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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura: 
Argomento:  Diritto
data:  09 marzo 2025

Perché l’autorizzazione della Commissione UE per il Terzo settore farà bene alla co-amministrazione

Alceste Santuari

La Commissione europea dà il via libera alla parte fiscale del CTS. Accanto agli aspetti pratici, ciò he pare decisivo è che il riconoscimento di una fiscalità specifica per il il Terzo settore implica la consapevolezza della natura di interesse generale degli ETS e la coseguente instaurazione di specifici rapporti con le pubbliche amministrazioni.


Tra gli obiettivi della Riforma del Terzo settore vi era anche quello di definire un nuovo regime fiscale finalizzato a riconoscere il ruolo del Terzo settore come espressione compiuta del principio costituzionale di sussidiarietà e, conseguentemente, a differenziare gli ETS rispetto alle imprese lucrative.

La Commissione europea, attraverso la comfort letter della Direzione Generale Concorrenza di questi giorni, ha, dopo 8 anni dall’approvazione della Riforma del Terzo settore, riconosciuto – in linea con un approccio possiamo dire di favor nei confronti dell’economia sociale in termini generali – la specificità del comparto delle organizzazioni non lucrative nel nostro ordinamento giuridico e, in particolare, degli Enti del Terzo settore. Con il via libera di Bruxelles, dal 2026, gli enti non profit potranno contare su un quadro di certezza giuridica che, fino ad oggi, era ancora parziale e, spesso, causa di dubbi interpretativi e di timori in sede di applicazione delle disposizioni normative contenute nella Riforma del 2016/17. Nello specifico, le misure fiscali che entreranno in vigore nel 2026 possono essere così sintetizzate:

  • ETS: i criteri per stabilire quando una attività di interesse generale è svolta con modalità non commerciale e soprattutto quando un ente nel suo insieme assume natura commerciale o meno sostituiranno definitivamente le disposizioni, fino ad oggi vigenti, previste nel TUIR;
  • Organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale: nel caso di entrate inferiori a 130.000 euro, le associazioni in parola avranno la possibilità di godere di una misura di favore sia ai fini Iva che delle imposte dirette in sostituzione dell’attuale regime fiscale previsto dalla L. 398 del 1991.
  • Imprese sociali: esse potranno beneficiare di un regime fiscale specifico e disegnato sulle loro caratteristiche, con la possibilità di defiscalizzare gli utili destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio. Non sfugga l’importanza di una simile misura, atteso che, allo stato, le imprese sociali sono tenute al pagamento dell’IRES nella stessa misura prevista per le società;
  • ONLUS: come noto, l’entrata in vigore del regime fiscale degli enti del Terzo settore e delle imprese sociali porta con sé la cessazione definitiva dell’Anagrafe delle onlus, a partire dal 1 gennaio 2026. Da quella data, le ONLUS avranno a disposizione tre mesi di tempo per adeguarsi alla normativa del Terzo settore e iscriversi presso il Registro unico nazionale del Terzo settore.

Sebbene rimangano aperti ancora alcuni punti di specifica negoziazione con la Commissione europea (titoli di solidarietà e la misura concernente il diritto di portare in detrazione fiscale (o in deduzione, in caso di enti) parte dell’investimento operato in favore delle imprese sociali) è possibile sostenere che il nuovo regime fiscale previsto per gli ETS dovrebbe permettere a questi enti una gestione più chiara e certa delle proprie attività, soprattutto in termini strategici e di intervento.

Ed è proprio in questa prospettiva che gli ETS potranno costruire percorsi, progetti e azioni, in specie negli ambiti di cui alle prime tre lettere dell’art. 5 CTS, potendo contare sul riconoscimento che il proprio regime fiscale, compatibile con la disciplina UE in materia di aiuti di Stato, è particolarmente funzionale a svolgere attività di interesse generale. Da ciò discende una conseguenza che, a parere di chi scrive assume una rilevanza fondamentale nei rapporti giuridici intercorrenti tra pubbliche amministrazioni ed ETS. Il riferimento è ovviamente alla considerazione (e quindi anche interpretazione) relativa ai contenuti economici sottesi agli istituti giuridici cooperativi di cui all’art. 55 del CTS, segnatamente, la co-progettazione.

Sebbene risulti indubbio che l’art. 55 del Codice del Terzo settore, la sentenza n. 131 del 2020, le leggi regionali e gli atti regolamentari di autodisciplina delle pubbliche amministrazioni abbiano contribuito e contribuiscano a chiarire sempre più il nuovo paradigma collaborativo, alternativo – per utilizzare il linguaggio del Giudice delle Leggi - a quello tradizionale delle regole concorrenziali che la Riforma del Terzo settore ha voluto delineare, è altrettanto evidente che la prassi operativa spesso sconta interpretazioni che faticano ad individuare il “contenuto economico” delle attività oggetto di co-progettazione quale diretta conseguenza di un rapporto non sinallagmatico. Ancorché la fonte normativa di riferimento prevista nell’art. 55 del Codice del Terzo settore sia la legge sul/del procedimento amministrativo (legge n. 241/1990), dalla quale discende che le attività, interventi, progetti e azioni oggetto dei percorsi di co-progettazione sono riconducibili alla fattispecie dei “contributi, detta ricostruzione non è pacifica. Se a ciò aggiungiamo che talune interpretazioni sembrano orientate a ricondurre gli istituti giuridici di natura cooperativa tra i contratti pubblici, poiché contengono obbligazioni in capo alla parte “assegnataria” di facere, allora la confusione aumenta.

Al riguardo, tuttavia, è utile in questa sede ricordare che gli istituti giuridici della co-amministrazione sono ispirati, inter alia, al principio di sussidiarietà. Quest’ultimo, come è noto, postula rapporti di riconoscimento, valorizzazione e sostegno (anche di natura economica) degli enti non profit e di Terzo settore alternativi alle regole del mercato concorrenziale (cfr. per tutti Corte costituzionale, sentenza n. 131 del 2020), in quanto – come nel caso dei partenariati pubblico-pubblico – sia ETS sia pubbliche amministrazioni condividono gli stessi obiettivi e finalità (di interesse generale).

In questa cornice, l’autorizzazione UE può invero contribuire in modo chiaro a:

  1. dissipare i dubbi interpretativi sopra richiamati: l’azione comunitaria degli ETS (si pensi, per tutti, al settore della disabilità, degli anziani e della fragilità in senso ampio), proprio in forza della mission pubblica riconosciuta dal d. lgs. n. 117/2017 agli stessi ETS, è condivisa con le pubbliche amministrazioni, responsabili in termini costituzionali di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili, e pertanto estranea (cfr. in questo senso le Linee guida ANAC del luglio 2022) alle regole di mercato;
  2. superare l’interpretazione riduzionistica e, quindi, fuorviante, del contenuto economico oggetto dei percorsi amministrativi cooperativi, in particolare, avuto riguardo al principio di non lucratività, che in alcune occasioni è fatto coincidere con quello di gratuità. Quest’ultima è infatti presa a parametro per identificare il perimetro oltre il quale occorre necessariamente esperire una procedura competitiva. In quest’ottica, è condivisibile quanto affermato da un giudice costituzionale: “Questo è sbagliato. Perché esiste il mondo della non-lucratività, che coincide con quello della società solidale, che è quello che la nostra Costituzione valorizza con l’articolo 2 e che, con una serie di ulteriori disposizioni, come l’articolo 118, richiede sia valorizzato anche con strumenti diversi da quelli del mercato”;[1]
  3. rafforzare l’azione degli ETS, rafforzandone la loro dimensione di responsabilità pubbliche.

[1] Così, L. Antonini, Amministrazione condivisa: l’unica via per un welfare locale personalistico, intervento pronunciato in occasione della presentazione del Rapporto sulla Amministrazione condivisa della Fondazione Terzjus, tenutasi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in data 11 marzo 2024 e pubblicato su Vita in data 6 maggio 2024.

Rivista-impresa-sociale-Alceste Santuari Alceste Santuari – Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia – Università di Bologna

Alceste Santuari

Alceste Santuari – Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia – Università di Bologna

Professore di diritto dell’economia, diritto degli enti non profit, dei partenariati pubblico-privati e di International Law & Health presso l’Università di Bologna e componente della Commissione di consulenza scientifica di AICCON.È autore di numerose monografie e articoli, anche in lingua inglese, sul tema delle organizzazioni non profit, delle impese sociali e dei loro rapporti con la P.A, nonché sul tema dei servizi sociosanitari. È presidente di organismi di vigilanza (modello 231) in aziende pubbliche e strutture socio-sanitarie accreditate e membro del nucleo di valutazione delle prestazioni dell’ATS della Brianza.

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