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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  3 minuti
Argomento:  Policy
data:  09 aprile 2021

Qualcosa di nuovo

Felice Scalvini

Capitalizzare le imprese sociali in modo effettivamente "paziente", senza le attese di ritorno tipiche dell'investitore impact, ma al tempo stesso distanziarsi dal "doping dei contributi". Il racconto di un'esperienza che, se adottata da altre fondazioni, potrebbe dare vita ad un recovery fund gestito dalla filantropia.


Nel panorama della finanza sociale – finanza d’impatto, secondo una terminologia oggi molto in uso – le novità effettive sono in realtà piuttosto rare, talché nei sempre più frequenti dibattiti sul tema si finisce per trovare la riproposizione di approcci ed esperienze noti, già ampiamente illustrati e non sempre realmente interessanti. Basta ricordare, a titolo d’esempio, quanto ancora da noi si parli dei social impact bond, ormai da tempo rottamati in Gran Bretagna, il paese che li ha creati, verificandone poi l’inconsistenza e la non praticabilità economica e sociale. E l’elenco potrebbe continuare.

Merita quindi di essere proposta all’attenzione l’iniziativa che Fondazione OPES ha avviato con Fondazione ASM e Fondazione De Agostini. Una esperienza che presenta inconsueti e rilevanti profili di novità. Di che cosa si tratta? Si tratta di un fondo costituito con l’obiettivo di concorrere all’irrobustimento della base patrimoniale delle imprese sociali – cooperative sociali in particolare – per sostenerle nella ripresa dopo la difficilissima stagione Covid.

Nulla di particolarmente nuovo all’apparenza, ma, a ben vedere, con diversi profili che rendono l’iniziativa piuttosto originale.

Innanzitutto, per “fondo” qui non di intende “fondo di investimento mobiliare” bensì “fondo patrimoniale disponibile e finalizzato” creato presso la fondazione capofila – OPES - e alimentato principalmente dalle altre due fondazioni. Ciascuna di queste (De Agostini e ASM) effettua un’erogazione a favore del fondo creato presso OPES, finalizzandone l’utilizzo ad interventi di capitalizzazioni di cooperative sociali dei territori dove le fondazioni operano. OPES, grazie alle diponibilità raccolte, può quindi sottoscrivere quote di capitale sociale - per lo più come socio sovventore – e mettere a disposizione, oltre alle risorse finanziarie, le proprie competenze tecniche e manageriali per affiancare le cooperative. Il capitale sarà restituito quando lo sviluppo dalla cooperativa renderà possibile l’operazione. Diversamente l’investimento durerà nel tempo, partecipando, naturalmente, a tutti i rischi del caso. Le somme che rientreranno nel fondo di OPES grazie alle restituzioni del capitale verranno utilizzate per altre operazioni a favore di altre cooperative. Così da creare un permanente fondo rotativo.

Gli elementi di originalità di un simile schema sono evidenti e hanno origine nella creazione della base finanziaria con risorse derivanti dalle erogazioni e non dal patrimonio delle fondazioni. Quindi risorse che una volta attribuite a OPES non debbono produrre nessun rendimento e neppure essere restituite alle fondazioni a monte, come invece dovrebbe avvenire se avessero conferito quote più o meno consistenti di patrimonio, secondo lo schema dei program related investiment. OPES in questo modo è messa in condizione di gestire i fondi acquisiti senza obiettivi di rendimento finanziario e con la possibilità di accettare un più elevato grado di rischio connesso all’investimento.

Dal punto di vista tecnico quella di OPES non si configura come un’attività d’impresa – come per i fondi mobiliari impact – bensì come la erogazione di un servizio filantropico di investimento, come previsto all’art. 37 del Codice del Terzo Settore. Dunque, per quanto riguarda la gestione interna del fondo, non si dovrà creare nessun fondo rischi a cui destinare parte consistente dei rendimenti a tutela del patrimonio investito. Nel caso di specie poi, non è previsto neppure di perseguire rendimenti tali da coprire i costi di gestione dell’attività, costituendo questi, insieme a una più modesta dotazione di capitale, la quota di compartecipazione filantropica all’iniziativa da parte di OPES. Credo sia evidente a chiunque, e non soltanto agli addetti ai lavori, come questo impianto, eliminando l’esigenza, normale per gli investitori impact, di ottenere rendimenti comunque abbastanza consistenti e di recuperare l’investimento in tempi relativamente brevi, crei le condizioni per mettere davvero in campo capitali pazienti e solidali. Risorse investite e gestite con l’unico obiettivo del loro recupero, quando l’evoluzione dell’impresa sociale partecipata lo renderà possibile, e con rendimenti finanziari del tutto eventuali.

Un capitale lassista dunque? Direi invece un capitale realmente di servizio, liberato dalla schiavitù del rendimento e impiegato in forma non commerciale, ma filantropica, in coerenza col profilo evoluto degli enti filantropici disegnato del Codice del terzo Settore. Un capitale che, per converso, permette un dialogo coi destinatari ben diverso da quello normalmente correlato a finanziamento di progetti a fondo perduto. Peraltro, in molti casi, può trattarsi di un intervento realizzato in combinazione con l’erogazione da parte delle fondazioni anche di una quota – ovviamente ridotta - di sussidi. Un simile approccio, quando il destinatario è un’impresa sociale (ovviamente non vale, ad esempio, per le organizzazioni di volontariato) normalmente promuove nei destinatari meccanismi di sviluppo più equilibrati e virtuosi, evitando il rischio di “doping da contributi”, che di norma determina un uso subottimale delle risorse sino, in non pochi casi, rivelarsi letale per le organizzazioni.

Il sistema della filantropia istituzionale eroga oggi all’incirca due miliardi di euro l’anno. Se anche soltanto l’1% di questo importo venisse destinato a intervenire nella forma che OPES, ASM e De Agostini stanno sperimentando, il mondo dell’imprenditoria sociale verrebbe sostenuto con interventi di capitalizzazione per 20 milioni l’anno, affidabili a uno o più fondi rotativi. Risulterebbero dunque ripetibili nel tempo, in grado di generare effetti leva assai rilevanti e, soprattutto, capaci di favorire uno sviluppo armonico ed equilibrato del sistema delle imprese sociali. Se poi si salisse al 3 o al 5%... forse la filantropia istituzionale scoprirebbe di poter rappresentare un permanente ed efficace Recovery fund!


Il Fondo Re-start è stato presentato il 12 marzo 2021 in un digital talk in diretta facebook che è possibile rivedere qui. Qui invece il link al programma del digital talk del 12 marzo.

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Felice Scalvini

Impresa Sociale

È direttore responsabile della rivista Impresa Sociale.

Avvocato, entra a 23 anni nel mondo della finanza, che abbandona nel 1981 per dedicarsi al nascente fenomeno della cooperazione sociale, della quale è stato leader nazionale portandola al riconoscimento legislativo e all’infrastrutturazione politica e imprenditoriale. Ha promosso la nascita di Federsolidarietà, Cgm, Cosis, Forum Nazionale del Terzo Settore. Attualmente è presidente di Assifero e di Fondazione Asm.

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