La Commissione europea dà il via libera alla parte fiscale del CTS. Accanto agli aspetti pratici, ciò he pare decisivo è che il riconoscimento di una fiscalità specifica per il il Terzo settore implica la consapevolezza della natura di interesse generale degli ETS e la coseguente instaurazione di specifici rapporti con le pubbliche amministrazioni.
Tra gli obiettivi della Riforma del Terzo settore vi era anche quello di definire un nuovo regime fiscale finalizzato a riconoscere il ruolo del Terzo settore come espressione compiuta del principio costituzionale di sussidiarietà e, conseguentemente, a differenziare gli ETS rispetto alle imprese lucrative.
La Commissione europea, attraverso la comfort letter della Direzione Generale Concorrenza di questi giorni, ha, dopo 8 anni dall’approvazione della Riforma del Terzo settore, riconosciuto – in linea con un approccio possiamo dire di favor nei confronti dell’economia sociale in termini generali – la specificità del comparto delle organizzazioni non lucrative nel nostro ordinamento giuridico e, in particolare, degli Enti del Terzo settore. Con il via libera di Bruxelles, dal 2026, gli enti non profit potranno contare su un quadro di certezza giuridica che, fino ad oggi, era ancora parziale e, spesso, causa di dubbi interpretativi e di timori in sede di applicazione delle disposizioni normative contenute nella Riforma del 2016/17. Nello specifico, le misure fiscali che entreranno in vigore nel 2026 possono essere così sintetizzate:
Sebbene rimangano aperti ancora alcuni punti di specifica negoziazione con la Commissione europea (titoli di solidarietà e la misura concernente il diritto di portare in detrazione fiscale (o in deduzione, in caso di enti) parte dell’investimento operato in favore delle imprese sociali) è possibile sostenere che il nuovo regime fiscale previsto per gli ETS dovrebbe permettere a questi enti una gestione più chiara e certa delle proprie attività, soprattutto in termini strategici e di intervento.
Ed è proprio in questa prospettiva che gli ETS potranno costruire percorsi, progetti e azioni, in specie negli ambiti di cui alle prime tre lettere dell’art. 5 CTS, potendo contare sul riconoscimento che il proprio regime fiscale, compatibile con la disciplina UE in materia di aiuti di Stato, è particolarmente funzionale a svolgere attività di interesse generale. Da ciò discende una conseguenza che, a parere di chi scrive assume una rilevanza fondamentale nei rapporti giuridici intercorrenti tra pubbliche amministrazioni ed ETS. Il riferimento è ovviamente alla considerazione (e quindi anche interpretazione) relativa ai contenuti economici sottesi agli istituti giuridici cooperativi di cui all’art. 55 del CTS, segnatamente, la co-progettazione.
Sebbene risulti indubbio che l’art. 55 del Codice del Terzo settore, la sentenza n. 131 del 2020, le leggi regionali e gli atti regolamentari di autodisciplina delle pubbliche amministrazioni abbiano contribuito e contribuiscano a chiarire sempre più il nuovo paradigma collaborativo, alternativo – per utilizzare il linguaggio del Giudice delle Leggi - a quello tradizionale delle regole concorrenziali che la Riforma del Terzo settore ha voluto delineare, è altrettanto evidente che la prassi operativa spesso sconta interpretazioni che faticano ad individuare il “contenuto economico” delle attività oggetto di co-progettazione quale diretta conseguenza di un rapporto non sinallagmatico. Ancorché la fonte normativa di riferimento prevista nell’art. 55 del Codice del Terzo settore sia la legge sul/del procedimento amministrativo (legge n. 241/1990), dalla quale discende che le attività, interventi, progetti e azioni oggetto dei percorsi di co-progettazione sono riconducibili alla fattispecie dei “contributi, detta ricostruzione non è pacifica. Se a ciò aggiungiamo che talune interpretazioni sembrano orientate a ricondurre gli istituti giuridici di natura cooperativa tra i contratti pubblici, poiché contengono obbligazioni in capo alla parte “assegnataria” di facere, allora la confusione aumenta.
Al riguardo, tuttavia, è utile in questa sede ricordare che gli istituti giuridici della co-amministrazione sono ispirati, inter alia, al principio di sussidiarietà. Quest’ultimo, come è noto, postula rapporti di riconoscimento, valorizzazione e sostegno (anche di natura economica) degli enti non profit e di Terzo settore alternativi alle regole del mercato concorrenziale (cfr. per tutti Corte costituzionale, sentenza n. 131 del 2020), in quanto – come nel caso dei partenariati pubblico-pubblico – sia ETS sia pubbliche amministrazioni condividono gli stessi obiettivi e finalità (di interesse generale).
In questa cornice, l’autorizzazione UE può invero contribuire in modo chiaro a:
[1] Così, L. Antonini, Amministrazione condivisa: l’unica via per un welfare locale personalistico, intervento pronunciato in occasione della presentazione del Rapporto sulla Amministrazione condivisa della Fondazione Terzjus, tenutasi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in data 11 marzo 2024 e pubblicato su Vita in data 6 maggio 2024.
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