra e contrastare, dal basso, la costruzione di una società e di un’economia di guerra. Sarebbe bello, simbolico ed utile se le cooperative sociali italiane dedicassero una parte marginale dei propri ricavi per iniziative rivolte ai bambini ed ai ragazzi vittime delle guerre. La cooperazione sociale è pacifista, oppure non è.
[1] Tratto da Alexander Langer, Contro la guerra cambia la vita, 1/12/1990, Terra Nuova Forum, Roma https://www.alexanderlanger.org/it/147/437
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