L'espressione "finanziare" si usa con disinvoltura, anche in contributi scientifici, per indicare atti tra loro molto diversi: il mettere a disposizione risorse per pagare un servizio acquistato, il donare, il prestare, l'investire. Questa singolare ambiguità non giova alla chiarezza del dibattito e va evitata.
Già Marco Musella aveva segnalato nel numero 1/2020 di Impresa Sociale la singolare vaghezza di uno dei termini in questi anni più evocati anche da chi studia l’impresa sociale: finanzia / finanziare è un’espressione che, anche in articoli scientifici viene utilizzata, senza ulteriori specificazioni, per indicare fenomeni tra loro molto diversi.
Sono quattro oggetti diversi, accomunati da un atto - il flusso di denaro – che però ha cause, caratteristiche, finalità, motivazioni, aspettative e implicazioni diverse; in ciascuno dei significati sopra richiamati la parola “finanziare” rappresenta un’azione diversa tanto per chi accorda le risorse quanto per l’impresa sociale che le riceve.
E, a ben vedere, anche all’interno di ciascuno dei quattro macro significati, vi possono poi essere sfumature ulteriori, che andrebbero indagate. Ad esempio, se esploriamo il terzo significato, finanza come prestito, possiamo avere soggetti finanziari più o meno interessati all’eticità dell’uso che viene fatto del denaro dato a credito, come possono essere diverse le intenzioni e le aspettative del donatore, ecc. Ma quello che è certo che utilizzare un termine unico – e spesso passando in uno stesso saggio con naturalezza dall’uno all’altro – per tutti questi significati costituisce una imprecisione veramente singolare.
Perché è invalso l’uso di una terminologia ambigua? Semplice pressapochismo?
In parte sì, in parte una ideologia strisciante che ha accompagnato gli anni duemila. Dare lo stesso nome a questi diversi oggetti fa sorgere l’idea che siano intercambiabili. Il “finanziamento” di un tipo può calare perché aumenta il finanziamento di un altro tipo. Tanto per fare un esempio, meno risorse degli enti pubblici per “finanziare” (pagare) i servizi di welfare, più risorse da parte di soggetti finanziari per “finanziare” (imprestare soldi a) le imprese sociali, come se fosse più o meno la stessa cosa.
Una modesta proposta, per quello che può valere: bandire quantomeno da questa rivista e, auspicabilmente, dal dibattito scientifico, questa ambiguità.
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