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ISSN 2282-1694
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Argomento:  Welfare
data:  18 maggio 2020

Un New Deal fondato su collaborazione e territorio

Andrea Bernardoni

Similmente alla grande depressione, questa crisi va combattuta con un programma di rilancio che crei lavoro (e non sussidi) per la costruzione di nuove infrastrutture, anche sociali, attraverso la promozione di processi collaborativi tra soggetti pubblici e Terzo settore.


Per affrontare le fratture sociali ed economiche provocate dalla pandemia da Covid-19 e superare la recessione in cui il Paese è precipitato non bastano le politiche monetarie espansive e i trasferimenti a sostegno delle imprese e delle famiglie. Tali interventi sono necessari ma non sufficienti, occorre mettere a punto un’idea di Paese intorno alla quale mobilitare risorse economiche, energie, intelligenze e competenze presenti tra le istituzioni pubbliche, nel mondo imprenditoriale, tra gli attori della società civile, nella scuola e nell’università, come è accaduto dopo la Grande Depressione del 1929 con il New Deal.

Quando nel marzo del 1933 Roosevelt pronunciò il suo discorso di insediamento alla presidenza, comunicò in modo chiaro la necessità di uscire dalla spirale di sfiducia che aveva colpito gli Stati Uniti riformando la società, l’economia, la finanza e la politica. Alla base del New Deal vi era l’idea chiave di garantire alle persone un lavoro con una paga adeguata piuttosto che un sussidio. Partendo da questa visione, in pochi anni vennero mobilitate milioni di persone che, attraverso il lavoro, uscirono da una situazione di estrema povertà in cui erano sprofondati e contribuirono a dotare gli Stati Uniti di moderne infrastrutture di cui la nazione aveva bisogno.

Come è accaduto nel 1933 oggi, per ricostruire il Paese, è necessario avviare un nuovo corso, cambiando la rotta dello sviluppo i cui limiti ambientali, sociali ed economici erano già evidenti prima dell’esplosione della pandemia. Servono riforme strutturali che permettano di disegnare un nuovo modello di società potenziando le infrastrutture fisiche e sociali.

Se leggiamo da questa prospettiva il decreto Cura Italia e il decreto Rilancio possiamo osservare che questi provvedimenti trasferiscono risorse senza indicare una direzione chiara. È anche per questo motivo che questi provvedimenti non riconoscono un ruolo specifico alle organizzazioni del Terzo settore ed alle imprese sociali.

Le priorità nel definire un New Deal per il Paese dopo la pandemia dovrebbero essere: a. la costruzione di un nuovo welfare meno diseguale e capace di ripensare rapidamente le risposte da dare ai cittadini in campo educativo, sociale e sanitario; b. la realizzazione di percorsi di sviluppo locale inclusivi, capaci di trasformare i sussidi in lavoro, a partire dalle persone più fragili e meno occupabili, che potranno essere impiegate per realizzare interventi utili ad accompagnare la trasformazione delle città e delle aree rurali verso modelli maggiormente sostenibili.  

Per fare questo tuttavia è necessario un nuovo corso nelle politiche di welfare e più in generale nelle politiche di sviluppo locale, superando la logica burocratica che ha caratterizzato anche gli interventi adottati dal Governo nell’emergenza, semplificando le procedure amministrative che frenano investimenti pubblici e privati e favorendo il coinvolgimento delle comunità locali nei percorsi di ricostruzione del tessuto economico e sociale. 

A tal fine sarà importante superare la logica della competizione ed il – falso – mito della concorrenza per costruire un New Deal fondato sulla collaborazione e sulla partecipazione civica dei cittadini. In questo modo potranno essere coinvolti attivamente nella ricostruzione del Paese i tanti piccoli e medi imprenditori che hanno un rapporto profondo con le comunità locali e rappresentano l’ossatura - non solo economica - dell’Italia, le imprese cooperative che sono naturalmente legate alle comunità in cui operano e, dopo il 2008, hanno dimostrando di saper rispondere meglio e più velocemente alle grandi crisi riuscendo a recuperare anche i fallimenti delle imprese capitalistiche e, infine, le imprese sociali che sono la forma d’impresa che meglio si adatta a realizzare percorsi di sviluppo che partono dal basso avendo un vantaggio comparato rispetto agli attori pubblici ed alle imprese capitalistiche nella saper mobilitare risorse pubbliche, private e comunitarie per soddisfare un bisogno ritenuto rilevante dalla comunità in cui operano, perseguendo non l’interesse dei singoli ma l’interesse generale della comunità.

Per realizzare questo New Deal che punta sulla collaborazione e sul territorio come motore di sviluppo servono però interventi da parte del Governo capaci di cambiare rotta rispetto a quanto fatto sino ad ora; non è un problema di risorse disponibili ma di regole con cui vengono impiegate e di modelli utilizzati.   

In primo luogo è necessario semplificare radicalmente il Codice dei contratti pubblici – come fatto per la ricostruzione del ponte Morandi a Genova - in modo da garantire l’immediato impiego delle risorse già presenti nei bilanci dello Stato, delle società partecipate e degli enti locali per realizzare un programma straordinario di opere pubbliche, prevedendo corsie preferenziali per le opere pubbliche di piccola e dimensione, come ad esempio la realizzazione delle piste ciclabili o gli interventi di manutenzione del territorio per prevenire il dissesto idrogeologico, che in molti casi sono immediatamente cantierabili.

In secondo luogo devono essere prorogati sino a giugno 2023 tutti i contratti pubblici e le concessioni legate ai servizi educativi, sociali e sanitari e dove sono inseriti al lavoro persone svantaggiate prevedendo procedure semplificate per riprogettare gli interventi in modo da adattare rapidamente i servizi alle nuove esigenze dell’era Covid-19, in questo modo è possibile concentrare le risorse umane degli enti locali e dei soggetti privati gestori, in larga parte enti del Terzo settore, sulla riorganizzazione dei servizi di welfare piuttosto che sulle gestione di nuove gare di appalto che richiedono tempo per essere realizzate e rischiano di bloccare i servizi per i prossimi mesi frenando gli investimenti e gli interventi che i gestori privati potrebbero fare per adeguarli alle nuove esigenze. 

In terzo luogo è importante stabilire che in tutte le attività di interesse generale (servizi educativi, sociali, sanitari, formazione, cultura, attività ricreative e molto altro disciplinato dall’Art. 5 del d.lgs117/2017) lo strumento ordinario di regolazione dei rapporti con le amministrazioni pubbliche sia la co-progettazione come prevista dall’Art. 55 del d.lgs117/2017 e non la gara di appalto, in modo da incentivare e supportare la partecipazione attiva dei cittadini e della società civile organizzata nei processi di sviluppo locale post Covid-19.

In quarto luogo è urgente realizzare un Programma nazionale per il lavoro delle persone fragili che, utilizzando le risorse già a disposizione dello Stato, delle società partecipate e degli enti locali, preveda – in applicazione dell’Art.112 del Codice dei contratti e degli appalti pubblici – la realizzazione su scala nazionale e locale di procedure di evidenza pubblica riservate alle sole imprese che  si impegnano ad inserire al lavoro le persone svantaggiate, in modo innescare circoli virtuosi in grado di reinserire nei processi produttivi i lavoratori più deboli e fragili che altrimenti rischiano di rimanere definitivamente esclusi dal mercato del lavoro post Covid-19 con importanti costi economici e sociali.

Infine, è necessario prevedere la possibilità per gli enti locali di affidare, senza gara, la gestione di un servizio pubblico di interesse comunitario o la concessione di un bene pubblici di interesse comunitario alle imprese sociali di comunità; in questo modo sarà possibile mobilitare i cittadini che da semplici utenti possono divenire protagonisti di nuovi processi di sviluppo locale realizzando anche investimenti su beni e servizi pubblici che altrimenti né gli attori pubblici ne le imprese capitalistiche faranno nei prossimi anni.

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Andrea Bernardoni

Legacoopsociali

Responsabile dell'Area Ricerche presso Legacoopsociali Nazionale, ricopre l'incarico di Responsabile del Dipartimento cooperative sociali, imprese sociali e cooperative di comunità presso Legacoop Umbria dove è anche Responsabile dell'Ufficio economico e finanziario.

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